venerdì 27 luglio 2012

Jay Guru Deva Om, Accross the Universe...

http://www.youtube.com/watch?v=SQ_G9ETE21U

 
Le parole fluivano, a braccetto con le note, dagli altoparlanti nascosti – camuffati come quadri – e riempivano gli ambienti, filtrando lentamente nell’animo e nella mente, ineluttabili e leggere lame sottili, subdole, suadenti…

Era una canzone dei Beatles, di quelle che non hanno mai avuto grande successo in Italia, perché in Italia nessuno capisce veramente l’Inglese, anche se tutti credono di conoscerlo:
“Words are flowing out
Like endless rain into a paper cup
They slither while they pass
They slip across the universe…”
La musica montava, in un crescendo lento ma inesorabile, sicuro come la morte, deciso a puntare  diritto al cuore e trapassarlo:
“Pools of sorrow waves of joy
Are drifting through my open mind
Possessing and caressing me…”
Nessuno veramente capiva le parole, ma tutti erano confortati dal ripetitivo ritornello ipnotico orientale, subito dopo la palese dichiarazione filosofica e religiosa, veramente liberatoria, ma che ovviamente passava comunque inosservata, inascoltata, da un pubblico distratto ed ignorante:
“Jay Guru Deva, Om…
Nothing’s gonna change my world
Nothing’s gonna change my world
Nothing’s gonna change my world
Nothing’s gonna change my world…”
  
Tutti seguivano con un angolo musicale della propria mente, come pecore, come ratti che seguono il pifferaio magico di Hamlin; battendo il ritmo con un piede o con il tamburellare delle dita; magari seguendo silenziosamente le parole, cantando muti, in un inesistente “pidgin english” di propria fattura ed invenzione:
“Images of broken light which dance
before me like a million eyes
they call me on and on
across the universe,
Thoughts meander like a restless wind
Inside a letter box
They tumble blindly
As they make their way
Accross the universe
Jay Guru Deva, Om…
Nothing’s gonna change my world…

L’importante era che  il sottofondo di musica funzionasse. Che importava il tempo lunghissimo trascorso a scrivere, criticare, discutere; cancellare e riscrivere; rileggere, contare le battute, togliere e mettere articoli e preposizioni, correggere i pensieri che non collimavano con il pensiero filosofico originale? L’importante era che piacesse, nient’altro:

Sounds of laughter shades of earth
Are ringing through my open views
Inciting and inviting me
 
Limitless undying love
Which shines around me like a million suns
It calls on and on across the universe”…
Un fiume in piena che d’impeto trascina con sé, mescolati insieme, i diversissimi pensieri d’amore filosofico, platonico e carnale, esistenziale e religioso, occidentale ed orientale, passava del tutto non visto, con l’espressione musicale di tutta la violenza che la natura sa mostrare di sé, talvolta, alle formiche umane… Nessuno ascoltava davvero, nessuno capiva. Tutti ascoltavano quello che pareva loro un motivetto allegro, una filastrocca infantile, forse,  ma – in fondo – carina.
E l’opera d’arte, la fatica per compierla, il genio artistico, i meriti e la piccola storia degli autori, tutto finiva insieme nell’oblio comune: anche questo, in fondo, è davvero l’Inferno. Il grigiore insulso d’ogni giorno, che ci appiattisce in un quadro quotidiano frettoloso e senza senso, da cui prima o poi saremo regolarmente cancellati, senza lasciare una svogliata traccia, senza un bagliore, senza una fiamma, senza più nulla. Per sempre.
Senza conoscere, mai, per un momento, la Gioa Maiuscola dell’Amore Universale, che sia esso Orientale oppure Occidentale, Unico oppure Multiplo, cantato da un menestrello di Liverpool o da un pastore della Galilea, vergogna.
E’ strano: tutti coloro che ci parlano d’amore muoiono, magari anche prima d’averci convinti, forse addirittura prima d’averci toccato dentro.