mercoledì 3 ottobre 2012

PANLITOSPERMIA

Fu una forte esplosione che ci disse che il nostro pianeta non era più nostro. Non era più neppure un pianeta. Non c’era più: s’era vaporizzato insieme a tutto ciò che stava nei pressi della nostra Vecchia Stella.
Noi – frammenti – volammo via, spinti dall’onda d’urto potentissima. Alcuni di noi viaggiavano a velocità alte, oppure altissime: li vedemmo presto scomparire nello Spazio Oscuro. Ad altri fu impressa una velocità più bassa: io ero nel gruppo di questi ultimi, con una velocità di 360 km/ora (100 metri al secondo).
Viaggiammo così, in gruppo, per un tempo che sembrò lunghissimo, ma che non potevamo misurare con il sorgere del giorno, perché procedevamo nello Spazio più scuro. Le stelle e gli altri sistemi erano molto lontani e la luce ci raggiungeva appena. Ad un certo punto, una forza ci attrasse verso di sé e cambiammo rotta. Ci dirigemmo verso un piccolo pianeta, in un sistema nascente: un gruppo di pianeti si stava assestando ciascuno nella propria orbita, intorno ad una stella di media grandezza.
Atterrammo con una certa violenza sul pianeta ed in esso piantammo i nostri semi, sopravvissuti a tutto: all’esplosione, allo spazio privo d’atmosfera, all’impatto”.
Sembra un racconto di fantascienza, invece si tratta di una reale possibilità (non ancora una certezza!) scientificamente ammessa dai recenti studi di un gruppo internazionale di astrofisici: è la teoria della Panlitospermìa, che suona come una malattia riproduttiva del maschio, ma è invece una teoria dell’origine extraterrestre  della Vita. Secondo quest’ultima, i “semi” della Vita si sarebbero potuti spargere praticamente ovunque nell’universo, trasportati da rocce viaggianti nello spazio…
-         In realtà, non è un’idea nuova. È già presente nella Grecia Classica (Anassagora) e fu ripresa con passione nell’Ottocento (Lord Kelvin).  Più recentemente ancora, addirittura sir Francis Crick (premio Nobel insieme a James Watson per la prima descrizione della forma tridimensionale della molecola del DNA) ne era stato un ostinato sostenitore, insieme a Leslie Orgel (in seguito, parzialmente riformulò il suo pessimismo circa un'origine terrestre della vita, basata inizialmente su RNA, invece che su DNA). Ma la possibilità dell’origine della vita da corpi celesti era sempre stata praticamente esclusa, perché si pensava che l’alta velocità delle rocce viaggianti nello spazio (prodotte da esplosioni per vari motivi, in altri Sistemi) non ne permettesse in alcun modo la “cattura” da parte di pianeti quali la Terra.
-         E non è neppure una dimostrazione definitiva: saranno necessari studi multidisciplinari mirati, che spieghino soddisfacentemente come  possano sopravvivere microorganismi viventi all’esplosione iniziale, alla mancanza di un’atmosfera durante il più o meno lungo viaggio ed all’impatto violento finale. Sarà inoltre necessario che si trovino alcuni segni inconfutabili di vita su pianeti non distanti, dentro e fuori del Sistema Solare.
Sembra già che la presenza d’acqua sia comunque una ‘condicio
sine qua non’ (il fatto che sia quasi dimostrata la passata presenza
 di acqua su Marte lo renderebbe un candidato interessante per
questi studi, anche se la sua prossimità al vento solare del Sole lo
avrebbe presto privato di un’atmosfera necessaria per la Vita).
Da che cosa deriva questa nuova convinzione, per quanto concerne
 la possibilità d’origine extraterrestre?
Stando alle risultanze del  Congresso  Europeo di Scienza
Planetaria, tenutosi a Madrid pochi giorni fa, questa convinzione
si deve ai nuovi calcoli effettuati in seguito alla scoperta esistenza
 di rocce che viaggiano a bassa velocità (prima insospettata e
sconosciuta) attraverso lo Spazio.
Queste rocce possono contenere microorganismi.
La bassa velocità di esse, le rende prede estremamente probabili
della forza gravitazionale di pianeti allo stato nascente, quale era
 la Terra alcune centinaia di milioni d’anni fa (il Sole si è formato
 circa 4.5 miliardi d’anni fa, insieme ad un gruppo di altre stelle:
 alcune centinaia di milioni d’anni fa si è separato dando origine
 al nostro sistema).
La percentuale di queste rocce  a bassa velocità’ non è elevata,
 ma è egualmente significativa (1/1000 rocce vaganti è del tipo a
 bassa velocità). Dato che esse subiscono realmente il processo di
 “cattura” da parte dei pianeti (seguendo un modello ben diverso
 da quello già noto per  le rocce ad alta velocità), la semina della
 Vita da parte di esse potrebbe avere avuto luogo in moltissimi
 pianeti diversi. La cattura di un bolide a bassa velocità, secondo i
 calcoli degli astrofisici, è circa un miliardo di volte più probabile
  di quella di una roccia a media o elevata velocità.
La teoria si chiama WSB,  che sta per: “Weak Stability Boundary
 Theory” e secondo i calcoli in essa sviluppati,  gli scambi dei
 resistenti semi di Vita potrebbero essere avvenuti fino a 300
 milioni di volte.

Quindi, potrebbe essere vero, Pasuco: potremmo
davvero essere noi gli extraterrestri, alla fine dei
conti!

N:B: La teoria è stata formulata dagli astrofisici dell’Università dell’Arizona, dell’Università di Princeton e dagli scienziati del Centro spagnolo di Astrobiologia e presentata al Congresso di Scienza Planetaria di Madrid.
Fonte: M.P. Palmarini, Corsera - 3 /10/2012