domenica 7 aprile 2013

Decreto legislativo 10 marzo 1998-N° 75





Caro Pasuco, amico mio, cosa vuoi che ti dica: è l'argomento del giorno. Non solo in Sardegna, a dire il vero! Ma per il momento sembra avere come solo risultato quello di scatenare attacchi politici tra i vari schieramenti e polemiche varie, di contenuto poco comprensibile, troppo astratto per gente come te e me.
Non lo scrivo certo per lamentarmi: vorrei anzi che ne scaturisse qualche cosa di buono, finalmente, per una regione che è stata maltrattata, sfruttata, ignorata e mortificata troppo spesso e troppo a lungo. 

Vorrei però potere leggere al riguardo qualche serena e competente disamina, volta a spiegare a me e a te - che di cose economiche non comprendiamo alcunché - di che cosa si tratti realmente e quali risultati pratici la Zona Franca possa implicare per la gente comune, in quanto tempo; che spese siano necessarie e quali altri sacrifici si dovranno affrontare eventualmente (perché mai nulla cade sulle nostre teste come un tocco di bacchetta magica!).
C'è addirittura chi si chiede se vi sia - oppure no - qualche cosa di vero...
D'altronde, il Decreto Legislativo risale al 10 Marzo 1998, or sono 15 anni.



LA NUOVA SARDEGNA, 14 MARZO 2013

articolo
di Umberto Aime

CAGLIARI. Extradoganale no, «oggi è impraticabile», sì ai porti franchi e alle agevolazioni fiscali per le imprese in tutta l’isola. È questo il primo parere che arriva da Bruxelles sul caso Sardegna, con l’europarlamentare Giommaria Uggias dell’Idv.
Perché non extradoganale?
«La recente richiesta della giunta Cappellacci di modificare il prossimo codice europeo doganale ed equiparare la Sardegna allo status di Campione d’Italia e Livigno non mi pare attuabile. Le aree extradoganali sono già individuate stato per stato e non vedo la possibilità di deroghe».
Dunque, esiste il rischio che l’Europa risponda no.
«Credo che bisogna uscire dal clima di contrapposizione che in molti continuano ad alimentare, per passare alle proposte concrete e praticabili».
Quali?
«Partiamo dall’articolo 155 del nuovo codice europeo che prevede la possibilità per gli Stati membri di destinare alcune parti del territorio doganale della Comunità a zona franca con punti d’entrata e uscita».
La Sardegna può essere il territorio prescelto?
«Certamente. È un’isola: da sempre i suoi confini sono netti e il futuro codice europeo doganale impone che le zone franche siano intercluse, cioè delimitate».
Ancor più nello specifico.
«Cominciamo dai sei porti franchi isolani previsti e ribaditi dal decreto legislativo del 1998. Nelle zone delimitate di Cagliari, Olbia, Porto Torres, Oristano, Portovesme e Arbatax, ma anche nelle aree industriali collegate o collegabili, possiamo avere in tempi brevi i benefici previsti dal codice europeo doganale a favore della produzione e delle esportazioni».
Solo?
«Un’altra proposta fattibile è una zona franca estesa a tutta l’isola che preveda diverse agevolazioni d’imposta, come la non tassazione degli utili d’impresa seppure fino a un certo limite, l’esonero delle tasse professionali di competenza degli enti locali, l’esenzione degli oneri sociali a carico degli imprenditori e aiuti alle imprese in difficoltà».
Anche questo è un modello che guarda alla produzione, niente per il consumo?
«Non escludo che all’interno di una trattativa fra l’Europa, lo Stato italiano e la Regione possiamo ottenere benefici diretti anche per i consumatori. Ma è sullo sviluppo delle imprese che dobbiamo puntare con decisione, il prezzo della benzina o del cioccolato è un corollario. Ripeto, la Sardegna ha bisogno di un benessere diffuso attraverso il lavoro».
Ma la giunta Cappellacci finora si è mossa bene o male in questa vertenza?
«Partiamo dalle due condizioni essenziali per dare un senso logico a questa vertenza».
La prima.
«Che ci sia la volontà da parte di tutti i livelli istituzionali, compreso quello nazionale, di farsi carico dell’istanza della Sardegna anche per quanto riguarda la dotazione finanziaria. La Francia l’ha fatto nel 1996 e per cinque anni, con la zona franca della Corsica e non a costo zero, ma con uno stanziamento di 450 milioni. E va detto che, a suo tempo, dall’Europa non ci furono divieti al progetto francese».
La seconda condizione.
«Che la richiesta della Sardegna sia preceduta da una rigorosa analisi costi-benefici, destinata a far luce, ad esempio, su come sarà compensato il minore gettito dell’Iva e delle esenzioni sui beni franchi. Mentre oggi non c’è ancora nessuna indicazione ma solo accademia».
Vuol dire che manca uno studio di fattibilità?
«Esatto. Finora nessuno ha quantificato i benefici assoluti che potrebbero arrivare con le zone franche e neanche quali potrebbero essere i vantaggi e gli svantaggi per i territori circostanti. In altre parole, quali saranno gli effetti di una zona franca sulle aree interne. Basta pensare alla Sardegna come una ciambella: semmai ricca sulle coste ma sempre più vuota e povera a l centro».

A chi affidare lo studio?
«Penso al Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro, o al suo equivalente regionale, il Crel. È una consulenza necessaria: va fatta prima e poi allegata alla richiesta».
I tempi però così rischiano di allungarsi.
«Non credo. Se i passi saranno giusti, il confronto con l’Europa andrà a buon fine. Mentre sono preoccupato da chi oggi sostiene di volere la zona franca con le buone o con le cattive. Questa sì che è demagogia».


REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA

ARZACHENA, 3 APRILE 2013 - "Un accordo finalizzato a coniugare le coste con quella valorizzazione delle zone interne che può contribuire a diversificare l'offerta e allungare la stagione turistica". Così il presidente della Regione Ugo Cappellacci ha sintetizzato l'intesa siglata stamane ad Arzachena con il sindaco Alberto Ragnedda per il "Turismo blu". "É un percorso - ha aggiunto il presidente - che non nasce da scelte calate dall’alto, ma dalla volontà del territorio e di un comunità che intendono sprigionare le proprie potenzialità. Il punto di partenza é rappresentato da quel patrimonio ambientale, paesaggistico e culturale che é il vero elemento di varietà e specialità, idoneo a rendere ancora più competitivo il sistema. Andiamo nella direzione - ha evidenziato Cappellacci - di uno sviluppo sostenibile, che consenta alla nostra isola di voltare pagina. Lavoriamo - ha concluso il presidente - per far ripartire un propulsore della nostra economia: un asset strategico che deve continuare ad essere un caso di eccellenza sul fronte internazionale".




(ANSA) - CAGLIARI, 5 APR - Il ministro dell'Economia Vittorio Grilli ha firmato, dopo il collega dello Sviluppo economico Corrado Passera, il decreto attuativo della istituzione della Zona Urbana di esenzione fiscale nei 23 Comuni del Sulcis Iglesiente, nell'ambito del Piano Sulcis. Lo annuncia il deputato sardo del Pd Francesco Sanna. Il decreto ora andra' alla registrazione della Corte dei conti. Secondo l'esponente democratico occorre l'impiego di almeno 100 milioni di euro.



DOMENICA, 7 APRILE. SASSARI NEWS:


PORTO TORRES. La Regione Sardegna ha valutato positivamente la proposta di perimetrazione della zona franca doganale nello scalo di Porto Torres, proposta scaturita dal confronto avviato nelle scorse settimane dall’amministrazione comunale turritana con la Provincia di Sassari, l’Autorità portuale del Nord Sardegna, la Capitaneria di Porto e il Consorzio industriale provinciale di Sassari.
La perimetrazione è stata illustrata questa mattina nella sede della Regione Sardegna. «È un passo importante verso l’istituzione della zona franca doganale nel porto, uno strumento che può diventare un’occasione di rilancio per il nostro scalo, per il nostro sito produttivo e per le imprese del territorio», sottolinea il sindaco Beniamino Scarpa. «Il tavolo di lavoro sulla zona franca doganale attivato dall’amministrazione comunale si riunirà nei prossimi giorni per definire i dettagli tecnici del progetto secondo gli adempimenti richiesti dalla Regione, relativi alla viabilità, alla gestione e alla logistica. La proposta, una volta completata, dovrà poi essere portata all’attenzione del Governo nazionale», aggiunge il sindaco. Alla riunione di stamani era presente l’assessore ai Lavori Pubblici, Angelo Acaccia. «Il percorso condiviso sta dando i suoi frutti – afferma l’assessore – ed è fondamentale che tutti i soggetti coinvolti diano il proprio contributo per far riacquistare alla nostra città la centralità economica del passato». L’area individuata, denominata “Centro intermodale”, insiste all’interno del sito industriale e ha un’estensione di quattordici ettari. Ricomprende al suo interno un capannone di circa duemila metri quadri. L’area adiacente, vasta circa quaranta ettari, potrebbe essere utilizzata per la movimentazione e per la lavorazione delle merci, poiché è in possesso dei requisiti urbanistici per tali attività. Nella proposta di perimetrazione è stato inserito anche il pontile solidi del porto industriale, oggi inutilizzato. «Il regime di fiscalità agevolata per le merci può attrarre gli investimenti, favorire la nascita di nuove imprese e sostenere le imprese già in loco, diventando un ottimo strumento per lo sviluppo del nostro territorio. Auspico – conclude il sindaco Scarpa – che il percorso attivato possa consentire di far pervenire in breve tempo la proposta di istituzione del punto franco doganale sul tavolo del Presidente del Consiglio dei Ministri».


http://www.sardegnaeliberta.it/?p=4680
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3. Le zone franche in Sardegna: stato di attuazione e possibili sviluppi


La panoramica della disciplina delle zone franche doganali operanti in Italia (sulla base di specifiche deroghe) fa emergere con chiarezza: 1) la ripetuta strategia dei governi italiani di non concedere mai alla Sardegna la normativa fiscale e daziaria di maggior vantaggio tra quelle invece ritenute attuabili e attuate nelle altre regioni (nel 1948, la contestuale diversità di trattamento con la Val d’Aosta è emblematica); 2) lo svantaggio derivante dalal previsione statutaria che colloca comunque la Sardegna entro la linea doganale dello Stato italiano; 3) i limiti e le ridotte potenzialità delle istituende zone franche sarde che dovranno operare nell’ambito delle restrittive disposizioni europee in materia di zone franche doganali (tipologia di controlli, quantità e tipologia di operazione che possono essere svolte ecc); potenzialità fortemente ridimensionate, rispetto alla previsione statutaria, soprattutto a seguito dell’istituzione dell’area di libero scambio comunitaria, che ha ristretto l’applicazione delle agevolazioni agli scambi con i paesi extraeuropei;
Tutto questo non significa che non sia utile e opportuno rendere finalmente operative le zone franche in Sardegna.
Come detto, il D.lgs 10 marzo 1998, n. 75 contiene la Norma di Attuazione del citato articolo 12 dello Statuto Speciale della Sardegna. Il decreto legislativo prevede che possano essere istituite delle zone franche nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax e in altri porti ed aree industriali ad essi funzionalmente collegate o collegabili.
Il decreto legislativo prevede che l’istituzione delle zone franche avvenga secondo le diposizioni del codice doganale comunitario aggiornato nel 2008 con il Reg. CE 23 aprile 2008, n. 450/2008 che, come detto, rappresenta l’ambito normativo di riferimento.
La norma stabilisce, inoltre, che siano i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), su proposta della Regione, a delimitare le zone franche e a prevedere le disposizioni per l’operatività delle stesse.

3.1 La zona franca di Cagliari

Nel 2001 è stato approvato solo il DPCM che delimita e disciplina l’operatività della zona franca di Cagliari. L’approvazione di tale decreto è avvenuta su proposta della Regione Sardegna (deliberazione della Giunta del 25 luglio 2000 e del 27 febbraio 2001). La delimitazione della zona franca di Cagliari è quella prevista nell’allegato all’atto aggiuntivo siglato in data 13 febbraio 1997 dell’accordo di programma sottoscritto, l’ 8 agosto 1995, con il Ministero dei trasporti, e corrisponde sostanzialmente con l’area del porto industriale di Cagliari.
Il decreto individua per la gestione una società denominata “Zona franca di Cagliari – Società consortile SPA” (Cagliari free zone) costituita il 20 marzo del 2000 dall’Autorità portuale e il CASIC aventi ognuno una partecipazione pari al 50% del capitale sociale, mentre l’attività di controllo viene affidata alla direzione della circoscrizione doganale di Cagliari.
Nelle zone franca è autorizzata qualsiasi attività di natura industriale o commerciale e di prestazione di servizi nel rispetto del quadro normativo definito dal codice doganale comunitario e dalle relative norme di attuazione.
La Giunta regionale con la delibera n. 32/9 del 25/7/2000 aveva disposto che la Regione, per il tramite dell’assessorato dell’Industria, partecipasse direttamente all’azionariato della società di gestione della zona franca acquisendo la percentuale del 30% del capitale sociale.
L’operatività della zona franca è infine rimessa all’approvazione di un Piano operativo secondo la seguente procedura:
1. predisposizione da parte del soggetto gestore (60 gg entrata in vigore)
2. parere con eventuali osservazioni da parte dell’Autorità doganale di Cagliari (60 gg)
3. trasmissione all’Assessore competente per approvazione in Giunta
Il DPCM prevede che la Regione determini gli indirizzi generali per l’attività del soggetto gestore.
Al momento non risulta approvato il Piano di gestione della Zona franca di Cagliari.
Il Comitato portuale ha approvato nel 2009 il nuovo statuto prevedendo l’ingresso di nuovi soggetti nella compagine sociale (26% Autorità portuale, CACIP e Regione; 10% Provincia e Comune di Cagliari; 2% Camera di Commercio di Cagliari).

3.2 La delimitazione delle zone franche di Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax

La Giunta regionale, ai fini dell’adozione dei previsti DPCM necessari a garantire l’operatività delle zone franche, deve formulare la proposta di delimitazione delle altre zone franche individuate dall’articolo 1 della norma di attuazione.
La delimitazione delle zone franche può ricomprendere altri porti ma anche le aree industriali funzionalmente collegate o collegabili ai porti di Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax.
A tale proposito va valutata la possibilità di perimetrare le zone franche secondo un criterio che consenta di ricomprendere oltre i porti anche le zone industriali interne (ricomprese per esempio nel raggio di 120 chilometri dai porti stessi) che consenta di adottare un modello di zona franca non interclusa.

3.3 I vantaggi della zona franca doganale

I principali benefici, a legislazione vigente, delle zone franche doganali possono ricondursi a:
- le merci provenienti da un paese extra-comunitario godono di un’esenzione totale dai dazi e sono considerate ai fini dell’applicazione del dazio di importazione come merci non situate nel territorio doganale dell’Unione europea a condizione che vengano riesportate in paesi extra UE;
- la riscossione dei dazi doganali viene differita di 180 giorni dal momento in cui la merce lascia la zona franca per entrare in un altro paese dell’Unione europea;
- la merce può essere sottoposta a limitate operazioni di manipolazione/trasformazione che ne modificano la specie o lo stato (prodotti trasformati) che poi possono essere immessi in libera pratica.

4. Attuazione di una fiscalità di vantaggio in Sardegna


La creazione della zona franca doganale rappresenta, sulla base delle argomentazioni portate avanti finora, un’opportunità di sviluppo per la Sardegna, ma se non viene accompagnata con l’introduzione di agevolazioni di tipo fiscale non è sufficiente ad imprimere una svolta nello sviluppo economico e sociale in Sardegna. Sono infatti le condizioni fiscali e finanziarie di vantaggio che possono creare reali condizioni di favore per attrarre gli investimenti nell’isola e quindi favorire la nascita di nuove imprese, nonché sostenere le imprese già localizzate;
Esse rappresentano, insieme alla dotazione infrastrutturale e all’efficienza dei servizi pubblici (e della Pubblica Amministrazione), alcune delle principali condizioni che rendono “attraente” un determinato territorio per le imprese.
E’ evidente che il percorso che può portare alla definizione di un pacchetto agevolativo finalizzato al riconoscimento di una fiscalità di vantaggio per la Sardegna va negoziato con lo Stato il quale deve farsi parte attiva affinché l’Unione Europea autorizzi tale regime fiscale speciale.
La Sardegna possiede sia da un punto di vista normativo (norme e orientamenti giurisprudenziali) che delle condizioni oggettive richieste, i presupposti affinchè la Commissione possa prendere in considerazione l’adozione di misure “in deroga” a favore dell’isola.
Il primo argomento “oggettivo” forte è legato all’insularità: l’Unione europea deve riconoscere nei vincoli legati allo svantaggio naturale, geografico e permanente quelle condizioni di disagio che hanno portato alla concessione di fiscalità agevolate, in deroga alla normativa sugli aiuti di Stato, ad altri territori europei.
Tra le Regioni che hanno beneficiato e tuttora beneficiano di agevolazioni finanziarie e fiscali “autorizzate” dall’unione europea c’è la Regione di Madeira che può godere di un regime speciale previsto dall’articolo 349 del Trattato di Lisbona.
La Sardegna, invece, può fare riferimento all’articolo 174 del Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1° dicembre 2009, che declina per la prima volta il concetto di coesione inserendo l’aspetto territoriale (oltreché economico e sociale) e facendo un esplicito riferimento al fatto che “un’attenzione particolare è rivolta … alle regioni insulari”. Ciò significa che nella definizione delle politiche tese allo sviluppo regionale, l’Unione europea non può prescindere da tale vincolo strutturale che incide sulle possibilità di sviluppo dell’isola creando una evidente disparità di opportunità tra la stessa e altri territori europei.
Sulla base di tale presupposto normativo, le disposizioni europee, soprattutto in materia di coesione e di concorrenza devono, ai sensi del citato articolo 174, prestare “un’attenzione particolare” alle regioni insulari prevedendo specifiche deroghe in tema di concorrenza e inserendo interventi concreti volti a compensare gli elementi di debolezza socio economica di tipo strutturale legati all’insularità ma anche a sfruttarne le potenzialità.
Tale orientamento è stato confermato anche dal Parlamento europeo che con la proposta di risoluzione del 15 settembre 2010 ha richiamato la Commissione europea all’adozione di una “strategia europea per lo sviluppo economico e sociale delle regioni montane, insulari e scarsamente popolate” finalizzata a compensare gli svantaggi di tali regioni.
Tale priorità è stata ulteriormente ribadita dallo stesso Parlamento con una “Dichiarazione scritta” nella quale ha insistito sulla necessità che vi sia “la presenza di riferimenti specifici ed espliciti alla sostenibilità insulare nei programmi quadro e nei testi politici dell’UE in linea con l’articolo 174 del TFUE”;
Un altro fattore che va nella direzione auspicata dalla nostra regione sul quale fare leva nella contrattazione con lo Stato e con l’Unione europea per l’ottenimento una fiscalità di vantaggio è la sentenza della Corte di giustizia del 6 settembre 2006 (cosiddetta Sentenza Azzorre). Tale sentenza rappresenta un precedente impostante sul fronte del riconoscimento alle autonomie territoriali che riguarda l’adeguamento del sistema fiscale nazionale portoghese alle specificità della Regione autonoma delle Azzorre in materia di riduzione delle aliquote dell’imposta sul reddito.
Tale sentenza dispone che un ente regionale o territoriale, nell’esercizio dei poteri sufficientemente autonomi rispetto al potere centrale, può stabilire un’aliquota fiscale inferiore a quella nazionale applicabile unicamente all’interno del territorio di sua competenza” e che “il contesto giuridico rilevante per valutare la selettività di una misura fiscale potrebbe limitarsi all’area geografica interessata dal provvedimento qualora l’ente territoriale, segnatamente in virtù del suo statuto e dei suoi poteri, ricopra un ruolo determinante nella definizione del contesto politico ed economico in cui operano le imprese”;
La Corte di giustizia, nella in questa sentenza, ha ritenuto che i poteri sufficientemente autonomi debbano fare riferimento a un’autorità regionale o territoriale dotata sul piano costituzionale di uno statuto politico e amministrativo distinto da quello del governo centrale e che per l’ammissibilità della misura agevolativa l’Ente deve assumersi le conseguenze politiche ed economiche della misura.
Ora non vi è alcun dubbio che la Regione sarda, in virtù delle prerogative previste dallo Statuto speciale, presenti le caratteristiche che la Corte di Giustizia pone come condizioni necessarie per l’adozione di misure di fiscalità di vantaggio.
Sul piano nazionale poi a nostro favore depongono le sentenze della Corte costituzionale n. 102/2008 e n. 357/2010 che hanno “riconosciuto” alle Regioni a statuto speciale il potere di istituire tributi propri ma anche di incidere sui tributi erariali interamente devoluti o partecipati consentendo la modifica sia della base imponibile che delle aliquote con il solo limite di non incrementare le aliquote massime.
Appare evidente si è aperta la possibilità in quanto ricorrono le condizioni affinchè la regione, sia sul fronte europeo, con la Sentenza della Corte di Giustizia, che su quello nazionale, con i pronunciamenti della Corte Costituzionale, introduca nell’ordinamento regionale disposizioni attuative del titolo III dello Statuto che introducono in Sardegna misure fiscali agevolate.
Tuttavia e purtroppo, da ciò che si è detto risulta chiaramente che il lavoro da fare non è di tipo legislativo; cioè non si tratta di fare leggi in Consiglio. Si tratta invece di un lavoro amministrativo (le delibere di Giunta già adottabili) e di un lavoro politico-amministrativo (i negoziati con lo Stato italiano e con l’Unione Europea). Il Consiglio, però, è la sede che può e deve dare l’impulso e stabilire il perimetro della nuova politica fiscale della Sardegna. Il Consiglio deve elaborare un atto di indirizzo che incalzi la Giunta per ciò che già può fare e le indiche la strada vincolante da percorrere per la costruzione di ciò a cui abbiamo diritto ma che non è mai stato correttamente e opportunamente istruito, seguito nelle sedi opportune, condiviso con la società sarda, difeso nel Parlamento.  A questos copo ho predisposto una Roisoluzione della Prima Commissione che mi auguro possa arrivare, opportunamente corretta con le proposte di chiunque abbia interesse, competenza e voglia di lavorare su questi temi, rapidamente in Aula. C’è da augurarsi che su questi temi la società sarda non si divida.


Un porto franco, zona franca, o anche zona economica libera è un territorio delimitato di un paese dove si gode di alcuni benefici tributari, come il non pagare dazi d’importazione di merci, o l'assenza d’imposte.
La riflessione tardomercantilista (che valutava tanto maggiore la potenza di una nazione quanto superiori fossero le sue esportazioni alle importazioni) poi riteneva che togliere la barriera daziaria non facesse un porto franco, anche se tutti i porti franchi tolgono la barriera. Per questo ritenne che nella definizione di porto franco dovesse rientrare non solo il fattore dell'economia (poiché defiscalizzazioni sono provenute anche da porti non franchi), ma anche la politica di libertà: porto franco non sarebbe libertà di importare ed esportare beni liberi da dazi, ma una gestione non militare degli affari, senza ufficiali supportati dalla forza militare, bensì rappresentanti civili che pensano secondo gli stessi interessi dei mercanti, senza intromissioni. Questa giustizia dolce garantirebbe il possesso delle merci al proprietario, e attirerebbe flotte di gente per sottrarsi da terrori e persecuzioni.
Molti governi stabiliscono zone franche in regioni appartate o estreme con il fine di attrarre capitale e promuovere lo sviluppo economico della regione. Nelle zone franche avviene solitamente la creazione di grandi centri commerciali e si installano con frequenza anche industrie di cosmetici, o magazzini speciali per le merci in transito.
L'analogia del nome zona franca, utilizzata peraltro anche per definire la zona extradoganale, con porto franco deriva da alcuni porti liberi conosciuti da moltissimo tempo: i porti liberi da dazi doganali o con regolamentazione dei tassi favorevoli; ad esempio, il porto franco di Trieste. Spesso i porti franchi fanno parte delle zone economiche libere. In passato molti porti italiani godettero di franchigie doganali sulle merci transitanti per favorirne lo sviluppo economico della città portuale.
Con l'Unità italiana, una legge di stato abolì i porti franchi nel 1868, per eliminare le sperequazioni tra i cittadini italiani abitanti nelle città franche e quelli residenti fuori di esse.

Tra i principali porti franchi si ricordano quelli di:
Livorno, 1675-1868
Porto franco di Trieste, dal 1719
Porto franco di Venezia
Porto franco di Ancona, dal 1733