Sono stanco dei giornalisti.
Disgustato del loro modo di strombazzare per mesi e mesi
presunte novità.
Razzolano troppo spesso in casi melmosi che dovrebbero
restare fatti privati: omicidi, ferimenti, tradimenti, furti, danneggiamenti e
così via…
Promettono ‘straordinarietà’, offrono ‘ovvietà’.
Annunciano ‘neutralità’ e professano ‘parzialità’.
Ricorrono – quando non hanno di meglio – a ‘sondaggi’ tra la
popolazione: ma che ne sa il mio giornalaio, il conduttore d’autobus, il
fruttivendolo egiziano, il primo passante che incontro, sulle cellule
staminali o sul DNA o su che cosa siano mai i bequerel?
In seguito all’ennesima – ma del tutto imprevista – ‘bomba
d’acqua’, chiosano sempre: “Nessun avvertimento dalla Protezione Civile”,
implicandone costantemente la responsabilità.
Brutta razza, un certo giornalismo.
D’estate, quando le notizie languono, ecco la comparsa quasi
sistematica dei ‘mostri’: serpenti lunghissimi, pantere nella campagna romana,
e così via.
Oppure, le notizie utili per difendersi da vespe, meduse,
zanzare ed altri problemi delle vacanze: naturalmente tutte sbagliate,
approssimate, ma sempre scritte con quel piglio sensazionalistico atto a creare
allarme.
Persone semplici – punte 5 giorni fa da una vespa – corrono
al pronto soccorso perché leggono che “la puntura di una vespa può creare
danni gravi anche a distanza di tempo”. Non
è questo il procurato allarme di un irresponsabile?
Dovrebbero fare un passo indietro: ricordarsi che il loro
lavoro è l’informazione. E solo
quella.
Già il commento del
fatto accaduto si presta a mille trabocchetti, diverse interpretazioni
politiche, deviazioni dal vero e così via… Il commento deve essere fatto in
un momento successivo: deve essere prima
ponderato, pensato. Il commento ‘a caldo’ è infatti sempre emotivo e troppo
spesso non equo. Il commento deve essere inoltre affidato solamente da gente
esperta della materia.
Che sia giusto essere informati prontamente di un
accadimento – ordinario o straordinario – è verissimo, si tratta di pubblica
utilità: un ingorgo, un’alluvione,
la chiusura di una strada, la visita di una commissione straniera, un
attentato...
Ma ci sono notizie che non è bene dare (o che è bene dare
appena, senza scendere in dettagli). Invece, ce le spiattellano continuamente
davanti: tutti i dettagli su come Tizio ha ucciso Caio, ne ha trasportato il
corpo, quindi ne ha sciolti i resti nell’acido, infine ha brindato alla sua
memoria in una macabra cena con amici suoi pari.
Sono cose che non voglio sapere, per buoni motivi: non è affatto
censura. Si tratta, anzi, di un argomento che dovrebbe essere studiato e
regolato da un’apposita Commissione Etica.
Intanto, preferisco argomenti più sereni, che mi permettano
di riposare tranquillo la notte.
Inoltre, so fin troppo bene che esistono particolari
psicologie che si lasciano molto influenzare dalla minuziosa descrizione di
certi fatti e poi tendono immancabilmente a ripeterli (ne abbiamo avuto così
tanti numerosi esempi, inutile citarli qui).
Infine, credo sinceramente che i tribunali esistano proprio
per decidere se certe persone siano colpevoli oppure no. Quindi non credo
affatto sia giusto che i giornalisti possano influenzare intere giurie popolari di
lettori su detta colpevolezza, martellandoli quotidianamente con i loro
teoremi, prima della conclusione dei processi. Compete loro solo informare: tizio è stato/non è stato
arrestato; tizio è/non è sotto processo; tizio è stato/non è stato condannato.
Basta così.
Il resto è tutto un cumulo d’ invadente presunzione e di
morbosità malevola, ed è tutto volto al fine di vendere una testata piuttosto
che un’altra.
Un articolo che informi in modo completo ed equidistante,
che non modifichi l’accaduto e soprattutto non lo interpreti, inducendo il
lettore a conclusioni può anche essere una molto utile impresa.
Più tardi, un fondato articolo d’opinione può anche essere
un’opera d’arte, e magari servire persino a svegliare e a smuovere alcune
coscienze sopite, che non sanno sondare le sostanze dell’accaduto.
Ma in genere, purtroppo, i giornali riportano solamente scarabocchi
di soggetti che non sanno scrivere e che sono diretti proprio ad altri soggetti,
che non sanno leggere.
CAMPAGNA 2014 PER UNA CORRETTA GESTIONE DELL’INFORMAZIONE
PUBBLICA.