Chieti, Museo Archeologico Nazionale di Abruzzo - VI sec. a.C., Guerriero Piceno di Aufinum - Arte Italica La statua, con le gambe spezzate, fu rinvenuta casualmente nel 1934, durante dei lavori agricoli per l'impianto di una vigna nella località "Cinericcio". I successivi scavi, condotti dall'archeologo G. Moretti, riportarono alla luce una necropoli con alcune tombe e corredi funerari, datati tra il VII e il IV secolo a.C.; furono anche portati alla luce altri frammenti della statua, che ne permisero più tardi la ricomposizione e il restauro: tra questi il copricapo, intagliato separatamente, ma sicuramente pertinente per la corrispondenza tra l'incasso centrale e una sporgenza realizzata sulla piatta superficie della testa. |
CAPESTRANO, Guerriero di. - Statua, così detta dal luogo di ritrovamento (in provincia dell'Aquila), rappresentante un uomo rivestito delle sue armi. Tagliata nel calcare tenero locale, alta complessivamente m 2,09 senza il plinto, era posta sulla tomba del personaggio che rappresentava, come si deduce dal fatto che è stata trovata, insieme ad un busto acefalo femminile, in una vasta necropoli le cui tombe più antiche risalivano al VII-VI sec. a. C.
Il guerriero è rigidamente eretto, con i piedi distanti e paralleli, sostenuto alle spalle da due appoggi di forma rozzamente piramidale che portano incisa nella parte esterna la figura di una lancia. L'armatura è costituita da due dischi (che nella realtà erano in lamina metallica) uno sul petto e l'altro sul dorso, sostenuti da corregge, una difesa triangolare (che doveva essere in cuoio o in lamina metallica) copre l'addome e l'inguine, rafforzata da una linea marginale più spessa decorata a meandro. Le braccia sono strette sul davanti e sostengono una spada con rilievi di animali fantastici sull'impugnatura, un pugnale posto su questa ed un'esile ascia incrociata; due armille si stringono intorno al braccio sinistro ed una intorno a quello destro; una doppia collana con breve ornamento sul davanti, cinge il collo. Il viso si ritiene coperto da una maschera (metallica), la cui linea di confine è nettamente segnata sul volto, e che, secondo la più comune interpretazione, faceva parte dell'armatura; oppure sarebbe stata una maschera funeraria che si metteva addosso ai cadaveri, secondo un uso in voga fin dai tempi micenei e non ignoto ai Romani. Anche le orecchie sono forse rappresentate chiuse da una difesa.
Sulla testa, il guerriero ha un elmo a tesa larghissima (m 0,65 di diametro) con un cimiero di penne (oggi in massima parte di restauro) fissato ad un rialzo decorato a meandro. La sproporzione di questo copricapo ha fatto pensare che si trattasse invece di uno scudo e tutta la statua rappresentasse il defunto che assiste ritto (sostenuto dalle due lance) ai suoi funerali, con lo scudo in testa, costume largamente praticato a Roma (Polyb., vi, 53) e presso i popoli italici.
Lo scudo sulla testa andrebbe messo in relazione da un lato con la devotio, per cui ci si copriva la testa durante le funzioni religiose, e dall'altro con una tendenza a dare a cippi tombali una copertura a forma di scudo (specialmente in necropoli etrusche: Vetulonia).
L'ipotesi di riconoscere nel guerriero di C. una immagine di consacrazione (devotio) sembra confermata dall'altezza della scultura, corrispondente a sette piedi romani (Liv., viii, 10, 12).
Gli oggetti che si vedono raffigurati indosso al guerriero sono stati identificati con altri rinvenuti in tombe etrusche o italiche delle località relativamente vicine; il luogo infatti in cui era la statua era quello di una popolazione che nelle proprie manifestazioni artistiche e culturali, pur mantenendo una base di elementi indigeni (piceni o sabelli), riceveva influssi etruschi.
I due dischi hanno riscontro con altri simili rinvenuti su scheletri in tombe di Alfedena, elemento che poi si svilupperà con la corazza tipicamente sannita formata da tre dischi sul petto e sulla schiena; il triangolo sull'addome è simile ad altri di lamina bronzea scavati in Etruria e nel Piceno; dell'ascia si ha un esemplare simile in ferro, trovato a Chiusi; maschere sono state trovate a Chiusi e nel Piceno, in lamina bronzea (v.canopo); anche elmi simili, però con tesa più ridotta, sono stati scavati nelle vicine regioni adriatiche.
I due dischi hanno riscontro con altri simili rinvenuti su scheletri in tombe di Alfedena, elemento che poi si svilupperà con la corazza tipicamente sannita formata da tre dischi sul petto e sulla schiena; il triangolo sull'addome è simile ad altri di lamina bronzea scavati in Etruria e nel Piceno; dell'ascia si ha un esemplare simile in ferro, trovato a Chiusi; maschere sono state trovate a Chiusi e nel Piceno, in lamina bronzea (v.canopo); anche elmi simili, però con tesa più ridotta, sono stati scavati nelle vicine regioni adriatiche.
Sul problema artistico di questa statua si sono accese notevoli discussioni; alcuni la vorrebbero ritenere un esemplare della metà del VI sec., tipico della civiltà sabellico-picena, non estraneo quindi ad influssi etruschi e anche greci, mediati o immediati, pur ostentando manifestazioni primitive tipiche di ogni arte periferica; del resto, è facile il confronto delle figure sull'impugnatura della spada con altre dell'arte etrusca orientalizzante.
Un'altra corrente di studiosi, invece, mettendo questa statua a confronto con monumenti dell'arte gallica e iberica, la valuterebbe come concepita sotto un influsso predominante dell'arte celtica.
Un'altra corrente di studiosi, invece, mettendo questa statua a confronto con monumenti dell'arte gallica e iberica, la valuterebbe come concepita sotto un influsso predominante dell'arte celtica.
Su uno dei sostegni è incisa una iscrizione in caratteri e lingua presabellica o sud-picena, in cui probabilmente si deve leggere il nome, patronimico, ecc., del defunto. (v. Italica, arte).
Bibl.: G. Moretti, Il guerriero di C., con appendice epigrafico-linguistica di F. Ribezzo (Ist. Naz. Arch. St. Arte - Opere d'arte, IV, Roma 1936); S. Ferri,Osservazioni intorno al guerriero di C., in Boll. d'Arte, 1949, pp. 1-9; M. Pallottino, Capestranezze, in Archeologia classica, I, 1949, pp. 208-210; A. Boëthius, Sulle origini della scultura italo-etrusca, in Studî Etruschi, XXI, 1950, pp. 14-16; (cfr. anche A. Minto, I clipei funerarî etruschi ed il problema delle origini dell'imago clipeata funeraria, in Studî Etruschi, XXI, 1950, pp. 25-57; F. Ribezzo, Popolo e lingua degli antichi piceni, ibidem; E. Polomé, À propos du guerrier de C., in La nouv. Klio, IV, 1952, pp. 261-270; L. Adams Holland, in Am. Journ. Arch., LX, 1956, p. 243 ss.; A. Boëthius, in Eranos, LIV, 1956, p. 202 ss.; G. Radke, Pauly-Wissowa, VIII A, c. 1779 ss.
(articolo di G. Cressedi)
Stele della Lunigiana - Le statue stele lunigianesi: le più antiche risalgono a 5.000 anni fa e sono testimonianze di una popolazione preistorica che ha scolpito nella dura pietra arenaria locale misteriosi guerrieri e figure dai marcati tratti femminili. Fino ad oggi sono venuti alla luce 80 reperti, la maggior parte dei quali conservati nel Museo allestito nel Castello del Piagnaro di Pontremoli (Massa Carrara). www.statuestele.org. |
Mater Matuta |
Guerriero Celta |
Laddove le statue steli sono di molto precedenti (anche 3.000 a.C. ed oltre) e le varie rappresentazioni della Mater Matuta sono certamente successive (malgrado la lunga fortuna del suo culto sotto vari nomi, nel tempo), per le altre statue si devono segnalare alcune analogie evidenti: alcune curiose, altre più significative...
Ci sono infatti molte coincidenze in comune che legano il Guerriero di Capestrano ai Guerrieri di Monti Prama: sono scolpiti in pietra arenaria tenera; sono rappresentazioni funebri e celebrative, rinvenute intorno e sopra ad un sepolcro. Sono state rinvenute per caso, nel corso dell'aratura di un terreno. Sono molto dettagliate e sono datate attorno al VII VI secolo a.C. Sembrano fare parte di un medesimo modo di sentire che si espresse con analoghe manifestazioni artistico- culturali, pur se in sedi così lontane. L'archeologo Rendeli data le statue sarde attorno all'ottavo secolo, comunque l'Età del Ferro sarda. Naturalmente, non si tratta di una gara infantile a chi è arrivato primo, anche se i fantarcheologhi la interpretano sempre così: e - secondo un motto che è molto caro a loro, in Scenza ed in Politica - non fanno "la gara di un giorno".