lunedì 30 luglio 2012

Conosco un cow-boy...

La musica può riportarci magicamente in posti lontani, rinverdire ricordi sopiti, ravvivare momenti e situazioni ormai sbiadite dal tempo, talvolta dandoci l'illusione che gli odori, i sapori e sle ensazioni di quel fatto ormai remoto siano ancora qui, con noi... insieme alle persone che erano con noi, insieme a noi bambini, immersi nella musica di allora.





    Caro Pasuco: non t'importerà niente, di questo post, ma ce lo metto lo stesso, perché riguarda una canzone, saldamente infissa nella mia memoria di bambino rotondetto e molto ingenuo, a Bologna, in una casa con giardino al piano terra, di via Toscana (se ricordo bene) nel sobborgo di San Ruffillo. Si era nel millenovecentocinquanta e qualche cosa...

    Mia madre un giorno tornò a casa, chissà perché, con un minuscolo cappello da cow boy di bachelite rossa e due stivali della stessa piccola taglia e dello stesso colore.

    Era di moda questa canzone, che - per coloro ai quali non risveglia ricordi - è probabilmente molto stupida, vecchia e dichiaratamente italiana (infatti, solo in Italia si chiama "Far West" ciò che in tutto il resto del mondo inglese parlante si definisce invece "Wild West", oppure "Fronteer").

    S'infilò nel pollice, nell'indice e nel medio della mano sinistra questi tre piccoli oggetti e cominciò a cantare proprio questa canzone, mentre il piccolo immaginario cow-boy di tre spanne danzava sulla tavola di cucina: una magia, per il bimbo che ero allora.

    La canzone era del famosissimo ed amatissimo Quartetto Cetra.

Ma ti giuro, Pasuco: mi piaceva di più come la cantava mia madre, anche se lei conosceva solo il ritornello...