domenica 5 gennaio 2014

Capitolo XV


 La Terra dei Mucchi di Pietre, cap. XV
di Maurizio Feo


15. Urla di guerra.

L’indomani mattina, i primi movimenti procurarono anche a Norax lancinanti dolori a tutte le membra e - da quanto vedeva ovunque intorno a sé - quello che egli provava non era ancor niente rispetto agli acciacchi degli altri!
Per alcuni degli uomini più malridotti, Lau­chme dovette usare frizioni con ranuncoli, che provocavano un calore terribile e formavano dolorose bolle sulla pelle, ma al­meno permettevano alle ginocchia e alle caviglie più gravemen­te bloccate di funzionare ancora.
Consumarono senza gioia un breve pasto frugale mentre già le sentinelle tornavano dalle loro postazioni ed in cielo compariva il primo chiarore.
Hanys fece muovere il grup­po prima ancora che il sole sorgesse, quando il cielo alle loro spalle era ancora buio e la luce era molto incerta.
Era una condizione di vantaggio.
Non pioveva più e il cielo appariva sgombro in tutte le direzioni. I cacciatori presero ad annusare l’aria attentamente, oltre a tutte le altre precauzioni, perché - come sapevano - dopo la pioggia gli odori erano tutti più intensi e facilmente apprezzabili.
Appena superata la cresta apparve loro un grosso fiume, che scorreva da destra a sinistra molto più in basso davanti a loro.  Poi lentamente, imper­cettibilmente, descriveva una curva allontanando­si!
Il fiume li separava da un gruppo di monti alti e massicci, le cui cime si confondevano tra loro nell’aria velata di umidità, che andava schiarendo­si rapidamente. Tutti guardavano come affascinati quello spettacolo tanto atteso, che significava almeno esse­re giunti alla metà del viaggio. Soltanto gli occhi attenti di Hanys già frugavano febbrilmente, ma invano, a monte e a valle del fiume,  alla ricerca di elementi che permettessero di scegliere quale direzione  seguire.
“Giù! - alla fine risolse - andiamo al fiume, lì decideremo la via”.
A questo risoluto ordine di Hanys tutti si mossero in gruppi silenziosi, scendendo protetti dalla vista dalle chiome degli alberi. In uno spiazzo grande abbastanza per accoglierli tutti, presso il fiume, si tenne un breve consi­glio.

Fu accettato da tutti che delle due direzioni indicate dal fiume una era certamente diretta al mare, ma purtroppo deviava ulterior­mente verso nord - più ancora di quanto già non erano stati costretti a fare - ed era quindi presumibilmente un percorso molto più lungo dell’altro. L’altra strada appariva di sicuro posta in una direzione più corretta verso la loro destinazione, ma cer­tamente li avrebbe anche condotti a salire molto più in alto, e questa volta senza guide in grado di trovare un più agevole passo na­scosto tra quei monti tutti uguali. Ed infatti le guide si sentirono in dovere di esprimere il proprio parere, per bocca del loro rappresentante, luogotenente di Hanys: “Credo che se risalia­mo il fiume ci sarà un maggior rischio di essere aggrediti dalla gente della montagna”.
Mandras ribadì però che la Compagnia era fuori rotta - stando alle sue osservazioni sulle poche stelle visibili - e che quindi occorreva al più presto riprendere nella direzione giusta; ma volle inoltre formulare una domanda che in fondo parve lecita a tutti: “Mi domando come mai non ci ab­biano ancora attaccato: Forse non ci hanno ancora visto, dato il tempo inclemente?. Oppure ci hanno visto e giudicato troppo numerosi, o troppo bene armati?”.
Intervenne dunque il Sacer­dote, cui tutti ormai avevano riservato, di spontaneo, comune accordo il potere di ultima e definitiva risoluzione: “Andare a monte del fiume, contro corrente, é forse più pericoloso per noi, che comunque abbiamo fin dall’inizio scelto una missione difficile e pericolosa. Andare a valle significa invece avere un viaggio più facile e di sicuro compimento, ma arrivare tardi - io vi dico - é peggio che non arrivare affatto”.
Questa frase fu di grande effetto e convinse tutti ad accettare la direzione prospettata come unica ed inevitabile. Norax fu il solo a pensare tra sé che le stesse parole - in ordine diverso - potevano essere usate an­che per dimostrare proprio la tesi esattamente opposta. E conosceva abbastanza bene il suo Maestro Lauchme per esser certo che egli stesso ne era ben cosciente. Non riusciva però ad immaginare se - a parte il risparmio di tempo anche nel prendere decisioni - vi fosse qualche altra ragione per scegliere la strada che il Grande Sacerdote aveva indicato.  Era certo di sì. Si ricordò inoltre che un giorno gli aveva sentito dichiarare con rammarico quanto fosse mille volte preferibile perire in un valoroso tentativo, piuttosto che sopravvivere per ignavia ad un proprio fallimento.
Hanys, da uomo d’azione, non stette certo a porsi tutti questi problemi, e subito indirizzò la Compagnia verso un possibile guado, protetto alla vista dall’alto da salici, pioppi e ontani. Mandras aveva salutato con gioia l’acqua così abbondante e aveva quasi rimpianto di non avere con sé una barca con la quale - ne era certo - agevolmente avrebbe evitato ogni perico­lo e concluso rapidamente il viaggio... Ma purtroppo non c’era affatto il tempo di costruire barche a sufficienza per cin­quantuno persone. Norax dette un’occhiata alle due sponde del fiume mentre lo guadava: le piante erano qui di un verde più vivo e più intenso che non altrove ed ostentavano foglie lucide, più grandi e carnose. L’aria però gli sembrò pervasa di una maligna certezza di tragedia imminente, in vivo contrasto con l’apparente immutabilità di quel paradiso.
Restò piuttosto turbato da questa sua spiacevole sensazione e non volle confessarla a nessun altro della Compagnia...
Risali­rono comunque tranquilli il fiume per un buon tratto, fino al punto in cui ne riceveva un altro più piccolo, da una valle tra­sversale che giaceva in direzione del sole nascente, mentre quella principale sembrava proseguire ancora molto a lungo nella stessa direzione, verso sud. Si fermarono alla giunzione dei due fiumi, in attesa di raccogliere tutte le squadre, mentre le guide davano inspiegabilmente qualche segno di nervosismo, ed il Sacerdote sembrava fissare con interesse il nulla nell’acqua dei due fiumi. Norax - incuriosito e perplesso - guardò anch’egli nell’acqua, per scoprire se vi fosse qualcosa degno di attenzione, ma non trovò alcunché, a parte qualche ramoscello e qualche foglia colore verde tenero che, galleggiando sulle acque increspate e scintillanti, provenivano dal fiume più piccolo...
Poi, d’improvviso, il Grande Sacerdote dai molti nomi sollevò il capo verso la piccola valle trasversale e parve cercare con gli occhi acuti qualcosa lungo i due molli e verdis­simi pendii che scendevano ad incontrarsi sulle rive del fiume più piccolo. I suoi occhi scrutavano attenti e preoccupati in cerca di qualche cosa di preciso, che non era in vista, ma che doveva esser­ci e che non poteva essere trascurato.

Fece un cenno, indicando di prendere quella via.
I caccia­tori ora annusavano un odore sospetto e, come d’altronde le guide, ap­parivano nervosi e tesi, ma ancora senza un motivo preciso. D’istinto, Mandras portava più spesso la mano all’im­pugnatura della propria spada, minacciosa, seppure inguainata. Norax si decise finalmente a chiedere sottovoce, mentre la Compagnia cominciava ad infilare la valle piccola: “Perché, questa scelta, Maestro? alcune foglie verdi non provano gran che: non capisco”.
“Se tu avessi guardato anche sotto il pelo dell’acqua, Norax, avresti visto che i pesci dal fiume più grande - da valle e da monte - si infilavano veloci ed in gran numero, contro corrente, nel fiume più piccolo e lo risalivano. E questo non é normale”.
La voce del Maestro gli giunse con una nota di rimprovero.
Norax non seppe se ridere di nuova ammirazione o piangere di rab­bia. Azzardò, a metà tra il dire ed il chiedere: “Qualcuno sta pescando più a monte, con buona esca”. “Questo” - gli rispose asciutto il Sacerdote - “o altro...

Norax allora tacque, consapevole del fatto che non avrebbe ottenuto altre spiegazioni, in quel momento. Si rassegnò quindi ad attendere che alle sue domande rispondessero i fatti.
Altre foglie e ramoscelli spezzati di fresco venivano giù galleggiando pigramente sul pelo dell’acqua, mentre la Com­pagnia risaliva lentamente il fiume. I cacciatori notarono che gli insetti avevano preso a volare basso, sopra l’acqua appena increspata, alcuni ronzando sonoramente, altri in perfetto silenzio, tutti intenti nel loro lavoro di avida ricerca. C’era nell’aria l’accordo di un mutuo convegno e tutte le creature sembravano convergere verso un luogo preciso: ma non c’era gioia, nè aspettazione trepida, bensì un senso spettrale di ineluttabilità del fato, di necessità e di morte.
Fu poco dopo che Mandras ruppe il silenzio e per primo indicò a tutti qualcosa di appena visibile che galleggiava sull’acqua nel tratto più lontano del fiume, scendendo lento e sicuro verso di loro. Si disposero allora per riceverlo, qualsiasi cosa fosse, alcuni uomini in equilibrio sulle pietre semi affioranti dall’acqua, altri pronti con gli archi a colpirlo ed altri di guardia verso l’esterno.
Fu con qual­che sollievo, ma con nuovo preoccupato interesse che final­mente riconobbero l’oggetto galleggiante per uno scudo di pelli.
Un fatto curioso davvero.
Un cacciatore ne fermò la corsa silenziosa nell’acqua e lo sollevò con gesto pronto e abile. Poi con un grido soffocato e l’orrore dipinto sul volto, sorprendentemente, lo lasciò ricade­re, tanto che poi ci volle del bello e del buono da parte di tutti per riuscire a ri­conquistarlo, nella corrente veloce. Quando l’oggetto fu finalmente deposto al sicuro sulla terraferma fu chiaro a tutti il motivo del gesto spontaneo di orrore. Ancora prigioniero di due bande di cuoio - nella faccia interna, prima nascosta dallo scudo - stava il braccio del guerriero che lo aveva usato con così scarso vantaggio. La mano li­vida era ancora stretta intorno ad una terza banda di cuoio. Il vimini intrecciato – che ne costituiva la struttura – era così intriso del suo sangue, tanto da sembrare dipinto di rosso…
“Gente delle grotte” - sentenziò Hanys, che a voce bassa sog­giunse - “Così furiosamente combattono. Questo braccio é stato troncato di netto da una scure pesante. Forse questa é la parte del corpo più riconoscibile, per essere sfuggita, cadendo tron­cata nell’acqua, ad una vendetta più completa”.
Norax rabbrividì, mentre immagini orrende gli si affollavano nella mente. I visi intorno a lui esprimevano lo stesso disagio.

Dovettero comunque proseguire, con quella triste visione ancora ben chiara negli occhi e pesante nel cuore, raccogliendo ogni suono, ogni movimento, ogni odore. Tutti erano tesi come le corde degli archi, tutti ben pronti e fortemente intenzionati a colpire per primi, per sopravvivere. Ormai, si rendevano conto più che bene dell’entità del pericolo che stava da qualche parte davanti a loro, forse in attesa.
Poco dopo udirono - d’improvviso - le prime urla... Erano lontane, sparse in più direzioni. Non erano indirizzate a loro, ma egualmente un brivido percorse tutto il gruppo e una grande agitazione pervase quelli che mai prima di allora avevano avuto esperienza di una vera battaglia.
Alcune di quelle grida erano ordini di incitamento alla battaglia, ma altre erano certamente strazianti urla strozzate, di morte e di dolore.
Gli uomini di Mandras, prontamente ubbidendo agli ordini, presero subito le posizioni avanzate dello schieramento. Sul lato non difeso dal fiume stavano, guardinghi, i più numerosi guerrieri di Hanys, mentre alla retroguardia seguivano i cacciatori ed i boscaioli di Tal-Ur. Protetti, al centro di questo schieramento, procedevano il Gran Sacerdote Lauchme, Mandras, Hanys e Norax, i quali potevano così valutare più serenamente ogni aspetto dell’in­solita situazione e prendere - se necessario - più rapidi provvedimenti e decisioni. Valutarono insieme la situazione, per quanto gli era dato a conoscere. L’impressione che essi ne ricavarono era quella di uno scontro frontale, già risoltosi prima dell’arrivo della Compagnia, che così adesso assisteva - sia pure solo indirettamente - all’inseguimento degli sconfitti sbandati da parte dei vincitori, e alle ultime drammatiche scaramucce. Una delle fonti di grida e di trambusto si fece man mano più vicina, per cui tutti si fermarono in ascolto, cercando subito riparo tra le fronde, in un silenzio sospeso.
Un uomo in­fine apparve tra le piante della riva di là dal fiume: era visibil­mente esausto, e una smorfia di dolore traspariva chiaramente attraverso una maschera di sangue che era il suo viso. Non vi si leggevano né terrore, né tanto meno paura, come in chi abbia ormai superato ogni soglia terrena d'angoscia e stia per accettare ciò che é immi­nente ed ineluttabile, come se la propria morte già non lo riguardasse più.
L’uomo entrò nell’acqua, cadendovi con parti uguali di volontà e di necessità, tentando debolmente di restare a galla. Dietro di lui comparvero quasi subito - e di incredibile slancio - numerose terribili figure armate, dipinte di strani colori, irsute, insanguinate, urlanti. Quell’uomo stava per raggiungere i suoi avi.
La necessaria decisione fu presa immediatamente per un moto istintivo, ma il Sacerdote la espresse più compiutamente in parole: “Quell’uomo é la nostra guida fuori da questi monti: salviamolo da chi l’insegue”.
Immediatamente, le frecce usci­rono dai grandi archi tutte insieme, e ronzando attraversarono l’aria immota sullo specchio d’acqua. Ognuna cercava con il proprio messaggio sibilante di morte il bersaglio desiderato. Non fu neanche necessario  un secondo tiro, per­ché in quell’angolo di foresta tornasse il silenzio.
L’uomo ferito, salvo ed incredulo, fu quindi tratto a riva e il Gran Sacerdote cominciò subito a prendersi buona cura di lui.
Tremava, ansimava e tossiva ed era lordo di sangue e di sudore, malgrado il suo tuffo in acqua. Come risultato di ciò, il suo sorriso di gratitudine e di sollievo sembrava soltanto un orribile ghigno e non aveva più nulla di umano. Lauchme aveva già visto altre volte, in altri luoghi, questo stesso spettacolo bestiale. Dedicava la sua stessa vita alla missione di eliminarlo quanto più possibile con le proprie arti.
Poche parole furono scambiate, e meno ancora risultarono quelle - in comune alle due lingue - che potevano essere comprese. D’altronde il ferito poteva presta­re scarsa attenzione anche ad un discorso fatto soltanto di gesti, dopo quanto aveva passato. Lauchme, terminato un primo esame riferì: “Ha ferite profonde ad ambedue le braccia, nessuna ferita che metta in pericolo la vita. Fuggiva perché non può più stringere un’arma con la mano destra. Né io credo che potrà farlo più, in futuro: alcune di queste ferite hanno reci­so le corde bianche che tirano le dita. Guariranno lasciando brutti segni lucidi, ma guariranno. E lui imparerà ad usare l’al­tra mano.”

Detto questo, Lauchme estrasse da una sacca del suo bagaglio i fiori gialli dell’erba vulneraria. Non visto, li aveva raccolti lungo la strada, avendone già immaginato per tempo l’imminente necessità. Li fece pestare ben bene in una ciotola con un poco di acqua, fino a formare una consistente poltiglia. Quindi applicò con l’aiuto di Norax la poltiglia sulle ferite, fissandola poi accuratamente con un primo strato di fo­glie di rovo stropicciate tra le mani e quindi con un secondo strato di foglie più larghe.
Assicurò tutto con lacci di cuoio ben stretti, perché il sangue non sfuggisse più fuori dal corpo.
Sui lividi più brutti appose una poltiglia ottenuta con preziosa pol­vere di lino, acqua e olio. La assicurò con lo stesso sistema, questa volta con profumate foglie di tiglio e stringendo di meno sui lacci. Inoltre, fece scavar fuori le radici di una piccola pianta, le fece triturare e con un piccolo fuoco ne ottenne un infuso caldo, cui aggiunse miele e - proprio all’ultimo momento - una polvere da un sacchetto che portava con sé, occultato nei propri abiti. Quindi diede l’infuso da bere al ferito, cui parlò con poche parole, in tono suadente.
Egli bevve - ancora gemendo - ma quasi subi­to si addormentò, con un’aria già meno sofferente.
Nel frattempo, il campo era stato già approntato, stabiliti i turni e le postazioni di guardia. Pattuglie erano state mandate in giro ed altri scontri si erano inevitabilmente verificati, tutti per fortuna risolti a favore della Compagnia. Ma uno dei cacciatori di Tal-Ur aveva avuto un orecchio mozzato e ricevuto una brutta ferita alla spalla in uno dei rari corpo a corpo. Lo si medicò.
In questo modo - però - si era tenuto lontano il pericolo.
I vincitori del precedente scontro tra gente delle grotte erano stati messi in fuga, con loro gravi perdite in uomini. I loro nuovi caduti erano stati altrettanto numerosi di quelli del primo scontro. Poco più tardi, una pattuglia della Compagnia si imbatté nei miseri resti della prima cruenta battaglia, in uno spiazzo presso il fiume, più a monte...
Un idil­liaco ed inerme paradiso, come sempre così pazientemente cesellato dalle cure della Grande Madre, era stato trasformato in un’infernale lordura dalla insensata profanazione degli uomini che La rinnegavano e Le facevano oltraggio.
Forse neanche i più solenni sacrifici di espiazione avrebbero potuto scongiurare un’esemplare punizione, pensò Norax, mortificato da quella vista crudele.


da: Isola Virtuale