L'Arringatore è una scultura bronzea alta 170 cm raffigurante un uomo togato, databile tra la fine del II e gli inizi del I sec a.C., realizzata con tecnica a cera persa in sette parti distinte a fusione cava, poi unite tra loro. È conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Si tratta dell'unica testimonianza integra pervenutaci di una grande scultura in metallo dell'epoca tardo-etrusca. La mano destra, che si spezzò nel momento in cui la statua fu rinvenuta, è di dimensioni maggiori rispetto al resto del corpo per dare maggiore risalto al gesto. La scritta sulla statua fu tradotta e commentata da Enrico Benelli nel suo libro "Iscrizioni Etrusche - leggerle e capirle", Saci Ed. Ancona 2007.
Al proposito, ecco la versione del prof Pittau...
Al proposito, ecco la versione del prof Pittau...
L'ARRINGATORE
Io
penso che appartenga alla comune capacità culturale di chi abbia fatto anche la
sola scuola media superiore italiana, la consapevolezza che tra l'Archeologia
da una parte e la Linguistica o Glottologia dall'altra esiste una differenza
enorme, una differenza enorme di oggetti studiati e di metodi adoperati. Tutti
gli uomini di cultura sanno che l'archeologo si interessa degli “oggetti
materiali” antichi e delle rispettive culture o civiltà che li hanno prodotti,
mentre il linguista si interessa delle “parole o vocaboli” di una lingua o di
più lingue e pure delle rispettive culture o civiltà.
Per
questa esatta ragione io ho sempre criticato gli archeologi che hanno osato
entrare nel campo degli studi linguistici e, in modo particolare, in quello
della lingua etrusca, rimproverandoli di non possedere una preparazione
scientifica adeguata e di comportarsi pertanto al massimo come semplici
“dilettanti”. In maniera particolare ho sempre criticato la scuola archeologica
tosco-romana accusandola di avere per 60 anni bloccato negativamente gli studi
sulla lingua etrusca, riuscendo ad imporre questo strano, illogico e antiscientifico
punto di vista: «La lingua etrusca non è paragonabile con alcun'altra»!
Sono
anche certo che queste mie critiche mosse ripetutamente agli
“archeologi-linguisti” saranno sembrate eccessive a qualcuno dei miei lettori e
per questa ragione mi decido oggi a presentare il caso particolare di un
”archeologo-linguista”, il quale qualche anno fa ha pubblicato una raccolta di
iscrizioni etrusche, da lui delucidate, tradotte e chiosate.
Ovviamente
tralascio di citarlo col suo nome e cognome, mentre mi limito a fare qualche
accenno al suo curriculum.
Egli è esattamente un “archeologo” che opera come “ricercatore” in un istituto
di cultura romano. Si è interessato di vari aspetti della civiltà etrusca,
anche dell'epigrafia etrusca. Nel 2009 ha pubblicato la II edizione dell'opera
di Massimo Pallottino e altri, Thesaurus Linguae Etruscae, I Indice lessicale, che in I edizione era uscita a Roma nel
1978.
Quest'opera
si limita a presentare l'intero patrimonio lessicale che conserviamo della
lingua etrusca, ma in effetti non ha alcun carattere critico: nessuna
traduzione di iscrizione, nessuna osservazione, nessun commento. Nella sostanza
altro non è che un repertorio generale, la cui composizione era enormemente
facilitata dalla comune operazione digitale del “copia ed incolla”, rispetto al
materiale lessicale rinvenuto successivamente al 1978 della I edizione
dell'opera, quello che risultava già raccolto e presentato dai vari
supplelmenti (I Supplemento,
1984; Ordinamento inverso dei lemmi,
1985; II Supplemento,
1991; III Supplemento,
1998).
Ebbene
di questo “archeologo-linguista” presento adesso e analizzo la traduzione e il
commmento che egli ha fatto di una iscrizione etrusca, abbastanza nota, dato
che riguarda la famosissima statua di bronzo dell'Arringatore, adesso esposta nel Museo di Firenze. Ecco
il testo esatto dell'iscrizione (CIE 4196; TLE, 651; ET, Pe 3.3 - III-II sec. a. C., in 3 righe) e la traduzione che ne ha
presentato il nostro archeologo-linguista:
AULEŚI
METELIŚ VE VESIAL CLENŚI
CEN FLEREŚ
TECE SANŚL TENINE
TUTHINEŚ ΧISVLICŚ
«PER CONTO DI AULE METELIS FIGLIO DI VEL QUESTO AL DIO TECE PADRE FU DONATO DALLA TUTHINA XISVLICS»
Riporto adesso le parole di commento del traduttore: «Il soggetto grammaticale della dedica (espressa al passivo) è il dimostrativo cen “questo” (forma contratta di cehen) e intende ovviamente la statua, segue il destinatario, regolarmente al genitivo: fler significa “dio, divinità”, mentre tece sans deve essere letto come un unico lessema (*), composto dal teonimo Tece e dall’appellativo sans, “padre”, con la desinenza del genitivo applicata solo <a> quest’ultimo. Segue il verbo al passivo tenine (con l’uscita -ne che esprime un modo finito del passivo, diverso dal perfetto, indicato da -xe) e l’autore della dedica in ablativo. Tuthina è un termine che identifica molto probabilmente un qualche tipo di suddivisione territoriale… ecc.».
Ed io commento ed obietto:
1)
Perché
nella sua traduzione l'archeologo-linguista salta del tutto il vocabolo VESIAL?
2)
Che
cosa in questa iscrizione lo spinge e autorizza a interpretare il dimostrativo
CEN (accusativo di CA «questo-a») come forma contratta di CEHEN ? (che invece è
una forma enfatica di CA, avente il significato di «questo qui», al nominativo
(si veda l'iscrizione di San Manno di Perugia). In epigrafia è cosa nota che
una traduzione di una iscrizione viene infirmata e indebolita da qualunque
intervento si effettui sul testo effettivo conservato.
3)
Noi
etruscologi conosciamo un solo morfema come tipico di un verbo passivo (-XE di
ZIXUXE «è stato disegnato o scritto») ed allora in base a che cosa il nostro
archeologo interpreta TENINE come un verbo passivo?
4)
In
etrusco FLEREŚ significa sempre «offerta di supplica, vittima, offerta votiva, ex voto, statuetta votiva, statua»,
mentre non significa mai «dio, divinità», che invece si dice sempre AIS/EIS.
5)
I
vocaboli TECE SANŚL risultano chiaramente separati ed allora che cosa spinge e
autorizza il nostro archelogo ad effettuare la loro connessione, creando un
nesso che non ha alcun altro riscontro nel materiale lessicale etrusco
conservato?
6)
Egli
erra vistosamente a interpretare TECE come un teonimo o nome di divinità, per
il fatto che questa è chiamata in sicuri passi di altre iscrizioni TECUM e
TECVM. E questa differenza non è cosa di poco conto, dato che investe i
rispettivi fonemi finali dei vocaboli.
7)
Io
ho già avuto modo di scrivere che “Chi propone di tradurre TECE SANŚL «del (dio) Tecum Padre» non si
accorge di far entrare illegittimamente una notazione "sacrale" in
un'opera statuaria, che invece è evidentemente, totalmente ed esclusivamente
"profana". A questo proposito io ricordo di aver imparato,
nell'Università di Firenze, dal noto linguista Giacomo Devoto questo
importantissimo criterio di metodologia epigrafica: «La prima chiave di lettura
di una iscrizione è costituita dal supporto materiale in cui essa risulta
scritta”. Ebbene, nella stupenda statua etrusca dell'Arringatore non c'è nessun
elemento, neppure minimo, che faccia riferimento al “sacro” o al “religioso”.
8)
Del
vocabolo TUTHINA il nostro archeologo dice solamente qualcosa di molto generico
e soprattutto per nulla motivato; del secondo XISVLICŚ non dice assolutamente
nulla.
9)
Il
nostro “ricercatore” non ha mai citato, neppure una sola volta, alcuno dei
miei scritti (13 libri e un centinaio di saggi), evidentemente perché sapeva
già, per “ispirazione divina”, che non vi avrebbe trovato nulla di
scientificamente valido. Ed invece, se avesse consultato almeno il mio libro Tabula
Cortonensis - Lamine di Pirgi e altri testi etruschi tradotti e commentati (Sassari 2000; con qualche lieve
correzione odierna), vi avrebbe trovato la seguente traduzione e commento
dell'iscrizione dell'Arringatore, di certo assai più consistente della sua, anche perché ne rispetta
totalmente il testo:
AULEŚI
METELIŚ VE VESIAL CLENŚI
per Aulo figlio di Vel Metellio (e) di
Vesia
CEN FLEREŚ
TECE SANŚL TENINE
pone questa statua di Padre il (suo)
servizio
TUTHINEŚ ΧISVLICŚ
di patrocinio pubblico
Lessico commentato
AULEŚI significato
certo «ad/per Aulo». AULEŚI METELIŚ VE «per Aulo figlio di Vel Metellio»: formula
onomastica strana per noi moderni, ma non per gli Etruschi.
CLENŚI significato
certo «al/per il figlio» (in dativo-ablativo di comodo).
CEN
(TCort 18) significato
certo «questo-a», accusativo del pronome CA «questo-a».
FLEREŚ «statua»
(significato certo). CEN FLEREŚ «questa
statua» (in accusativo) (DETR 448).
SANŚL (SANŚ-L)
significato certo «(di/del) padre, progenitore, antenato» (in genitivo) (DETR
357). Vedi SIANŚ.
TECE
significato quasi certo «pone», indicativo pres. 3ª pers. sing. Da confrontare
con l'iscrizione (ET, Co
3.8 – rec, su statuina bronzea di bambino) (Co 3.8 – rec, su statuina bronzea di
bambino) flereś tec sanśl cver
«poni (= accetta) l'ex voto come dono del padre (del bambino)» (supplica alla
divinità alla quale era stata offerta la statuina) (TLE 624).
TENINE
significato probabile
«esercizio, svolgimento, servizio» (è il soggetto del verbo TECE e dell'intera
frase) (DETR 399).
TUTHINEŚ «della
tutela, della protezione, del patrocinio» (significato compatibile col contesto), genitivo di TUTHINA (REE 55,128; ThLE² 399) «tutela, protezione, patrocinio», da
confrontare coi lat. tutela,
tueri, che sono di origine incerta e pertanto potrebbero
derivare proprio dall’etrusco (DELL, DELI, DICLE).
ΧISVLICŚ (ΧISVLI-CŚ)
«(del) comunitario,
generale, pubblico», aggettivo in genitivo articolato, da derivare da χiś «di ogni, di tutto» (significato compatibile col contesto) (LEGL 90; TCL 84;
DETR 439).
Molto probabilmente il personaggio raffigurato
nella statua aveva esercitato il suo patrocinio a favore di una comunità
cittadina – nella zona di Perugia o, più probabilmente, del Trasimeno - e
questa lo ha ricompensato con la grande statua di bronzo.
La statua, a grandezza naturale, rappresenta
un uomo maturo, con i capelli pettinati a ciocche, vestito di una corta toga e
di una tunica bordata da una stretta banda. Il personaggio indossa dei calzari.
Il suo rango è dimostrato dall'anello che porta alla mano sinistra.
Dettaglio dell'anello |
Sul bordo della toga si trova l'iscrizione
incisa su tre righe. La grafia è ben curata. Il tipo di alfabeto adoperato è
quello presente in epoca tardo-etrusca, nell'area di Chiusi e Cortona.
Sia la denominazione sia l’abbigliamento
rendono molto probabile che in realtà si trattasse di un cittadino romano, che
si era assunto il compito di fare da patrono, nelle alte sfere di Roma, di una
comunità cittadina etrusca, la quale lo aveva ricompensato con la splendida
statua di bronzo.
Si nota abbastanza facilmente che
l’iscrizione ha uno stile ricercato e pure alquanto ampolloso.
Massimo Pittau