Ecco, amico mio:
I Protosardi hanno edificato strutture lodevolmente complesse e belle come i
Nuraghi, numerosi, di vario tipo e dimensioni. Ne consegue - secondo logica - che dovevano possedere alcune misure (più probabilmente, basate sulle misure antropometriche più immediate: piede, braccio, e alcuni multipli derivati). Si è portati a credere che essi dovevano avere alcuni segni che servissero da notazione per quelle
misure e da comunicazione ad altri, per potere trasmettere i dati e le
informazioni. Sicuramente sapevano contare e parlare (anche se ancora non
sappiamo affatto in quale lingua lo facessero).
Questo sopra è un tipo di pensiero che in Inglese si definisce: "Wishful thinking". Esso tradisce il desiderio di realizzazione in realtà di un fatto ipotetico non provato. Il "Wishful thinking" ha il grosso difetto di essere spesso contraddetto dalle dimostrazioni scientifiche, per cui non si può fare alcun affidamento su di esso...
Infatti e sino
a prova contraria - per quanto possa apparire impossibile - i nuragici non scrivevano e non utilizzavano comunemente la
scrittura per comunicare. Questo dato scientifico attuale è stato da alcuni biasimato come un pensiero fortemente offensivo e discriminatorio contro 'il popolo sardo'.
Ma allo stato attuale della ricerca, non si può affermare alcunché di più: e per fortuna la maggior parte della popolazione sarda riesce a mantenersi serena, al riguardo.
L’acquisizione di segni ed alfabeti di
provenienza esterna è un conto; altro è pensare che qualcuno li
conoscesse e li sapesse usare. Ne sono esempio le ceramiche nuragiche
dell’ottavo secolo trovate da Valentina Porcheddu in un antico "emporio"
a Villanova Monteleone con incisi, prima della cottura, segni
alfabetici fenici e greci».
Raimondo Zucca, tra i più autorevoli archeologi della generazione che
ha raccolto la pesante eredità di Giovanni Lilliu, osserva dall’esterno
l’acceso dibattito sulla scrittura nuragica. A riattivare un confronto
che si trascina da anni è stato il blog del defunto giornalista Gianfranco
Pintore, sempre attento a segnalare novità sui grandi temi del sardismo e
dell’archeologia. Che insieme non dovrebbero stare, in quanto formanti un cocktail piuttosto indigesto, ma che proprio il Lilliu per primo mescolò indebitamente e servì alla sua Scuola.
L’esistenza
o no di un alfabeto nuragico è uno di quelli che appassionano di più.
Anche con toni spesso inutilmente accesi. Nel mondo dell’archeologia si muovono
personaggi d’ogni genere, autorizzati e no, dai compassati studiosi ai
sanguigni aedi paladini di una civiltà mitica e autoctona, quanto inesistente. Ed ecco il
dibattito sui ritrovamenti – veri o presunti, dipende da come li si vuol
vedere – delle prime iscrizioni nuragiche: le fantomatiche tavolette bronzee di Tziricotu
(Cabras), l’anello-sigillo di su Pallosu (San Vero Milis), i segni
sulla pietra di una capanna a Pedru Pes (Paulilatino) e un’iscrizione su
un blocco di un muretto nella campagna di Abbasanta (nuraghe
Pitzinnu).
Il padre degli studi sulla civiltà nuragica, Giovanni Lilliu,
ha sempre negato l’esistenza di un alfabeto originale perché non si è
mai avuto un riscontro sul campo. Ma nessuno, (a cominciare proprio
dall’ultimo Lilliu, allora ultranovantenne) esclude un ripensamento di fronte
all’evidenza di una prova avvalorata dai crismi della scienza.
ZUCCA. «Tutto è possibile» sottolinea R. Zucca: «Degli
antichi abitanti della Sicilia, i Sicani e gli Elimi, si pensava che
solo i primi conoscessero la scrittura: Poi 40 anni fa in un tempio di
Segesta è stata trovata una grande quantità di vasi greci con iscrizioni
elima che hanno fatto ricredere gli storici. Per quanto sappiamo oggi
la cultura sarda è profondamente orale: questo non e un mito perché nel
mondo mediterraneo la scrittura fu elaborata dalle civiltà urbane,
mentre la Sardegna esprime una civiltà contadina. Sino ad oggi
conosciamo villaggi nuragici, ma non città, che nascono solo con
l’arrivo dei fenici. Da quel momento (settimo-sesto secolo) convivono
comunità distinte, ma ciò non esclude che gli autoctoni potessero aver
acquisito o utilizzato alfabeti fenici».
STIGLITZ.
Le scoperte da più parti annunciante sulle presunte iscrizioni
nuragiche trovano puntuale smentita dagli esperti dell’Università e
della Soprintendenza. Le misteriose tavolette di Tziricotu? L’archeologo
Alfonso Stiglitz risponde con l’immagine di un reperto bizantino, un
ornamento bronzeo di un fodero o di un altro oggetto: «La
tavoletta è uguale. Le presunte iscrizioni nuragiche sono semplici
decorazioni, usate sino al medioevo. Di per sé la tavoletta trovata a
Cabras è molto importante perché è il primo esempio del genere rinvenuto
in Sardegna. Ma poiché non è nuragico sembra disinteressare tutti. Il
vero problema è questo: cerchiamo di valorizzare una civiltà che ci ha
lasciato poco mentre trascuriamo altre di cui abbiamo abbondanti
testimonianze». Stiglitz ribadisce un concetto ormai consolidato: «Un
popolo che non ha la scrittura non viene più considerato barbarico, ma
può essere comunque portatore di una grande civiltà. La scrittura nasce
in contesti urbanizzati e con un potere centralizzato. Viene utilizzata
per scopi amministrativi, burocratici e commerciali, serve per fare
inventari. Ma in Sardegna mancano proprio quelle strutture sociali che
in Oriente e in alcuni ambiti occidentali (etruschi, iberici, libici e
italici) hanno dato via alle varie forme d’alfabeti».
DECORAZIONI.
Nella maggior parte dei casi, quando si parla di presunte iscrizioni
nuragiche, gli archeologi "ufficiali" chiamati a dare una valutazione
scientifica arrivano ad altre conclusioni: «Si
tratta di incisioni successive scolpite sul reperto originale oppure di
semplici decorazioni scambiate per segni di lontane lingue orientali».
Quelle che avrebbero influenzato la cultura dei mitici popoli del mare,
gli Shardana, considerati da alcuni «padri dei nuragici». «Ma dov’è questa gente d’Oriente?» si domanda Alfonso Stiglitz: «Possibile
che non abbiamo trovato alcuna traccia? Né tombe, né ceramiche, né
armi. Eppure erano uomini che mangiavano e lavoravano come tutti. Mi
stupisce che abbiano lasciato solo misteriose iscrizioni e neppure un
segno del loro passaggio».
LA PRISGIONA.
Ad Arzachena, nella rinomata terra del vino Capichera, il villaggio
nuragico detto La Prisgiona ha restituito numerose capanne e una
quantità di ceramiche. Un bel vaso sicuramente nuragico – datato tra il
XII e il X secolo – mostra delle incisioni che hanno fatto pensare alla
scrittura. «L’ennesimo falso allarme» spiega l’archeologa Angela Antona che ha diretto lo scavo: «L’hanno visto diversi esperti e tutti hanno parlato di semplici motivi decorativi. Nessun dubbio».
Zucca ricorda ancora un esempio: a Huelva, in Andalusia, è venuto alla
luce un blocco di 31 frammenti di ceramica nuragica insieme a vasi
attici del periodo medio-geometrico (800-750 a. C). Tra questi reperti
anche un’anfora vinaria sicuramente prodotta in Sardegna con due segni
d’alfabeto. «Cosa significa?», si domanda l’archeologo oristanese: «È
probabile che non sapessero scrivere, ma che utilizzassero segni di
altri alfabeti per diversi scopi che non sono però quelli della
scrittura così come la intendiamo noi».
Una tesi che partendo da Lilliu e dai padri dell’archeologia nuragica
(con qualche eccezione) si è consolidata nel tempo sulla scia di nuovi
studi. E che i continui annunci di «clamorose scoperte» di un alfabeto
tutto nuragico non scalfiscono di un pelo.
USAI. «Che
gli antichi sardi parlassero una lingua comune, da nord a sud
dell’isola, è ormai una certezza grazie agli studi filologici sui
toponimi e sui "relitti" linguistici. Ma sull’esistenza di un alfabeto e
sull’uso della scrittura non abbiamo alcun documento scientifico»
ribadisce l’archeologo della Soprintendenza Alessandro Usai,
responsabile per il territorio di Oristano da dove sono partite le più
recenti segnalazioni (tavolette e iscrizioni). «Abbiamo
riscontro di segni singoli sui lingotti di rame "oxhide" (cioè
disegnati come pelli di bue), trovati in abbondanza nel bacino
mediterraneo. Attribuiti da diversi studiosi alla civiltà nuragica
risultano invece di provenienza cipriota alle luce delle analisi
isotopiche. Altri singoli segni su ceramiche sono segnalati in uno scavo
a Villanova Monteleone e a Monte Prama, nella zona dei famosi guerrieri
di pietra. I segni però si notano non sulle statue, ma su modelli di
nuraghi, fatti con elementi componibili: quindi si può ipotizzare che si
tratti di indicazioni per far combacciare [sic!] i singoli pezzi. Non
si può escludere, proprio perché non ne abbiamo mai trovato traccia, che
esempi di scrittura si possano trovare su materiale deperibile, come
argilla cruda, legno, pelli o tessuti. Ma oggi dobbiamo attenerci alle
attuali conoscenze».
TZIRICOTU: un falso conclamato.
Usai ha esaminato, per dovere d’ufficio, i casi di cui si discute
vivacemente sul blog del giornalista Pintore, beccandosi anche ironici
commenti. Ma una cosa è la discussione tra appassionati con incursioni
di nomi di fama come il docente Giovanni Ugas che continua le sue
ricerche sui presunti popoli Shardana (clamoroso caso di 'wishful thinking'). Altro sono le pubblicazioni scientifiche
che devono passare al vaglio degli esperti di università e
Soprintendenze. Le tavolette di Tziricotu? «Non
c’è dubbio, un reperto tardobizantino o medievale, forse persino della
civiltà longobarda che in Sardegna ha lasciato molte tracce, non
abbastanza pubblicizzate»,
risponde Usai. Spiega che molti siti nuragici sono coperti da
stratificazioni d’epoche successive: così reperti romani e medievali si
possono mischiare a pezzi più antichi, confondendo – spesso in buona
fede – i ricercatori meno avveduti. «Di molti reperti – conclude Usai – si
parla, ma poi vengono tenuti nascosti per diversi motivi. In realtà chi
cerca le prove dell’esistenza della scrittura nuragica guarda sempre in
questa direzione e interpreta ogni segno a conforto della sua tesi. Ma i
sardi nuragici erano un popolo contadino e non avevano bisogno di una
scrittura per le necessità della loro vita».
Razionalmente,
capisco tutto ciò e ne prendo atto. Comprendo bene che la scienza ufficiale non possa certificare ciò che non è provato. Ma col cuore, dentro di me sono certo che i Nuragici sapessero scrivere e che
lo facessero, al bisogno, anche se certo non tutti. E spero fortemente che prima o poi se ne abbia la dimostrazione certa, al
di là di ogni dubbio: è una cosa che mi farebbe veramente felice!
E' proprio per questo motivo che non perdono quei quattro cialtroni falsari interessati e politicanti che scherzano coi miei desideri proclamando con protervia di avere scoperto la scrittura nuragica nei loro ragnetti, nei loro falsi autografi, nelle loro ricerche da indigestione da spuntino sardo...
Coi sentimenti non si scherza...
Coi sentimenti non si scherza...