martedì 8 dicembre 2015

Pataccari ed Artisti del falso.

SI PUO' ESSERE FALSARI E RICCHI?

Si può, forse sì.
Anzi: l'acquisizione della ricchezza è uno dei motivi principali (se non l'unico) che inizialmente spingono l'aspirante falsario a diventare un falsario praticante. E' poi ovvio che vi siano persone più e meno artisticamente dotate, più e meno sensibilmente complesse, di maggiore e minore cultura generale: i risultati finali, pertanto differiranno grandemente. E' insomma la differenza che esiste fra l'artista del falso ed il "pataccaro".

Attenzione, però: è più facile incorrere in qualche incidente di percorso, che diventare ricchi: la strada per la ricchezza non è facile per nessuno, onesti e no.
Il falsario - pertanto - può fallire nel suo intento ed ottenere dalla propria attività solamente frustrazione e censure legali.
Ma quella che riporto di sotto è - invece - una storia di tutt'altro tipo.
E' quella di un vero artista del falso, o "forgery", come si dice in Inglese...
Da non prendere d'esempio, certamente, ma da conoscere...

L'OPERA


(credit: Fabrizio Radaelli)


Si tratta di una pergamena di circa trenta centimetri per venti, realizzata in biacca, matita ed inchiostro.
Molti alla Villa Reale di Monza avranno ammirato più o meno intensamente il disegno della Bella Principessa, un profilo in colori dominanti seppia, attribuito a Leonardo da Vinci, che rappresenterebbe una "dama di corte" degli Sforza. Il che significa Bianca Giovanna Sforza, figlia illegittima di Ludovico Sforza, duca di Milano alla fine del XV secolo. Il quadro fu acquistato da un collezionista (certo Peter Silverman) per 20.000 euro. In seguito fu attribuito al Da Vinci dall'esperto oxfordiano Martin Kemp, il che fece schizzare la valutazione a 142 milioni di euro.

Va detto subito che l'autenticità e l'attribuzione vinciana del disegno sono, incredibilmente, controverse. Ciò crea una grande conflittualità.



E veniamo a noi: esiste un signore inglese, di mezza età, che lavora per la Nettezza Urbana e che si chiama Shaun Greenhalgh. Ebbene, malgrado la sua professione, questo signore nutre un grande amore per dipinti e manufatti di antiquariato: soprattutto per la loro replica o duplicazione. Sembra che - in poco meno di venti anni d'attività (dall' 89 al 2006) - questo falsario sia riuscito a guadagnare circa un milione di sterline.
Nel 2007  è stato arrestato e condannato per 4 anni e sei mesi per "fraud".

COME HA FATTO?

Il falsario inglese sostiene di avere realizzato il falso Da Vinci nel 1978. Ha invecchiato la carta e l'inchiostro (non ci tiene a specificare come); ha tratteggiato "all'incontrario" il disegno, per imitare il tratto di Leonardo (che era mancino, mentre lui non lo è). Ha persino indicato la modella, che non sarebbe affatto l'illegittima figlia di Ludovico, bensì  la molto meno romantica e certamente più attuale cassiera (di nome Sally) di una cooperativa di Bolton. Shaun sostiene (e di questo ci sono le prove) di avere venduto quella che rivendica come propria creazione ad un collezionista (per la cronaca, un certo Giannino Marchig).
L'opera d'arte - falsa o vera che sia - è poi passata per varie mani, andando all'asta da Christie's - a New York - come una "copia del XIX secolo". Fu qui che P. Silverman, collezionista canadese che vive a Parigi, l'acquistò per 20.000 euro, per poi godere dell'attribuzione a Leonardo con relativa rivalutazione economica dell'opera.

Le analisi del manufatto lo collocherebbero cronologicamente in un periodo che non è quello attuale, ma neppure quello di Leonardo: risalirebbe a circa 250 anni fa.

Se fosse confermata la tesi di Shaun - che continua a dichiarare, persino nella propria autobiografia, di essere l'autore vero dell'opera - il falsario inglese avrebbe tutto il diritto di entrare nell'Olimpo dei Grandi Falsari. Non che sia del tutto sconosciuto: già nel 2010 il Victoria and Albert Museum ebbe a riservargli uno spazio tutto suo, in un' esposizione sui crimini nell'Arte.
D'altro canto, se ritiene di potere scrivere un libro: "Il racconto di un falsario", che è già uscito in Gran Bretagna, grazie anche alla collaborazione di un critico d'arte (Waldemar Januszczak), evidentemente sa di non essere sconosciuto. Esiste - è vero - il pericolo che la sua dichiarazione di paternità sia solamente un espediente per fare pubblicità al libro.

Infatti Peter Silverman lo ha sfidato con modi fattivamente bruschi: "Faccia un'altra copia dell'opera, se davvero ne è capace: gli pago 10.000 sterline (14.000 euro) per la nuova copia. Altrimenti, torni in galera, che è il suo posto".

La situazione - che da noi in Italia non è molto sentita, ha invece solleticato gli interessi internazionali. Anche il New York Times se ne è interessato, riportando le frasi del collezionista Silverman, che comprensibilmente combatte da circa 10 anni la sua guerra a favore dell'autenticità ufficiale dell'opera: "E' una vera vergogna che uno storico dell'arte si abbassi a quel livello di falsità solamente per promuovere un proprio libro".

L'opera è stata esposta con il crisma dell'autenticità leonardesca alla Villa Reale di Monza tra il maggio ed il settembre del 2015, con un prezzo d'ingresso di 13 euro.

CONCLUSIONI

Qualunque sia la Verità, come si vede, dalla vicenda si possono trarre alcune conclusioni, tutte piuttosto tristi, in fondo:

1) In questa storia - anche se la vicenda non si è ancora conclusa - c'è certamente almeno un falsario (ma potrebbero anche essere di più di uno, a seconda dei casi).

2) I mezzi moderni d'indagine possono ancora essere aggirati, specialmente se il falso è un cosiddetto "falso erudito": questo è il vero nocciolo del problema, sul quale in molti (addetti ai lavori e no) si dovrebbero soffermare.

3) Le opere antiche - vere o presunte che siano - muovono sempre e costantemente grandi quantità di denaro, in ogni modo possibile.

4) I mezzi adottati per muovere queste quantità di denaro sono in genere sempre leciti: biglietti, libri, aste, etc. Questo - in fondo - è proprio il meccanismo sul quale focalizzare tutta l'attenzione.

sabato 31 ottobre 2015

Gliel'abbiamo dato noi, l'Aulin...


 
La festa di tutti i Santi, il 1 novembre si diffuse nell'Europa latina nei secoli VIII-IX. Si iniziò a celebrare la festa di tutti i santi anche a Roma, fin dal sec. IX.
Un'unica festa per tutti i Santi, ossia per la Chiesa gloriosa, intimamente unita alla Chiesa ancora pellegrinante e sofferente. Oggi è una festa di speranza: “l'assemblea festosa dei nostri fratelli” rappresenta la parte eletta e sicuramente riuscita del popolo di Dio; ci richiama al nostro fine e alla nostra vocazione vera: la santità, cui tutti siamo chiamati non attraverso opere straordinarie, ma con il compimento fedele della grazia del battesimo.

In Italia
è una festa religiosa, popolarmente: Ognissanti.
Probabilmente essa trae le sue origini culturali dalla devozione dei Latini per i Lari ed i Penati e dalle cerimonie relative a quei culti.
La festa di Tutti i Santi, pur essendo relativa ai defunti, per la Religione Cattolica è una giornata di gioia, di spe­ranza, di fede. Una delle giornate più intelligenti, più raf­finate che la liturgia ci propone; è la festa di tutta l'umanità, del­l'umanità che ha sperato, che ha sofferto, che ha cercato la giusti­zia, dell'umanità che sembrava perdente e invece è vittoriosa. E' la festa di Tutti i Santi, non solo di quelli segnati sul calen­dario e che veneriamo sugli alta­ri, ma anche di quelli che sono passati sulla terra in punta di pie­di, senza che nessuno si accor­gesse di loro, ma che nel silenzio del loro cuore hanno dato una bella testimonianza di amore a Dio e ai fratelli, forse parenti no­stri, amici, forse nostro padre, nostra madre, umili creature, che ci hanno fatto del bene senza che noi neppure ci accorgessimo. Nella festa di Tutti i Santi, la Chiesa ci dice che i santi sono uomini e donne comuni, una mol­titudine composta di discepoli di ogni tempo che hanno cercato di ascoltare il Vangelo e di metter­lo in pratica. Sono questi i santi che salva­no la terra. C'è sempre bisogno di loro. È in virtù dei santi che so­no sulla terra, che noi continuia­mo a vivere, che la terra continua a non essere distrutta, nonostan­te il tanto male che c'è nel mon­do. Ed è in virtù dei santi di ieri, dei santi che sono già salvati e che intercedono per noi: « una molti­tudine immensa che nessuno può contare, di ogni nazione, popolo e lingua ». 
Nella festa di Tutti i Santi, noi celebriamo la gioia di essere an­che noi eventualmente chiamati alla santità, per­ché ci è stato detto che abbiamo un cuore che batte come figli di Dio.

In Inghilterra ed in Nord America
All Hallows Eve... Halloween.
Nei paesi anglosassoni in questa data, la cultura celtica individuava il passaggio dalla stagione calda a quella fredda, ma anche un'occasione di riposo e ringraziamento degli dei dopo che le scorte e provviste per l'inverno erano state completate.
L'evangelizzazione delle isole britanniche portò alla cristianizzazione di questa ricorrenza che, tuttavia, non perse del tutto alcune delle sue caratteristiche originali conservando alcune influenze pagane. Ed oggi ha anzi acquisito una potente componente commerciale e coreografica, che conserva ormai ben poco della spiritualità sia cattolica, sia pagana.

Oggi festeggiamo qualche cosa che non sappiamo pronunciare, che non sappiamo che cos'è, né da che cosa derivi, e che non ci induce alcun pensiero più profondo di un "dolcetto o scherzetto" /"Trick or Treat"...
Buon Aulin a tutti, allora!

Via Salaria



la Via Salaria.


Si tratta di una strada romana, costruita durante la Repubblica ed utilizzata poi dall’Impero (come anche ancora oggi): essa è la più breve via di comunicazione tra Roma e l’Adriatico, in un sistema viario costituito di tre strade, le altre due essendo La Flaminia e la Tiburtina Valeria (vedi figura). La sua lunghezza è inferiore ai 200 chilometri.



Il sistema viario romano antico prevedeva tre strade che raggiungevano il Mare Adriatico da Roma: in rosso  è rappresentata la via Salaria, in violetto la via Tiberina Valeria ed in blu la via Flaminia.


Il Tracciato.

Dalle Mura Aureliane di Roma l’arteria usciva attraverso la Porta Salaria, costeggiava l’odierna Villa Ada e si dirigeva verso il baluardo di Forte Antenne (antica Antemnae) entrando nella Sabina. Attraversava il fiume Aniene con il Ponte Salario, e giungeva presso i colli di Fidene (Fidente), prodeguiva verso Settebagni (Septem Balnea), affrontava la collina  della Marcigliana Vecchia, superava Eretum (Monterotondo) ed il passo sul torrente Corese (Passo Corese). Presso Trebula Mutuesca (Monteleone Sabino) la strada si divideva. Un ramo (Via Cecilia) si dirigeva verso Oriente e scavalcava l’Appennino attraverso la Sella di Corno, la Piana di Amiternum, il Passo delle Capannelle e proseguiva verso il paese dei Pretutii (la provincia di Teramo) e poi fino al mare nei pressi di Giulianova.
Il ramo principale della via Salaria proseguiva in direzione nord, seguendo le pendici del monte Terminillo, il cui superamento spinse gli ingegneri di Augusto, Vespasiano e Traiano a trovare soluzioni per l’epoca molto avanzate. La strada infatti raggiunge un livello di 1000 metri (valico di Tornita), dopo di che inizia la discesa verso la conca amatriciana, attraversa la valle del Tronto, raggiunge Ascoli Piceno (Asculum) e tocca il mare Adriatico in corrispondenza di Castrum Truentinum, presso la riva destra della foce del fiume.

Comunemente si ripete che la Via Salaria traesse il suo nome dal sostantivo “sale” e che servisse, ovviamente, per portare il sale (genere utilissimo in molti modi) dalle Saline di Ostia alla città di Roma ed alle altre città e località che essa attraversa.
A questa ipotesi si oppongono alcuni fatti precisi:

1) Le saline di Ostia non sono mai state trovate: si presume soltanto che esistessero, e si traggono deduzioni da questa ipotesi. 
2) L'abbondante flusso d'acqua dolce del Tevere rende difficile l'uso dell'acqua delle vicinanze ("ostia" significa "foce") per l'estrazione del sale (data la bassa concentrazione). I Romani (e chi prima di loro: probabilmente gli Etruschi) avrebbero dovuto fare ricorso a laboriosi artifizi, per ottenere un buon sale.
3) Oltre il crinale Appenninico non avrebbe avuto alcun senso costruire la strada, dato che tutte le località avevano un mare molto più prossimo.
4) Non si è trovata una vera continuità tra la Via Ostiense e la Via Salaria: non sembrano essere frutto di un disegno unitario.

Queste considerazioni hanno spinto alcuni ad ipotizzare che il percorso del sale avvenisse eventualmente in tutt’altra direzione e che il nome stesso della strada derivasse da uno dei numerosi significati delle parole “sal”, "sale", "salis", in questo caso inteso però nel senso di “mare”: una strada che univa due mari per il percorso più breve...
Antonello Ferrero ha scritto al riguardo.



Salaria,via del sale…macchè !
Pubblicato da : Antonello Ferrero

October 16, 2013

in:
            Archeologia
            Cultura

Inizierò questa breve disamina con il citare il linguista e storico pugliese Mario Cosmai (1926-2002) il quale derivava la parola Salento dal latino antico sal-salis= mare, ovvero “terra in mezzo al mare” (due mari: Tirreno e Jonio) (1). E nel  celebre Dizionario etimologico di tutti i vocaboli ….che traggono origine dal greco (2) le parole : als-alos (da cui deriveranno le latine) hanno lo stesso primiero significato: mare. E tale accezione va oltre i tempi antichi e trasla nell’inizio dell’uso della lingua italiana, nel ‘300 Dante nella Divina Commedia nel  III ° Canto-13-14 : “metter ben potete per l’alto sal vostro naviglio”. E successivamente anche il poeta  Antonio Cammelli (1436-1502) detto il Pistoia, nelle Lettere: ”andorno nel sal, con l’altrui nave”.
Quindi il toponimo: salara-ia, non va inteso come “strada portatrice di sale”, come comunemente addotto, ma come “strada che unisce e collega due mari” (salis). Sarebbe però capziosità semantica suscettibile di analisi e discussioni, limitarsi alle etimologie che cambiano linguisticamente nei tempi, nei modi e a seconda di chi le usa. E quindi esporrò alcune linee storiche e delle considerazioni tecnico-merceologiche inerenti non solo il mondo antico.
La via Salaria: strada che unisce due mari
La via: la Salaria dice il Nibby (3) citando Strabone (4): ”E’ stata costrutta a traverso loro (ai Sabini) la via Salaria, che non è lunga, nella quale si confonde la via Nomentana presso Ereto castello della Sabina posto sopra il Tevere, la quale comincia dalla stessa  porta Collina”. Poi Festo (5) che ne da – unico – anche l’etimologia, che da allora verrà applicata pedissequamente alla strada: “Salariam viam incipere ait a porta quae nunc Collina a Colle Quirinale dicitur; Salaria autem propterea appellabatur, quod impetratum fuerit u tea liceret a mari in Sabinos salem portari”.Livio (6) con la notizia che i Galli si accamparono in essa :” Galli ad tertium lapidem Salaria via trans pontem Anienis castra habuere” nel 390 anno di Roma, ci dice che fu la più antica, precedendo l’Appia che viene considerata la prima vera strada di Roma costruita da Appio Claudio Censore il Cieco nel  442. La strada  che partiva da Porta Salaria a Roma arrivava ad Hadria (Atri) dopo un percorso di 150 miglia romane, e cioè circa 232 chilometri. E va anche detto come la via e le variazioni di essa erano certamente di origine pre-romana e che essi romani ebbero il merito di renderla unita ed omogenea; come si evince dal poderoso e fondamentale studio del Persichetti sulla strada, dei primi del ‘900, (7) ove motivando aggiunge, come “i sabini prendessero il sale dalle spiagge adriatiche anziché tirreniche”.
Cosa dunque oppongo all’antica dizione di Festo, che la descrive come “strada del sale”? La prima semplice considerazione è, che par strano che una strada adibita al trasporto del sale come compito precipuo nell’esser costruita, non partisse dalle saline di Ostia (dalla costa) ma a 14 miglia (20,7 chilometri) di distanza, internamente nella città, con un percorso davvero singolare ed inconsulto, anche perché non v’è collegamento, ne distanza ravvicinata tra la Salaria e la via Ostiense che partiva da Ostia e finiva alla Piramide Cestia (San Paolo), o la via Campana che secondo alcuni autori  partendo dalla costa poi raggiungeva la Salaria, (e che invece terminava all’isola Tiberina). E anche se sappiamo che sia ai piedi dell’Aventino presso la Porta Trigemina, che ove iniziava la Salaria, vi erano i magazzini del sale (ma non solo quelli) (8), la seconda altrettanto logica osservazione è comunque: ma se essa strada portava il sale ai sabini-umbri, poi lì si sarebbe fermata in un dato luogo, perché proseguire per le coste adriatiche che di sale ne avevano del loro e migliore?
Proseguo con delle note tecniche-merceologiche sul sale (cloruro di sodio) che per essere ottimale e trasportabile, deve avere un elevato grado di purezza (oltre il 90%) e per ottenere tale condizione, il clima deve avere 6-7 mesi di evaporazione e grandi temperature, condizioni ottimali nel Sud-Italia, mentre al Centro la situazione non è altrettanto idonea. Ma v’è di più: nelle saline (stagni) d’Ostia v’è lo scarico a mare del “biondo” (fangoso) Tevere, che oltre a diluire la salinità delle acque, porta con se le impurità del limo. Il sale che vi era ottenuto è senza dubbi un sale grigio “sporco” (una delle prerogative della fabbricazione del sale è tecnicamente il suo continuo lavaggio in acque correnti pure) e deliquescente, non omogeneo e poco adatto ad essere trasportato, un prodotto di second’ordine; certamente usato per tutte le prerogative dell’epoca (ed in special modo per la conservazione – in salamoia – del pesce, prodotto romano per eccellenza e che veniva anche esportato: il garum) ma non certo da costituire una materia prima da inviare lontano. E tra l’altro non si hanno notizie storiche di come i Romani producessero il sale, che aveva un difficoltoso e tecnico processo di raffinazione, ne di una sua commercializzazione nell’ambito mediterraneo (ed infatti non vi sono studi inerenti). Si può immaginare che facessero evaporare l’acqua di mare in profondi tini interrati; non risulta che usassero il fuoco per riscaldare l’acqua, la ove la stagione ed il sole non permettevano l’essicazione, così come – con un processo tecnicamente avanzato – era uso nel resto del centro-nord Italia (9). Anche le saline di Cervia (antica Ficocle) sul lato terminale della Salaria erano interessate a nord dalla vicinanza della foce del fiume Tronto, ma con meno scapito della costa romana, tant’è che dette saline sono ancora in uso. Dunque costruire una strada per un prodotto non ottimale e poco conservabile – e che era poi anticamente soppiantato dai popoli dell’interno con l’economico sale che ricavavano dalle ceneri delle piante – sembra poco probabile.
E’ ora di assegnare alla Salaria il suo vero uso e significato: era un’antica strada pre-romana, che univa due mari (salis: Tirreno e Adriatico) e che permise e le imprese militari romane ed i cospicui traffici con le popolazioni interne (tra l’altro i sabini furono tra i fondatori di Roma), coadiuvata dal percorso fluviale di risalita del Tevere con le navi caudicarie, queste adibite precipuamente al trasporto del pesce, del sale e delle verdure. Forse fu la strada più antica di Roma, costruita su precedenti manufatti dei popoli italici-sabini e per i loro commerci, resa solida e secondo le tecniche dei romani, che le avevano apprese dai cartaginesi nel corso delle guerre nel mezzogiorno d’Italia (10). Aveva un corso percorribile anche d’inverno non avendo elevazioni sopra i mille metri di quota nei valichi, e riportarla al suo vero e naturale ruolo, anche nel nome, mi sembra cosa opportuna. Tanto più che a volte molti storici – mancando loro le fonti – scelgono, è il caso di dirlo, la  “strada” più breve, saltando sia ricognizioni filologiche che ricostruzioni logiche.
Sempre riguardo alla Via Salaria leggi anche gli articoli:
                Salaria Antica: il Ponte Sambuco
                Il Ponte del Diavolo e la Salaria Antica
                Il Miliario della Salaria al Masso dell’Orso

Note:

1)         M.Cosmai -Antichi toponimi di Puglia e Basilicata- 1991

2)         A.Bonavilla- A.Marchi -Dizionario etimologico di tutti i vocaboli usati nelle scienze,arti e mestieri che traggono origine dal greco -1819

3)         A.Nibby in Roma antica di Fabiano Nardini -1820

4)         Strabone- Libro  V -pag.148

5)         Festo -De verborum  significatu -II° sec- su manoscritto mutilo dell’XI sec.

6)         Livio-Libro VI e VI

7)         Niccolò Persichetti-La Via Salaria pag.15-1910

8)         De Martino- Storia economica di Roma antica-1980

9)         J.C. Hocquet-Il sale e il potere-1990
10)       A.Nibby-op. cit.

giovedì 29 ottobre 2015

Guerriero del Bronzo, Tomba Intatta.

Bronze Age warrior tomb

 unearthed in SW Greece 





ArchaeoHeritage, Archaeology, Breakingnews, Europe, Greece, Southern Europe 





On the floor of the grave lay the skeleton of an adult male, stretched out on his back. Weapons lay to his left, and jewelry to his right. 





This gold ring with a Cretan bull-jumping scene was one of four solid-gold rings  found in the tomb. This number is more than found with any other single burial  elsewhere in Greece 
[Credit: University of Cincinnati, Pylos Excavations] 



Near the head and chest was a bronze sword, its ivory hilt covered in gold
A gold-hilted dagger lay beneath it. Still more weapons were found by the man's legs and feet. Gold cups rested on his chest and stomach, and near his neck was a perfectly preserved gold necklace with two pendants
By his right side and spread around his head were over one thousand beads of carnelian, amethyst, jasper, agate and gold
Nearby were four gold rings, and silver cups as well as bronze bowls, cups, jugs and basins.




Dagger with a gold hilt overlaid with gold in a rare technique imitating embroidery [Credit: University of Cincinnati, Pylos Excavations]

The above describes what a University of Cincinnati-led international research team found this summer when excavating what was initially thought to be a Bronze Age house. Instead, the team made a rich and rare discovery of an intact, Bronze Age warrior's tomb dating back to about 1500 B.C., and that discovery is featured in The New York Times, in an article titled: A Warrior's Grave at Pylos, Greece, Could Be a Gateway to Civilizations. 


One of six ivory combs found within the warrior's tomb 
[Credit: University of Cincinnati,  Pylos Excavations]




 The find is so extraordinary that UC's Shari Stocker, senior research associate in the Department of Classics, McMicken College of Arts and Sciences, states: "This previously unopened shaft grave of a wealthy Mycenaean warrior, dating back 3,500 years, is one of the most magnificent displays of prehistoric wealth discovered in mainland Greece in the past 65 years." 
Stocker co-leads the team that unearthed the undisturbed shaft tomb, along with Jack Davis, UC's Carl W. Blegen Chair in Greek Archaeology. 
Other team members include UC faculty, staff specialists and students, some of whom have worked in the area around the present-day city of Pylos on the southwest coast of Greece for the last quarter century as part of the Pylos Regional Archaeological Project. 
That UC-based effort is dedicated to uncovering the pre-history and history of the Bronze Age center known as the Palace of Nestor, an extensive complex and a site linked to Homeric legend. 
Though the palace was destroyed by fire sometime around 1200 B.C., it is nevertheless the best-preserved Bronze Age palace on the Greek mainland. 
It was UC archaeologist Carl Blegen, along with Konstantinos Kourouniotis, director of the National Archaeological Museum, who initially uncovered the remains of the famed Palace of Nestor in an olive grove in 1939. 
Located near the present-day city of Pylos, the palace was a destination in Homer's "Odyssey," where sacrifices were said to be offered on its beaches. 
The king who ruled at the Palace of Nestor controlled a vast territory that was divided into more than 20 districts with capital towns and numerous small settlements. 





This unique necklace measures more than 30-inches long and features two gold pendants  decorated with ivy leaves. It was found near the neck of the warrior's skeleton  
[Credit: University of Cincinnati, Pylos Excavations]



 Explains Stocker, "This latest find is not the grave of the legendary King Nestor, who headed a contingent of Greek forces at Troy in Homer's 'Iliad.' Nor is it the grave of his father, Neleus. 
This find may be even more important because the warrior pre-dates the time of Nestor and Neleus by, perhaps, 200 or 300 years. 
That means he was likely an important figure at a time when this part of Greece was being indelibly shaped by close contact with Crete, Europe's first advanced civilization." 
Thus, the tomb may have held a powerful warrior or king -- or even a trader or a raider -- who died at about 30 to 35 years of age but who helped to lay the foundations of the Mycenaean culture that later flourished in the region. Davis speculates, "Whoever he was, he seems to have been celebrated for his trading or fighting in nearby island of Crete and for his appreciation of the more-sophisticated and delicate are of the Minoan civilization (found on Crete), with which he was buried." 
Potential Wealth of Information The team found the tomb while working in the area of the Palace of Nestor, seeking clues as to how the palace and its rulers came to control an area encompassing all of modern Messenia in western Greece and supporting more than 50,000 inhabitants during the Bronze Age. 



The golden necklace of the grave at Ano Englianos 
[Credit: University of Cincinnati,  Pylos Excavations]




 Davis says that researchers were there to try and figure out how the Palace of Nestor became a center of power and when this rise in power began, questions they now think the tomb may help answer. 
Given the magnitude of this find, it may be necessary to rethink when Plyos and the wider area around it began to flourish. It may have been earlier than previously thought since, somehow, whether via trade or force (e.g., raiding), its inhabitants had acquired the valuable objects found within the tomb. 
Many of the tomb's objects were made in nearby Crete and show a strong Minoan style and technique unknown in mainland Greece in the 15th century BC. 





Finds from the grave at Ano Englianos 
[Credit: University of Cincinnati,  Pylos Excavations]




 The same would likely have been true of the warrior's dwelling during this lifetime. 
He would have lived on the hilltop citadel of nearby Englianos at a time when great mansions were first being built with walls of cut-stone blocks (vs. uncut rock and stones) in the style then associated with nearby Mediterranean Island of Crete and its Minoan culture, their walls decorated with paintings influenced by earlier Minoan wall paintings. The weapons of bronze found within the tomb included a meter-long slashing sword with an ivory handle covered with gold. 

Wealth of Jewels and Weaponry 

A remarkable store of riches was deposited in the tomb with the warrior at the time of his death. The mere fact that the vessels in the tomb are of metal (vs. ceramic pottery) is a strong indication of his great wealth. 





The team of Jack L. Davis and Sharon R. Stocker, from the University of Cincinatti  has brought to light this unlooted and extremely wealthy tomb  
[Credit: University of Cincinnati, Pylos Excavations]




 "It is truly amazing that no ceramic vessels were included among the grave gifts. 
All the cups, pitchers and basins we found were of metal: bronze, silver and gold. 
He clearly could afford to hold regular pots of ceramic in disdain," according to Stocker. 

This member of the elite was accompanied in the afterlife by about 50 seal-stones carved with intricate Minoan designs of goddesses as well as depictions of bulls and human bull jumpers soaring over their horns. 
Four gold rings in the tomb contain fine Minoan carvings. 
A plaque of carved ivory with a representation of a griffon with huge wings lay between the man's legs. 
Nearby was a bronze mirror with an ivory handle. 
Archaeological conservator Alexandros Zokos was essential partner in the removal, cleaning and preservation of the finds from the grave. 
The weapons of bronze within the tomb include a meter-long slashing sword with an ivory handle, several daggers, a spearhead, along with the already-mentioned sword and dagger with gold pommels. 




View of the excavation 
[Credit: University of Cincinnati,  Pylos Excavations]




 Other grave gifts originally rested above the dead warrior atop a coffin of wood which later collapsed, spilling a crushing load of objects down on the skeleton -- and making the job of excavation difficult and slow. 



Sharon Stocker standing in the excavated tomb
 [Credit: University of Cincinnati,  Pylos Excavations]

The gifts atop the coffin included bronze jugs; a large, bronze basin; thin bands of bronze, probably from the warrior's suit of body armor; many wild boar's teeth from the warrior's helmet.
 In combination with this weaponry, the discovery of so much jewelry with a male burial challenges the commonly held belief that these apparently "feminine" adornments and offerings accompanied only wealthy women to the hereafter.

Previously Unexplored Field 

What would eventually become the successful excavation of the tomb began on the team's very first day of its field work in May 2015, conducted in a previously unexplored field near the Palace of Nestor. 
They immediately found one of the four walls of the warrior's grave.




This is one of more than four dozen seal stones with intricate Minoan designs  found in the tomb. Long-horned bulls and, sometimes, human bull jumpers  soaring over their horns are a common motif in Minoan designs   
[Credit: University of Cincinnati, Pylos Excavations]




 "We put a trench in this one spot because three stones were visible on the surface," says Davis, adding, "At first, we expected to find the remains of a house. 
We expected that this was the corner of a room of a house, but quickly realized that it was 
the tops of the walls of a stone-lined grave shaft."

In the end, the shaft measured about 5 feet deep, 4 feet wide and 8 feet long. 
It took the team about two weeks to clear the shaft before "we hit bronze," says Stocker. At that point, they realized they might have an exceptional prize: an undisturbed grave shaft, never stripped by looters. 
She explains, "The fact that we had not encountered any objects for almost a meter indicated that whatever was at the bottom had been sealed for a long time." Stocker and Alison Fields, a UC graduate student of classics, did most of the actual excavation because their smaller size allowed them to work more easily and carefully around the tomb and its many precious objects.

What Comes Next 

Both Stocker and Davis say it was good luck to discover this intact grave. Given the rarity of the find, it's unlikely to be repeated. "It's almost as if the occupant wants his story to be told," Davis says. 






A bronze mirror with an ivory handle 
[Credit: University of Cincinnati,  Pylos Excavations]




 And that story will continue to unfold. 

The UC team and others are studying the artifacts in detail, with all artifacts remaining in Greece and their final disposition determined by the Greek Archaeological Service. 

Former UC anthropologist Lynne Schepartz, now of the University of Witwatersrand in Johannesburg, South Africa, will study the skeletal remains. 





The skeleton of an adult male stretched out on his back lay in the grave with  weapons arranged to his left and a hoard of fine jewellery on his right  
[Credit: Denitsa Nonova]


Catalogue of Objects Found Within the Warrior Tomb

- Gold 
Four complete solid-gold seal rings to be worn on a human finger. 
This number is more than found with any single burial elsewhere in Greece. 
Two squashed gold cups and a silver cup with a gold rim 
One unique necklace of square box-shaped golden wires, more than 30 inches long with two gold pendants decorated with ivy leaves. 
Numerous gold beads, all in perfect condition.

- Silver 
Six silver cups.

- Bronze 
One three-foot long sword, with an ivory hilt overlaid with gold in a rare technique imitating embroidery (found at warrior's left chest). 
Under this sword was a smaller dagger with a gold hilt employing the same technique. Other bronze weapons by his legs and feet. 
Bronze cups, bowls, amphora, jugs and a basin, some with gold, some with silver trim.

- Seal Stones 
More than 50 seal stones, with intricate carvings in Minoan style showing goddesses, altars, reeds, lions and bulls, some with bull-jumpers soaring over the bull's horns -- all in Minoan style and probably made in Crete.

- Ivory 
Several pieces of carved ivory, one with a griffon with large wings and another depicting a lion attacking a griffon. Six decorated ivory combs.

- Precious Stone Beads 
An astonishing hoard of over 1000 beads, most with drill holes for stringing together. 
The beads are of carnelian, amethyst, jasper and agate. Some beads appear to be decorations from a burial shroud of woven fabric, suggested by several square inches of cross woven threads which survived in the grave for 3,500 years. 



Source: University of Cincinnati [October 26, 2015]


martedì 27 ottobre 2015

Geni Mobili ed Evoluzione.

Scientists discover protein factories 

hidden in 

human jumping genes 


Breakingnews, Evolution, Genetics, Human Evolution 

Scientists have discovered a previously unknown wellspring of genetic diversity in humans, chimps and most other primates. 
This diversity arises from a new component of itinerant sections of genetic code known as jumping genes.






Salk researchers discovered a new genetic component, called ORF0, spread  throughout the DNA of humans, chimps and most other primates. This image  shows the locations of the ORFO on human and chimp chromosomes 
 [Credit: Salk Institute] 




In a paper published October 22, 2015 in Cell, Salk scientists report finding human and chimp DNA peppered with sequences of genetic code they've dubbed ORF0, which spreads throughout the genome on jumping genes. 
The ORF0 sequences may produce hundreds or even thousands of previously unknown proteins. 
The abundance of ORF0 instances in the human genome suggests that it played--and still plays--an important role in evolutionary diversity and flexibility by serving as a mechanism for generating novel proteins. The discovery of these mobile protein factories may also shine light on the origins of genetic mutations responsible for cancer, mental disorders and other diseases
"This discovery shows that jumping genes are an even more important source of variation in the primate genome than we thought, whether you're looking at the level of different species, different people or even the different cells within an individual's body," says Rusty Gage, senior author of the paper and a professor in Salk's Laboratory of Genetics. 
With the sequencing of the human genome, it became clear that jumping genes--mobile genetic elements first discovered in maize by Barbara McClintock in the early 1950s--were also present and highly active during human evolution. 
About half of the human genome resulted from sequences of genetic code that moved or insert extra copies of themselves throughout the genome. 
The evolutionary importance of jumping genes was highlighted by the results of another recent study by Gage and collaborators at Stanford. The research used stem cell technologies developed in Gage's lab to explore how differences in gene expression contribute to human and chimp facial structure. 
The findings, also reported in Cell, suggested that jumping genes played a role in the evolutionary split between humans and other primates. 
In the more recent study that uncovered ORF0, Gage and his colleagues focused on a class of jumping genes known as LINE-1 elements, which make up about 17 percent of the human genome. 
These elements contain all the necessary genetic machinery for moving themselves and other classes of jumping genes, unaided, to elsewhere in the genome. 
Previously, it was thought that LINE-1 elements contain just two sequences that coded for proteins, the ultimate product of genes that serve a wide range of roles in our cells and organs. 
These sequences are known as open reading frames (ORF), and the two previously known sequences, ORF1 and ORF2, are thought to be involved in producing proteins that are important for allowing LINE-1 elements to move around in the genome. In their new study, Gage and his colleagues discovered a third open reading frame. They named it ORF0 based on its location in the LINE-1 element next to ORF1. The scientists found ORF0 in about 3,500 locations in the DNA of humans and about 3,000 locations in the chimp and most other primate genomes. 
The structure of LINE-1 elements is such that when an element moves to another site there is a possibility that the ORF0 sequence can blend with genetic sequences in new location in DNA. The result of the new gene sequences can be a new protein. Evolutionarily speaking, this represents a way to generate entirely new molecules that could be beneficial to a species. On the other hand, the reshuffling of an existing ORF0 sequence during a jump could result in a disease-causing mutation. 
"This discovery redraws the blueprint of an important piece of genetic machinery in primates, adding a completely new gear," says Ahmet Denli, a staff scientist in Gage's lab and the first author on the paper reporting the findings. 
"Jumping genes with ORF0 are basically protein factories with wheels, and over the eons evolution has been driving the bus." 
Now that they have identified ORF0 in the primate genome, Denli says they plan to determine how many of the instances of ORF0 actually code for proteins and to investigate what function those proteins serve. The researchers also plan to investigate the behavior of ORF0 in different cell types and diseases. They are particularly interested in exploring its role in cancers and in neurological disorders such as schizophrenia, where previous studies have suggested jumping genes may be involved. 

Source: Salk Institute [October 22,2015]