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lunedì 26 gennaio 2015

Le Sarde Opere Pie


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Malebolge. Nella Divina Commedia, Malebolge è il nome dato all' ottavo cerchio dell’ Inferno nel quale sono puniti i fraudolenti.

Si tratta dell'unico cerchio ad avere un nome proprio (escludendo il nono, che coincide con il lago ghiacciato Cocito).
Il nome Malebolge deriva dalla forma di tale cerchio, suddiviso in dieci bolge ovvero fossati concentrici, cerchiati da mura e scavalcati da ponti di roccia, simili alle fortificazioni esterne di un Castello. Dentro i fossati sono puniti i dannati, suddivisi in base alla loro colpa. 
Ecco la descrizione che il poeta ne dà, allorché vi giunge:

«Luogo è in inferno detto Malebolge,
tutto di pietra di color ferrigno,
come la cerchia che dintorno il volge.
Nel dritto mezzo del campo maligno
 vaneggia un pozzo assai largo e profondo,
 di cui suo loco dicerò l'ordigno.
Quel cinghio che rimane adunque è tondo 
tra 'l pozzo e 'l piè de l'alta ripa dura,
e ha distinto in dieci valli il fondo.
Quale, dove per guardia de le mura 
più e più fossi cingon li castelli, 
la parte dove son rende figura,
tale imagine quivi facean quelli; 
e come a tai fortezze da' lor sogli
a la ripa di fuor son ponticelli,
così da imo de la roccia scogli
 movien che ricidien li argini e ' fossi 
infino al pozzo che i tronca e raccogli.»

Ma non si può fare di tutte l’erbe un fascio” – qualche benpensante dirà.
Ebbene, sì, d'accordo: idee, fatti e persone vanno valutate bene e da vicino...

E poi: perché citare Dante?

Ma perché l’intuizione di Dante resta ammirevole ed attuale: non v’è alcun dubbio che la sua definizione dell’Italia (nel canto sesto del Purgatorio) sia tuttora – a distanza di otto secoli, purtroppo – la migliore mai data. 
 - La popolazione italiana è infatti ancor oggi in molti modi schiava e vive in un Paese che alberga moltissimo dolore e per il quale la similitudine con un vascello privo di guida e preda di una grande tempesta è estremamente calzante. Che poi l’Italia abbia la nobile pretesa di prendere il tè nei salotti buoni d’Europa, ma sia in realtà più adatta ad un bordello, questa è la sferzante critica del sommo poeta e politico, che dovrebbe offenderci e scatenare una reazione positiva…

Molti intellettuali sardi, poi, hanno reagito agli accenni (in genere negativi) che Dante fa, nella Commedia, alla Sardegna ed ai Sardi. A tal riguardo, sono stati scritti vari articoli, saggi e libri (che qui tralascio, per non troppo divagar, più del dovuto).
Nessuno, però, si è mai accorto di come “Malebolge” sia sempre più precisamente e sempre più spesso riferibile all’isola sarda...
La cronaca sarda recente avvalora sempre di più questa tesi...



Reazioni.
A proposito di reazioni: il caso Csoa  (Centro Sociale Occupato Autogestito) Pangea Porto Torres (csoa pangea.blog) rende purtroppo ragione all’antico detto che recita: “La strada per l’Inferno è spesso lastricata di buone intenzioni”. 
Personalmente, non ne conoscevo neppure l'esistenza. Mi sono informato. Da solo, perché nessuno ha avuto la buona volontà di farlo. Si tratta di un gruppo spontaneo, nato per caso e per protesta (uno dei suoi motti è: "Occupare spazi per liberare menti"), animato - appunto - da buone intenzioni. Fanno raccolta di medicinali, ad esempio, e cercano di ideare molte altre buone iniziative, che siano anche altrettante critiche a rispettive manchevolezze da parte delle istituzioni. In genere, quindi: bene! Talvolta, però anche: male!
Recentemente, Pangea ha proposto (in anticipo, su Facebook) ai propri sostenitori di entrare 'fuori orario' e scavalcando i cancelli nell'area archeologica di Monte d'Accoddi, per protestare contro la scarsa fruibilità del sito per un troppo breve orario d'apertura. L'iniziativa era criticabile per due motivi:1) i metodi proposti sono senza dubbio illegali e 2) i motivi stessi (gli orari troppo brevi d'apertura) non sussistevano. Cose che gli sono state fatte notare (http://www.sardiniapost.it/cronaca/archeologia-visita-clandestina-monte-daccoddi-larcheologo-sbagliato-e-pericoloso/).
I responsabili si sono scusati, hanno annullato il salto dei cancelli ed annunciato che avrebbero manifestato egualmente, ma comprato il biglietto (benissimo) e poi si sono scagliati 'testosteronicamente' a testa bassa contro alcuni di critici (tra cui - secondo loro - anche il sottoscritto che non li aveva mai sentiti nominare prima). In particolare, però, si sono scagliati contro l'Untore, (per chi non lo sapesse, si tratta di quel "Pasquino Sardo" che ama particolarmente fustigare tutti i meritevoli di biasimo, facendolo con modi degni di un tenutario di bordello d'angiporto).

 E qui finisce il caso. 
- Probabilmente Pangea - che ovviamente non intendeva ledere alcuno e certamente non ha rubato nulla - sarà molto più accorta in futuro e proseguirà con immutati ardore e senso di giustizia le proprie volonterose iniziative. Non ha la mia simpatia, ma ne farà benissimo a meno e tanti auguri lo stesso...

- L'Untore, anche lui, continuerà la sua opera libellistica, ne sono certo... 

- Malebolge Sardegna, però, prosegue anch'esso: attenzione! E molto più attivamente di quanto non si creda, anche...

Sarde Opere Pie.
Numerose altre iniziative 'benefiche' sono in corso: numerosi altri individui più o meno organizzati, soggetti singoli, organizzazioni, 'raccolgono fondi in vari modi per salvare i monumenti della Sardegna'... 
Non si tratta di una nuova moda culturale: spesso, anzi, l'iniziativa parte proprio da persone che (si sarebbe propensi a credere) 'cultura' non sanno neppure come si scrive. 
E - naturalmente - io non li conosco tutti: come potrei? Conosco solamente quelli che ogni tanto sono segnalati in Facebook o altrove sull'Internet. Non so neppure bene se si tratta di iniziative oneste, oppure no.

Al loro confronto, però, quei numerosi 'autori autodidatti' che instancabilmente scrivono infinite fandonie fantasiosissime sulla Storia, l'Arte, l'Archeologia della Sardegna, sono solamente sublimi poeti astratti e disinteressati delle cose mondane, lontani dal mondo materiale, viventi nel loro empireo sognante. Che cosa vogliono, in fondo?
- Vogliono vendere i loro libri? Pinzellacchere: comperare è un gesto autonomo e libero. Se desidero acquistare un libro scritto su carta crespatina, è affar mio e mio diritto.
- Vogliono acquisire fama per scopi personali? Benissimo: bravi se ci riescono. In questo paese - è ben dimostrato dai fatti - qualsiasi 'Diroffarò' riesce a diventar famoso... Perché non proprio loro?
- Vogliono partecipare alle elezioni locali (non mi azzardo a credere nazionali!)? Facciano pure: il voto è libera espressione di libertà. E per quanto esso sia anche segreto, dico fin d'ora che io - almeno - non voterò per loro... Ma concorrano, perbacco!
Però...
Ma quando iniziano a chiedere soldi, amico mio, credo si debba pretendere di vederci chiaro... Se uno, per esempio, ti chiede soldi per sé, a titolo personale, è un conto. 
Esempio: 
"Dammi qualche cosa, sù!"
"Hai fame?"
"No"
"Hai una casa?"
"Sì"
"E allora a che cosa ti servono questi soldi?"
"Ho tanta voglia di comperarmi una auto nuova!"

Ecco: qui, l'interpellato almeno può scegliere - in omaggio alle libertà individuali - se mandare a quel paese il questuante (ipotesi statisticamente più probabile) oppure se agevolarne la raccolta di fondi per uso squisitamente personale (esercizio ad mentulam del libero arbitrio). 

Ma - tra la folla fitta di onestissimi appassionati altruisti organizzati - esistono furbetti, furbacci e furbacchioni che raccolgono fondi 'per salvare beni pubblici' e poi magari li destinano ad altri. E un appassionato del monumento 'tal dei tali', magari, ci casca in perfetta buona fede (ingiusto dargli del coglione, come fa l'Untore: è un individuo cui viene sottratto il libero arbitrio a sua insaputa. Più brevemente: un truffato), convinto di donare per una buona causa pubblica e culturale e non invece per un'auto privata che presto prenderà a scorrazzare per tutta Malebolge, Sardegna.

Un'organizzazione che raccoglie fondi è Nurnet, una Fondazione che dispone sull'Internet di un sito estremamente accattivante e decorato di immagine fotografiche bellissime. Un'altra organizzazione è quella gestita e promossa da certa Albertina Piras ed altri (per es.: Maurizio Cossu), che credo vendano calendari con  viste sarde. Certamente ne esistono altre... 
Sarebbe certamente il caso che qualcuno si interessasse più da vicino e controllasse che le quote raccolte per un fine dichiarato, alla fine siano realmente indirizzate a quel fine e non altri. Interrogati direttamente al riguardo, i sunnominati dichiarano di 'non dovere rispondere a nessun altri che non abbia versato le quote'. (eppure la stampa e la vendita di calendari dovrebbe essere un'attività autorizzata e conseguentemente tassata). A tutt'oggi - purtroppo - non risulta che sia stata presa un'iniziativa di restauro verso alcun monumento pubblico (non ci sono neppure richieste di autorizzazioni a farlo, né sono stati fatti versamenti o donazioni ad alcun Ente).
Ultimamente, sembra che una Senatrice della Repubblica del M5S, Michela Serra, stia facendo proprio questa attività di raccolta d'informazioni (non diciamo indagine). Non credo che troverà molti libri contabili aggiornati, ma è già un inizio...






Altri - a Malebolge, Sardegna - sono estremamente scoperti, nella piena coscienza di non fare alcunché di male. Come un certo candido tenutario di Blog con poche pretese archeologiche, che - avendo anche una ben avviata rivendita di automobili - nello stesso spazio telematico alterna le notizie archeologiche di cui entra in possesso agli ultime prezzi delle sue auto revisionate (http://pierluigimontalbano.blogspot.it/2015/01/offerte-commerciali-auto-della.html). Come dargli torto? 
Egli è anche un noto ed attivo organizzatore di viaggi turistici conoscitivi in vari siti archeologici sardi, con incluso pranzo presso questo o quel ristorante situato convenientemente nei pressi (E qui ha risolto in modo molto brillante e personale l'adagio secondo cui con l'Archeolgia non si mangia: in realtà si mangia e talvolta anche di gusto). Unicuique suum...

Strabismo.
Ma purtroppo persiste un diffuso strabismo - sull'isola - che non permette sempre di guardare dritto alle cose e di metterne bene a fuoco il nocciolo del problema.
Un esempio:
- Un certo signor Armando Saba, sardo di Allai, è stato finalmente assolto - dopo un processo durato circa 8 anni - dall'accusa di essere un falsario. Siamo tutti contenti per lui. 
(Per chi non conoscesse l'antefatto: esistono alcuni ciottoli di fiume, raccolti dal Lago Omodeo in secca, nella località 'Is Nabrones', con alcune incisioni che sembrano essere lettere della lingua etrusca. Il sig Saba riferisce che le trovò passeggiando e le affidò al locale museo di Allai. I reperti sono stati dichiarati 'falsi recenti' da due esperti: Mario Torelli ed Attilio Mastino).
Il giudice Antonio Enna non ha - alla fine - ritenuto in alcun modo dimostrato che il Saba fosse colpevole del falso: egli avrebbe solamente avuto la disavventura di rinvenire detti falsi e (non sapendoli valutare, ma ritenendoli autentici) di averli voluti affidare al luogo ove riteneva fosse gente più esperta di lui.
Saba è stato assolto e restituito alla serenità del suo piccolo e ridente paese. 


Palle di mare e palle di lago


Il problema - ora - è che tutti quei fantarcheologi che nel corso degli anni hanno 'tifato' per l'autenticità dei reperti di Allai interpretano l'assoluzione del Saba (nel corso di un processo  che s'incentra proprio tutto sulla falsità dei reperti e sul riconoscimento oppure no della colpevolezza dell'imputato come autore del falso) come un'ammissione automatica di autenticità! Ciò può sembrare assolutamente incredibile, ma si legga pure al riguardo il Blog Monteprama (15 minuti dopo l'assunzione di una cpr. di antiemetico).

Quindi: Malebolge, Sardegna?

Sì: Malebolge, Sardegna...






mercoledì 17 dicembre 2014

ITAGLIA, ITAGLIANI


Umberto Eco

In Italia i treni vanno per mare, le navi vanno per terra, la gente non ha alcun senso civico, né etico. I risultati? Lo scandalo Mose, lo scandalo Expo, Mafia Capitale e così via. Non c'è da stupirsi di ciò che scrive Eco, quindi: ma si presta ad alcune considerazioni importanti.

(tratto da: L'Espresso).


articolo di Umberto Eco



La bustina di minerva


Classici del nostro tempo

Genitori che ricorrono al Tar perché il figliolo 
è stato bocciato. 
Non c’è poi da meravigliarsi se l’ignoranza dilaga. Come accade in quei consigli comunali che dedicano strade e piazze a personaggi razzisti e antisemiti


Classici del nostro tempo
Un Tar classico
Un articolo di Giovanni Belardelli sul “Corriere” del 30 giugno scorso segnalava un fatto gravissimo. Indignati del fatto che il loro figlio, studente del classico, fosse stato bocciato perché aveva riportato 3 in matematica, 4 in fisica e 3 in storia dell’arte, invece di prendere l’erede a sganassoni, come avrebbero fatto i genitori reazionari di una volta, papà e mamma si sono rivolti al Tar del Lazio.

E il Tar, dall’alto della sua autorità, ha annullato la bocciatura. Ora, è possibile che tre insufficienze, seppur gravi, siano poco per una bocciatura, ma queste cose dovrebbe deciderle un consiglio di professori o qualche organo didattico superiore. Ricorrendo all’incompetentissimo Tar si incoraggiano quei genitori che, quando i figli prendono brutti voti, invece di prendersela con loro, vanno a protestare con gli insegnanti. Buzzurri, educheranno dei figli altrettanto buzzurri.

Ma c’è di più. La sentenza recita che un 3 in fisica e un 4 in matematica non sono gravi perché si trattava di un liceo classico. Così alcuni intellettuali della Magna Grecia (come avrebbe detto Agnelli) non sanno che dal classico ci si può poi iscrivere a medicina, ingegneria, matematica, o altre scienze; e che anche per una buona formazione umanistica il secondo principio della termodinamica è altrettanto importante dei misteri dell’aoristo. “Quis custodiet custodes?”, chi mai boccerà i giudici del Tar del Lazio? O i loro genitori protesteranno.

Il vispo Telesio
Leggo su “Pagine ebraiche” un elenco commentato di illustri fascisti, razzisti e antisemiti, cui sono state dedicate strade in alcuni paesi: A Roma e a Napoli si è onorato Gaetano Azzariti, già presidente del Tribunale della Razza, e si sono intitolate strade a Nicola Pende (Modugno di Bari, Bari e Modena), a Sabato Visco (Salerno), ad Arturo Donaggio (Roma e Falconara): e si tratta di tre persone che, pur essendosi rese famose in altri campi, hanno sottoscritto per primi nel 1938 il famigerato “Manifesto della razza”.

Ma pazienza, è noto che in molti comuni sono andati al potere dei fascisti, e magari gli altri partiti, quando è stata fatta la proposta, non sapevano per niente chi fossero i signori così celebrati. Inoltre si potrebbe dire che tutti costoro avevano altrimenti meritato in vari settori e che si poteva perdonare loro il peccatuccio occasionale di un’adesione fatta magari per viltà, interesse o eccesso di zelo. Non abbiamo persino perdonato (o quasi) Heidegger, che pure nel nazismo aveva creduto? E, per giovane età o per cruda necessità (vivendo al nord), non avevano aderito in qualche modo alla Rsi personaggi amabili e giustamente amati come Oscar Carboni, Walter Chiari, Gilberto Govi, Gorni Kramer o Ugo Tognazzi? Ma nessuno di loro ha mai scritto o detto che si dovevano massacrare otto milioni di ebrei.

Però il fatto che più colpisce è che a Castellamare del Golfo (Trapani) è stata intitolata una via a Telesio Interlandi (tra l’altro, neppure nato da quelle parti). Telesio Interlandi non era uno scienziato altrimenti rispettabile come Pende o un giurista rispettato anche nell’Italia post-bellica come Azzariti, ma uno sporco mascalzone che ha dedicato la vita intera e seminare odio razzista e antisemita con la rivista “La difesa della razza”. Chi sfoglia le annate di questa ripugnante rivista, o ne legge l’antologia raccolta da Valentina Pisanty (Bompiani), si rende conto che solo un personaggio in completa e servile malafede poteva pubblicare le menzogne e le assurdità tipiche di quella pubblicazione. Dimenticavo; sempre in quegli anni Interlandi aveva pubblicato un “Contra judaeos”, e anche chi non sa il latino può intuire quale fosse la sua missione.

D’altra parte si sta discutendo a Roma se intitolare una via a Giorgio Almirante, che della “Difesa della razza” è stato segretario di redazione, con la motivazione (indiscutibile) che poi ha accettato il gioco democratico (e vorrei ben vedere) ed è andato a onorare la bara di Berlinguer. Ma Berlinguer non aveva mai scritto libelli per incoraggiare lo sterminio dei kulaki.

mercoledì 29 ottobre 2014

Solo per cultori della Filologia (quella vera...)


“UN PROFONDO CONOSCITORE
DEI PROBLEMI DELLA LINGUA ETRUSCA”



articolo di critica di
Massimo Pittau


In un'opera dal titolo molto accattivante sul piano pubblicitario - però non rispondente alla esatta realtà dei fatti - di Giulio M. Facchetti, L'enigma svelato della lingua etrusca (Roma 2000), nel risvolto della sopraccoperta l'Autore – che è laureato in giurisprudenza - si è presentato in questo modo testuale: «Giulio M. Facchetti, studioso di diritto romano e di storia antica, è attualmente dottorando di ricerca all'Università di Pavia e collabora presso l'Università statale di Milano; cultore di linguistica storica e profondo conoscitore dei problemi della lingua etrusca e delle scritture e lingue dell'antica Creta, negli ultimi anni ha pubblicato, in sedi scientifiche, diversi notevoli interventi sulla scrittura minoica Lineare A e, recentemente, il testo specialistico Frammenti di diritto privato etrusco».

Ovviamente in questi ultimi 15 anni egli ha fatto progressi nella sua carriera accademica, diventando professore aggregato nell'Università dell'Insubria (Varese) ed effettuando nuove acquisizioni nei suoi numerosi campi di interesse.

Esaminare e discutere minutamente un'opera di 300 pagine, come questa del Facchetti, sarebbe troppo lungo e dovrei scrivere una mia opera di almeno uguale spessore. Perciò intendo limitarmi all'esame di una sua opera più recente e assai più breve: Appunti di morfologia etrusca (Firenze 2002) con l'intento di esaminare quale sia la sua competenza effettiva in una lingua dei cui problemi egli si è presentato come “profondo conoscitore”.

A pagina 9, num. 1. 
Non è esatto affermare che uno dei morfemi del plurale etrusco sia -ar, -er, -ur. Se si esamina con attenzione, si deve concludere che il vero morfema è -r, il quale viene fatto precedere da una delle quattro vocali etrusche: a, e, i, u. Esempi clenar «figli», aiser «dèi», tusurϑir «coniugi», ϑansur «attori, celebranti» (non «cerimonieri»!).
Non è vero che l'altro morfema del plurale etrusco sia -cva, -χva. In realtà questo è un “plurale articolato”, cioè composto col pronome ca «questo» in posizione enclitica e col valore di articolo determinativo, per cui culścva non significa semplicemente «porte», ma significa «le porte»; avilχva non significa «anni», ma significa «gli anni». Invece il vero morfema del plurale è -va, come dimostra chiaramente l'appellativo citato subito dopo dallo stesso Facchetti, zusleva «offerte».
Non è affatto certo che il plur. in -r indichi esseri animati: ecco alcuni esempi contrari: acazr (acaz-r) «cose fatte, manufatti, oggetti»; cepar «cippi, cippi confinari»; [ceren cepar nac amce «curate (di tenere) i cippi confinari come erano» (da confrontare col lat. cippus, finora di origine ignota; dell, deli)]; cerur «(oggetti) fatti, manufatti, (vasi) fittili»; naper «napure, mappe» (misura terriera al plur.) [da confrontare coi lat. mappa, nappa «salvietta, tovagliolo, fazzoletto, drappo», lat. napurae «fiocchi per adornare i maiali da sacrificare» (huth naper lescan «quattro napure o mappe in larghezza»)]; mamer probabilmente «cessioni, donazioni», plur. di mama; śacnicleri cilϑl śpureri meϑlumeric enaś «ai sacrifici di culto per le città e le federazioni nostre».

Pagina 10. 
Non è vero che non si possano spiegare in altro modo le alternanze ci avil «tre anni», ci clenar «tre figli», ci zusle «tre offerte», ci huśur «tre ragazzi». Si possono spiegare facilmente dicendo che la “declinazione di gruppo” coi numerali non era obbligatoria; e se ne capisce la ragione: il plurale era già indicato chiaramente proprio dal numerale.
Pagina 12. 
Iscrizione ET, Cr 5.2 – 4: Laris Avle Larisal clenar / sval cn suϑi ceriχunce | apac atic / saniśva ϑui cesu | Clavtieϑurasi, che io traduco «Laris (e) Aulo figli di Laris da vivi questo sepolcro avevano costruito; i genitori, e il padre e la madre, (sono) qui deposti - Per la famiglia Claudia». Invece il Facchetti ha tradotto la seconda parte in questo modo: «le paterne (e) le materne <ossa> qui giacciono – nel (sepolcro) dei Claudii». Senonché apac atic, non sono affatto aggettivi, tanto meno al plurale, ma sono sostantivi con la copulativa enclitica -c e significano «e padre e madre» (in polisindeto). D'altronde anche lui esprime dubbi che saniśva significhi <ossa>, mentre significa di certo «genitori», essendo il plurale di sanś(-l) «(del) genitore». Inoltre cesu è sicuramente un participio passato e non un indicativo presente plurale. Clavtieϑurasi è un dativo sigmatico di comodo oppure di appartenenza e nient'affatto un locativo.

Il Facchetti cita di continuo l'etruscologo Luciano Agostiniani, che evidentemente considera il suo "Maestro" e del quale accetta tutte le tesi ad occhi chiusi, compresa la strana interpretazione e traduzione della formula mlaχ mlakas «buono per cosa buona, «cosa buona per un buono» (I opera pg. 144; II pg. 73). Su questa formula invece esiste ormai da tempo una consolidata comunis opinio (ad esempio di A. Trombetti, C. Battisti, M. Runes, K. Olzscha, F. Slotty, M. Pallottino), secondo cui essa in realtà è una "formula di offerta". Il Pallottino negli «Studi Etruschi» (1931, 1996) ha scritto ripetutamente e testualmente: «Il concetto di donazione ex voto (MLAX) nell'ambito funerario è ormai acquisito con certezza». In effetti la formula propriamente significa «sciogliendo un voto» e già il valente etruscologo A. J. Pfiffig l'aveva confrontata con quelle lat. donum donans, votum vovens, votum solvens (con l'accusativo dell'oggetto interno come nella formula etrusca). Da parte mia quindici anni fa ero intervenuto con uno scritto per dimostrare che questo significato si adatta alla perfezione in tutti i numerosi casi in cui compare la formula, intera o a membri disgiunti, mentre il significato di «buono per cosa buona» si adatta soltanto in pochi casi, invece non si adatta per nulla in numerosi altri (M. Pittau, Tabula Cortonensis – Lamine di Pirgi e altri testi etruschi tradotti e commentati, Sassari 2000, capo 8).

Anche il Facchetti ha abboccato appieno alla “favola” di quello che sarebbe un caso morfologico nuovo della lingua etrusca, chiamato dal suo inventore “pertinentivo”. Ma si tratta di un caso morfologico per il quale costui ha presentato rarissimi e incertissimi esempi, dispersi ampiamente nel tempo e nello spazio e soprattutto non caratterizzati da morfemi chiari e distinti. Con la sua nuova trovata l'inventore da una parte ha voluto attribuire al “pertinentivo” complementi morfosintattici che si inquadravano alla perfezione già nell'ablativo, dall'altra ha voluto eliminare del tutto il caso dativo. Questo invece esiste realmente, caratterizzato dai morfemi -i come dativo asigmatico e -si come dativo sigmatico: dativo asigmatico: Aritimi (Aritim-i) «a/per Artemide», śpureri (śpur-er-i) «alle/per le città»; dativo sigmatico Avilesi (Avile-si) «a/da/per Aulo»; apasi (apa-si) «al/del padre» (in dativo di appartenenza); Atranesi (Atrane-si) «(fabbricato) da Atrano» (in dativo di agente); asigmatico e sigmatico: Aχlei Truiesi (Aχle-i Truie-si) «a/per Achille Troiano» (il Facchetti invece ha tradotto «nell'Achille di Troia»!).

Ne è derivata tutta una grande confusione, quella che risulta documentata anche dallo schema della “declinazione etrusca” presentata dal Facchetti nelle pagine 11-12 e spiegata nelle seguenti: non se ne capisce nulla!

Esempi: a pagina 13 il Facchetti scrive di aver individuato per la prima volta la costruzione del "doppio locativo", col possibile significato di "tra ... e ...". 
A pagina 15 egli scrive: «Il pertinentivo è, in realtà, un esempio del carattere agglutinante dell'etrusco: si tratta, morfologicamente parlando, del "locativo del genitivo"! Ma di grazia – chiedo io - cosa significano mai "doppio locativo" e "locativo del genitivo"? Queste due non sono altro che frasi prive di senso!

Più avanti egli scrive: «Etr. Avile-s-i significa letteralmente "in (quello) di Avile", "nell(àmbito) di Avile"; dunque una frase come mi mulu Avilesi ("io (sono) donato nell'(àmbito) di Avile" va disambiguata dal contesto linguistico e materiale. Perché Avilesi può indicare, per esempio, sia il donante che il donatario». Ma – obietto io – come è pensabile che gli Etruschi parlassero in codesto modo del tutto ambiguo? Forse che essi non facevano altro che esprimersi con frasi sibilline, cioè aventi più significati anche contrastanti? In realtà quella che certamente era una ambiguità propriamente linguistica, sul piano del contesto “fattuale” o linguistico-pragmatico era invece del tutto chiara: si vedeva o si sapeva dai fatti se Avile era il donatore oppure il donatario dell'oggetto donato.
Anche il Facchetti cade nell'errore di enfatizzare troppo il fenomeno della agglutinazione esistente nella lingua etrusca, dato che fenomeni di agglutinazione, anche se sporadici, si constatano pure in molte altre lingue, ad esempio pure nell'italiano: andiamocene! (and-iamo-ce-ne!); vàttene! (va-tte-ne!), diciamocelo! (dic-iamo-ce-lo!), diteglielo! (di-te-glie-lo!); infischiandocene (infischia-ndo-ce-ne); prendendocele (prende-ndo-ce-le).

In ogni modo Avilesi non è affatto un esempio di agglutinazione, ma è solamente un prenome in dativo sigmatico, Avile-si, da intendersi o come dativo di attribuzione «a/per Aulo» oppure come dativo d'agente «da Aulo».
Dietro il fenomeno enfatizzato dell'agglutinazione, esistente – in forma assai ridotta – pure nella lingua etrusca, i suoi fanatici – compreso il Facchetti - procedono a dividere e separare i lessemi come se fossero altrettanti salamini da affettare, con risultati finali non solo privi di valore scientifico, ma francamente umoristici. E sorvolo sul larghissimo uso che il Facchetti fa dell'asterisco per indicare fatti linguistici ipotizzati ma non documentati: così procedendo egli fonda le sue argomentazioni su ipotesi di ipotesi di ipotesi...

Potrei continuare a lungo, ma preferisco chiudere con una considerazione generale, che però non rivolgo solamente al Facchetti: si deve evitare con grande cura di cadere nell'errore di ritenere che il materiale documentario della lingua etrusca conservatoci abbia il carattere e il pregio della piena e assoluta esattezza e genuinità, errore madornale per cui si ritiene di poter procedere alla analisi totale e minuta del corpus etrusco con tutta sicurezza, come se si trattasse delle formule numeriche che risultano, ad esempio, nelle tavole della trigonometria o dei logaritmi. 
E invece non è affatto così: il corpus linguistico etrusco oscilla nell'ampio ambito di ben otto secoli, nell'ambito di uno spazio immenso, che va da Pontecagnano a Capua, a Caere, Chiusi, Cortona, Bologna sino a Spina, Adria e Feltre, da Piacenza a Genova, a Marsiglia, in Corsica, in Sardegna e perfino a Cartagine. 
Inoltre è del tutto certo che esso è stato scritto da numerosissimi scribi, alcuni certamente forniti di sufficiente capacità di linguaggio e di cultura, altri invece dotati di scarse conoscenze di lingua e di ortografia, tanto che non poche iscrizioni mostrano evidenti segni di errori di lingua e di scrittura. Infine è un fatto, un fatto ovviamente deprecato, che moltissime iscrizioni etrusche hanno subìto, per l'ingiuria del tempo e degli eventi, numerosi e gravi danni che ne hanno pregiudicato gravemente e per sempre la lettura, la traduzione e la semplice interpretazione. Si deve infine evitare con cura di trarre conclusioni morfologiche e semantiche dai numerosi vocaboli documentati una sola volta che incontriamo nel corpus (gli hapax legómena), perché anche questi possono essere il frutto di errori di scrittura e di lingua.

Per tutte queste ragioni negative, singole o collettive, le analisi minutissime e puntuali che troppi cultori della lingua etrusca fanno nei loro scritti sono del tutto aleatorie e spesso del tutto campate in aria. Questa mia considerazione generale non costituisce affatto il suono della campana a morte per lo studio della lingua etrusca, ma costituisce solamente un invito ad essere molto più prudenti nelle nostre analisi, interpretazioni e traduzioni.

Massimo Pittau