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domenica 27 aprile 2014

I verbi servili (o modali)



- funzionano normalmente come verbi ausiliari.
Come le copule i verbi servili sono una classe ristretta e piccola
La loro caratteristica sintattica più importante è l'espansione ad infinito puro, quindi la proprietà di precedere immediatamente il verbo all'infinito. In unione con l'infinito di un altro verbo modificano il loro significato.
I verbi servili sono quelli che reggono l'infinito di un altro verbo, attribuendo all'azione una specifica modalità. I verbi servili esprimono p.e. desiderio, proposito, possibilità, permesso, capacità o necessità. In Italiano i verbi servili classici sono dovere, potere, volere più sapere (nel senso di 'essere capace', 'essere in grado di').

- Esempi:
necessità, obbligo:           Devo finire gli esercizi
possibilità:                          Posso venire alle 9
volontà:                              Voglio andarmene velocemente
capacità:                            So camminare senza di te.

Uso degli ausiliari.

Per quel che riguarda l'uso degli ausiliari con i verbi servili (o modali), si tratta di una questione un po' intricata, ma risolvibile nella prassi seguendo poche regole:


1) Se si sceglie l'ausiliare del verbo retto dal servile, non si sbaglia mai: es. "Ha dovuto mangiare" (come "ha mangiato"); "è dovuto partire" (come "è partito").


2) Se il verbo che segue il servile è intransitivo, si può usare sia "essere" che "avere": es. "è dovuto uscire" o "ha dovuto uscire".


3) Se l'infinito ha con sé un pronome atono (mi, si, ti, ci, vi) bisogna usare
-"essere" se il pronome è prima dell'infinito (es. "non si è voluto alzare"),
-"avere" se il pronome è dopo l'infinito (es. "non ha voluto alzarsi").


4) Se il servile è seguito dal verbo "essere", l'ausiliare sarà sempre "avere": es. "ha dovuto essere forte", "ha voluto essere il primo".

giovedì 4 aprile 2013

INGLESIANO, O ITANGLESE? NO, SOLO IGNORANZA ED INCULTURA



Se la moral suasion non è politically correct si rischia il misunderstanding

Di Claudia Mura, giornalista. 

(in corsivo colorato:  mie aggiunte a questo garbato e spiritoso articolo)


Lungi da me l'idea di abbracciare la bandiera italianista e scatenare una guerra agli inglesismi presenti nel lessico quotidiano e, in particolare, in quello giornalistico. Sarebbe una battaglia persa. Ma un uso più moderato dell'idioma britannico aiuterebbe e contenere la sfrenata esterofilia linguistica che da qualche anno a questa parte sparge qua e là rumors, showdown, showcase e standing ovation a sproposito.

Odo un rumor - Usare il verbo estero quando non esiste un corrispettivo italiano sarebbe la regola, ma oggi assistiamo a una continua e indebita (ma anche inebetita) ingerenza di inglesismi anche laddove l’italiano calzerebbe a pennello (un esempio? L’Italiano possiede l’appropriatissimo vocabolo ‘maremoto’, ma i giornalisti italiani hanno adottato dai colleghi inglesi il termine giapponese ‘tsunami’, che l’Inglese è costretto ad adottare non avendone uno proprio). Che dire delle standing ovation, perfettamente traducibili con ovazioni eventualmente da tributare in piedi con uno scrosciante applauso?  In realtà, l’Ovazione era un rito romano di trionfo (un trionfo minore, ma solenne, perché anch’esso decretato dal Senato) per un generale vittorioso, che entrava in città non su una biga dai cavalli bianchi (come nel trionfo maggiore) ma procedendo a piedi, indossando la toga praetexta (non la toga picta) e la ‘corona ovalis’ (di mirto, non d’alloro) tra le ali della folla inneggiante, il che implica che tutti fossero già necessariamente in piedi e che non ne sia mai esistita una versione in cui anche uno solo dei partecipanti potesse stare seduto. L’etimologia è sempre stata discussa, fino dall’antichità: non sappiamo con precisione se derivi dall’ovino sacrificato al termine della cerimonia, oppure dal grido di gioia delle baccanti (evoé) oppure anche dalle grida “O! O!” dei militari festanti . Oppure gli antipaticissimi rumors che forse non tutti sanno non essere rumori (qualche folle esegeta li ha così tradotti) ma voci, dicerie. Ecco l'italiano è talmente carico di sinonimi che a volte i surrogati esteri infastidiscono anziché no.

Reporters (corrispondenti). occhio alle frontiere - Fra le prime complici vittime del reato di italiese, ci sono i giornalisti. E se le redazioni sono ormai diventate newsroom, che possiamo fare contro la moral suasion? La persuasione è ormai fuori moda mentre appoggio e sostegno hanno dovuto soccombere di fronte al più smart endorsement. Ma qui si arriva all’aberrazione degli inglesismi italianizzati come la voce del verbo “endorsare”. Caso a parte meritevole di nota è il termine “insorgenti”: un vero assassinio dell’italiano. Trattasi di traduzione dall’inglese insurgent. Ma in italiano non si diceva “insorti” e “insurrezione”? Pregasi sfogliare un vecchio manuale di storia (E perché non un vocabolario d’Italiano? Scannerizzare è brutto e falso come schiavizzare, che hanno sostituito ‘fare una scansione’ oppure ‘asservire’ per colpa di giornalisti decerebrati, di ignoranti della lingua e di altri 'tipi misti', per dirla con Dalla).

Il bug idiomatico - Vada per i computer e tutto il corredo informatico di (files e directories) hardware, software (che sono comunque materiali e programmi), mouse e internet provider o upgrade (che pure sono sistemi e aggiornamenti). La realtà virtuale è dominata da brevetti anglosassoni e parlare di calcolatori farebbe sembrare il discorso antidiluviano. Senza contare che alcuni termini sono forse intraducibili o interpretabili con sforzi e rischi di incomprensioni. Ma anche l’informatichese sconfina facendo danni ovunque. Qualche giorno fa un giornalista di La7 ha parlato di “riti di inizializzazione”, e non si è trattato di una svista perché la follia è stata ripetuta per due volte nel servizio televisivo.

Inglesismi +773% (solo sullo scritto) - Dal 2000 ad oggi, l'uso di termini inglesi nella lingua italiana scritta (orale non pervenuta) è aumentato del 773%. L'indagine è stata condotta da AgostiniAssociati.it, società italiana attiva nel settore della traduzione, su un campione di 58 milioni di parole prodotte da aziende italiane.

Ti devo briffare prima del meeting - Ed è soprattutto nelle aziende, dove è di casa il business, i meeting e i briefing, che il fenomeno raggiunge livelli esilaranti. “Fammi questo benchmark asap (as soon as possible: al più presto) perché abbiamo una deadline molto challenge”. L’aziendalese più spinto lascia all’italiano giusto le preposizioni, ma in questo mondo semianglofono “se non sei skillato e performante, sei fuori target”. Prendete un termine semplice come “consegna”. Non è più trendy “delivery”? Ma il salto mortale carpiato idiomatico si raggiunge col verbo “deliverare”. Di che fare rivoltare nella tomba Dante, Manzoni e Grazia Deledda. Io mi limito ad agitarmi sulla sedia.

Vorrei informare la gentile signora che a rivoltarsi nelle proprie tombe sono molti di più di quelli che ella cita: anche numerosissimi personaggi che non appartennero mai alla Letteratura: innumerevoli personaggi noti e meno noti, che vedono sminuite, travisate ed ignorate le loro acquisizioni e calpestati e trascurati i propri meriti e lasciti alla nostra attuale società e cultura (?). 
Il tutto è sacrificato al mondo dell’Informazione Superficiale, Incompetente o Malintesa e brucia troppo spesso consumandosi sugli altari della Pubblicità, divinità vorace come una Vongola (sì, Pasuco, proprio la famosa Vongola Vorace del Golfo, una divinità terribile e famelica, cui si diffonde nell’aere quotidianamente il profumo (o il lezzo) di un’involontaria offerta d’Ignoranza Globale in Tivvù, sui quotidiani ed alle Radio).

Naturalmente, ciò avviene in Tempo Reale, non con il vero significato di questa espressione infelice (‘tempo reale’ = tempo lavorativo necessario per compiere un’opera, un lavoro: opposto a ‘tempo effettivo’, che è un periodo di tempo più lungo, perché include al tempo reale anche i tempi morti e cioè le pause pranzo, le interruzioni per feste o fine settimana, il tempo necessario all’arrivo dei materiali, etc), bensì con il significato che l’Incultura Imperante ha attribuito a questa espressione (tempo reale = ‘in diretta’, 'momento per momento', 'contemporaneamente', 'subito').

A rivoltarsi - signorina o signora Claudia Mura - è la Cultura, tutta, di fronte all’Incultura Proterva ed Imperante, i cui paladini divengono sempre più numerosi, pullulando come vermi ingordi nel loro fango grasso, sempre più rumorosi (diverso da 'rumor' e più affine a 'noise') .

martedì 24 luglio 2012


Caro Pasuco: le parole possono perdere il loro significato, se le usi troppo spesso, oppure se le usi a sproposito, oppure se usi parole che non conosci e non capisci. A quel punto non servono più a niente.

Intanto, ricordati che tu hai una lingua, la tua lingua: perché mai dovresti usare una lingua straniera, che conosci meno, per esprimere un’idea che magari nella tua lingua esisteva già, prima ancora che quella lingua nascesse?

[Esempio: “tzunami”. Significa “onda di porto”, in giapponese. Si riferisce al fatto che l’onda di maremoto fa più danni sulla costa che non in mare aperto. E’ diventato un termine d’uso comune perché in Inglese non c’è un termine per indicare il maremoto: così i giornalisti di lingua inglese hanno utilizzato il termine giapponese. Ma noi abbiamo un termine adattissimo].

Abbiamo molti termini che non usiamo più, a vantaggio di termini stranieri che spesso non sappiamo neppure pronunciare (o scrivere) [Esempio: “privacy”. La lingua Italiana possiede una vasta gamma d’espressioni adatte per tutte le occasioni e per tutte le sfumature di significato che ti occorrono:  riservatezza, segretezza, discrezione, segreto professionale, acqua in bocca]. Perché mai, allora, il termine privacy, inglese, compare persino nel testo di una legge nazionale italiana?

Spesso i termini stranieri sono usati nei comizi, oppure in dialoghi trasmessi per radio o per televisione: è quello, probabilmente, il momento in cui le spoglie di Cicerone si rivoltano nella propria tomba con maggiore vivacità. Perché? Ma è semplice: un termine straniero non risponde certamente alle esigenze di chiarezza d’ogni buon oratore. Tra l’altro, non è detto che tutti, nell’uditorio italiano, conoscano proprio quel vocabolo straniero. E spesso, infine, quel vocabolo straniero è pronunciato in modo “creativo” dall’oratore, il che lo rende del tutto incomprensibile, spesso anche a chi conosca bene quella lingua straniera. Specialmente l’Inglese è vittima di queste deformazioni, con la creazione del cosiddetto “Itanglese”.
[Esempio: molte parole d’uso comune nell’italiano d’oggi sono il risultato di questa modifica della pronuncia. Sono troppe, per elencarle tutte, ma mi limiterò a solamente alcuni. La parola Itanglese “Far West” deriva probabilmente dalla cattiva comprensione di “Wild West”.  “Flipper”, in Inglese significa “pinna dorsale”, non indica quello che credono gli Italiani, che in Inglese si chiama “pin ball”. La “mountain bike” (pron: mauntein baic) dovrebbe essere chiamata “rampichino” o bicicletta da montagna, piuttosto che con l’orrido, ma ormai abituale “montanbaic”].

Gli Italiani in genere non sanno che l’aggettivo – in Inglese – precede il sostantivo e che esiste la forma del “genitivo sassone”: quando parlano di “buoni pasto” evitano accuratamente l’italiano (che tutti comprenderebbero) ed usano spesso il terribile termine “ticket restaurant” (che non significa alcunché: al massimo potrebbe significare “ristorante a biglietti”), invece del corretto – ma ahimé sconosciuto – “restaurant voucher”. E’ proprio il caso di consigliare: “Ma parla come magni, va’!”.

Per non parlare dei modi di dire o delle sigle: quando “cade la linea” in italiano, “we were disconnected” in Inglese e “conosco i miei polli” non può affatto essere tradotto con “I know my chickens”. Tutti gli Italiani, quando mandano un “messaggino” telefonico, lo chiamano “SMS”: la sigla sta per “Short Message Service”. E’ evidente, invece, che ciò che si manda, attraverso il Servizio è solamente lo “Short Message” e non anche il Servizio. Dire “ti mando un SMS” equivale a dire “ti spedisco un Ufficio Postale”, invece che una lettera.

Ma noi siamo fatti così, caro Pasuco: conosciamo sempre di meno l’Italiano e lo usiamo sempre di meno. Lo stiamo trasformando in una lingua più brutta: “velocizzare”, invece di accelerare; “scannerizzare” invece di scansionare; “tempo reale” usato nel senso – molto errato – di “in diretta”, “in contemporanea” e via così, con strafalcioni sempre più insulsi e forme gergali rampanti ma incolte. Presto l’Inglese subirà quel processo che il Latino subì a suo tempo, quando venne accolto come lingua della cultura dominante in regioni lontane da Roma, dove non lo si capiva del tutto e lo si pronunciava in modo diverso. Così nacquero le lingue Neo-Latine. Oggi, stanno nascendo le lingue Neo-Inglesi: lo “Spanglish, il “Singlish” e – appunto – l’Itanglese.