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giovedì 25 aprile 2013

ANCORA e sempre ZONAFRANCASARDA IV











Se la Zona Franca
è solo uno slogan

La proposta della Giunta ha più contenuti di propaganda che del progetto - La
lettera all’Unione europea rispedita al mittente - Gli effetti negativi inoltre
sarebbero superiori ai possibili benefici





"Zona franca, zona franca"

Da settimane il dibattito politico isolano è attraversato da questa parola d’ordine che come un fiume carsico riemerge ogni tanto, per poi regolarmente tornare sottoterra, soprattutto dopo le elezioni. È successo anche questa volta, quando a febbraio la giunta Cappellacci, per guadagnare credibilità e spazio in quella fascia di elettorato vicino a posizioni nazionalitarie e indipendentiste, e levare acqua dal mulino dei sardisti, ha prodotto due delibere con le quali si “attivava” la zona franca in tutta la Sardegna e se ne dava prontamente comunicazione all’Unione europea. Nei due documenti si ponevano le basi politiche (su quelle giuridiche il discorso è più complesso...) per richiedere al Governo e all’Unione europea l’applicazione di norme che dovrebbero rendere meno drammatica la situazione dell’isola, rendendola nel suo complesso più competitiva. Le due delibere, del 7 e del 12 febbraio, nelle intenzioni dello stesso Cappellacci dovevano rappresentare il punto più alto di una battaglia per la difesa dell’autonomia che ha radici antiche e nobili e si richiama direttamente ai padri costituenti dello Statuto Sardo.
Obiettivo ambizioso, ma non raggiunto del tutto, anche per la genericità delle proposte, della insussistenza dei presupposti giuridici, per l’assenza di una azione concordata col governo, e infine per la confusione che un’idea forte, come quella della zona franca, ha ingenerato nei tanti gruppuscoli e movimenti nei quali si è divisa la società sarda, tutti pronti a cavalcare frasi a effetto soprattutto se prive di contenuti

- Zona franca fiscale o doganale? 
- Punti franchi o zona integrale? 

Come si integra e si armonizza questo sistema, una volta definito, con le norme statali e europee? La delibera di giunta prima ricorda la grave situazione dell’isola e poi ricorda sia il Trattato di Lisbona (sulla coesione e il superamento delle situazioni di arretratezza nell’Unione) che il nuovo codice doganale che entrerà in vigore il prossimo 24 giugno. Poi cita le ragioni, storiche e geografiche, per un regime speciale per l’isola, lo Statuto, e il
pronunciamento di 240 consigli comunali che si sono pronunciati per la “zona franca”. 
Forte di questi pareri e di alcune norme costituzionali e comunitarie, interpretate in chiave estensiva, la Giunta regionale il 12 febbraio dà mandato al presidente Cappellacci di “comunicare alle autorità europee e a quelle doganali nazionali e regionali la volontà popolare di rendere immediatamente operative sul territorio le prerogative riferite ad alcuni regolamenti e di individuare nel perimetro dell’isola e delle isole minori... il territorio extradoganale dell’Italia”.


Tutto risolto? 

Neppure per sogno; a seguito di questa delibera, accolta dai tifosi della zona franca come una dichiarazione di indipendenza, sono sorti comitati, gruppi, associazioni convinte che bastassero poche parole per risolvere un problema complesso. La Giunta però è andata anche oltre: ha scritto all’Unione europea, ai primi di marzo, al commissario europeo per la Fiscalità, Semeta, per chiedere una modifica del nuovo codice doganale comunitario, e agli enti petroliferi per comunicare i contenuti delle delibere. Passano pochi giorni e arriva dall’Unione la risposta, non come Cappellacci e il suo esecutivo si aspettavano: Caro Presidente, non possiamo trattare queste richieste che provengono da una Regione; deve essere lo Stato a comunicarcelo... per le zone franche queste possono essere attuate dagli Stati in autonomia; al massimo devono comunicarcelo. Livigno e Campione d’Italia non sono zone franche, e non fanno parte del territorio doganale dell’Unione”.

Una risposta che ha a sua volta creato dibattiti e polemiche e dopo la quale è calato un provvidenziale silenzio da parte della Regione. Nel frattempo il mondo imprenditoriale sardo si è espresso praticamente all’unanimità contro questa rabberciata ipotesi di zona franca: l’unico risultato che se ne ricaverebbe infatti sarebbe una ulteriore riduzione della quota Iva che lo Stato gira alla Sardegna, senza alcuna vantaggio né in termini fiscali né doganali. 

Inoltre, secondo gli esperti, le zone franche hanno senso in un’area limitata solo se le produzioni interne fossero ad alto valore aggiunto e la capacità di esportazione dei prodotti lavorati fosse alta: a quel punto l’ulteriore abbattimento di costi a monte
favorirebbe sempre più l’interscambio. Ma per avere uno straccio di idea sulla zona franca bisognerebbe risolvere l’equivoco se questa debba essere doganale o fiscale, se totale o parziale. Aspetti su cui i tecnici si sono esercitati in mille studi e comparazioni con l’attuale sistema economico sardo, arrivando alla conclusione che adesso una zona franca per l’isola creerebbe più problemi di quelli che secondo i promotori dovrebbe risolvere.
In ogni caso l’ambito normativo su cui agire, lo Statuto e le leggi nazionali, prevedono un percorso definito, con eventuale “istituzione di punti franchi secondo le norme nazionali e comunitarie in materia doganale”.

Ma quello che nel 1948 era una carta utile per vedere uno sviluppo possibile oggi è stata ampiamente superata dalle decisioni che negli anni sono state assunte da altre Regioni, come la Val d’Aosta (zona franca fuori dalla linea doganale), Gorizia (agevolazioni doganali e fiscali, un diritto speciale per una serie di beni e regimi agevolativi per le imprese), Livigno (disciplina speciale sin dal 1910 e con Campione d’Italia esenzioni speciali in materia doganale e fiscale e daziaria, riconosciute dall’Ue perché talmente limitate per il territorio interessato da non creare distorsioni artificiali nel territorio dell’Unione) e Trieste (porto franco doganale totale).

Visti i casi nazionali, l’applicazione della zona franca integrale alla Sardegna rappresenta un boccone troppo grande da digerire per il nostro paese. Si potrebbe al massimo ragionare sulla zona franca al porto di Cagliari, principale porta d’accesso alle merci dell’isola, e agli altri scali di Oristano, Porto Torres, Olbia, Portovesme e Arbatax, ma se non ci sono interventi di carattere fiscale la zona franca doganale “portuale”, se vogliamo chiamarla così, da sola non è utile.

Tutti questi ragionamenti portano alla conclusione che non è con slogan estemporanei che si può proporre un pacchetto di iniziative utili per l’isola. 
Le leggi, come hanno ricordato in Consiglio regionale diversi esponenti politici di entrambi gli schieramenti, già adesso consentono l’avvio di un percorso virtuoso per realizzare in Sardegna un sistema fiscale e produttivo agevolato. Ma per farlo bisogna valutare tutti i pro e i contro, capire cosa ci si guadagna e cosa ci si perde, individuare i punti di forza propri e quelli di debolezza degli interlocutori. 
Insomma compiere un lavoro serio e articolato che al termine veda un confronto serrato con Stato e Ue sul futuro dell’isola. A detta di molti osservatori, la Sardegna e le sue istituzioni non sono ancora arrivati a questo punto. Ma non è detto che un domani non possano passare dagli slogan alle proposte. Sarebbe il miglior regalo che si possa fare ai giovani e il modo migliore di onorare la memoria dei politici sardi che nel 1948, con un dialogo costruttivo con lo Stato, scrissero uno Statuto ricco di idealità e di speranze. Forse quel testo era meno ricco di strumenti e leve finanziarie, ma questa, chiaramente, è un’altra storia.

Un articolo di
Giuseppe Centore
per il MessaggeroSardoOnLine - 13 Aprile


"Pronto, UE? Guardi che ci serve la ZONA con una certa urgenza!"

martedì 23 aprile 2013

ZONAFRANCASARDA III



C'è da dire che esiste anche un punto di vista ottimista (forse anche un po' troppo, per i gusti di chi scrive), che riconosce tutte le soluzioni dei problemi economici nell'istituzione della Zona Franca in Sardegna:

http://zonafrancasardegna.wordpress.com/

Il sito suddetto, con una grafica accattivante:

- Riporta che il 78% dei paesi sardi è attualmente in fase di spopolamento, perché addirittura 30 giovani al giorno lasciano la Sardegna per cercare lavoro altrove. (Non conosco con precisione il dato numerico, ma temo che il dato sia reale).

- Infatti, chiarisce subito che i Sardi emigrati sarebbero ormai più numerosi di quelli residenti nell'isola. (Non si stenta a crederlo, visto che i Sardi sull'isola sono poco più di 1.600.000).

- Riferisce che sarebbero 150.000 i posti di lavoro creati dall'istituzione di porti franche a Tangeri e Port Said (peccato, però, che la Sardegna si trovi nel Mediterraneo Occidentale, immersa in un mare economico molto differente e costellata di competitori molto più accaniti).

- Ricorda che i pernottamenti alle Canarie nel 2011 sono stati 70.000.000, mentre sono stati solo 4.000.000 invece, in Sardegna, che è una superficie almeno 3 volte più grande  (e certamente presenta molti più numerosi e vari punti d'interesse: ecco, questo è un fatto veramente poco comprensibile, per me, anche se sono più che certo che l'inconveniente dell'enorme costo dei trasporti frena il turismo sardo da parte delle famiglie Italiane, ad esempio).

- Infine, dichiara che il 63% del PIL Cinese è stato prodotto solo dalle sue quindici zone franche. (Qui ci troviamo in un'area economicamente, geograficamente ed antropologicamente diversissima dall'Europa e dall'Italia, per cui vigono leggi sociali, meccanismi economici ed equilibri molto distanti dai nostri).

Ma forse la notizia più 'interessante che il sito offre è quella per cui, malgrado l'indifferenza, le critiche e lo scetticismo tuttora imperanti, sembra proprio che tutti i Comuni sardi si stiano impegnando a considerare seriamente la questione della "Zona Franca Sarda", deliberando in merito e premunendosi...

Non si sa mai...

E' un sito interessante, che almeno mostra interesse ed un comportamento attivo e volitivo verso i problemi e non langue nella passività e nello scoramento tanto diffusi in Sardegna. E un po' di ottimismo non guasta mai, nella ricetta della speranza di un domani migliore.

lunedì 22 aprile 2013

ITE CHERET NARRERE 'ZONA FRANCA' ?


Da un articolo del Manifesto Sardo, 16 Aprile 2013 

testo di Natalino Piras  (miei il grassetto ed il corsivo ed alcune spaziature)
A tratti, la questione “Sardegna Zona Franca” riproposta in italiano e in sardo da Ugo Cappellacci, sembra una nuova legge delle Chiudende. Una anomalia di non poco, come altri rileva, che il Presidente della Regione violi il protocollo andando a chiedere l’ottenimento della franchigia doganale alla Comunità europea. Quando invece, per norma, è al governo di Roma che bisogna chiedere. Che però, con questa mossa elettoralistica, solo elettoralistica, viene scavalcato. Il risultato è il rinvio al mittente con un evidente “no” delle richieste di “Ugo il pasticcione” come viene definito. Solo pasticcione? La contraddizione in termini è che viene avanzata la questione “Sardegna Zona Franca” in termini deleteriamente indipendentistici, indicata come panacea per uscire dalla “crisi spaventosa”. Nel mentre che l’era Cappellacci ha fatto riprendere il saccheggio della costa e dell’interno della Sardegna: mica da parte dei presunti e possibili beneficiari della franchigia doganale, sos poveros, duecentomila posti di lavoro. Sta in questo la ripetizione delle Chiudende, il fatto che possibili beneficiari della “Zona Franca” potrebbero essere solo una ristretta minoranza a maggioranza meno di sardi, che dispone di capitale e mezzi, quelli che il poeta-profeta Francesco Masala definiva terramannesos. E noi asciuttos. Poveros imus e poveros restamus. Non ci può essere spendita di ricchezza se non si costruisce ricchezza, se non ci sono né risorse né mezzi. Sempre che la Zona Franca, considerati gli ingarbugli di Cappellacci, possa avere attuazione. Ite cheret narrere Zona Franca? Così attacca un volantino distribuito da cappellacciani  e indipendentisti in uno dei tour per città e paesi della Sardegna a promuovere l’idea. Altra metafora: sembra una resa parodica della marcia dell’Alternos Giovanni Maria Angioy da Cagliari a Sassari. Due secoli e più trascorsi senza capire che quella che non fu Rivoluzione non può essere usata a paradigma di Rivoluzione. Ite cheret narrerre? 

«La Zona Franca è uno “status giuridico” riconosciuto ai territori ultraperiferici, disagiati e a rischio spopolamento, con una situazione di sottosviluppo. Consiste nel diritto ad avere un regime fiscale di favore che con strumenti e forme di compensazione consente al territorio di mettersi alla pari con il resto della nazione. Il primo beneficio, stante art. 166 del Regolamento CEE, prevede la circolazione e la lavorazione delle merci, in regime di “sospensione” dai diritti doganali, di IVA, di ACCISE e “BUROCRAZIA ZERO”». 

Tutto sta a vedere chi attua e cosa e come. Per tornare alla contraddizione in termini: come si può parlare di “mettersi alla pari con la nazione” se certo indipendentismo non riconosce la nazione? Oltre le sottigliezze da dizionario politico-giuridico, stando così le cose, in questo frangente storico, potrebbe la Sardegna fare a meno della nazione Italia? Per troppo tempo si sono inseguiti modelli catalani o simili senza considerare due cose fondamentali: 

1) La Catalunya, ben prima ancora del Piemonte e persino delle multinazionali ha operato dominio in Sardegna

2) la lingua usata dai sardi, il lessico intendo, di tutto è impregnato tranne che di Catalunya. 

È questo stesso modello di pensiero, più che di azione, che influenza adesso la “Zona Franca”? Po esempiu: «I prodotti interessati, previsti dalla legge 623 del 1949,  sono: CARBURANTI, GAS, ENERGIA ELETTRICA, TABACCHI, MATERIALE ELETTRONICO ED INFORMATICO, ALCOLICI, o ZUCCHERO, CAFFÈ ETC…”  Come se noi fossimo in abbondanza di tutto questo. Avverte una bandella che “i benefici sono valutati dagli esperti nell’ordine del 35%”. A parte il cripticismo da percentuale, chi sono gli esperti? Quelli del modello Catalunya? Dae cando: «Dal 1948 col Trattato di Parigi, alla fine della “II guerra mondiale”. Nel 1957 col Trattato di Roma  nasceva la CEE che si impegnava a rispettare  quanto già stabilito a Parigi. Vogliamo la Zona Franca che ci spetta da 65 lunghissimi anni». Ma volere è potere? Altra domanda: Perdimus carchi cosa? «Tutte le agevolazioni operative previste ed eventuali interventi permangono anche in regime di zona franca perché la legislazione ha uniformato il diritto nel territorio. Lo Status di Zona Franca dà diritto all’accesso di aiuti nazionali e ed internazionali. Questo riconoscimento obbliga il governo centrale nazionale a rafforzare gli interventi con risorse proprie per la continuità territoriale, lo sviluppo economico e i servizi ai cittadini. La “ZONA FRANCA INTEGRALE EXTRA-DOGANALE” dà benefici per sempre a tutta l’Isola, al contrario delle “zone franche urbane” che scadono nel 2017 e sono limitate a singole zone escludendo le zone interne». Non si capisce se noi siamo area urbana o area periferica. Chie la sizidi? «La gestione è affidata ad organismi locali su indicazione della Regione Sarda e l’iniziativa privata risulta essere fondamentale”. Il richiamo alle Chiudende non è poi così fuori luogo. Non fosse che, a segnarne  il grottesco storico, dovrebbe essere la Regione Sarda a indicare. Dal 1948 a oggi abbiamo chiaro qual è stato il percorso Autonomistico della Regione Sarda. E Cappellacci non è un rivoluzionario.  I referenti di Zona Franca non sono “Serbia, Colombia, Cina, Turchia, Marocco, Irlanda, Cile, Brasile”. Ma, dovrebbe essere,  vedere in che maniera Cargeghe e Muros, Sassari e Casteddu, Nugoro e Aristanis possano essere insieme proprietà privata e cosa pubblica con elementi che tra di loro si battono per il bene pubblico. Zona Franca? Ma se il “Cagliari” calcio, simbolo unificante da un punto di vista sentimentale eppure proprietà privata che più non si può, non ha uno stadio regolamentare qui in Sardegna. La Storia, che lo si voglia o no, è sempre magistra, nelle sue ripetizioni, Quando è la Destra a comandare, a organizzare, non proviene ai governati mai niente di buono. La cosa è tanto più ovvia nella nostra secolare depressione, chiamatelo sottosviluppo, se volete.

Insomma, FRANCA non è ancora neppure nata ed è già abortita 

nelle intenzioni, nelle premesse, nei metodi e nelle previsioni.

Alla prossima puntata...

domenica 7 aprile 2013

Decreto legislativo 10 marzo 1998-N° 75





Caro Pasuco, amico mio, cosa vuoi che ti dica: è l'argomento del giorno. Non solo in Sardegna, a dire il vero! Ma per il momento sembra avere come solo risultato quello di scatenare attacchi politici tra i vari schieramenti e polemiche varie, di contenuto poco comprensibile, troppo astratto per gente come te e me.
Non lo scrivo certo per lamentarmi: vorrei anzi che ne scaturisse qualche cosa di buono, finalmente, per una regione che è stata maltrattata, sfruttata, ignorata e mortificata troppo spesso e troppo a lungo. 

Vorrei però potere leggere al riguardo qualche serena e competente disamina, volta a spiegare a me e a te - che di cose economiche non comprendiamo alcunché - di che cosa si tratti realmente e quali risultati pratici la Zona Franca possa implicare per la gente comune, in quanto tempo; che spese siano necessarie e quali altri sacrifici si dovranno affrontare eventualmente (perché mai nulla cade sulle nostre teste come un tocco di bacchetta magica!).
C'è addirittura chi si chiede se vi sia - oppure no - qualche cosa di vero...
D'altronde, il Decreto Legislativo risale al 10 Marzo 1998, or sono 15 anni.



LA NUOVA SARDEGNA, 14 MARZO 2013

articolo
di Umberto Aime

CAGLIARI. Extradoganale no, «oggi è impraticabile», sì ai porti franchi e alle agevolazioni fiscali per le imprese in tutta l’isola. È questo il primo parere che arriva da Bruxelles sul caso Sardegna, con l’europarlamentare Giommaria Uggias dell’Idv.
Perché non extradoganale?
«La recente richiesta della giunta Cappellacci di modificare il prossimo codice europeo doganale ed equiparare la Sardegna allo status di Campione d’Italia e Livigno non mi pare attuabile. Le aree extradoganali sono già individuate stato per stato e non vedo la possibilità di deroghe».
Dunque, esiste il rischio che l’Europa risponda no.
«Credo che bisogna uscire dal clima di contrapposizione che in molti continuano ad alimentare, per passare alle proposte concrete e praticabili».
Quali?
«Partiamo dall’articolo 155 del nuovo codice europeo che prevede la possibilità per gli Stati membri di destinare alcune parti del territorio doganale della Comunità a zona franca con punti d’entrata e uscita».
La Sardegna può essere il territorio prescelto?
«Certamente. È un’isola: da sempre i suoi confini sono netti e il futuro codice europeo doganale impone che le zone franche siano intercluse, cioè delimitate».
Ancor più nello specifico.
«Cominciamo dai sei porti franchi isolani previsti e ribaditi dal decreto legislativo del 1998. Nelle zone delimitate di Cagliari, Olbia, Porto Torres, Oristano, Portovesme e Arbatax, ma anche nelle aree industriali collegate o collegabili, possiamo avere in tempi brevi i benefici previsti dal codice europeo doganale a favore della produzione e delle esportazioni».
Solo?
«Un’altra proposta fattibile è una zona franca estesa a tutta l’isola che preveda diverse agevolazioni d’imposta, come la non tassazione degli utili d’impresa seppure fino a un certo limite, l’esonero delle tasse professionali di competenza degli enti locali, l’esenzione degli oneri sociali a carico degli imprenditori e aiuti alle imprese in difficoltà».
Anche questo è un modello che guarda alla produzione, niente per il consumo?
«Non escludo che all’interno di una trattativa fra l’Europa, lo Stato italiano e la Regione possiamo ottenere benefici diretti anche per i consumatori. Ma è sullo sviluppo delle imprese che dobbiamo puntare con decisione, il prezzo della benzina o del cioccolato è un corollario. Ripeto, la Sardegna ha bisogno di un benessere diffuso attraverso il lavoro».
Ma la giunta Cappellacci finora si è mossa bene o male in questa vertenza?
«Partiamo dalle due condizioni essenziali per dare un senso logico a questa vertenza».
La prima.
«Che ci sia la volontà da parte di tutti i livelli istituzionali, compreso quello nazionale, di farsi carico dell’istanza della Sardegna anche per quanto riguarda la dotazione finanziaria. La Francia l’ha fatto nel 1996 e per cinque anni, con la zona franca della Corsica e non a costo zero, ma con uno stanziamento di 450 milioni. E va detto che, a suo tempo, dall’Europa non ci furono divieti al progetto francese».
La seconda condizione.
«Che la richiesta della Sardegna sia preceduta da una rigorosa analisi costi-benefici, destinata a far luce, ad esempio, su come sarà compensato il minore gettito dell’Iva e delle esenzioni sui beni franchi. Mentre oggi non c’è ancora nessuna indicazione ma solo accademia».
Vuol dire che manca uno studio di fattibilità?
«Esatto. Finora nessuno ha quantificato i benefici assoluti che potrebbero arrivare con le zone franche e neanche quali potrebbero essere i vantaggi e gli svantaggi per i territori circostanti. In altre parole, quali saranno gli effetti di una zona franca sulle aree interne. Basta pensare alla Sardegna come una ciambella: semmai ricca sulle coste ma sempre più vuota e povera a l centro».

A chi affidare lo studio?
«Penso al Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro, o al suo equivalente regionale, il Crel. È una consulenza necessaria: va fatta prima e poi allegata alla richiesta».
I tempi però così rischiano di allungarsi.
«Non credo. Se i passi saranno giusti, il confronto con l’Europa andrà a buon fine. Mentre sono preoccupato da chi oggi sostiene di volere la zona franca con le buone o con le cattive. Questa sì che è demagogia».


REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA

ARZACHENA, 3 APRILE 2013 - "Un accordo finalizzato a coniugare le coste con quella valorizzazione delle zone interne che può contribuire a diversificare l'offerta e allungare la stagione turistica". Così il presidente della Regione Ugo Cappellacci ha sintetizzato l'intesa siglata stamane ad Arzachena con il sindaco Alberto Ragnedda per il "Turismo blu". "É un percorso - ha aggiunto il presidente - che non nasce da scelte calate dall’alto, ma dalla volontà del territorio e di un comunità che intendono sprigionare le proprie potenzialità. Il punto di partenza é rappresentato da quel patrimonio ambientale, paesaggistico e culturale che é il vero elemento di varietà e specialità, idoneo a rendere ancora più competitivo il sistema. Andiamo nella direzione - ha evidenziato Cappellacci - di uno sviluppo sostenibile, che consenta alla nostra isola di voltare pagina. Lavoriamo - ha concluso il presidente - per far ripartire un propulsore della nostra economia: un asset strategico che deve continuare ad essere un caso di eccellenza sul fronte internazionale".




(ANSA) - CAGLIARI, 5 APR - Il ministro dell'Economia Vittorio Grilli ha firmato, dopo il collega dello Sviluppo economico Corrado Passera, il decreto attuativo della istituzione della Zona Urbana di esenzione fiscale nei 23 Comuni del Sulcis Iglesiente, nell'ambito del Piano Sulcis. Lo annuncia il deputato sardo del Pd Francesco Sanna. Il decreto ora andra' alla registrazione della Corte dei conti. Secondo l'esponente democratico occorre l'impiego di almeno 100 milioni di euro.



DOMENICA, 7 APRILE. SASSARI NEWS:


PORTO TORRES. La Regione Sardegna ha valutato positivamente la proposta di perimetrazione della zona franca doganale nello scalo di Porto Torres, proposta scaturita dal confronto avviato nelle scorse settimane dall’amministrazione comunale turritana con la Provincia di Sassari, l’Autorità portuale del Nord Sardegna, la Capitaneria di Porto e il Consorzio industriale provinciale di Sassari.
La perimetrazione è stata illustrata questa mattina nella sede della Regione Sardegna. «È un passo importante verso l’istituzione della zona franca doganale nel porto, uno strumento che può diventare un’occasione di rilancio per il nostro scalo, per il nostro sito produttivo e per le imprese del territorio», sottolinea il sindaco Beniamino Scarpa. «Il tavolo di lavoro sulla zona franca doganale attivato dall’amministrazione comunale si riunirà nei prossimi giorni per definire i dettagli tecnici del progetto secondo gli adempimenti richiesti dalla Regione, relativi alla viabilità, alla gestione e alla logistica. La proposta, una volta completata, dovrà poi essere portata all’attenzione del Governo nazionale», aggiunge il sindaco. Alla riunione di stamani era presente l’assessore ai Lavori Pubblici, Angelo Acaccia. «Il percorso condiviso sta dando i suoi frutti – afferma l’assessore – ed è fondamentale che tutti i soggetti coinvolti diano il proprio contributo per far riacquistare alla nostra città la centralità economica del passato». L’area individuata, denominata “Centro intermodale”, insiste all’interno del sito industriale e ha un’estensione di quattordici ettari. Ricomprende al suo interno un capannone di circa duemila metri quadri. L’area adiacente, vasta circa quaranta ettari, potrebbe essere utilizzata per la movimentazione e per la lavorazione delle merci, poiché è in possesso dei requisiti urbanistici per tali attività. Nella proposta di perimetrazione è stato inserito anche il pontile solidi del porto industriale, oggi inutilizzato. «Il regime di fiscalità agevolata per le merci può attrarre gli investimenti, favorire la nascita di nuove imprese e sostenere le imprese già in loco, diventando un ottimo strumento per lo sviluppo del nostro territorio. Auspico – conclude il sindaco Scarpa – che il percorso attivato possa consentire di far pervenire in breve tempo la proposta di istituzione del punto franco doganale sul tavolo del Presidente del Consiglio dei Ministri».


http://www.sardegnaeliberta.it/?p=4680
...Omissis...


3. Le zone franche in Sardegna: stato di attuazione e possibili sviluppi


La panoramica della disciplina delle zone franche doganali operanti in Italia (sulla base di specifiche deroghe) fa emergere con chiarezza: 1) la ripetuta strategia dei governi italiani di non concedere mai alla Sardegna la normativa fiscale e daziaria di maggior vantaggio tra quelle invece ritenute attuabili e attuate nelle altre regioni (nel 1948, la contestuale diversità di trattamento con la Val d’Aosta è emblematica); 2) lo svantaggio derivante dalal previsione statutaria che colloca comunque la Sardegna entro la linea doganale dello Stato italiano; 3) i limiti e le ridotte potenzialità delle istituende zone franche sarde che dovranno operare nell’ambito delle restrittive disposizioni europee in materia di zone franche doganali (tipologia di controlli, quantità e tipologia di operazione che possono essere svolte ecc); potenzialità fortemente ridimensionate, rispetto alla previsione statutaria, soprattutto a seguito dell’istituzione dell’area di libero scambio comunitaria, che ha ristretto l’applicazione delle agevolazioni agli scambi con i paesi extraeuropei;
Tutto questo non significa che non sia utile e opportuno rendere finalmente operative le zone franche in Sardegna.
Come detto, il D.lgs 10 marzo 1998, n. 75 contiene la Norma di Attuazione del citato articolo 12 dello Statuto Speciale della Sardegna. Il decreto legislativo prevede che possano essere istituite delle zone franche nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax e in altri porti ed aree industriali ad essi funzionalmente collegate o collegabili.
Il decreto legislativo prevede che l’istituzione delle zone franche avvenga secondo le diposizioni del codice doganale comunitario aggiornato nel 2008 con il Reg. CE 23 aprile 2008, n. 450/2008 che, come detto, rappresenta l’ambito normativo di riferimento.
La norma stabilisce, inoltre, che siano i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), su proposta della Regione, a delimitare le zone franche e a prevedere le disposizioni per l’operatività delle stesse.

3.1 La zona franca di Cagliari

Nel 2001 è stato approvato solo il DPCM che delimita e disciplina l’operatività della zona franca di Cagliari. L’approvazione di tale decreto è avvenuta su proposta della Regione Sardegna (deliberazione della Giunta del 25 luglio 2000 e del 27 febbraio 2001). La delimitazione della zona franca di Cagliari è quella prevista nell’allegato all’atto aggiuntivo siglato in data 13 febbraio 1997 dell’accordo di programma sottoscritto, l’ 8 agosto 1995, con il Ministero dei trasporti, e corrisponde sostanzialmente con l’area del porto industriale di Cagliari.
Il decreto individua per la gestione una società denominata “Zona franca di Cagliari – Società consortile SPA” (Cagliari free zone) costituita il 20 marzo del 2000 dall’Autorità portuale e il CASIC aventi ognuno una partecipazione pari al 50% del capitale sociale, mentre l’attività di controllo viene affidata alla direzione della circoscrizione doganale di Cagliari.
Nelle zone franca è autorizzata qualsiasi attività di natura industriale o commerciale e di prestazione di servizi nel rispetto del quadro normativo definito dal codice doganale comunitario e dalle relative norme di attuazione.
La Giunta regionale con la delibera n. 32/9 del 25/7/2000 aveva disposto che la Regione, per il tramite dell’assessorato dell’Industria, partecipasse direttamente all’azionariato della società di gestione della zona franca acquisendo la percentuale del 30% del capitale sociale.
L’operatività della zona franca è infine rimessa all’approvazione di un Piano operativo secondo la seguente procedura:
1. predisposizione da parte del soggetto gestore (60 gg entrata in vigore)
2. parere con eventuali osservazioni da parte dell’Autorità doganale di Cagliari (60 gg)
3. trasmissione all’Assessore competente per approvazione in Giunta
Il DPCM prevede che la Regione determini gli indirizzi generali per l’attività del soggetto gestore.
Al momento non risulta approvato il Piano di gestione della Zona franca di Cagliari.
Il Comitato portuale ha approvato nel 2009 il nuovo statuto prevedendo l’ingresso di nuovi soggetti nella compagine sociale (26% Autorità portuale, CACIP e Regione; 10% Provincia e Comune di Cagliari; 2% Camera di Commercio di Cagliari).

3.2 La delimitazione delle zone franche di Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax

La Giunta regionale, ai fini dell’adozione dei previsti DPCM necessari a garantire l’operatività delle zone franche, deve formulare la proposta di delimitazione delle altre zone franche individuate dall’articolo 1 della norma di attuazione.
La delimitazione delle zone franche può ricomprendere altri porti ma anche le aree industriali funzionalmente collegate o collegabili ai porti di Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax.
A tale proposito va valutata la possibilità di perimetrare le zone franche secondo un criterio che consenta di ricomprendere oltre i porti anche le zone industriali interne (ricomprese per esempio nel raggio di 120 chilometri dai porti stessi) che consenta di adottare un modello di zona franca non interclusa.

3.3 I vantaggi della zona franca doganale

I principali benefici, a legislazione vigente, delle zone franche doganali possono ricondursi a:
- le merci provenienti da un paese extra-comunitario godono di un’esenzione totale dai dazi e sono considerate ai fini dell’applicazione del dazio di importazione come merci non situate nel territorio doganale dell’Unione europea a condizione che vengano riesportate in paesi extra UE;
- la riscossione dei dazi doganali viene differita di 180 giorni dal momento in cui la merce lascia la zona franca per entrare in un altro paese dell’Unione europea;
- la merce può essere sottoposta a limitate operazioni di manipolazione/trasformazione che ne modificano la specie o lo stato (prodotti trasformati) che poi possono essere immessi in libera pratica.

4. Attuazione di una fiscalità di vantaggio in Sardegna


La creazione della zona franca doganale rappresenta, sulla base delle argomentazioni portate avanti finora, un’opportunità di sviluppo per la Sardegna, ma se non viene accompagnata con l’introduzione di agevolazioni di tipo fiscale non è sufficiente ad imprimere una svolta nello sviluppo economico e sociale in Sardegna. Sono infatti le condizioni fiscali e finanziarie di vantaggio che possono creare reali condizioni di favore per attrarre gli investimenti nell’isola e quindi favorire la nascita di nuove imprese, nonché sostenere le imprese già localizzate;
Esse rappresentano, insieme alla dotazione infrastrutturale e all’efficienza dei servizi pubblici (e della Pubblica Amministrazione), alcune delle principali condizioni che rendono “attraente” un determinato territorio per le imprese.
E’ evidente che il percorso che può portare alla definizione di un pacchetto agevolativo finalizzato al riconoscimento di una fiscalità di vantaggio per la Sardegna va negoziato con lo Stato il quale deve farsi parte attiva affinché l’Unione Europea autorizzi tale regime fiscale speciale.
La Sardegna possiede sia da un punto di vista normativo (norme e orientamenti giurisprudenziali) che delle condizioni oggettive richieste, i presupposti affinchè la Commissione possa prendere in considerazione l’adozione di misure “in deroga” a favore dell’isola.
Il primo argomento “oggettivo” forte è legato all’insularità: l’Unione europea deve riconoscere nei vincoli legati allo svantaggio naturale, geografico e permanente quelle condizioni di disagio che hanno portato alla concessione di fiscalità agevolate, in deroga alla normativa sugli aiuti di Stato, ad altri territori europei.
Tra le Regioni che hanno beneficiato e tuttora beneficiano di agevolazioni finanziarie e fiscali “autorizzate” dall’unione europea c’è la Regione di Madeira che può godere di un regime speciale previsto dall’articolo 349 del Trattato di Lisbona.
La Sardegna, invece, può fare riferimento all’articolo 174 del Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1° dicembre 2009, che declina per la prima volta il concetto di coesione inserendo l’aspetto territoriale (oltreché economico e sociale) e facendo un esplicito riferimento al fatto che “un’attenzione particolare è rivolta … alle regioni insulari”. Ciò significa che nella definizione delle politiche tese allo sviluppo regionale, l’Unione europea non può prescindere da tale vincolo strutturale che incide sulle possibilità di sviluppo dell’isola creando una evidente disparità di opportunità tra la stessa e altri territori europei.
Sulla base di tale presupposto normativo, le disposizioni europee, soprattutto in materia di coesione e di concorrenza devono, ai sensi del citato articolo 174, prestare “un’attenzione particolare” alle regioni insulari prevedendo specifiche deroghe in tema di concorrenza e inserendo interventi concreti volti a compensare gli elementi di debolezza socio economica di tipo strutturale legati all’insularità ma anche a sfruttarne le potenzialità.
Tale orientamento è stato confermato anche dal Parlamento europeo che con la proposta di risoluzione del 15 settembre 2010 ha richiamato la Commissione europea all’adozione di una “strategia europea per lo sviluppo economico e sociale delle regioni montane, insulari e scarsamente popolate” finalizzata a compensare gli svantaggi di tali regioni.
Tale priorità è stata ulteriormente ribadita dallo stesso Parlamento con una “Dichiarazione scritta” nella quale ha insistito sulla necessità che vi sia “la presenza di riferimenti specifici ed espliciti alla sostenibilità insulare nei programmi quadro e nei testi politici dell’UE in linea con l’articolo 174 del TFUE”;
Un altro fattore che va nella direzione auspicata dalla nostra regione sul quale fare leva nella contrattazione con lo Stato e con l’Unione europea per l’ottenimento una fiscalità di vantaggio è la sentenza della Corte di giustizia del 6 settembre 2006 (cosiddetta Sentenza Azzorre). Tale sentenza rappresenta un precedente impostante sul fronte del riconoscimento alle autonomie territoriali che riguarda l’adeguamento del sistema fiscale nazionale portoghese alle specificità della Regione autonoma delle Azzorre in materia di riduzione delle aliquote dell’imposta sul reddito.
Tale sentenza dispone che un ente regionale o territoriale, nell’esercizio dei poteri sufficientemente autonomi rispetto al potere centrale, può stabilire un’aliquota fiscale inferiore a quella nazionale applicabile unicamente all’interno del territorio di sua competenza” e che “il contesto giuridico rilevante per valutare la selettività di una misura fiscale potrebbe limitarsi all’area geografica interessata dal provvedimento qualora l’ente territoriale, segnatamente in virtù del suo statuto e dei suoi poteri, ricopra un ruolo determinante nella definizione del contesto politico ed economico in cui operano le imprese”;
La Corte di giustizia, nella in questa sentenza, ha ritenuto che i poteri sufficientemente autonomi debbano fare riferimento a un’autorità regionale o territoriale dotata sul piano costituzionale di uno statuto politico e amministrativo distinto da quello del governo centrale e che per l’ammissibilità della misura agevolativa l’Ente deve assumersi le conseguenze politiche ed economiche della misura.
Ora non vi è alcun dubbio che la Regione sarda, in virtù delle prerogative previste dallo Statuto speciale, presenti le caratteristiche che la Corte di Giustizia pone come condizioni necessarie per l’adozione di misure di fiscalità di vantaggio.
Sul piano nazionale poi a nostro favore depongono le sentenze della Corte costituzionale n. 102/2008 e n. 357/2010 che hanno “riconosciuto” alle Regioni a statuto speciale il potere di istituire tributi propri ma anche di incidere sui tributi erariali interamente devoluti o partecipati consentendo la modifica sia della base imponibile che delle aliquote con il solo limite di non incrementare le aliquote massime.
Appare evidente si è aperta la possibilità in quanto ricorrono le condizioni affinchè la regione, sia sul fronte europeo, con la Sentenza della Corte di Giustizia, che su quello nazionale, con i pronunciamenti della Corte Costituzionale, introduca nell’ordinamento regionale disposizioni attuative del titolo III dello Statuto che introducono in Sardegna misure fiscali agevolate.
Tuttavia e purtroppo, da ciò che si è detto risulta chiaramente che il lavoro da fare non è di tipo legislativo; cioè non si tratta di fare leggi in Consiglio. Si tratta invece di un lavoro amministrativo (le delibere di Giunta già adottabili) e di un lavoro politico-amministrativo (i negoziati con lo Stato italiano e con l’Unione Europea). Il Consiglio, però, è la sede che può e deve dare l’impulso e stabilire il perimetro della nuova politica fiscale della Sardegna. Il Consiglio deve elaborare un atto di indirizzo che incalzi la Giunta per ciò che già può fare e le indiche la strada vincolante da percorrere per la costruzione di ciò a cui abbiamo diritto ma che non è mai stato correttamente e opportunamente istruito, seguito nelle sedi opportune, condiviso con la società sarda, difeso nel Parlamento.  A questos copo ho predisposto una Roisoluzione della Prima Commissione che mi auguro possa arrivare, opportunamente corretta con le proposte di chiunque abbia interesse, competenza e voglia di lavorare su questi temi, rapidamente in Aula. C’è da augurarsi che su questi temi la società sarda non si divida.


Un porto franco, zona franca, o anche zona economica libera è un territorio delimitato di un paese dove si gode di alcuni benefici tributari, come il non pagare dazi d’importazione di merci, o l'assenza d’imposte.
La riflessione tardomercantilista (che valutava tanto maggiore la potenza di una nazione quanto superiori fossero le sue esportazioni alle importazioni) poi riteneva che togliere la barriera daziaria non facesse un porto franco, anche se tutti i porti franchi tolgono la barriera. Per questo ritenne che nella definizione di porto franco dovesse rientrare non solo il fattore dell'economia (poiché defiscalizzazioni sono provenute anche da porti non franchi), ma anche la politica di libertà: porto franco non sarebbe libertà di importare ed esportare beni liberi da dazi, ma una gestione non militare degli affari, senza ufficiali supportati dalla forza militare, bensì rappresentanti civili che pensano secondo gli stessi interessi dei mercanti, senza intromissioni. Questa giustizia dolce garantirebbe il possesso delle merci al proprietario, e attirerebbe flotte di gente per sottrarsi da terrori e persecuzioni.
Molti governi stabiliscono zone franche in regioni appartate o estreme con il fine di attrarre capitale e promuovere lo sviluppo economico della regione. Nelle zone franche avviene solitamente la creazione di grandi centri commerciali e si installano con frequenza anche industrie di cosmetici, o magazzini speciali per le merci in transito.
L'analogia del nome zona franca, utilizzata peraltro anche per definire la zona extradoganale, con porto franco deriva da alcuni porti liberi conosciuti da moltissimo tempo: i porti liberi da dazi doganali o con regolamentazione dei tassi favorevoli; ad esempio, il porto franco di Trieste. Spesso i porti franchi fanno parte delle zone economiche libere. In passato molti porti italiani godettero di franchigie doganali sulle merci transitanti per favorirne lo sviluppo economico della città portuale.
Con l'Unità italiana, una legge di stato abolì i porti franchi nel 1868, per eliminare le sperequazioni tra i cittadini italiani abitanti nelle città franche e quelli residenti fuori di esse.

Tra i principali porti franchi si ricordano quelli di:
Livorno, 1675-1868
Porto franco di Trieste, dal 1719
Porto franco di Venezia
Porto franco di Ancona, dal 1733