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sabato 18 ottobre 2014

Antiche scritture

Sono stati scoperti - dagli archeologi cinesi - 34 nuovi caratteri di scrittura e glifi, incisi su cosiddette 'ossa oracolari', che molto aggiungono alle conoscenze sulla più antica scrittura mondiale nota ad oggi (ove si escluda quella protosarda).
Si sa che si tratta dei più antichi segni di scrittura usata in modo continuativo, incisi su gusci di tartaruga e su ossa di animali. I primi furono trovati circa 110 anni fa.
Datano al 1600 - 1046 a.C. (Dinastia Shang).
I nuovi caratteri sono stati trovati in un museo - il Museo Lyushun - in  un gruppo di 1800 pezzi facenti parte di un antica raccolta. 
Ad oggi, sono stati riconosciuti circa 4.000 segni grafici differenti - da un 
totale di circa 130.000 reperti - ma solamente circa la metà è stata decifrata.

Alcuni ricercatori hanno notato che  certi segni sono esattamente uguali ai 'rovesciati' rinvenuti nelle 'domos de janas' sarde ed al 'segno di Tanit' osservato in molti luoghi in Sardegna: si sta pertanto lavorando sull'ipotesi che colonizzatori Shardana provenienti dall'Anglona siano stati nella   regione ed abbiano ivi dato inizio alla Dinastia Shang (Shardana+Anglona).


New oracle bone characters discovered in Liaoning 



Chinese archaeologists have discovered 34 new characters and glyphs from oracle bones housed in a museum in Lyushun, a city in northeast China's Liaoning province.

 Oracle bone characters [Credit: Xinhua]


 Song Zhenhao, a research fellow with the Chinese Academy of Social Sciences who is leading a team that has been researching the inscriptions since 2011, said on Thursday that the new findings are another breakthrough since such inscriptions were discovered over 110 years ago. 

Inscriptions on tortoise shells and animal bones represent the original characters of the Chinese written language. 

They date back to the Shang Dynasty (1600-1046 BC). 

The new characters and glyphs, which involve names of nations, places, persons and sacrificial rituals, were found among a 1,800-piece collection of bone inscription relics in the Lyushun Museum. 

Song said the team took rubbings from the text images of the 1,800 pieces and photographed them, which led to the characters being identified. 

To date, archaeologists around the world have identified 4,000 bone inscription characters from studying 130,000 relics, but only half of the characters have been deciphered, he added. 

Chinese characters constitute the oldest continuously used system of writing in the world.

The graphic logograms of the characters convey both meaning and pronunciation. 

Oracle bone inscriptions were first discovered in 1899 by Beijing academic and antiquarian Wang Yirong, although farmers had been unearthing the relics in Anyang, Henan Province, for many years. 

Wang noticed symbols that looked like writing on animal bones and tortoise shells. 

Source: Xinhua [October 16, 2014]


martedì 12 novembre 2013

Sono arrivato prima io....



Rappresentazione bronzea di Cristoforo Colombo che sbarca sulla spiaggia di San Salvador
Cristoforo Colombo,
noto anche come Christophorus Columbus, Cristóbal Colón, Cristóvão Colombo; (nato in località ignota, fra il 26 agosto e il 31 ottobre, 1451 – deceduto a Valladolid, il 20 maggio 1506)
non era né spagnolo, né portoghese, né genovese. Né italiano, per dirla tutta...

E' vero che la confusione nasce dal fatto che egli fu cittadino della Repubblica di genova e poi anche suddito della Corona di Castiglia: questo, più la scarsità di informazioni ufficiali, hanno contribuito a creare la confusione nell'attribuzione di una nazionalità sicura al grande navigatore.

Finalmente, oggi, si può affermare con assoluta certezza di chi realmente Colombo fosse erede.
Un ritrovamento archeologico, tanto ineccepibilmente scientifico, quanto assolutamente casuale e fortunato mette definitivamente tutti d'accordo, volenti o nolenti...

E' stata rinvenuta, nella Biblioteca dell'Università di Bologna (la più antica Università Europea) una mappa che era appartenuta a Martin Alonso Pinzon (navigatore spagnolo di Palos), che partecipò al primo viaggio di Colombo verso le Americhe: In particolare, quello che portò all'isola di Guanahani (oggi San Salvador, in Inglese: Watling). Sulla Mappa sono riportati tutti i principali capisaldi del viaggio con il quale Colombo raggiunse l'America e la scambiò - fatalmente - per le Indie. Ma il dettaglio fondamentale, che era stato trascurato, è l'indicazione del punto preciso nel quale Colombo aveva deciso di seppellire, proprio sull'isola di San Salvador, un robusto forziere con le proprie annotazioni, considerazioni: l'autentico diario autografo di Cristoforo Colombo.

La mappa in sé era nota ai ricercatori (come anche tutte le altre del Toscanelli, rinvenute in Vaticano alcuni anni fa) ma le implicazioni delle annotazioni che essa riporta non erano mai state tutte prese in sufficiente considerazione e non erano state esplorate per intero le loro possibili conseguenze e deduzioni...

Una revisione accurata - in corso di un riordinamento della Biblioteca - ha prodotto un risultato che definire insperato è poco: è stato così trovato un diario con studi, appunti, osservazioni e resoconti del famoso navigatore conteso da vari stati e Paesi.

L'esame è ancora in corso, ma già le prime notizie sono esplosive e rivelatrici.

Colombo vi dichiara, di proprio pugno, di essere entrato in possesso di carte dei suoi antenati, che avevano già raggiunto le Americhe, già circa 2.000 anni prima di lui, su navi a doppia prua.
Impossibile fare credere ai regnanti di allora una realtà così incredibile: dovette quindi inventarsi di sana pianta l'idea di 'cercare l'Oriente attraverso l'Occidente', sottostimando la circonferenza della Terra e fingendo di essere stato ispirato dal Milione di Marco Polo, dall'Imago mundi di P. d'Aillye dalla Historia rerum ubique gestarum di Pio II Piccolomini.

Colombo scrive di suo pugno di essere stato uno degli ultimi discendenti dei Shardana, antica stirpe di navigatori, padroni del Mediterraneo, temuti da tutti, estremamente religiosi, che adoravano un unico dio di nome Yahweh, nel cui nome colonizzavano le terre rivierasche del Mondo, fino al Grande Zimbabwe, la Cornovaglia, la Norvegia e la Svezia. E - appunto - le Americhe.

Colombo - dunque - sapeva bene che non avrebbe trovato le Indie, ma non poteva dichiararlo.

Da ora in poi, chiamiamolo rispettosamente Kolumbu, ahiò!

Le tre Caravelle: La Picciocchedda, la Pintus e la Nostra sennora 'e Bonaria (che fu in seguito usata per raggiungere Buenos Aires)


giovedì 5 settembre 2013

IDENTITA' SARDA e Irriducibiltà: l'Isola di Yahweh.

Una volta era definito solamente 'Altare preistorico' di Santa Maria Navarrese.
 Il turista incolto si chiedeva come avesse fatto l'archeologo a capire che si trattasse proprio di un altare e non - per esempio - del bancone di un antico 'fast food place'.
Oggi, invece, tutto è finalmente chiaro: si tratta di un altare per Yahweh. Quello sardo.
(Pannello commissionato ed autorizzato  dalle Autorità preposte del Comune di S. Maria Navarrese)

Traggo lo spunto dal Gardello di cui sopra, per formulare alcune Gonziderazioni.

La Sardegna è preda oggi di un movimento che qualcuno – con perversa presunzione – definisce di ‘Rinascimento’ (altri lo definiscono Movimento dell’Armata Shardariana Brancaleone: vai un po’ a vedere chi ha ragione, alla fine!).

Un gruppo vario di pensatori (attenzione, qui, perché alcuni di essi sono realmente eruditi, altri vogliono fortemente sembrarlo, pur non essendolo affatto e riuscendo a malapena a scrivere: tutti si offendono enormemente alla parola ‘ciarlatano’) si è tenacemente imbarcato, ormai da qualche anno, in una missione di correzione del passato della Sardegna.

Correzione, sì: perché quello vero – fin qui faticosamente costruito dagli studiosi ‘veri’ (che fanno errori, che sono criticabili e fallaci come tutti, in fondo, e che talvolta non sono neppure difendibili, né presentabili, purtroppo) – cioè il passato vero della Sardegna, a costoro non piace proprio e non gli è mai piaciuto: è incerto, poco chiaro, tendenzioso e deformato appositamente.

Quindi lo hanno bocciato, perché lo considerano una costruzione cinica e bara del gruppo degli archeologi e degli storici continentali (o schiavi di essi) che hanno tutta l’intenzione di difendere chissà quali interessi (comunque non interessi sardi!) anche nel campo della Cultura, per potere meglio imbrigliare l’anima ed il corpo dei sudditi isolani. Va da sé che tali intenzioni irredentiste hanno subito catturato le simpatie di tutti coloro che maggiormente sentono e vivono il ‘problema dell’identità’ sarda, dell’indipendenza dell’isola e della necessità di un’autonomia maggiore in campo economico/amministrativo e – appunto – culturale.

E allora, ecco tutto un fiorire di tesi innovative e creative, fantasiose e talvolta schizofreniche, tutte formulate provocatoriamente secondo il principio del massimo gradimento da parte di un auditorio tutto e solo sardo.
I detrattori, per la verità, non le chiamano proprio teorie: essi, anzi, propendono per il termine ‘corbellerie’ e magari talvolta anche ‘favole’: Qualche volta ricorrono a vocaboli un po’ più forti, che possiedono implicazioni di tipo legale civile, con qualche richiamo al penale. Ma si sa, come in tutte le cose, è solo questione di punti di vista.

Vediamole, queste teorie...
- I sardi sono stati i primi, in tutto. Qualunque risultato altre Culture (oppure Civiltà) ottenessero in passato, i Sardi lo avevano già conosciuto e superato.
- I Sardi scrivevano già quasi prima della scrittura: la scrittura Sumera (la più antica che ci è nota e documentata davvero) è giunta nell’isola quasi contemporaneamente alla propria invenzione, probabilmente effettuata da parte di Sardi.
E’ una vera gara; citate qualsiasi cosa, in qualsiasi campo: edilizio, astronomico, culturale, tecnico. Non sfuggirete a questa regola: i Sardi o l’avevano già, oppure l’hanno inventato proprio loro.
Navigavano meglio dei Fenici (secondo alcuni, forse essi erano i Fenici), conquistavano il Mediterraneo, davano faraoni all'Egitto, costruivano zikkurat (chissà perché passare poi al nuraghe?), davano leader politici, militari e religiosi agli Ebrei, osservavano le stelle meglio e prima dei cinesi, misuravano il tempo e conquistavano tutto il mondo, etc. etc.

Alcune delle tesi sono veramente così peregrine, che il senso comune sembrerebbe sufficiente a sbugiardarle. Altre, invece, sono ‘produzioni’ un po’ più sofisticate e più difficili da smontare.
Soprattutto perché il ‘metodo scientifico’ che questa vera e propria setta ha fatto proprio è un semplice e brutale, ma efficace: “Gutta scavat lapidem” (Lucrezio (De rerum natura, I 314 e IV 1281), da Ovidio (Epistulae ex Ponto, IV, 10 e Ars amandi I, 476) e Albio Tibullo (Elegiae I, 4, 18)).

Non si arrendono mai e perseverano imperterriti: “I won’t take ‘NO’ for an answer (non accetto ‘No’ come risposta)”.
Non riconoscono le sconfitte, né le argomentazioni logiche contrarie. La loro reazione alle critiche è sempre verbalmente violenta ed avviene sempre in branco. Molti benpensanti si lasciano intimidire e – per quieto vivere, ‘tenendo famiglia’ – se ne tengono quanto più possibile lontani. Altri sono realmente convinti che ‘basti ignorarli perché si mettano tranquilli’. Fino ad oggi non lo hanno fatto: sono anzi aumentati di numero perché hanno visto che il numero fa la forza. E probabilmente non è lontano il giorno in cui cercheranno di imporre le loro idee e teorie non con la forza della ragione, bensì con la forza fisica.
Hanno concluso che ripetere all’infinito una falsità scientifica prima o poi la farà diventare – alle orecchie della popolazione e quindi dell’opinione pubblica (l’unica che conta, per loro, che infatti mostrano totale disprezzo per l’ambiente accademico) – una Verità scientifica. Il comportamento passivo di chi dovrebbe correggerli e fargli rispettare i limiti dell’informazione e della corretta comunicazione, non fa altro che facilitarli concedendo loro sempre nuove libertà.
Poco alla volta, la setta è diventata un movimento, cui si sono uniti elementi vari e pittoreschi. Gli adepti si riconoscono sempre tra loro con parole d’ordine convenzionali prestabilite (Atlantide, Shardana, Yahweh, sono solo alcune di un molto più vasto repertorio) e si sostengono a vicenda, con un ammirevole spirito di corpo.
Visto che l’appartenenza al Movimento di Risorgimento dell’Armata Brancaleone Shardariana fornisce qualche pulpito privilegiato e garantisce una discreta visibilità, (tra weblog autogestiti, assessori alla cultura compiacenti ed altri intrallazzi vari), molti sono tentati di strizzare l’occhiolino al movimento, se non addirittura entrare a farne parte, per potere vendere le proprie patacche e comparire qua o là in una qualche attività paesana, o festa rionale, o ricorrenza, o raduno o chissà-che-cosa.

Ed ecco che – come funghi – compaiono le scritte inneggianti al dio Sumero (ya), al dio Accadico (ahu) alla sua lenta trasfigurazione in Yahweh (che è avvenuta per la prima volta in Sardegna, naturalmente!).
Se non le scritte, sono le etimologie: tutto il sardo è riportato al Sumero, la lingua scritta più antica, l'unica che precede - ma solo di di poche ore - il sardo.
Che non è neolatino! Non permettetevi neppure di pensarlo.


"Tra le più notevoli paranomasie nella lingua e nel canto sardi,
 è quella relativa al canto di Orune 'Sa Crapòla'.
Se sei sardo, forse credi di conoscerne la storia: 
che essa narri di un cacciatore che 
non ha il coraggio di uccidere una capretta che ha sotto tiro

NON E' COSI':

in Sumero, infatti
kar = risplendere;
bu =  perfetto;
la = apparire;
karbula, per metatesi, diventa krabula.

Cosicché il significato reale è: 
"O Risorgente, che appari perfetto!"*,

 non un canto bucolico di delicata pietà sarda, 
bensì l'inno religioso identitario e distintivo 
al nuovo Risorgimento Sardo....
Nell'Isola paranomasica e metatetica di Yahweh.

(E non stiamo esagerando)


* Tratto da: "BIDUSTOS", si A. Deplano.


martedì 3 settembre 2013

NURAKE


RI-POSTO QUESTO SCRITTO, PERCHE' - PUR NON CONDIVIDENDONE MOLTE PARTI PERSONALMENTE - TROVO CHE ESSO MERITI QUALCHE ATTENZIONE. SUI NURAGHI NULLA E' CERTO. 

DEDOLA CI INDICA UNA STRADA DA SEGUIRE ED AMMONISCE: SE NON SI PARTIRA' DALLA FUNZIONE (CHE EGLI INTERPRETA COME TEMPLARE RELIGIOSA, CONDANNANDO A RAGIONE QUELLA MILITARE)  NON SI FARANNO PROGRESSI, NELLA LORO INTERPRETAZIONE. 

CITA SARDELLA, SEMERANO E PITTAU E DEVE AVERE STUDIATO IL PROBLEMA IN MODO APPASSIONATO. 

MI VEDE ABBASTANZA D'ACCORDO QUANDO CITA I NUMERI PIU' PROBABILI DEI 'NURAGICI' DELL'EPOCA (300.000: RITENGO, SU BASI BIOLOGICHE COMPARATIVE, CHE I 'COSTRUTTORI' FOSSERO ANCHE MENO, ALL'INIZIO DELL'EPOCA DEI NURAGHI) E RIPORTA COME CREDIBILE LA SCRITTA 'NURAC' RINVENUTA SUL NURAGHE AIDU ENTOS. 

MA SUBITO DOPO PARLA DI 'POPOLO SHARDANA' E LANCIA L'IPOTESI DI 10,000 NURAGHI: TROVO CHE IL POPOLO SHARDANA SIA UN'INVENZIONE ED IL NUMERO DEI NURAGHI NON FONDATO.

MOLTO  BELLA L'IMMAGINE DI CUSTODIA DEL FUOCO ETERNO COME LUCE DELLA DIVINITA'. 

NON MI PERMETTO IN ALCUN MODO DI DISCUTERE LE SUE CAPACITA' LINGUISTICHE, NE' LA SUA CULTURA E LA SUA PASSIONE.  MA MI PERMETTO INVECE DI DISSENTIRE - CON IL MASSIMO DEL RISPETTO INTELLETTUALE - CIRCA ALCUNE SUE AFFERMAZIONI.



lunedì 2 settembre 2013


NURAGHE, NURAKE - linguistica sarda e semitica - monumenti sardi

NURAGHE, NURAKE

di Salvatore Dedòla
da www.linguasarda.com


Su questo antichissimo nome troppi linguisti hanno elucubrato invano. Il lemma, che molti considerano un aggettivale (radice nur + tema ake), in realtà non è scomponibile. Gli viene dato il significato di ‘(torre in) muratura’, termine che avrebbe preso piede nell’alto Medioevo, mentre prima sarebbe stato diverso. Per svelare l'enigma occorre muoversi con cautela, lasciando parlare anzitutto i più quotati analisti. Comincio col Sardella (Il Sistema Linguistico della Civiltà Nuragica 325 sgg.) che demonizza quanti, riportando i significati attuali della radice nur-, collegano nuraghe al sardo nurra e traducono quest’ultimo vocabolo a un tempo come ‘mucchio di pietre’ e (con logica capovolta) come ‘vuoto, cavità, voragine’. Egli sostiene che nuraghe e nurra non sono imparentati, e dà per la torre nuragica il significato di ‘lo splendore del santuario’ (sumero nur-a-a-ak-k-i): composto del quale accetto (con riserva) solo il significato di nur 'splendore'. Il Semerano (Origini della Civiltà Europea 592) parimenti non ammette parentele tra nurra e nuraghe, ma rende il problema più avventuroso. A seguire l’esimio studioso, partiamo dalla seconda porzione del lemma, che per lui non è un tema flessivo ma un vocabolo abbinato al primo per stato costrutto. Esso avrebbe la stessa base di lat. arx < accadico arku ‘(abitazione) alta’, ebraico ārōh ‘alto, lungo’, 'luogo inaccessibile, fortificato’. Per il nome intero l’accadico darebbe, secondo Semerano, na(w)u-arraku ‘arce, castello’. Nāwûm come supposta prima parte del composto nur-ake significa ‘abitazione nomadica, pascolo’; ha la sua espansione semitica nell’ebraico nā’ā ‘abitazione, pastura’, forma allotropa di nāwe ‘abitazione, pastura’: a questa stessa base risale il verbo denominativo greco ναίω ‘abito’. Sostando sul termine intero, Semerano confronta il significato anche col latino castrum, suo sinonimo. Lo sforzo ricostruttivo del Semerano non coglie il segno, e va tentato un terzo approccio. La forma nurake potrebbe essere confrontata, per Massimo Pittau (Lingua Sardiana o dei Protosardi 163), con la forma murake largamente presente nel quadrilatero Macomer-Silanus-Abbasanta-Paulilatino-Bonarcado. Ma già sorge l'obiezione che ciò imporrebbe automaticamente anche l’equazione mur-ake = mur-ge (i noti rilievi pugliesi), che invece non hanno la base in arx (accad. arraku, arku ‘alto, lungo’) ma, soltanto per la prima parte del termine, nel latino mūrus ‘muro, mura, muraglia’. Il Pittau fornisce un apparato esauriente dei lemmi affiliati in qualche modo a nuraghe, definendoli «tutti relitti sardiani imparentati col lat. mūrus ‘muro’, con l’antroponimo etrusco Muru e col toscano mora, morra ‘mucchio di pietre, muriccia’». Egli non ammette la parentela nurra- ‘voragine’ con nurra-‘catasta’, e prosegue: «Rispetto alla base nura/mura o nurra/murra… l’appellativo nuraghe/muraghe risulta essere un aggettivo sostantivato e il suo significato originario sarà stato ‘(edificio) murario’, ‘(torre) in muratura’». Ma anche la seducente discussione del Pittau è sbagliata. Anzitutto perchè non ha fatto i conti col termine Nora, che designa la celebre città fenicia della Sardegna, significante ‘Luce (di Dio)’. E qui torno al Sardella ed alla mezza verità da lui espressa sul significato di nuraghe. Capisco che avvicinare l’etimologia di nuraghe a Nora sia una turbativa agli occhi della maggior parte degli studiosi, ma è uopo farlo: occorre che ognuno abbandoni le posizioni rigide su cui sinora si è arroccato circa la funzione dei nuraghi.Sino a che non si accetterà come ovvio e naturale che i nuraghi non erano fortezze ma altari sulla cui sommità splendeva il fuoco perenne, non si capirà niente nemmeno della loro etimologia. Essi, prima d’essere identificati con un ‘muro costruito’ (accezione operata nel Medioevo dal clero cristiano, interessato a smantellare i cardini della precedente religione), erano semplicemente gli altari della Luce di Dio (del fuoco sacro) ed affiancavano il proprio nome a quello di Nora; beninteso, senza immedesimazione dei due lemmi, che non hanno la stessa etimologia. Infatti per nuraghe dobbiamo mettere in campo il termine babilonese nuḫar ‘tempio elevato, ziggurath’. Sul termine intervenne la metatesi sardiana nuḫar > nuraḫ > nuragh-e. Per la fase metatetica, vedi l’iscrizione latina sopra il nuraghe Aidu Entos, che scrive esplicitamente NURAC. Così interpretando, dobbiamo ammettere che è giusto quanto affermano gli archeologi, circa la maggiore antichità dello ziggurath di Monte d’Accoddi (Sassari). E dobbiamo aggiungere che fu proprio lo ziggurath di Monte d’Accoddi (e quelli babilonesi) il modello religioso (non formale) da cui s’evolvettero i nuraghi quali altari del Fuoco perenne di Dio. Ho scritto in varie parti che l'ipotesi - ancora oggi tenacemente sostenuta da molti - che i nuraghi fossero fortezze, non ha alcuna base logica. I nuraghi in Sardegna sono (furono) almeno diecimila, e come strumenti difensivi sarebbero un numero enorme. Accettarli come fortezze significa che i pochissimi Sardi dell'epoca (gli storici e gli antropologi hanno supposto non più di 300.000 anime) avessero costruito un nuraghe per ogni 30 persone. Il dato è incredibile, perchè dobbiamo accettare l'assurdo che i Sardi - a gruppetti di 30 - si facessero l'un l'altro una guerra permanente. La quale sarebbe illogica, perchè in breve tempo i Sardi sarebbero dovuti sparire, mentre invece non sparirono. A questo assurdo si sommerebbe l'altro, che per erigere un nuraghe non bastano 30 persone (delle quali peraltro metà sono bambini, l'altra metà va spartita tra uomini e donne, e poichè le donne avevano altro da fare, ad erigere il nuraghe avrebbero lavorato non più di sette uomini). Altro assurdo: ogni nuraghe copre mediamente un territorio non più ampio di 3 chilometri quadrati, che sarebbe lo spazio vitale di ogni tribù di 30 persone... pari a sole tre famiglie! Un assurdo affastellamento di torri difensive. Infine va fatto un ragionamento decisivo: per annientare la "tribù" avversaria non c'era bisogno di affrontarla in campo aperto, bastava aspettare il vento, attendere che la "tribù" entrasse a dormire nel proprio castello, accendere dei falò a ridosso del nuraghe, ucciderli tutti per asfissìa. I nuraghi non furono castelli ma altari. Il popolo Shardana non fu mai in guerra intestina d'annientamento, ma fortemente coeso. Riuscire a costruire una pletora incredibile di altari d'una perfezione architettonica assoluta presuppone una fortissima unità di popolo. Gli Shardana erano così religiosi, che s'aiutarono l'un l'altro ad erigere queste prodigiose torri, che da quasi quattromila anni sfidano il vento e l'insipienza degli interpreti. Circa la radice NUR su citata, essa era nota ai Fenici, con la quale appellarono la città di Nora, chiamandola Ngr (il termine è nella Stele di Nora: vedi capitolo a parte). La Fuentes Estanol, autrice del Vocabolario Fenicio, dà a Ngr appunto il significato di Nora. Accetto la sua tesi e affermo che Ngr si adatta indifferentemente a Nora ed a Nùgoro/Nugòro (che è la città di Nùoro). Per dirimere la questione, faccio le osservazioni seguenti. In Logudoro Nùoro (Nùgoro) è chiamata Nùaru. Quest'ultimo toponimo a prima vista sembra ripetere proprio il nome antico del 'nuraghe' (nuḫar, con affievolimento e successiva caduta della fricativa velare -ḫ-). Invece non è così: il log. Nùaru ha la base nell'ant.accad. nawāru(m) 'essere brillante, splendere' > agg. nawru(m), nauru(m) 'brillante, scintillante' (di corpi celesti, come epiteto divino), incrociato con nuwwurum 'intensità (di luce)'. Nùgoro a sua volta ha la base in nuwwurum, con successiva consonantizzazione delle velari -ww- > -g-. Preciso, a scanso d'equivoci, che nuwwurum è un epiteto riferito direttamente al nuraghe quale sede luminosa del Dio del fuoco, e che dunque i toponimi Nùgoro e Nùaru, sorti in virtù di tale epiteto, sono sempre riferiti in prima persona al nuraghe, che era il tempio del Sole. Nella persistenza millenaria delle due pronunce Nùgoro e Nùaru rientra a pieno titolo anche la parentela semantica esistente tra 'intensità di luce' (nuwwurum riferito alla sacralità del nuraghe quale altare del fuoco)' e 'nuraghe' (nuḫar), che portò all'immedesimazione della "torre" col suo epiteto. Nel Nuorese prevalse la lettura toponomastica riferita alla brillantezza del nuraghe quale altare del fuoco, che è nuwwurum; l'antica semiconsonante debole (w) fu assimilata poi alla /g/ che è la velare sonora più vicina alla /w/. Il processo fonetico che portò a pronunciare Nùgoro può essere capito anche partendo dall'agg. nawru(m), nauru(m) 'brillante, scintillante' (di corpi celesti, come epiteto divino). Al riguardo entra in gioco la legge della semplificazione del dittonghi protosemitici (riguardante l'antico accadico), che dalla base naurum produce nū(w)rum; l'antica semiconsonante debole (w) fu assimilata, dagli Shardana abitatori dell'altopiano nuorese, alla /g/. La /w/ è sparita invece nel toponimo Nora [< Nū(w)rum]. Presso i Fenici che frequentarono Nora aveva prevalso, come abbiamo visto, il rafforzamento o consonantizzazione delle -ww- di nuwwurum, e chiamarono la città di Nora Ngr, giusta l'intuizione della Fuentes Estanol; presso gli Shardana abitatori della stessa città di Nora prevalse invece l'affievolimento e la successiva caduta di -ww-, onde nuwwurum >Nu(ww)ra > Nōra.


domenica 1 settembre 2013

Ad Amici Sconosciuti



DEGLI SHERDANU, GLI DEI NE HANNO LE PALLE PIENE


Boicheddu scambia due parole con Maurizio Feo

La Sardegna versa in una condizione di forte crisi: economica, sociale, politica. In questi casi, nei luoghi normali, gli intellettuali intervengono in maniera forte e spingono la società ad una reazione positiva.
Ciò che accade in Sardegna è invece del tutto peculiare. Se la nascita di movimenti localistici è infatti una delle reazioni meno sorprendenti (e del resto le istanze separatiste sono storicamente ben attestate nell’isola) sgomenta la comparsa di uno stravagante connubio tra separatismo e pseudointellettuali intenti al confezionamento di una storia fumettistica, quanto del tutto priva di scientificità, che vorrebbe celebrare un preteso passato glorioso del non meglio definito «popolo sardo». Dal mito di Atlantide ai cosiddetti Popoli del Mare (di cui si rivendica gli Sherdanu facessero parte) passando per l’invenzione della scrittura e della scultura a tutto tondo nell’età del bronzo, emerge così la volontà di evocare un nazionalismo becero, a sfondo razzista, portatore di un messaggio ascientifico e intollerante, funzionale al raggiungimento di un consenso elettorale piccolo ma rumoroso e ben ammanicato dentro l’informazione locale, in crisi anch’essa e non da oggi.
Se i quotidiani locali, incapaci di proporre una divulgazione corretta di servizio al cittadino, sono soggetti ad un cortocircuito, possono supplire i cittadini volenterosi: Maurizio Feo, medico romano, elettosi cittadino sardo a causa di una insopprimibile passione per la nostra isola, ha deciso di dimostrare che non è necessario essere storici o archeologi per informarsi in merito alla storia o all’archeologia. Ha raccolto una corposa bibliografia sulla protostoria sarda, ha legato fatti e ipotesi studiati a livello accademico, ne ha ricavato un piacevole lavoro di rassegna e riflessione, che ora propone agli appassionati con l’obiettivo di illustrare, con la modestia che spesso è indice di grande serietà, il periodo protostorico del bronzo medio e finale, l’età dei nuraghi:

L’Ira degli Dei e i Popoli del Mare, Ed.: CSCM ; 10,00€o (il ricavato sarà devoluto alla ONLUS Centro Studi Culture Mediterranee che edita la rivista “Sardegna Antica”)

Boicheddu Segurani: Come si giustifica il fatto che un medico – che non dovrebbe scrivere di storia ed archeologia – abbia scritto su un argomento come questo, considerato dai più come sabbie mobili pericolose?
Maurizio Feo: Intanto non è soltanto archeologia e storia, ma anche molto altro: per esempio, le maggiori novità al riguardo ci sono giunte negli ultimi anni da due discipline – geologia e paleoclimatologia – che ci hanno permesso di modificare di molto le nostre posizioni stantie sull’argomento. E poi, la cultura non ha confini rigidi, nelle sue competenze.
BS: Quindi non è stato per arroganza, che ha scritto?
MF: Al contrario: è con molta umiltà che ho raccolto un’abbondante bibliografia tra gli autori accademici internazionali più accreditati.
BS: E che altra motivazione ci dà?
MF: C’è stata una motivazione molto forte, che mi ha spinto a compiere la fatica di questa ricerca. Ha notato come – negli ultimi tempi – siano proliferate oltremodo, in Sardegna, le pubblicazioni diciamo un po’ troppo fantasiose, sui Popoli del Mare?
BS: Sì, non si può non notare il fenomeno.
MF: Ebbene: ho pensato fosse necessario fare qualche cosa, opporre un pensiero scientifico a questo fenomeno. Riportare la verità.
BS: Addirittura la verità?
MF: Quando la totale mancanza di fonti affidabili rende gli eventi ed i loro protagonisti indecifrabili, è necessario vagliare le varie ipotesi. Si escludono man mano, partendo prima da quelle che contengono più elementi incredibili e screditati scientificamente. Poi si eliminano quelle che sono composte da elementi meno verosimili: alla fine resta l’ipotesi di massima verosimiglianza competitiva, che è quanto di più possibile prossimo alla verità possiamo ottenere.
BS: Ed è questo ciò che lei ha fatto?
MF: Ho anche raccolto i fatti provati da varie scienze, come accennavo prima:  mettendo tutto insieme, si ottiene un ottimo risultato. Si separano le categorie del fatto conosciuto e provato – dove non sono ammesse ipotesi – da quella dell’argomento non conosciuto che è terreno fertile di ipotesi. Come è stato fatto per un altro argomento altrettanto confuso e privo di fonti. Quello dei Protosardi.
BS: Che cosa intende, esattamente?
MF: La Sardegna della protostoria è immersa in una nebbia almeno altrettanto confusa quanto quella che ha avvolto per tre secoli i cosiddetti Popoli del Mare, ma alcuni punti fissi sono stati egualmente trovati.
BS: Per esempio?
MF: La Sardegna non è stata la prima isola ad essere raggiunta via mare dall’uomo, ma è stata la prima isola del Mediterraneo ad ospitare l’uomo in modo permanente, invece che solo stagionale.
Inoltre, la Cultura Nuragica è stata la prima grande cultura del mediterraneo occidentale: questo fatto non si esaurisce in un fatto architettonico distintivo – tanto per intenderci i Nuraghi – bensì implica un patrimonio culturale complesso ed articolato, avanzato per l’epoca, dal quale hanno ereditato vari elementi tutte le culture successive della Tirrenia. Ma soprattutto, permise a quei Sardi di ottenere un successo biologico che è testimoniato dalla Genetica: il loro genoma è giunto fino a noi. Che è già di più di quanto si può dire per popolazioni che ricevettero terre più generose, come gli Etruschi, che si sono estinti.
BS: Dal che quali conclusioni si possono trarre?
MF: Che se si vuole essere soddisfatti di discendere dai propri antenati è meglio scegliersi i motivi giusti: in questo caso la consapevolezza di discendere da una popolazione come le altre, ma capace e tenace, e soprattutto realmente esistita, piuttosto che credersi eredi di super eroi inventati di sana pianta per soddisfare la nostra vanità infantile.
BS: Ma questo parallelo come si applica ai Popoli del Mare?
MF: Sono stati rappresentati in modo scorretto per circa trecento anni: predoni organizzati in un’alleanza internazionale; marinai guerrieri inarrestabili che – inventando una guerra lampo impossibile per i mezzi logistici di allora, avrebbero distrutto città, regni ed imperi di quasi tutto il mondo conosciuto e creato una crisi economica di tale portata da determinare il passaggio dall’uso del bronzo a quello del ferro. Inverosimile. Il fatto più incredibile è che i cosiddetti Popoli del Mare – dopo avere conquistato facilmente paesi ricchi e produttivi – subito li abbandonavano inspiegabilmente, per fuggire a bordo delle proprie navi verso paesi inventati sulla base di “assonanze”. Un metodo che metterebbe in relazione Anglia con Mongolia e Angola, soltanto per il ripetersi in esse di alcune lettere identiche. Prevengo una sua domanda e le dico che non si può escludere che alcune popolazioni comprese nel gruppo dei cosiddetti “Popoli del Mare” siano giunte in Sardegna. Anzi, sembrerebbe di sì: ma sembra anche che sia stato prima del 1200a.C. e non dopo.
BS: Perché usa l’espressione “cosiddetti” Popoli del Mare?
MF: Perché l’espressione – che fu coniata nel 1881 da un archeologo francese d’origine lombarda, Gaston Maspero – è oggi considerata errata e fuorviante: la usiamo per la sua sintesi e la sua bellezza nostalgica. Ma sappiamo che è il nome di un Mito. Bellissimo, interessante, splendido come una luccicante moneta d’argento da un euro e mezzo, ma altrettanto falso.
BS: Ma furono storici ed archeologi a creare questo Mito, no?
MF: Certamente. Ma i loro mezzi erano limitatissimi. S’apprestavano allo scavo con il piccone in una mano ed i poemi omerici nell’altra, praticamente come Schliemann. Non possiamo rimproverarli per essere stati in buona fede tratti in errore, allora. Ma  noi – oggi – quando individuiamo un loro errore, siamo tenuti a correggerlo, non a perpetuarlo come fanno alcuni: e torniamo al motivo per cui ho scritto.
BS: Qual è la situazione attuale, circa questo Mito?
MF: E’ stato dichiarato ufficialmente morto. La sentenza è stata eseguita nelle parole provocatorie di un archeologo inglese, Robert Morkot, che ha scritto: “I popoli del mare non sono mai esistiti”. La frase è del 1996: strano che qualcuno, in Sardegna, non se ne sia ancora accorto, dopo 16 anni! Il consenso internazionale storico – archeologico è d’accordo con questa frase. Non nel senso di negare che alcuni palestinesi di oggi possano essere proprio i discendenti dei Peleset del 1200 a.C. La scienza, piuttosto, unanimemente nega che siano mai esistiti i personaggi da fumetti che “procedevano con la fiamma davanti a loro” e  che “nessuno poteva fermare”.
BS: Ma quelle non sono frasi scritte proprio dagli scribi egizi?
MF: Sì: ma la fiamma era un fuoco sacro dell’altare  e il resto è propaganda egizia per potere poi dire: “ma io, faraone, li ho fermati”.
BS: Ma allora: chi erano i Popoli del Mare?
MF: Innanzitutto, erano persone come noi, che avevano le nostre medesime pulsioni e necessità ed erano animati dalle medesime aspirazioni e speranze: ubbidivano alle stesse leggi fisiche e biologiche, malgrado la grande distanza tecnologica che ci separa. E’ strano che in tutta la storia dell’uomo si siano dati soprannomi legati in qualche modo all’acqua a certi gruppi umani: ci sono i “wetbacks” messicani nel sud ovest degli Stati Uniti. Ci furono i “boat people” nel sud est asiatico. Ci sono oggi i disperati dell’Est Europa trasportati dagli scafisti ed i Magrebini che viaggiano nelle carrette del mare. E ci furono i Popoli del Mare.
BS: Che quindi erano in realtà…?
MF: Emigranti disperati, che abbandonavano le proprie terre d’origine per motivi drammatici complessi e oggi ben dimostrati, perché non potevano più mantenerli in vita. E’ una storia di dolore e di disperazione. Sono gesti totali, che non si compiono per fare una scampagnata: portare con sé tutte le suppellettili trasportabili, mogli e figli, per affrontare l’incertezza dell’ignoto, della possibile schiavitù a vita, della morte. Avevano negli occhi il miraggio della “terra promessa”, in cui garantire un futuro migliore almeno ai propri figli. Le loro speranze furono spezzate con le armi: ci sono giunte descrizioni agghiaccianti e ciniche. Il miraggio fu più spesso soffocato nel sangue e talvolta sepolto nel mare. Ma per alcuni, infine, il sogno si realizzò: e noi siamo debitori verso tutti – chi perì e chi ebbe successo – della restituzione della loro dignità umana e delle loro reali dimensioni.
BS: E perché l’Ira degli Dei, nel titolo?
MF: Perché si era ancora superstiziosi: dietro alle forze naturali scatenate in modo così violento, dovevano esserci gli Dei, con la loro ira terribile e spietata.

La presentazione del libro avverrà
il giorno 16 Giugno, alle ore 17:00,  nella Sala Consiliare del Municipio di San Teodoro (Olbia-Tempio)
il giorno 18 Giugno alle ore 18:30 presso il Caffè letterario “Atene Sarda”, via Tola, 11 Nuoro.

Appassionati ed amici sono i benvenuti, perché gli Dei, dei Popoli del Mare, ne hanno decisamente le divine palle piene!

sabato 31 agosto 2013

SCOPERTO SITO SHARDANA IN ISRAELE!


7,000-year-old village unearthed at Ein Zippori


Scoperto un villaggio fondato dai Shardana 7.000 anni fa., presso Su Zipponi.

E' stata rinvenuta un'impressionante dovizia di reperti sardo -preistorici, nel corso di lavori d'ampliamento di un'autostrada: probabilmente si tratta del il più esteso spazio occupato dalla Cultura di Wadi Rabah, mai rinvenuto finora. Si tratta di un'area di 800 metri per circa altrettanto, che si estende sui due lati dell'Autostrada 79.
Sono stati rinvenuti lavori d'intreccio (meravigliosamente conservati per via del clima secco del luogo) simili agli odierni lavori artigianali sardi in sparto ed asfodelo, oltre a strumentini musicali d'uso comune in sardegna ancora oggi (trunfa, launedda, tunkiu e così via) ma trattandosi di un periodo pre- ceramico gli scavi non hanno restituito vasi o altri supporti di argilla, cotta o cruda.
Malgrado ciò, si sono rinvenuti incisioni e bassorilievi, ancora non resi tutti pubblici, raffiguranti i tipici 'puzones' sardi (in questo caso interpretati come 'probabilmente struzzi' dagli stupidi archeologi israeliani, che capiscono meno ancora di quelli sardi).
Su alcune tavolette, rinvenute poco a sud della sorgente Su Zipponi, compaiono, in bella evidenza, le componenti del Tetragramma Sacro, in una forma che è caratteristica della scrittura usata più frequentemente in Sardegna in epoca preistorica...
Il sito è stato frequentato da una popolazione di tipo agro-pastorale dal Neolitico fino al Calcolitico ed è provvisoriamente attribuito alla Cultura di  Wadi Rabah, anche se molti indizi indicano  in direzione dei famosi guerrieri navigatori Shardana: tra l'altro la rappresentazione di strutture turrite e di guerrieri con elmi cornuti che inneggiano al loro comandante con frasi che vengono interpretate come : "Viva Zabarda Shardana" e anche: "Mosé, uno di noi" lasciano pochi dubbi. 
I colori decorativi maggiormente usati da un artista locale sono il rosso ed un blu quasi nero; sembra che l'artista si firmasse: "Ahio Kastedhu".

L'analisi biochimica su alcune piccole coppette ritrovate nel sito depone per la preparazione di una bevanda a base di bacche di mirto e grano fermentato. Il ritrovamento di alcuni segnali stradali  forati a pallettoni lascia intendere che - dopo le libagioni - gli Shardana indulgessero in un comportamento che ancora oggi alcuni sardi ripetono per tradizione.
Si spera che Ianir Milewski e Nimrod Getsov, due studiosi Israeliani seri e validi dell'Istituto Israeliano per le Antichità, perdoneranno questo scherzo d'aprile fuori stagione: la versione italiana di questo articolo, infatti, è una vera bufala (ma lo ammette, almeno, a differenza di tutte le altre, che pretendono di essere "lavori" di "studiosi"!).
In extensive archaeological excavations the Israel Antiquities Authority is carrying out prior to the widening of Highway 79 by the National Roads Company This site, extending over c. 200 dunams, might be the largest in the country where there are remains of the Wadi Rabah culture

A bowl with stone beads dates to an ancient culture that flourished in modern-day Israel 7,000 years ago [Credit: Israel Antiquities Authority/Clara Amit]
A bowl with stone beads dates to an ancient culture that flourished in modern-day Israel 7,000 years ago [Credit: Israel Antiquities Authority/Clara Amit]
A treasure of impressive prehistoric finds was exposed during the course of archaeological excavations the Israel Antiquities Authority conducted this past year, on behalf of the National Roads Company, prior to the widening of Highway 79. The excavations encompass a large area covering a distance of c. 800 m, on both sides of the road.

Prehistoric settlement remains that range in date from the Pre-Pottery Neolithic period (c. 10,000 years ago) to the Early Bronze Age (c. 5,000 years ago) are at the Ein Zippori site, which extends south of Ein Zippori spring.

According to Dr. Ianir Milevski and Nimrod Getzov, excavation directors on behalf of the Israel Antiquities Authority, “The excavation revealed remains of an extensive settlement from the end of the Neolithic period and beginning of the Chalcolithic period in the country belonging to the “Wadi Rabah” culture. This culture is named after the site where it was first discovered (in the region of Rosh Ha-Ayin), and is common in Israel from the end of the sixth millennium and beginning of the fifth millennium BCE”. 

According to the excavators, “The presence of remains from the Wadi Rabah culture in most of our excavation areas and in surveys that were performed elsewhere at the site shows that ʽEin Zippori is an enormous site that stretched across c. 200 dunams. It turns out that this antiquities site is one of the largest, if not the largest, in the country where there are remains of this culture. The architecture is rectangular and the floors were made of crushed chalk or very small stones. The foundations were made of stone and the walls above them were built of mud bricks”.

Among the finds from the Ein Zippori site is this stone tablet etched with the figures of two birds, possibly ostriches [Credit: Israel Antiquities Authority/Clara Amit]
La prima lastra in arenaria incisa che è stata fotografata ed esibita mostra il tradizionale motivo dei 'puzones', che solo quattro secoli dopo sarebbero stati affrontati, rivolgendoli uno verso l'altro.
Among the finds from the Ein Zippori site is this stone tablet etched with the figures of two birds, possibly ostriches [Credit: Israel Antiquities Authority/Clara Amit]
A multitude of artifacts has been uncovered in the excavation, including pottery, flint tools, basalt vessels and artistic objects of great importance. Milevski and Getzov said, “Pottery bearing features characteristic of the Wadi Rabah culture such as painted and incised decorations and red and black painted vessels were exposed. 

Outstanding among the flint tools that were discovered are the sickle blades that were used to harvest grain, indicating the existence of an agricultural economy. We also found flint axes that were designed for working wood. The barter that transpired at the time is attested to by thin sharp blades made of obsidian, a volcanic stone that is not indigenous to the region and the closest source is in Turkey. These items constituted part of the network of trade that stretched over thousands of kilometers in such an ancient period”.

Among the special finds that were uncovered in the excavation is a group of small stone bowls that were made with amazing delicacy. One of them was discovered containing more than 200 black, white and red stone beads. Other important artifacts are clay figurines of animals (sheep, pig and cattle) that illustrate the importance of animal breeding in those cultures. 

The most importance finds are stone seals or amulets bearing geometric motifs and stone plaques and bone objects decorated with incising. Among the stone plaques is one that bears a simple but very elegant carving depicting two running ostriches. These objects represent the world of religious beliefs and serve as a link that connects Ein Zippori with the cultures of these periods in Syria and Mesopotamia. 

According to Milevski and Getzov, “The arrival of these objects at the ʽEin Zippori site shows that a social stratum had already developed at that time that included a group of social elite which used luxury items that were imported from far away countries”.

Source: Israel Antiquities Authority [September 22, 2012]