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sabato 31 ottobre 2015

Via Salaria



la Via Salaria.


Si tratta di una strada romana, costruita durante la Repubblica ed utilizzata poi dall’Impero (come anche ancora oggi): essa è la più breve via di comunicazione tra Roma e l’Adriatico, in un sistema viario costituito di tre strade, le altre due essendo La Flaminia e la Tiburtina Valeria (vedi figura). La sua lunghezza è inferiore ai 200 chilometri.



Il sistema viario romano antico prevedeva tre strade che raggiungevano il Mare Adriatico da Roma: in rosso  è rappresentata la via Salaria, in violetto la via Tiberina Valeria ed in blu la via Flaminia.


Il Tracciato.

Dalle Mura Aureliane di Roma l’arteria usciva attraverso la Porta Salaria, costeggiava l’odierna Villa Ada e si dirigeva verso il baluardo di Forte Antenne (antica Antemnae) entrando nella Sabina. Attraversava il fiume Aniene con il Ponte Salario, e giungeva presso i colli di Fidene (Fidente), prodeguiva verso Settebagni (Septem Balnea), affrontava la collina  della Marcigliana Vecchia, superava Eretum (Monterotondo) ed il passo sul torrente Corese (Passo Corese). Presso Trebula Mutuesca (Monteleone Sabino) la strada si divideva. Un ramo (Via Cecilia) si dirigeva verso Oriente e scavalcava l’Appennino attraverso la Sella di Corno, la Piana di Amiternum, il Passo delle Capannelle e proseguiva verso il paese dei Pretutii (la provincia di Teramo) e poi fino al mare nei pressi di Giulianova.
Il ramo principale della via Salaria proseguiva in direzione nord, seguendo le pendici del monte Terminillo, il cui superamento spinse gli ingegneri di Augusto, Vespasiano e Traiano a trovare soluzioni per l’epoca molto avanzate. La strada infatti raggiunge un livello di 1000 metri (valico di Tornita), dopo di che inizia la discesa verso la conca amatriciana, attraversa la valle del Tronto, raggiunge Ascoli Piceno (Asculum) e tocca il mare Adriatico in corrispondenza di Castrum Truentinum, presso la riva destra della foce del fiume.

Comunemente si ripete che la Via Salaria traesse il suo nome dal sostantivo “sale” e che servisse, ovviamente, per portare il sale (genere utilissimo in molti modi) dalle Saline di Ostia alla città di Roma ed alle altre città e località che essa attraversa.
A questa ipotesi si oppongono alcuni fatti precisi:

1) Le saline di Ostia non sono mai state trovate: si presume soltanto che esistessero, e si traggono deduzioni da questa ipotesi. 
2) L'abbondante flusso d'acqua dolce del Tevere rende difficile l'uso dell'acqua delle vicinanze ("ostia" significa "foce") per l'estrazione del sale (data la bassa concentrazione). I Romani (e chi prima di loro: probabilmente gli Etruschi) avrebbero dovuto fare ricorso a laboriosi artifizi, per ottenere un buon sale.
3) Oltre il crinale Appenninico non avrebbe avuto alcun senso costruire la strada, dato che tutte le località avevano un mare molto più prossimo.
4) Non si è trovata una vera continuità tra la Via Ostiense e la Via Salaria: non sembrano essere frutto di un disegno unitario.

Queste considerazioni hanno spinto alcuni ad ipotizzare che il percorso del sale avvenisse eventualmente in tutt’altra direzione e che il nome stesso della strada derivasse da uno dei numerosi significati delle parole “sal”, "sale", "salis", in questo caso inteso però nel senso di “mare”: una strada che univa due mari per il percorso più breve...
Antonello Ferrero ha scritto al riguardo.



Salaria,via del sale…macchè !
Pubblicato da : Antonello Ferrero

October 16, 2013

in:
            Archeologia
            Cultura

Inizierò questa breve disamina con il citare il linguista e storico pugliese Mario Cosmai (1926-2002) il quale derivava la parola Salento dal latino antico sal-salis= mare, ovvero “terra in mezzo al mare” (due mari: Tirreno e Jonio) (1). E nel  celebre Dizionario etimologico di tutti i vocaboli ….che traggono origine dal greco (2) le parole : als-alos (da cui deriveranno le latine) hanno lo stesso primiero significato: mare. E tale accezione va oltre i tempi antichi e trasla nell’inizio dell’uso della lingua italiana, nel ‘300 Dante nella Divina Commedia nel  III ° Canto-13-14 : “metter ben potete per l’alto sal vostro naviglio”. E successivamente anche il poeta  Antonio Cammelli (1436-1502) detto il Pistoia, nelle Lettere: ”andorno nel sal, con l’altrui nave”.
Quindi il toponimo: salara-ia, non va inteso come “strada portatrice di sale”, come comunemente addotto, ma come “strada che unisce e collega due mari” (salis). Sarebbe però capziosità semantica suscettibile di analisi e discussioni, limitarsi alle etimologie che cambiano linguisticamente nei tempi, nei modi e a seconda di chi le usa. E quindi esporrò alcune linee storiche e delle considerazioni tecnico-merceologiche inerenti non solo il mondo antico.
La via Salaria: strada che unisce due mari
La via: la Salaria dice il Nibby (3) citando Strabone (4): ”E’ stata costrutta a traverso loro (ai Sabini) la via Salaria, che non è lunga, nella quale si confonde la via Nomentana presso Ereto castello della Sabina posto sopra il Tevere, la quale comincia dalla stessa  porta Collina”. Poi Festo (5) che ne da – unico – anche l’etimologia, che da allora verrà applicata pedissequamente alla strada: “Salariam viam incipere ait a porta quae nunc Collina a Colle Quirinale dicitur; Salaria autem propterea appellabatur, quod impetratum fuerit u tea liceret a mari in Sabinos salem portari”.Livio (6) con la notizia che i Galli si accamparono in essa :” Galli ad tertium lapidem Salaria via trans pontem Anienis castra habuere” nel 390 anno di Roma, ci dice che fu la più antica, precedendo l’Appia che viene considerata la prima vera strada di Roma costruita da Appio Claudio Censore il Cieco nel  442. La strada  che partiva da Porta Salaria a Roma arrivava ad Hadria (Atri) dopo un percorso di 150 miglia romane, e cioè circa 232 chilometri. E va anche detto come la via e le variazioni di essa erano certamente di origine pre-romana e che essi romani ebbero il merito di renderla unita ed omogenea; come si evince dal poderoso e fondamentale studio del Persichetti sulla strada, dei primi del ‘900, (7) ove motivando aggiunge, come “i sabini prendessero il sale dalle spiagge adriatiche anziché tirreniche”.
Cosa dunque oppongo all’antica dizione di Festo, che la descrive come “strada del sale”? La prima semplice considerazione è, che par strano che una strada adibita al trasporto del sale come compito precipuo nell’esser costruita, non partisse dalle saline di Ostia (dalla costa) ma a 14 miglia (20,7 chilometri) di distanza, internamente nella città, con un percorso davvero singolare ed inconsulto, anche perché non v’è collegamento, ne distanza ravvicinata tra la Salaria e la via Ostiense che partiva da Ostia e finiva alla Piramide Cestia (San Paolo), o la via Campana che secondo alcuni autori  partendo dalla costa poi raggiungeva la Salaria, (e che invece terminava all’isola Tiberina). E anche se sappiamo che sia ai piedi dell’Aventino presso la Porta Trigemina, che ove iniziava la Salaria, vi erano i magazzini del sale (ma non solo quelli) (8), la seconda altrettanto logica osservazione è comunque: ma se essa strada portava il sale ai sabini-umbri, poi lì si sarebbe fermata in un dato luogo, perché proseguire per le coste adriatiche che di sale ne avevano del loro e migliore?
Proseguo con delle note tecniche-merceologiche sul sale (cloruro di sodio) che per essere ottimale e trasportabile, deve avere un elevato grado di purezza (oltre il 90%) e per ottenere tale condizione, il clima deve avere 6-7 mesi di evaporazione e grandi temperature, condizioni ottimali nel Sud-Italia, mentre al Centro la situazione non è altrettanto idonea. Ma v’è di più: nelle saline (stagni) d’Ostia v’è lo scarico a mare del “biondo” (fangoso) Tevere, che oltre a diluire la salinità delle acque, porta con se le impurità del limo. Il sale che vi era ottenuto è senza dubbi un sale grigio “sporco” (una delle prerogative della fabbricazione del sale è tecnicamente il suo continuo lavaggio in acque correnti pure) e deliquescente, non omogeneo e poco adatto ad essere trasportato, un prodotto di second’ordine; certamente usato per tutte le prerogative dell’epoca (ed in special modo per la conservazione – in salamoia – del pesce, prodotto romano per eccellenza e che veniva anche esportato: il garum) ma non certo da costituire una materia prima da inviare lontano. E tra l’altro non si hanno notizie storiche di come i Romani producessero il sale, che aveva un difficoltoso e tecnico processo di raffinazione, ne di una sua commercializzazione nell’ambito mediterraneo (ed infatti non vi sono studi inerenti). Si può immaginare che facessero evaporare l’acqua di mare in profondi tini interrati; non risulta che usassero il fuoco per riscaldare l’acqua, la ove la stagione ed il sole non permettevano l’essicazione, così come – con un processo tecnicamente avanzato – era uso nel resto del centro-nord Italia (9). Anche le saline di Cervia (antica Ficocle) sul lato terminale della Salaria erano interessate a nord dalla vicinanza della foce del fiume Tronto, ma con meno scapito della costa romana, tant’è che dette saline sono ancora in uso. Dunque costruire una strada per un prodotto non ottimale e poco conservabile – e che era poi anticamente soppiantato dai popoli dell’interno con l’economico sale che ricavavano dalle ceneri delle piante – sembra poco probabile.
E’ ora di assegnare alla Salaria il suo vero uso e significato: era un’antica strada pre-romana, che univa due mari (salis: Tirreno e Adriatico) e che permise e le imprese militari romane ed i cospicui traffici con le popolazioni interne (tra l’altro i sabini furono tra i fondatori di Roma), coadiuvata dal percorso fluviale di risalita del Tevere con le navi caudicarie, queste adibite precipuamente al trasporto del pesce, del sale e delle verdure. Forse fu la strada più antica di Roma, costruita su precedenti manufatti dei popoli italici-sabini e per i loro commerci, resa solida e secondo le tecniche dei romani, che le avevano apprese dai cartaginesi nel corso delle guerre nel mezzogiorno d’Italia (10). Aveva un corso percorribile anche d’inverno non avendo elevazioni sopra i mille metri di quota nei valichi, e riportarla al suo vero e naturale ruolo, anche nel nome, mi sembra cosa opportuna. Tanto più che a volte molti storici – mancando loro le fonti – scelgono, è il caso di dirlo, la  “strada” più breve, saltando sia ricognizioni filologiche che ricostruzioni logiche.
Sempre riguardo alla Via Salaria leggi anche gli articoli:
                Salaria Antica: il Ponte Sambuco
                Il Ponte del Diavolo e la Salaria Antica
                Il Miliario della Salaria al Masso dell’Orso

Note:

1)         M.Cosmai -Antichi toponimi di Puglia e Basilicata- 1991

2)         A.Bonavilla- A.Marchi -Dizionario etimologico di tutti i vocaboli usati nelle scienze,arti e mestieri che traggono origine dal greco -1819

3)         A.Nibby in Roma antica di Fabiano Nardini -1820

4)         Strabone- Libro  V -pag.148

5)         Festo -De verborum  significatu -II° sec- su manoscritto mutilo dell’XI sec.

6)         Livio-Libro VI e VI

7)         Niccolò Persichetti-La Via Salaria pag.15-1910

8)         De Martino- Storia economica di Roma antica-1980

9)         J.C. Hocquet-Il sale e il potere-1990
10)       A.Nibby-op. cit.

mercoledì 7 gennaio 2015

LURAS


Origine e significato
del toponimo Luras

 
di Massimo Pittau


Luras (pronunzia log., mentre in gallur. è Luris) (Comune di L., Gallura) - La massima parte delle antiche attestazioni privilegiano la forma Luras, ad es. gli elenchi delle parrocchie della diocesi di Civita (Olbia) che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS 736, 1093, 2291). La variante Lauras documentata per il 1358 dal solo Compartiment de Sardenya costituisce quasi certamente un’errata lettura delle fonti pisane utilizzate dal suo estensore, per cui non è lecito prenderla come base per una analisi etimologica del toponimo (cfr. D. Panedda, «Archivio Storico Sardo di Sassari», X, 334).

Ciò premesso dico che è probabile che il toponimo Luras derivi dal lat. lura «otre, sacco» (DELL, REW), al plurale. Questa denominazione non deve stupire per il fatto che trova un analogo riscontro in due villaggi italiani chiamati Sacco (Salerno e Sondrio) e in altri chiamati Saccolongo (Padova), Sacca Fisola (Venezia), Sacchetta (Mantova), Bisaccia (Avellino), Montenero di Bisaccia (Campobasso), Trebisacce (Cosenza). Per la spiegazione di Luras dunque si può pensare o ai «sacchi» propriamente detti, commerciati dagli abitanti, oppure alla forma di particolari fatti geologici, come colline o valli o - molto più probabilmente - rocce, nelle quali gli abitanti intravedevano altrettanti «otri» o «sacchi».-

Il villaggio è citato da G. F. Fara, Chorographia Sardiniae, 224.33 (anni 1580-1589) come oppidum Luris.- L'aggettivo etnico di Luras è Lurisíncu, che fa capo alla citata forma gallur. Luris ed è caratterizzato dal suffisso còrso e ligure -incu, il quale si trova anche negli altri Bosincu, Nuchisincu, Ossincu, Padrincu, Sossincu, Thiesincu (abitante rispettivamente di Bosa, Nuchis, Ossi, Padria, Sorso, Thiesi) e che molto probabilmente deriva dal suffisso lat. -in(i)cus.- Dal punto di vista della dialettologia sarda Luras costituisce un'isola dialettale logudorese in mezzo al dominio gallurese. Nelle sue stesse condizioni si trovavano fino a non molto tempo fa Bortigiadas ed Olbia.-

In Sardegna corre la voce secondo cui gli abitanti di Luras sarebbero di etnia ebraica, per la quale però non esiste alcuna conferma da parte di nessun documento storico; questa voce invece trova il suo fondamento unico nel fatto che i Lurisinchi sono stati sempre dei commercianti e per effetto di questa loro attività sono stati per l'appunto intesi dagli altri Sardi come "Ebrei". Dappertutto i pastori e i contadini hanno guardato con poca simpatia i commercianti.
La medesima nomea, per lo stesso identico ed errato motivo, hanno gli abitanti di Sennori, di Isili e di Gavoi (vedi). 

 


*** Estratto dall'opera di Massimo Pittau, I toponimi della Sardegna – Significato e origine, 2 Sardegna centrale, Sassari, 2011, EDES (Editrice Democratica Sarda).


martedì 23 dicembre 2014

Il Nome Della Nostra Isola


SARDIS SARDEGNA

SARTENE SARTEANO SARDAGNA

Sardegna dal satellite [fonte: Wiki]


 Articolo di Massimo Pittau
(mie aggiunte spaziature, fotografie e grassetto)


Il nome della nostra isola Sardegna risulta strettamente collegato a quello di altre località molto distanti fra loro, ma la cui stretta connessione linguistica è molto significativa ai fini di una importante tesi storiografica che vado sostenendo da anni. I toponimi in questione sono i seguenti: Sardis in Asia Minore, Sardinia la nostra isola, Sartena in Corsica, Sarteano in Toscana, Sardagna presso Trento.

Sardis o Sardeis era la capitale della Lidia, vasta regione e importante stato gravitante nella costa centro-occidentale dell'Asia Minore od Anatolia e bagnata dal Mare Egeo. La grande città costituiva il capolinea di importanti vie commerciali dell'Asia Minore, compresa la “strada regia” che la collegava con la Mesopotamia e con la Persia<1>.
Il toponimo Sárd(e)is, in lingua lidia propriamente Śfard-, etnico Śfarda-etn, probabilmente significava «anno» oppure «solstizio» e ciò in onore del dio Sole adorato dai Lidi, con una denominazione dunque teoforica o referente a una divinità<2>.
In un anonimo commento del dialogo «Timeo» di Platone viene riportata la notizia secondo cui, attraverso il nome di una leggendaria donna Sardō, l'isola di Sardegna avrebbe derivato la sua denominazione appunto da Sárd(e)is, capitale della Lidia<3>.
Sul piano linguistico il toponimo Sárd(e)is era connesso a questi altri toponimi dell'Asia Minore: Sardénē (nella Misia), Sardēssós e Sardemisus (nella Licia).

Nella lingua greca il nome della nostra isola era Sardó, Sardõnē, Sardõnia, Sardanía, Sardẽnia e l'aggettivo etnico era Sardó(o)s, Sardánios, Sardianós, Sardónios e il sostantivo Sardáioi, Serdáioi.
L'odierno nome della Sardegna deriva chiaramente da quello latino Sardinia e trova come odierne connessionei i toponimi protosardi o paleosardi Sárdara (OR), Sardasái (Esterzili), Sardajara (Nurri), Sardòri (2: Teulada, Villacidro), Serdiana (CA), Serdis (2: Escovedu, Uras).

Sartena, Sartene è il nome di un villaggio della Corsica meridionale, in una zona nella quale si trovano notevoli resti della cosiddetta “civiltà torreana”, così chiamata da “torri” del tutto simili ai nuraghi sardi, anche se meno imponenti. È del tutto verosimile che i Protosardi o Nuragici siano per l'appunto sbarcati anche nella Corsica meridionale, nella via diretta che, lungo la costa orientale della Corsica e di quelle dell'Arcipelago Toscano, costituiva per essi la via più facile per arrivare nella Penisola italiana e precisamente a Piombino, la antica città etrusca di Populonia.
Sarteano o Sartiano (Siena), Sartiana e Sartiano (Lucca) sono tre  toponimi toscani che risultano chiaramente connessi con l'etnico Sardianós, che era una delle varianti con cui i Greci chiamavano gli antichi Sardi. D'altra parte nel materiale linguistico della lingua etrusca che ci è stato conservato compaiono i seguenti antroponimi che sembrano pur essi corradicali dell'etnico Sardi: Sertna(-l), Zarta, Zertna(-i), Zertna(-s), ai quali corrisponde chiaramente l'odierno toponimo Sertino (Castellina in Chianti)<4>. Ed è appena il caso di accennare al fatto che la lingua etrusca non aveva la consonante dentale sonora /d/, alla quale invece corrispondeva quella sorda /t/.
Infine pure il toponimo trentino Sardagna è chiaramente connesso con uno dei nomi con cui gli antichi Greci chiamavano la nostra isola: Sardanía, con la normale ritrazione dell'accento tonico effettuata in bocca latina e all'epoca romana.

Dunque, dal punto di vista tipicamente ed esclusivamente linguistico i seguenti toponimi Sardis (Lidia), Sardanía (Grecia), Sardinia (Sardegna in epoca romana), Sardara (Sardegna), Sartena/e (Corsica), Sarteano, Sartiana e Sartiano (Toscana), Sardagna (Trentino) si presentano come omoradicali o corradicali, si presentano cioè come le perline sciolte e disperse di un collana unica ma spezzata. La quale attende di essere ricostruita con un filo unico costituito di fatti e considerazioni di carattere propriamente storiografico.
E questa ricostruzione di quella collana o catena unica di toponimi può essere effettuata purché ci si rifaccia ad un notissimo passo di Erodoto (I 94), quello che narra del trasferimento della metà della popolazione della Lidia dall'Asia Minore nell'Occidente mediterraneo, e precisamente in quella regione che finirà per essere denominata Tuscia od Etruria, posta fra i due fiumi Tevere ed Arno ad oriente e il Mar Tirreno ad occidente.
Già l'autorevole archeologo e storico Pedro Bosch Gimpera aveva sostenuto che gli emigranti lidi erano arrivati in Etruria soltanto dopo aver soggiornato per qualche secolo in Sardegna, nelle vesti dei Sardi Nuragici, i quali dopo erano sbarcati in Etruria richiamati dalla scoperta degli importanti giacimenti di ferro nella Tolfa del Lazio e nell'isola d'Elba in Toscana<5>.
In seguito, dalle loro prime sedi di sbarco e di insediamento di Populonia, Vetulonia, Vulci, Tarquinia e Caere, gli emigrati avevano conquistato l'intera regione con una direzione che andava dal sud-ovest al nord-est.
E poi, col passare del tempo, gli Etruschi avevano superato l'Appennino tosco-romagnolo ed avevano conquistato e rifondato Felsina (= Bologna), Modena, Parma, Spina, Adria e Mantova. Infine avevano risalito le valli alpine, soprattutto quella dell'Adige sia alla ricerca di nuovi giacimenti di minerali sia perché cacciati dalla Padania verso le Alpi perché costretti dalla invasione dei Galli. Ed erano arrivai fino a Varna, Velturno, Vipiteno in Alto Adige<6>.

Ebbene proprio questo lungo tragitto dei Lidi, che si erano trasferiti prima in Sardegna e dopo nell'Italia centrale e infine avevano conquistato parte della Padania e la valle dell'Adige, è chiaramente indicato pure dalla trafila dei su citati toponimi, che trascrivo ancora una volta: Sardis (Lidia), Sardanía (Grecia), Sardinia, Sardara (Sardegna), Sartena/e (Corsica), Sarteano, Sartiana e Sartiano (Toscana), Sardagna
(Trentino).



A me è capitato spesso di entrare in polemica con archeologi e una volta rivolgendomi ad uno di loro scrissi: «È ben vero che le pietre, i vasi e i cocci di terracotta, i vasi di metallo, le armi  pure di metallo hanno una particolare consistenza documentaria in ordine alla ricostruzione di pagine di preistoria e di storia antica, ma molto spesso pietre, cocci, vasi ed armi sono del tutto muti, mentre le parole e i toponimi hanno la dote di “parlare” molto più e molto meglio».

Massimo Pittau


Costa nord della Sardegna [fonte: Wiki]

N O T E

<1> Vedi M. Pittau, Storia dei Sardi Nuragici, Selargius (CA) 2007, Domus de Janas edit. [Libreria Koinè, Sassari], §§ 7-9.
<2> Vedi M. Pittau, op. cit. § 36 pag. 147.
<3> Platonis dialogi, scholia in Timaeum (a cura di C. F. Hermann, Lipsia 1877), 25 B, pag. 368. Il testo greco è riportato da M. Pittau, La Lingua dei Sardi Nuragici e degli Etruschi, Sassari 1981, pag. 57.
<4> Vedi Silvio Pieri, Toponomastica della valle dell'Arno, in Atti della «R. Accademia dei Lincei», appendice al vol. XXVII, 1918, Roma (1919), pag. 47 (il quale però sbaglia di molto nella spiegazione linguistica); Silvio Pieri, Toponomastica della Toscana meridionale (valli della Fiora, dell'Ombrone, della Cècina e fiumi minori) e dell'Arcipelago toscano, Siena 1969 («Accademia Senese degli Intronati»), pag. 132.
<5> Vedi M. Pittau, op. cit., §§ 11, 25, 63.
<6> Vedi M. Pittau, Lessico Italiano di origine etrusca – 407 appellativi 207 toponimi, Roma, Società Editrice Romana, 2012 [Libreria Koinè, Sassari], pagg. 118, 119, 121.

L'asinello bianco dell'Isola di Asinara [fonte: Wiki]

sabato 8 marzo 2014

LACONI, il toponimo.






Il toponimo Laconi

di Massimo Pittau




Laconi (Láconi, pronunzia locale anche Lácuni) (borgo del Sarcidano, già della curatoria di Parte di Valenza). L’abitante Laconesu, Lacunesu.

Il toponimo corrisponde agli appellativi sardiani o protosardi lácuna, lácona «truogolo», láhana «pozza d'acqua piovana formatasi su una roccia»; láccana, láccara «fossato di confine, confine, segno di confine» ("probabilmente preromano" per il DES II 2), nonché agli altri toponimi Lacconéi (Tonara), Laconitzi (Villagrande Strisaili), Loconiái (Sarule) (suffissi e suffissoidi), che sono tutti da confrontare - non derivare - coi lat. lacus «lago», lacuna «cavità, fossa, pozza d'acqua», con gli antroponimi etruschi LAXU, LAXUNIA, coi toponimi tosc. Làcona, còrso Lácani e inoltre col greco lákkos «fossa, pozzo, cisterna, serbatoio, stagno» (indeur. GEW, DELG) [da cui è derivato il lat. laccus «fossa»; DELL] (OPSE 214).
Parco Aymerich - Laconi
Pertanto Láconi è un toponimo sardiano o protosardo e insieme indoeuropeo, che porta nella sua denominazione un riferimento alla «fossa» nella quale scorre il rivo che attraversa il suo famoso parco, oppure - in subordine - un riferimento al «confine territoriale» tra la Barbagia e il Sarcidano (vedi).
Laconi sarà stato un centro abitato abbastanza importante già in epoca classica, se è vero che i suoi abitanti molto probabilmente sono citati da Strabone (V 2, 7) come Lakónites (OPSE 79, 250; LCS II 54).
L'importanza di Laconi nel passato è dimostrata anche dal ruolo di primissimo piano che in epoca medievale ha recitato la famiglia dei Lacon. Ha scritto acutamente Ettore Pais (Rom. 236-237): «La famiglia dei principi indigeni, che in lingua e con titoli appresi da Bisanzio assumeva il governo dell'Isola, traeva il suo nome dalla regione di Làconi (...) Da queste regioni, sin dall'età punica e romana, solevano discendere gli indigeni nelle pianure sottoposte ai dominatori stranieri. Sembra lecita la domanda, se venuta meno la forza e la custodia di signorie straniere, al governo di tutta l'Isola abbian provveduto gli abitatori di quelle plaghe nelle quali durano più vive le energie (...). La Sardegna, come al tempo dei Cartaginesi, tornò forse ad essere retta dai tardi discendenti di quegli Iolei od Iliensi, che avevano già eretto le splendide moli nuragiche e che di fronte alla poderosa invasione dei Cartaginesi si erano ritirati nelle aspre montagne del Centro».
Molti documenti medievali sardi citano più volte il vocabolo Lacon, Laccon, ma non è sempre facile distinguere se ci sia un riferimento, oltre che alla citata famiglia giudicale, anche al villaggio; ad esempio le Carte Volgari campidanesi, in documenti del 1200-1212 e del 1215 (CV X 1, XIV 11), in cui figurano uno Iudigi Salusi de Lacon e un donnu Gunnari de Lacon.
Il villaggio è citato in maniera certa in un documento del 1299 del Codex Diplomaticus Sardiniae e inoltre tra i villaggi che sottoscrissero la pace fra Eleonora d'Arborea e Giovanni d'Aragona del 1388 (CDS I 474/1; 837/2 e 838/2). Risulta inoltre citato parecchie volte tra le parrocchie della diocesi di Arborea che nella metà del sec. XIV versavano le decime alla curia romana (RDS).
E compare anche nella Chorographia Sardiniae (138.13; 156.35; 196.22) di G. F. Fara (anni 1580-1589.***


MASCHERE DI CARNEVALE A LACONI (oggi, sopra e ieri, sotto)


*** Da confrontare alla voce lácana dell'opera di Massimo Pittau, Nuovo Vocabolario della Lingua Sarda – fraseologico ed etimologico (edizione digitale accresciuta ed emendata, “Ipazia Books” 2013 Amazon); opera nella quale sono anche spiegate le abbreviazioni e le sigle bibliografiche.