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giovedì 19 settembre 2013

SARDI E NO*.



Il prof Luigi Amedeo Sanna 
(Abbasanta, OR, 1939), è stato un ottimo insegnante di lettere e per tale motivo è ancora ricordato con stima ed affetto da numerose annate di fedeli e riconoscenti studenti, (1) oltre che professionalmente molto stimato dai colleghi che hanno avuto il piacere di conoscerlo nel corso della sua pluriennale attività. Attualmente, risulta essere valido docente di “Storia della Chiesa Antica” e “Storia della Chiesa in Sardegna”, presso l’Istituto di Scienze Religiose dell’Arcidiocesi di Oristano. La sua produzione intellettuale ha spaziato su vari campi della realtà sarda presente e passata.(2)
Egli ama definirsi epigrafista. Un’ opinione che risulterebbe, a detta di molti, un po’ controcorrente…
Ora, stupisce non poco che il professore spesso e volentieri si trasformi (quasi seguendo il copione del famoso romanzo: “Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr Hyde” - Robert Louis Stevenson,1886, Londra) in una persona affatto diversa. 
Si giunge obbligatoriamente alla medesima conclusione enunciata con amarezza dal dott. Jekyll: « Sia sul piano scientifico che su quello morale, venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità, la cui parziale scoperta m'ha poi condotto a un così tremendo naufragio: l'uomo non è veracemente uno, ma veracemente due. »
Infatti, l’esimio prof. L. A. Sanna lascia spesso il posto al suo doppio, meglio noto come ‘Giggi Sanna’, che ostenta atteggiamenti verbalmente aggressivi, indulge in frequentazioni elettive molto discutibili per il suo curriculum e predilige una produzione ‘pseudoscientifica’ che è recisamente messa al bando dagli intellettuali veri, accademici e no.(3) La lista di coloro che dichiarano la propria bassissima considerazione circa il suo operato si va allungando sempre di più.(4) Alcuni di questi parlano di “persona caduta nei raggiri di qualche falsario”, mentre altri sono molto più espliciti nei loro giudizi. Questa situazione è molto pericolosa, per chi abbia un passato dignitoso da difendere. L’illustre carriera professionale può essere, sì, usata a propria difesa con indignazione per qualche tempo, ma non può essere costantemente portata a giustificazione di una produzione attuale che appare inficiata dalla presenza d’elementi mediocri ed estranei, apparentemente reclutati nelle birrerie, non sardi ed intrusi nell’argomento a loro sconosciuto dell’ipotetica lingua nuragica scritta.
Il nostro di questo si rende ben conto, infatti è attento a non contraddire in modo troppo diretto quelli che ancora possono dargli qualche lustro istituzionale: ad esempio, le sue ‘ricerche’ sulla lingua nuragica scritta gli hanno permesso fin qui d’identificare con regolarità il tetragramma sacro “Yahweh” in Sardegna, circa 2000 anni prima che questo comparisse in Medio Oriente. Questa saggia linea di condotta è, probabilmente, orientata a mantenere il perfetto accordo con le prevedibili preferenze dell’Istituto Religioso per il quale egli tuttora insegna e lavora. Un buon esempio di diplomazia, più che d’indipendenza intellettuale: ma, si sa, ‘ognuno tenimm' famiglia’.
Il professore è incorso, probabilmente, in alcuni errori.
1) Ha considerato come veri alcuni reperti archeologici che tali non sono.
Tra questi rientrano gli ormai famosi reperti detti ‘Ciottoli di Allai’, per i quali è ancora in corso ed aperta la questione legale: i diretti interessati non sono autorizzati a parlarne. Il professore figura nelle file dei testimoni a favore della difesa.
In tempi ‘non sospetti’, come si suol dire, il prof Massimo Pittau dichiarò di essere stato avvicinato da qualcuno che cercò di ottenere 20.000 euro per detti cittoli. Oggi quel qualcuno si difende adducendo di non essere stato mai veramente in grado di valutare l’autenticità di quei reperti, che egli casualmente trovò.(5) Ma anche in questo caso, come si dovrebbe  qualificare (o squalificare) il tentativo di venderli alla cifra di 20.000 euro?
- Oltre ai ciottoli, esistono i precedenti delle fantomatiche ‘Tavolette di Tzricottu’. Le tavole sono comparse solamente in fotografia e mai dal vero. Ne esiste solamente una – anche se non si sa dove si trovi e i sostenitori della veridicità sostengono siano 4 o 5 – consistente in uno stampo medioevale per il cuoio, contente segni piuttosto simmetrici a scopo decorativo. Il prof Sanna, in questo caso caduto in evidente errore interpretativo (che egli non ammette, ndr), ha creduto ravvisarvi una lingua cuneiforme: sarebbe il primo caso al mondo di lingua scritta che curiosamente riesce ad essere simmetrica nel suo risultato finale scritto. Questa tesi risale al 1996 (“Omines” di G. Atzori e G. Sanna), circa 17 anni fa. Potrebbe essere anche considerata un errore di gioventù se gli autori si fossero ravveduti: Atzori purtroppo è deceduto e Sanna appartiene a quella categoria di pensatori che non commette mai errori. Per brevità si tralasciano i casi di altre scritte sarde in cui fatti ed opinioni seguono schemi paralleli...
2) Si è affiancato alcuni collaboratori che certamente non sono al suo livello, laddove egli era ed è invece un ottimo conoscitore delle lingue classiche greco e latino (oltre che un ottimo insegnante delle stesse: e le due cose non sempre vanno d’accordo, come molti possono bene testimoniare!) ed un buon conoscitore delle lingue antiche, per suo lungo interesse personale approfondito negli anni con le proprie indubbie capacità d’indagine intellettuale. Questi collaboratori, invece, si sono intrufolati nell’intimo di una materia che non è la loro, che non gli appartiene e che – alla fine – non possono conoscere come il professor Sanna. A solo titolo d’esempio: come si configura la signora Aba Losi, (seppure una eccelsa foto-biologa parmense di fama internazionale), nel campo della presunta antica lingua sarda scritta? Come può credere il prof. Sanna, di acquistare maggiori portanza e credibilità scientifica accompagnandosi a siffatta ‘esperta’? In realtà, purtroppo, egli ne esce molto ridimensionato nella considerazione di tutti (che – si ricorda – è già bassa di per sé).
3) Ha recentemente dato credito ad alcuni reperti incisi - fuori contesto e quindi poco credibili - che una turba di conoscenti, ammiratori e seguaci hanno voluto sollecitamente sottoporgli gratuitamente. Forse, in questa circostanza egli è stato incauto e la cattiva esperienza dei ciottoli di Allai non è stato deterrente sufficiente al suo invincibile entusiasmo per la tesi della 'lingua nuragica scritta', che tanto gli sta a cuore per motivi identitari e culturali. Ha ormai collazionato con cura un gran numero di reperti, convinto che il numero (non la qualità), prima o poi, convincerà i suoi detrattori ottusi e miopi: la loro resa è prossima.
4) Dopo essere stato estromesso con biasimo da sedi ‘ufficiali’ (come ad esempio gli successe ad Olbia, in cui non potrà ormai altro che comparire in salette private e sottoscala), ha tentato di farsi accogliere in altri ambienti illustri e perciò si è rivolto agli amici. Gli amici, si sa, sono generosi fino all’autolesionismo. E così fu accolto all’Università di Sassari, in un ‘seminario’ che non aveva alcunché di archeologico, ma figurava come sponsorizzato dall’Archeologia Sassarese; non aveva molto di generalmente medico, ma offriva crediti agli studenti in medicina; non aveva granché di scientifico, ma si teneva addirittura in un'Aula della Facoltà di Medicina (non nell’Aula Magna, come alcuni hanno erroneamente riferito) dell’Università di Stato. Molti considerano l’episodio un miserevole sotterfugio mirato all'uso improprio del bene pubblico, per fini auto-promozionali; Sanna lo considera una grande vittoria personale e della Verità della Scienza. Il fatto ha generato polemiche, causato a tutti grande e generalizzato imbarazzo e fastidio, a spese del Rettore, dell’Istituto e di una stimata e valida specialista neurologa che si è, un po' incautamente, prestata all’invito dell’amico fidato. 

5) Sanna ha radunato intorno a sé un gruppo di 'estimatori' che si potenziano e si incoraggiano reciprocamente nel loro blog, in una specie di esercizio continuo di riaffermazione dell'autostima. Si raccontano l'un l'altro quanto sono bravi, si complimentano per quanto bene essi comprendano ogni argomento rispetto a tutti gli altri, che manco a dirlo, sono tutti in errore (specialmente gli accademici accozzati ed incapaci, ma anche i critici di qualsiasi provenienza)... Nel blog si alternano notizie vere e credibili ad altre molto meno vere e credibili, secondo l'ormai collaudata tecnica per vendere la merce di dubbia provenienza. Già l'uso di questo metodo dovrebbe indurre il lettore a ponderarne i contenuti. Sicuramente, anche questo 'biglietto da visita' non giova affatto alla fama trascorsa del professor Sanna.

6) Il più grande errore del Sanna è certamente quello di non sottomettere i suoi lavori a quella revisione paritaria che è più nota sotto il termine inglese di 'peer review'. (Viene quasi il sospetto che abbia già tentato questa strada, ma che non esistano riviste scientifiche disposte a dare spazio ai suoi lavori, oppure che non esistano esperti della materia epigrafico/archeologica che vogliano abbassarsi a 'mettersi alla pari con lui': ma certamente questo è solamente un pensiero malevolo). 
Eppure, sarebbe questa la strada giusta per fare sì che si creda ad una 'lingua Nuragica scritta': altre lingue del passato furono tradotte contemporaneamente e separatamente da diversi studiosi che ebbero a convergere su un'unica traduzione: perché non si fa anche con il 'Nuragico'?
7) Il carattere del professore, infine, è quello che conosciamo: egli è irruente, generoso e talvolta si lascia trasportare dalla foga e dalla passione per la propria tesi, fino ad aggredire verbalmente con intolleranza i propri critici in modo spazientito, talché non sembra proprio esprimere per intero il garbo discreto del british gentleman. Inoltre, tale foga certamente non giova al suo fisico di settantaquattrenne un po' sovrappeso. Ma in fin dei conti il professor Sanna è interamente e profondamente sardo e tenacemente abbarbicato alle proprie orgogliose radici regionali, come tutta la sua produzione – scientifica e no (6) – dimostra convincentemente fino ad oggi; perché mai, dunque, dovrebbe avere modi da british gentleman? Sarebbe, quello, un atteggiamento non vero, un falso, cosa che – come tutti sappiamo – egli detesta.

8) Non può infine sfuggire ad una domanda (che gli è stata più volte rivolta, ma alla quale si ostina caparbiamente a non rispondere, in modo poco 'british' e molto sardopastorale): "Lei ha sostenuto la veridicità di reperti archeologici artefatti (ricordiamo che lei è laureato in Lettere ed in Archeologia). Si rende conto, professore, che così facendo, esistono solamente due possibilità? O lei si è sbagliato in modo fragoroso, oppure è colluso con i falsari. Quale delle due sceglie, dato che non ne esiste una terza?". Anche questa volta cadrà nel vuoto e rotolerà tra epiteti coloriti ed urla di lesa maestà.
A jackass, nothing else but.


Si giunge fatalmente alla medesima conclusione enunciata con amarezza dal dott. Jekyll: “Sia sul piano scientifico che su quello morale, venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità, la cui parziale scoperta mi ha poi condotto a un così tremendo naufragio: l'uomo non è veracemente uno, ma veracemente due.”




* Si fa presente che la forma 'Sardi e NON', che alcuni preferirebbero, è errata, in Italiano. Infatti, si può dire 'Sardi e no', oppure 'Sardi e non sardi'. Tertium non datur, Sanna, anche se fa male.
(1) Liceo Ginnasio de Castro, Oristano, 1967-1998, circa 31 anni di onorata carriera.
(2) Storia della Sardegna, Letteratura sarda, Predicazione sarda, presunta lingua nuragica scritta.
(3) Sanna direbbe: “accademici e non”. Strano che un professore di lettere non conosca la forma italiana corretta…
(4) Includendo ormai – tra gli altri e sempre più numerosi – il professore di lingue Massimo Pittau, l’archeologo Rubens D’Oriano, l’archeologo Raimondo Zucca e molti, moltissimi altri, tra cui – seppure indegnamente – persino l’autore di questo blog.
(5) L’accusa  sostiene che egli li abbia piuttosto costruiti con le proprie mani e non trovati: che egli sia quindi un ‘tombarolo’ ed un falsario, ma questo è da provare.
(6) Sanna direbbe, anche qui: “scientifica e non”. La sua conoscenza del sardo, si assicura, è nettamente superiore a quella dell’Italiano.

mercoledì 18 settembre 2013

Also Known As Giggi

ALLAI

Riposto questi due interventi - della Nuova Sardegna e del Prof. Pittau (al quale furono chiesti 20.000 euro) - per doveroso aggiornamento di chi non fosse sintonizzato con le cose sarde passate volentieri di soppiatto. Ci tengo a dire che l'udienza di Luglio dovrebbe essere stata rinviata e che pertanto il processo non è ancora concluso. L'esimio prof Luigi Amedeo Sanna, aka Giggi Sanna, figura probabilmente dalla parte della difesa, per vecchio debito d'amicizia ed antica militanza tra gli amici dell'imputato...
ALLAI 





Reperti donati, non erano veri

Nuovi testi al processo per falsificazione di materiale archeologico

    “Quei reperti non sono autentici”. 
    Si è allungata la lista dei consulenti dell’accusa che ha confermato la falsità attribuita ai reperti archeologici di Allai dalla Soprintendenza. Il caso era scoppiato quando l'imputato, Armando Saba, si era reso protagonista di un ritrovamento lungo le sponde del Tirso. Dieci reperti che aveva giudicato essere di epoca etrusca e per questo motivo donati al nascente museo di Allai, con conseguente ipotesi dell'arrivo di un finanziamento. L'uomo ora si trova a processo di fronte al giudice monocratico Antonio Enna per falsificazione di reperti archeologici e detenzione di materiale archeologico non regolarmente denunciato, accusato dal pubblico ministero Daniela Muntoni di aver fabbricato lui stesso la serie di reperti al centro della vicenda della donazione al nascente museo di Allai, spacciati per risalenti all'epoca etrusca.
    Ieri, chiamato a deporre dall’accusa, ha confermato la non autenticità dei dieci reperti anche il rettore dell’Università di Sassari, Attilio Mastino, in qualità di professore di Storia romana.

     La tesi della difesa, sostenuta dall’avvocato Giovanni Paolo Meloni, è invece differente e prova a puntare sulla possibilità che si tratti sì di un falso storico, ma di epoca più recente. Motivo per il quale Saba, analizzandoli, non ha avuto a disposizione le basi conoscitive adatte per valutarne l’originalità o meno. Saba li avrebbe quindi solo rinvenuti, ma non contraffatti. L’elenco degli esperti chiamati a esprimersi sui dieci reperti si allungherà alla prossima udienza del 17 luglio, data del rinvio nella quale verrà sentita l’archeologa sassarese, Daniela Rovina. (c.c.)
    13 giugno 2013

    giovedì 14 febbraio 2013


    SCRITTURA NURAGICA E FALSI.







    Falsificazioni sulla cosiddetta "scrittura nuragica"


    di Massimo Pittau


    In Sardegna c’è una attenzione vivissima e quasi morbosa per la civiltà nuragica. Questa attenzione deriva dal fatto che, almeno in una forma in buona parte inconsapevole, i Sardi sanno o “sentono” di avere a che fare col periodo più importante e più glorioso dell’intera storia della Sardegna. Per questo motivo di fondo tutti i Sardi sono istintivamente portati a simpatizzare con chi sostiene che anche i Nuragici avevano una loro “scrittura nuragica nazionale”.
    Una ventina di anni fa nel nuraghe Tzricottu del Sinis è stata trovata una targhetta metallica che, in una delle sue facce, porta chiarissimi “disegni ornamentali”, simili ad arabeschi.Intervennero due amanti di cose sarde, insegnanti medi, i quali dichiararono al pubblico che quei disegni in realtà erano i segni di una “scrittura nuragica”, mai conosciuta e riconosciuta prima.
    Intervenne subito un archeologo il quale dimostrò – in modo del tutto convincente - che quella targhetta risale non all’epoca nuragica, bensì a quella bizantina e faceva parte dell’armatura di un militare.
    Ovviamente c’era stato dunque un grosso abbaglio da parte dei due insegnanti. Uno di questi – anche per tentare di stornarlo da sé – andò avanti con la sua tesi pubblicando anche un libro nel quale c’è pure il disegno di altre tre targhette simili alla prima, ma anche lievemente differenti. Senonché, a mio fermo giudizio, queste altre targhette non sono altro che veri e propri “falsi”. Esse infatti non fanno altro che seguire il disegno della prima, ma con lievi variazioni interne. E si tratta chiaramente di un “falso” fanciullesco, dato che presuppone che la seconda targhetta contenga una iscrizione sovrapposta a quella della prima, la terza targhetta contenga una iscrizione sovrapposta a quella della seconda e della prima, la quarta targhetta una iscrizione sovrapposta a quella della terza, della seconda e della prima. E tutto ciò presuppone un gioco di inserimenti di iscrizioni che non potrebbe trovare posto neppure nei giochi di in una rivista di enigmistica. Che queste ultime targhette siano altrettanti “falsi” è dimostrato pure dal fatto che esse non sono state mai mostrate ad alcuno.


    Messisi sulla strada ormai aperta delle “falsificazioni”, alcuni individui hanno finito con l’avere anche fastidi giudiziari rispetto a ciottoli fluviali che sarebbero stati trovati sulla riva del Tirso e che presenterebbero segni di scrittura etrusca.
    Da qualcuno di questi individui, per telefono e senza farsi riconoscere, io ho avuto una offerta di fotografie contenenti“iscrizioni etrusche” (ormai si sapeva che io mi interessavo a fondo di “lingua etrusca”). Io non abboccai, dato che sono ben al corrente del fatto che fioriscono in Toscana, in Umbria e nel Lazio settentrionale, “falsari di oggetti etruschi” che offrono agli acquirenti ignari, e questi oggetti tanto più sono apprezzati se riportano scritte anch’esse “false”. Io feci al mio interlocutore anonimo alcune domande sulle supposte “iscrizioni etrusche” e compresi subito che ero di fronte a un inganno e a un tentativo di imbroglio. Per il quale il mio interlocutore aveva chiesto la modica somma di 20 mila euro…


    Ma la strada delle “falsificazioni archeologiche e linguistiche” pure in Sardegna era stata ormai aperta, favorita immensamente anche dal ricorso al disponibilissimo “internet”. E infatti da una decina di anni in qua furoreggiano, soprattutto in qualche blog ospitale ed interessato, numerose riquadri di alfabeti e figure di scritte nuragiche, fornite delle necessarie lunghe didascalie. Si tratta però di “falsi”, nient’altro che di “falsi”, ripresi dai numerosissimi siti dell’internet, che possono ritrovare e riscontrare tutti coloro che sappiano e abbiano la pazienza di interrogare a dovere i generosi siti internet.
    Però ovviamente questi “falsi” sono sottoposti al cambio di connotati, nel senso che possono appartenere ad una delle numerose lingue del mondo antico, ma, mutatis mutandis, sono presentati come “alfabeto o scrittura dei Nuragici”. Quando è opportuno le figure originali di scritture orientali subiscono qualche spostamento o inversione o ritocco; tutte operazioni che nel computer si possono effettuare con estrema facilità e senza lasciare alcuna impronta digitale…
    È possibile scoprire questi “falsi” ed anche evitare facili imbrogli a proprio danno? Sì, è possibile in questo semplice modo: invitare i propositori di queste “scritte nuragiche” a presentare la fotografia di un bronzetto o vaso nuragico che risulti esposto in uno dei numerosi musei archeologici della Sardegna e che dunque sia stato ufficialmente riconosciuto come “reperto autentico” dagli archeologi autorizzati. Poi farsi mostrare la esatta corrispondenza di segni incisi in quei bronzetti o vasi con le lettere di quello che i propositori dicono essere l’”alfabeto nuragico”, corrispondenza anche di sole 5 o 6 lettere appena.
    Se questa dimostrazione di “corrispondenza di segni ad altrettante lettere” non fanno, i propositori in questione sono nient’altro che “falsari”, falsari della buona fede dei Sardi.
    E approfitto dell’occasione per mettere in guardia i Sardi, amanti della nostra storia, dai “falsari di oggetti nuragici”, anche forniti di “segni di scrittura nuragica”, che ormai circolano numerosi anche in Sardegna.
    Sono stato chiaro sulle modiche somme che richiedono agli ingenui che siano disposti ad acquistarli?

    venerdì 13 settembre 2013

    Siparietto


     Per chi non è addentro alla questione, dirò che i personaggi che compaiono in questo 'siparietto' di circa 5 anni fa, nel blog del defunto Gianfranco Pintore, sono:

    - Alfonso Stiglitz, archeologo;
    - Aba Losi, ricercatrice in Fisica, una voce confusa prestata all'Epigrafia ed all'Archeologia sarde (che ne farebbero volentieri a meno);
    - Un Anonimo (non mancano mai i figli di madre ignota che offendono gratuitamente, senza mostrare il proprio vero volto di figli di madre ignota, ma ne esprimono benissimo i concetti);
    - Mirko Zaru, ricercatore autonomo, che ha almeno il merito di avere dimostrato al di là di ogni dubbio che Tzricottu è uno stampo unico e che i calchi che vorrebbero fare sembrare più numerose le 'tavolette' sono un poco abile falso.

    Siamo sempre lì: da una parte si vuol dimostrare che le tavolette sono numerose ed autentiche, ma non si sopporta di essere definiti o "in palese errore" o addirittura "falsari".
    A pensarci bene, non esiste altra possibilità.


    Stiglitz e Losi




    LUNEDÌ 21 LUGLIO 2008


    Ma la scrittura risponde a necessità economico-politiche

    di Alfonso Stiglitz
    Caro Gianfranco,
    voglio in primo luogo associarmi ai tuoi complimenti per Carlo Figari che con correttezza e sapienza ha saputo dare informazione su un tema archeologico dibattuto e, cosa rara, dando voce anche agli archeologi.
    Devo dargli atto (ma, conoscendolo, non avevo dubbi) di essere stato in grado di sintetizzare correttamente in poche righe una conversazione durata più di un’ora. D’altra parte, è evidente che una sintesi, tiranneggiata dagli spazi invalicabili della carta stampata, non possa che rendere secche e categoriche posizioni e argomentazioni in realtà estremamente articolate. Quindi cerco di “riespandere” quelle argomentazioni, rispondendo anche alla chiamata in causa, un po’ supponente (anche in archeologia, come in biofisica, il “referaggio” presuppone una qualche competenza) di Aba Losi.
    E parto proprio da un’affermazione a dir poco sorprendente per una ricercatrice, ancorché di Fisica, che dichiara di non capire cosa si intenda per documento scientifico.
    Un documento (o, più genericamente, un dato) scientifico è, in campo storico, ma suppongo anche in quello fisico, un documento che ha subito quella che, con brutto termine oggi in voga, possiamo chiamare una validazione: cioè è stato verificato. Mi spiego meglio con quello che insegno nella prima lezione quando, di tanto in tanto, vengo chiamato a insegnare all’Università. La prima lezione è dedicata, ovviamente, ai primi rudimenti metodologici e agli ausili di studio e in essi richiamo due “leggi” della ricerca storica:
    1. ogni fonte, fino a prova contraria, è “falsa”; ciò significa che ogni volta che ci troviamo di fronte a un documento di qualsiasi natura dobbiamo effettuare una serie di verifiche per valutare se è un originale, una copia, una falso, dobbiamo capire se è inserito in un contesto (vedi la seconda “legge”), quindi, se supera questi gradini valutare se è veritiero o meno (anche gli antichi dicevano bugie). In altre parole si cerca di insegnare la sana arte del dubbio (non so se anche in Fisica ....).
    2. ogni accadimento storico (compresa la scrittura e le iscrizioni) avviene in un tempo e in uno spazio definiti e non in altro; tempo e spazio che vanno identificati.
    Queste operazioni trasformano un documento in un “documento scientifico”.
    Veniamo al problema della scrittura, dello Stato e della città. Spero sinteticamente.
    Ci troviamo di fronte a due distinti problemi. Il primo riguarda la realtà materiale dell’esistenza concreta della scrittura nuragica; il secondo quello del contesto storico in cui la scrittura nasce e si sviluppa.
    Per il primo caso la risposta è relativamente semplice ma, evidentemente, legata sempre e comunque allo stato delle conoscenze, perché è sui dati concreti e verificabili che la ricerca storica si muove.
    Allo stato attuale delle conoscenze non esiste un documento che sia certificabile, “validabile”, come scrittura nuragica. Gli esemplari di Tziricottu sono, al di là di ogni ragionevole dubbio, matrici altomedievali (dato cronologico) di ambito artistico bizantino (dato culturale) e presenti anche nelle culture coeve, tra cui quella longobarda. Lo dimostrano ampiamente le decine e decine di esemplari simili per forma, aspetto e dimensioni, presenti nelle necropoli di quell’epoca, ben databili in quanto contesti chiusi, situate nella penisola italiana (e quindi, grazie a dio, non scavate ne studiate da quei cattivi e ignoranti di noi archeologi sardi) che il collega Paolo Serra ha richiamato in diverse sedi scientifiche con precisi riferimenti verificabili. A quei dati non è stata data risposta scientifica ma solo insulti e basse ironie, indegne della qualità della persona che li esprime e di quella che li riceve.
    I cocci di Orani appartengono ad altro ambito e cronologia; uno presenta caratteri chiaramente fenici, due degli antropomorfi e uno dei chiari simboli di Tanit. Dalle foto (e quindi in assenza di una validazione scientifica) non è possibile stabilire se si tratti di reperti appartenenti allo stesso contesto, ambito culturale e cronologico. Nel caso della scrittura si tratta di elementi privi di problemi di inquadramento, così come per i segni di Tanit, inseribili in note sequenze iconografiche di cui esistono repertori per la Sardegna, Sicilia, Africa, Spagna, Fenicia (dove peraltro c’è l’attestazione diretta della connessione tra il simbolo e la dea Tanit). Anche nel caso dell’interpretazione di questo segno nei “cocci di Orani” si è privilegiato di ignorare totalmente questi studi e repertori eppure solo per la Sardegna le evidenze (che ormai si avvicinano al centinaio) sono chiare e tutte riportabili a definiti ambiti culturali fenici con persistenze sino all’età romano-repubblicana (vedi le case “puniche” di Cagliari).
    Nel caso delle iscrizioni su pietra a parte il caso con lettere palesemente di alfabeto latino e l’altra in alfabeto fenicio, per le altre bisogna approfondire con estrema cura l’analisi; ma sino a oggi, manca l’edizione scientifica: non mi sembra che gli attacchi a me o ad altri colleghi possa considerarsi l’equivalente di una spiegazione scientifica, come ho avuto modo di mostrare in un precedente intervento dove ponevo dei precisi riscontri all’iscrizione fenicia, per i quali non ho ricevuto risposte (e non pretendo di riceverle).
    L’altro problema che si pone è se l’assenza di una scrittura nuragica “certificata” (sia essa originale o mutuata da altri sistemi di scrittura) sia effettiva o si basi semplicemente sull’assenza di ritrovamenti. Qui il discorso si complica perché, come è noto a chi si occupa anche distrattamente di ricerca storica, assenza di dati non significa che quei dati non esistano. Allora, fermo restando che l’eventuale rinvenimento di nuovi dati porterebbe a creare nuovi modelli interpretativi, resta il fatto che l’assenza di scrittura di per sé non è sorprendente.
    In tutte le culture Mediterranee, Europee e Vicino-orientali la scrittura nasce in collegamento con precise necessità politiche ed economiche legate all’accentramento del potere, alla necessità di organizzare questo potere, soprattutto in campo economico, e all’interno di questo in culture di tipo urbano. Nel caso nuragico questi fenomeni non sono presenti per l’epoca dei nuraghi (Bronzo Medio e Recente, grosso modo secondo e terzo quarto del II millennio a.C.), mentre si colgono segni di formazione di processi simili nelle fasi finali della civiltà nuragica, post nuraghi (Bronzo finale e primo Ferro (dal 1200 a.C. in poi). Guarda caso la scrittura come elemento stabile, non occasionale (importato sugli ox-hide ad es.) compare con i primi fenomeni urbani fenici (anch’essi attestati al di là di ogni ragionevole dubbio) che in Sardegna datiamo alla metà dell’VIII sec. a.C. (a Cartagine nella seconda metà del IX sec. a.C. ecc.). Ovviamente possiamo far finta che la fase fenicia non esista, ma non basta prendersela con gli archeologi, bisogna dimostrarlo (e mi sembra difficile).
    Altra cosa sono i marchi ceramici che conosciamo e da qualche anno iniziano a essere meglio studiati, in tutto il Mediterraneo.
    Quindi scrittura non equivale a società più evoluta e mancanza di scrittura non equivale ad analfabetismo. Parliamo, invece, di differenti strutture economiche e sociali e, ovviamente, di differenti codici di comunicazione di cui la scrittura è uno dei tanti.
    Nessuna negazione né della straordinaria qualità della storia della Sardegna né della capacità dei nuragici, vorrei far sommessamente notare che i materiali nuragici oltremare e le capacità di movimento di quella cultura l’hanno provata gli archeologi, spesso e volentieri sardi, con il faticosissimo cercare strato per strato, coccio per coccio, muro per muro, tomba per tomba, le tracce di questa cultura ovunque essa fosse, ma sempre legati a dati concreti, verificabili e discussi.

    P.S. Una umile richiesta alla dott. Losi, mi critichi, anche duramente, per affermazioni che faccio e non su “sillogismi” inventati: “i nuragici erano contadini, la scrittura non serviva loro, ergo i nuragici non scrivevano”; non l’ho mai detto né pensato; per di più, mi consenta, le mie pur scarse frequentazioni di Aristotele mi avrebbero portato a formularlo in modo diverso e più logico: “i contadini non utilizzavano la scrittura, i nuragici erano contadini, ergo non scrivevano” e così via. Sarò antipatico ma certe sciocchezze non mi appartengono.

    1 COMMENTI:

    Aba ha detto...
    Gentile sig. Stiglitz
    intanto grazie per la sua risposta. La mia domanda su cosa sia un documento scientifico non é ne´ingenua né banale: se ne discute molto, soprattutto in un campo come il mio dove il problema della validazione di teorie e risultati cresce esponenzialmente, parallelamente al numero di dati prodotti e pubblicati. Noi pero´partiamo da presupposti un po´diversi: ogni dato, fino a prova contraria, é vero e se vi sono dubbi viene verificato da esperimenti ripetuti. Mi rendo conto che questo nel suo campo é un po´difficile (un dato archeologico non é un risultato di laboratorio ripetibile).
    Io non intendevo attaccare nessuno, ci tengo a dirlo,ma gli anacronismi nell´articolo c´erano eccome e non credo di dover essere una esperta epigrafista o archeologa per permettermi di esprimere la mia opinione. Il sillogismo non l´avro´ri-formulato rigorosamente (tenga presente che ho detto simile, almeno cosi´appariva dalla stampa), ma il take-home message era quello, questo non puó negarlo.
    Ripeto, cosí pareva dalla stampa. Quanto alla sua personale opinione, le confesso che io, anche dalla sua lunga lettera di risposta, non l´ho molto capita...
    distinti saluti e , se vuole, mi scriva pure al mio indirizzo (lo trova sulla mia homepage).
    Aba

    sabato 23 marzo 2013

    PARAHIBO, TZRICOTTU


    The Paraíba Inscription

    Transcript of the Paraíba Inscription
    Transcription of the Paraíba Inscription: the sole evidence for its existence


    While the Kensington Runestone undoubtedly exists, the same cannot be said for the so-called Paraíba (or Parahyba) Inscription, for which the sole evidence is a transcription accompanying a letter sent to Cândido José de Araújo Viana (1793-1875), the Visconde (later Marqués) de Sapucahy, President of the Instituto Histórico e Geográfico Brasiliero in Rio de Janeiro (Brazil) in 1872, who passed it to Ladislau de Souza Mello Netto (1838-94). Although Netto was a botanist, he was also the interim director of the Museum Nacional and had a knowledge of Punic archaeology and the Hebrew language. The following year, the discovery was reported by the newly formed London Anthropological Society in Anthropologia (1, 208) in a letter sent by A F Jones from Rio de Janeiro, who said that “[t]he published accounts of this find are so vague and unscientific that I can form no opinion of my own about it”. At a meeting of the Society on 6 January 1874, three translations were compared and there was considerable discussion about its authenticity; on the 11 August 1874, A F Jones wrote again to the Society, saying that Ernest Renan (1823-1892), the Semiticist, considered it a hoax. Other experts in Semitic languages, including Konstantin Schlottmann (1819-1887) and Julius Euting (1839-1913) were also of the opinion that the supposed inscription was a fake.
    Ladislau de Souza Mello Netto (1838-94)
    Ladislau de Souza Mello Netto (1838-94)


    In the meantime, Netto had tried to locate the original inscription. The letter writer was one Joaquim Alves da Costa, a plantation owner from a place named Pouso Alto, near Paraíba; several places called Pouso Alto were found, while two places named Paraíba are known (one in the province of the same name, the other near Rio de Janeiro). Alves da Costa and his estate proved impossible to locate and Netto concluded that the whole affair was nothing more than a hoax, publishing a report as Lettre à Monsieur Ernest Renan à propos de l’Inscription Phénicienne Apocryphe soumise en 1872 à l’Institut historique, géographiqe et ethnographique du Brésil (“Letter to M Ernest Renan concerning the fake Phoenician inscription submitted in 1872 to the Historical, Geographical and Ethnographic Institute of Brazil”) in 1885. Netto blamed the hoax on foreigners who were trying to discredit Brazilian scientists and although he claimed to know the identity of the hoaxer, declined to reveal it.
    However, the story was revived more than eighty years after Netto’s debunking work was published in 1885, when Jules Piccus (1920-1997), professor of Romance languages at the University of Massachusetts (Amherst, USA), bought a scrapbook at a jumble sale in Providence (Rhode Island, USA) in 1967. It contained correspondence sent by Netto to Wilberforce Eames (1855-1937), a librarian at New York Public Library, which included a copy of the alleged inscription and a translation made by Netto in 1874. Piccus, who seems to have been unaware of Netto’s 1885 report, sent a copy to Cyrus Herzl Gordon (1909-2001), head of the Department of Mediterranean Studies at Brandeis University in Waltham (Massachusetts, USA) and an expert in ancient Semitic languages. Unlike Renan, he thought the Paraíba inscription contained elements of Phoenician style that were unknown in the nineteenth century and concluded that it was genuine.
    Gordon was quick to release the story to the media, with a report appearing in The New York Times by the science writer Walter Seager Sullivan (1918-1996) that was widely syndicated to other newspapers, and a sensational report by A Douglas Matthews in Life. This is a tactic widely used by pseudoscientists and regarded with suspicion by scholars. Despite Gordon’s certainty about the genuineness of the inscription, he failed to find support from other linguists. He conducted a long and acrimonious dispute with Frank Moore Cross Jr (born 1921), Hancock Professor of Hebrew and Other Oriental Languages Emeritus at Harvard. Cross was scathing in his criticisms of Gordon, pointing to problems with the script, vocabulary and spelling. Gordon continued to champion this text and others as evidence for numerous transaltantic contacts in Antiquity but failed to convince sceptics.
    Like the Kensington Runestone, the Paraíba Inscription was quickly denounced by linguists, subsequently to be revived by those claiming that its peculiarities could be explained by more recent discoveries that would have been unknown to a nineteenth-century hoaxer. Unlike the Runestone, though, there is no artefact to examine, no physical evidence and not even an accepted findspot. It has all the hallmarks of a crude fraud.

    Si direbbe che i falsari abbiano imparato molto anch'essi da questo episodio. L'esclusione dalla considerazione scientifica di ciò che non è prodotto in originale all'osservazione sembra essere l'unica efficace difesa.
    Se Parahibo ha così tanto in comune con Tzricottu, Gordon con chi si potrebbe accomunare, amico mio?
    So che hai in mente qualche nome: è solo questione di Tempo.