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giovedì 8 ottobre 2015

IL CASO "Scrittura nuragica"


pubblico, senza commenti, da Sardinia Blog:

IL CASO. Scrittura nuragica e logopedia: tutto “sospeso” a Sassari

tzricotu
“Sospeso a data da destinarsi”: queste le parole dell’Università di Sassari in merito al ciclo di seminari “Il cervello che scrive: una visione interdisciplinare”, organizzati dalla facoltà di Medicina il 16, 20 e 30 ottobre, in cui si mescolava la logopediacon la presunta scrittura nuragica. Un binomio un po’ azzardato con basi scientifiche praticamente nulle ma che nei giorni scorsi deve aver creato più di qualche mal di pancia ai docenti dell’ateneo turritano sino ad arrivare alla decisione odierna, verosimilmente tra imbarazzi più o meno celati che fanno capire, tra le righe, che corsi simili non ne verranno più fatti. Impossibile, infatti, riuscire ad avere qualche commento in più sulla vicenda, tenendo conto che la facoltà di Medicina non è nuova a iniziative simili – il primo è datato al 2013 – che vedono coinvolti Maria Rita Piras, presidente del corso di laurea in Logopedia, Susanna Nuvoli, ricercatrice di Medicina Nucleare e Gigi Sanna, ex professore di latino e greco al liceo classico “De Castro”, attualmente docente di storia della chiesa antica all’Istituto di Scienze Religiose di Oristano, ma soprattutto autore di un tomo di ben 600 pagine pubblicato dalla casa editrice S’Alvure e dal titolo “Sardoa Grammata”, in cui ha cercato di dimostrare l’esistenza di una scrittura nuragica. Tesi rigettata da tutto il mondo archeologico e scientifico nazionale perché si basa su metodi che niente hanno a che fare con la ricostruzione storica di una lingua e basati su documenti di dubbia veridicità e provenienza.
Alla base del sodalizio tra i tre ci sarebbero gli studi della Piras sull’Alzheimer e in particolare su come i gigi sannapazienti colpiti da questa malattia del cervello regrediscano mentalmente da un sistema grammaticale complesso ad uno più essenziale, in cui le lettere sono sostituite dai simboli. In sostanza il lavoro suggerirebbe la presenza nella mente umana di modelli universali linguistici, né più né meno come abbiamo nel nostro Dna geni riferibili ai nostri progenitori. Il tutto è finito in un libro “Archetipi e memorie del popolo sardo” edito da S’Alvure in cui il viaggio nella mente dei malati diventa anche un percorso lungo la storia umana e le scritture del passato. Sardo incluso.
Lo studio di Sanna sulla presunta lingua nuragica si basa però sulle cosiddette tavolette di Tziricotu, quattro lastre in bronzo e gesso rinvenute in un luogo imprecisato di Cabras, che avrebbero avuto la funzione di una sorta di “stele di Rosetta” della lingua nuragica, dal quale ha tratto addirittura un alfabeto, sillabe, verbi. Ma questi reperti non solo non sono nuragici, ma si dubita anche della loro autenticità. Unico pezzo antico potrebbe essere quello in bronzo che, sulla base dei raffronti fatti, è stato datato dagli archeologi all’età bizantina e non sarebbe affatto un’iscrizione, ma bensì una placca per cinture. Mentre i presunti segni scrittori non sarebbero altro che le decorazioni il cui andamento speculare non si adatta alla successione tra possibili lettere e fonemi pronunciati.
A demolire ulteriormente la validità degli studi di Gigi Sanna poi, secondo i glottologi e i filologi, è il metodo linguistico storico che prevede una serie di situazioni non solo per la decifrazione di una scrittura, ma anche della sua esistenza; ovvero deve esserci una documentazione numericamente considerevole che permetta di poter raffrontare la continuità dei segni, in maniera tale da poter capire il suo sistema. Che poi si arrivi a capirlo in tempi brevi o meno è un altro discorso, basti pensare alla Lineare A, una delle scritture cretesi che, nonostante le tante tavolette, non è stata ancora decifrata. Fino ad ora gli esempi portati a sostegno del lavoro di Sanna sono una sessantina, tutti estremamente dubbi e numericamente poco rilevanti, soprattutto quando, con queste labilissime tracce, si ha la pretesa di parlare di sistemi di palazzo, scuole di scribi e un sistema economico e sociale che è ripreso dalla Mesopotamia del III millennio a. C. Se a questo aggiungiamo che Sanna nella comparazione linguistica mescola termini di chiara origine semitica al sardo attuale – che è una parlata neolatina, ovvero derivata dalla trasformazione dell’antica lingua degli antichi romani, al pari dello spagnolo, del francese e dell’italiano – si capisce come le pagine di “Sardoa grammata” siano tutt’altro che convincenti per chi è del mestiere.
Nonostante la sospensione, mal digerita da Gigi Sanna che in post su Facebook accusa “la mafia accademica” di aver annullato gli incontri, rimangono comunque delle domande per ora inevase che hanno necessità di essere chiarite il prima possibile: se proprio si voleva parlare di scritture nel mondo antico, non era il caso di chiamare chi questo lavoro lo fa sul serio, ne ha i titoli e la credibilità? Alla facoltà di Medicina i seminari di Sanna erano tutti a titolo gratuito? Lo sono stati anche in passato?
Francesco Bellu
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venerdì 25 luglio 2014

I Nuragici scrivevano?


Ecco, amico mio: I Protosardi hanno edificato strutture lodevolmente complesse e belle come i Nuraghi, numerosi, di vario tipo e dimensioni. Ne consegue - secondo logica - che dovevano possedere alcune misure (più probabilmente, basate sulle misure antropometriche più immediate: piede, braccio, e alcuni multipli derivati). Si è portati a credere che essi dovevano avere alcuni segni che servissero da notazione per quelle misure e da comunicazione ad altri, per potere trasmettere i dati e le informazioni. Sicuramente sapevano contare e parlare (anche se ancora non sappiamo affatto in quale lingua lo facessero).
Questo sopra è un tipo di pensiero che in Inglese si definisce: "Wishful thinking". Esso tradisce il desiderio di realizzazione in realtà di un fatto ipotetico non provato. Il "Wishful thinking" ha il grosso difetto di essere spesso contraddetto dalle dimostrazioni scientifiche, per cui non si può fare alcun affidamento su di esso...
Infatti e sino a prova contraria - per quanto possa apparire impossibile - i nuragici non scrivevano e non utilizzavano comunemente la scrittura per comunicare. Questo dato scientifico attuale è stato da alcuni biasimato come un pensiero fortemente offensivo e discriminatorio contro 'il popolo sardo'. 
Ma allo stato attuale della ricerca, non si può affermare alcunché di più: e per fortuna la maggior parte della popolazione sarda riesce a mantenersi serena, al riguardo. 
L’acquisizione di segni ed alfabeti di provenienza esterna è un conto; altro è pensare che qualcuno li conoscesse e li sapesse usare. Ne sono esempio le ceramiche nuragiche dell’ottavo secolo trovate da Valentina Porcheddu in un antico "emporio" a Villanova Monteleone con incisi, prima della cottura, segni alfabetici fenici e greci». Raimondo Zucca, tra i più autorevoli archeologi della generazione che ha raccolto la pesante eredità di Giovanni Lilliu, osserva dall’esterno l’acceso dibattito sulla scrittura nuragica. A riattivare un confronto che si trascina da anni è stato il blog del defunto giornalista Gianfranco Pintore, sempre attento a segnalare novità sui grandi temi del sardismo e dell’archeologia. Che insieme non dovrebbero stare, in quanto formanti un cocktail piuttosto indigesto, ma che proprio il Lilliu per primo mescolò indebitamente e servì alla sua Scuola.

L’esistenza o no di un alfabeto nuragico è uno di quelli che appassionano di più. Anche con toni spesso inutilmente accesi. Nel mondo dell’archeologia si muovono personaggi d’ogni genere, autorizzati e no, dai compassati studiosi ai sanguigni aedi paladini di una civiltà mitica e autoctona, quanto inesistente. Ed ecco il dibattito sui ritrovamenti – veri o presunti, dipende da come li si vuol vedere – delle prime iscrizioni nuragiche: le fantomatiche tavolette bronzee di Tziricotu (Cabras), l’anello-sigillo di su Pallosu (San Vero Milis), i segni sulla pietra di una capanna a Pedru Pes (Paulilatino) e un’iscrizione su un blocco di un muretto nella campagna di Abbasanta (nuraghe Pitzinnu). 
Il padre degli studi sulla civiltà nuragica, Giovanni Lilliu, ha sempre negato l’esistenza di un alfabeto originale perché non si è mai avuto un riscontro sul campo. Ma nessuno, (a cominciare proprio dall’ultimo Lilliu, allora ultranovantenne) esclude un ripensamento di fronte all’evidenza di una prova avvalorata dai crismi della scienza.

ZUCCA. «Tutto è possibile» sottolinea R. Zucca: «Degli antichi abitanti della Sicilia, i Sicani e gli Elimi, si pensava che solo i primi conoscessero la scrittura: Poi 40 anni fa in un tempio di Segesta è stata trovata una grande quantità di vasi greci con iscrizioni elima che hanno fatto ricredere gli storici. Per quanto sappiamo oggi la cultura sarda è profondamente orale: questo non e un mito perché nel mondo mediterraneo la scrittura fu elaborata dalle civiltà urbane, mentre la Sardegna esprime una civiltà contadina. Sino ad oggi conosciamo villaggi nuragici, ma non città, che nascono solo con l’arrivo dei fenici. Da quel momento (settimo-sesto secolo) convivono comunità distinte, ma ciò non esclude che gli autoctoni potessero aver acquisito o utilizzato alfabeti fenici».

STIGLITZ. Le scoperte da più parti annunciante sulle presunte iscrizioni nuragiche trovano puntuale smentita dagli esperti dell’Università e della Soprintendenza. Le misteriose tavolette di Tziricotu? L’archeologo Alfonso Stiglitz risponde con l’immagine di un reperto bizantino, un ornamento bronzeo di un fodero o di un altro oggetto: «La tavoletta è uguale. Le presunte iscrizioni nuragiche sono semplici decorazioni, usate sino al medioevo. Di per sé la tavoletta trovata a Cabras è molto importante perché è il primo esempio del genere rinvenuto in Sardegna. Ma poiché non è nuragico sembra disinteressare tutti. Il vero problema è questo: cerchiamo di valorizzare una civiltà che ci ha lasciato poco mentre trascuriamo altre di cui abbiamo abbondanti testimonianze». Stiglitz ribadisce un concetto ormai consolidato: «Un popolo che non ha la scrittura non viene più considerato barbarico, ma può essere comunque portatore di una grande civiltà. La scrittura nasce in contesti urbanizzati e con un potere centralizzato. Viene utilizzata per scopi amministrativi, burocratici e commerciali, serve per fare inventari. Ma in Sardegna mancano proprio quelle strutture sociali che in Oriente e in alcuni ambiti occidentali (etruschi, iberici, libici e italici) hanno dato via alle varie forme d’alfabeti».

DECORAZIONI. Nella maggior parte dei casi, quando si parla di presunte iscrizioni nuragiche, gli archeologi "ufficiali" chiamati a dare una valutazione scientifica arrivano ad altre conclusioni: «Si tratta di incisioni successive scolpite sul reperto originale oppure di semplici decorazioni scambiate per segni di lontane lingue orientali». Quelle che avrebbero influenzato la cultura dei mitici popoli del mare, gli Shardana, considerati da alcuni «padri dei nuragici». «Ma dov’è questa gente d’Oriente?» si domanda Alfonso Stiglitz: «Possibile che non abbiamo trovato alcuna traccia? Né tombe, né ceramiche, né armi. Eppure erano uomini che mangiavano e lavoravano come tutti. Mi stupisce che abbiano lasciato solo misteriose iscrizioni e neppure un segno del loro passaggio».

LA PRISGIONA. Ad Arzachena, nella rinomata terra del vino Capichera, il villaggio nuragico detto La Prisgiona ha restituito numerose capanne e una quantità di ceramiche. Un bel vaso sicuramente nuragico – datato tra il XII e il X secolo – mostra delle incisioni che hanno fatto pensare alla scrittura. «L’ennesimo falso allarme» spiega l’archeologa Angela Antona che ha diretto lo scavo: «L’hanno visto diversi esperti e tutti hanno parlato di semplici motivi decorativi. Nessun dubbio». Zucca ricorda ancora un esempio: a Huelva, in Andalusia, è venuto alla luce un blocco di 31 frammenti di ceramica nuragica insieme a vasi attici del periodo medio-geometrico (800-750 a. C). Tra questi reperti anche un’anfora vinaria sicuramente prodotta in Sardegna con due segni d’alfabeto. «Cosa significa?», si domanda l’archeologo oristanese: «È probabile che non sapessero scrivere, ma che utilizzassero segni di altri alfabeti per diversi scopi che non sono però quelli della scrittura così come la intendiamo noi». Una tesi che partendo da Lilliu e dai padri dell’archeologia nuragica (con qualche eccezione) si è consolidata nel tempo sulla scia di nuovi studi. E che i continui annunci di «clamorose scoperte» di un alfabeto tutto nuragico non scalfiscono di un pelo.

USAI. «Che gli antichi sardi parlassero una lingua comune, da nord a sud dell’isola, è ormai una certezza grazie agli studi filologici sui toponimi e sui "relitti" linguistici. Ma sull’esistenza di un alfabeto e sull’uso della scrittura non abbiamo alcun documento scientifico» ribadisce l’archeologo della Soprintendenza Alessandro Usai, responsabile per il territorio di Oristano da dove sono partite le più recenti segnalazioni (tavolette e iscrizioni). «Abbiamo riscontro di segni singoli sui lingotti di rame "oxhide" (cioè disegnati come pelli di bue), trovati in abbondanza nel bacino mediterraneo. Attribuiti da diversi studiosi alla civiltà nuragica risultano invece di provenienza cipriota alle luce delle analisi isotopiche. Altri singoli segni su ceramiche sono segnalati in uno scavo a Villanova Monteleone e a Monte Prama, nella zona dei famosi guerrieri di pietra. I segni però si notano non sulle statue, ma su modelli di nuraghi, fatti con elementi componibili: quindi si può ipotizzare che si tratti di indicazioni per far combacciare [sic!] i singoli pezzi. Non si può escludere, proprio perché non ne abbiamo mai trovato traccia, che esempi di scrittura si possano trovare su materiale deperibile, come argilla cruda, legno, pelli o tessuti. Ma oggi dobbiamo attenerci alle attuali conoscenze».

TZIRICOTU: un falso conclamato. Usai ha esaminato, per dovere d’ufficio, i casi di cui si discute vivacemente sul blog del giornalista Pintore, beccandosi anche ironici commenti. Ma una cosa è la discussione tra appassionati con incursioni di nomi di fama come il docente Giovanni Ugas che continua le sue ricerche sui presunti popoli Shardana (clamoroso caso di 'wishful thinking'). Altro sono le pubblicazioni scientifiche che devono passare al vaglio degli esperti di università e Soprintendenze. Le tavolette di Tziricotu? «Non c’è dubbio, un reperto tardobizantino o medievale, forse persino della civiltà longobarda che in Sardegna ha lasciato molte tracce, non abbastanza pubblicizzate», risponde Usai. Spiega che molti siti nuragici sono coperti da stratificazioni d’epoche successive: così reperti romani e medievali si possono mischiare a pezzi più antichi, confondendo – spesso in buona fede – i ricercatori meno avveduti. «Di molti reperti – conclude Usai – si parla, ma poi vengono tenuti nascosti per diversi motivi. In realtà chi cerca le prove dell’esistenza della scrittura nuragica guarda sempre in questa direzione e interpreta ogni segno a conforto della sua tesi. Ma i sardi nuragici erano un popolo contadino e non avevano bisogno di una scrittura per le necessità della loro vita».


Razionalmente, capisco tutto ciò e ne prendo atto. Comprendo bene che la scienza ufficiale non possa certificare ciò che non è provato. Ma col cuore, dentro di me sono certo che i Nuragici sapessero scrivere e che lo facessero, al bisogno, anche se certo non tutti. E spero fortemente che prima o poi se ne abbia la dimostrazione certa, al di là di ogni dubbio: è una cosa che mi farebbe veramente felice!
E' proprio per questo motivo che non perdono quei quattro cialtroni falsari interessati e politicanti che scherzano coi miei desideri proclamando con protervia di avere scoperto la scrittura nuragica nei loro ragnetti, nei loro falsi autografi, nelle loro ricerche da indigestione da spuntino sardo... 
Coi sentimenti non si scherza... 

giovedì 6 marzo 2014

'Dibattito'?



Archeologia, dibattito sulla scrittura nuragica  Zucca: «Fino ad ora non c’è nessuna prova certa» 


SASSARI. Che fossero guerrieri sembra certo, che praticassero agricoltura e pastorizia pure, forse studiavano perfino i movimenti celesti, ma sulla conoscenza della scrittura, per l’epoca nuragica, non esiste, allo stato attuale delle conoscenze, alcun riscontro oggettivo.
Farà discutere l’intervento dell’archeologo Raimondo Zucca pubblicato nell’ultimo numero del “Bollettino di studi sardi”, presentato nel dipartimento di Lettere dell’Università di Sassari. Nella lunga e dettagliata comunicazione, che apre l’ultima uscita della prestigiosa rivista, diretta da Giovanni Lupinu e Paolo Maninchedda, Momo Zucca, direttore della scuola di specializzazione in beni archeologici “Nesiotikà”, tirando le fila di un lungo e appassionato dibattito e incrociando i dati delle ricerche effettuate negli ultimi decenni, dice di essere convinto che i segni rilevati su alcuni manufatti, databili a cavallo tra il IX e VII secolo avanti Cristo, portati alla luce nell’isola, siano, in realtà, segni scrittori da attribuire a importazioni di origine cipriota.
«Ipotesi supportate da documentazione -spiega Zucca - in base alla quale ritengo più logico propendere per l’inesistenza della scrittura nuragica». Questione che, secondo l’archeologo, deve essere inquadrata nella seconda metà del II millennio avanti Cristo, periodo in cui si sviluppa la cosiddetta Cultura dei sardi. Epoca nella quale, anche in Sardegna, come in Italia, nella penisola iberica e a Cartagine, si rileva una ricca disseminazione di segni scrittori specialmente su vasi e brocchette a scogli. «Ma -tiene a precisare Momo Zucca - un conto è dire che si tratta di scrittura, altro è attribuirla con certezza ai nuragici». Naturalmente l’archeologo non esclude che «utilizzando alfabeti greci e fenici i sardi possano avere tramandato scritti, ma su questo versante non esiste, attualmente, alcuna evidenza, né possiamo escludere che in futuro se ne possano trovare». Posizioni che sembrano concludere una lunga stagione di polemiche fiorite, anche negli ultimi anni, su siti e blog specializzati, soprattutto dopo la pubblicazione della ricerca “Sardoa Grammata” dell’oristanese Gigi Sanna, per anni stimato insegnante di greco e latino al liceo classico. «A Sanna - prosegue Momo Zucca - va il merito di avere portato l’attenzione su alcuni reperti, ma credo di poter affermare che, in base ai riscontri, si tratti di segni di scrittura non sarda su oggetti d’importazione cipriota».
Il caso delle iscrizioni sulla tavoletta di Tzirocottu, manufatto in bronzo rinvenuto nell’Oristanese, di probabile origine bizantina, secondo la valutazione di Zucca, «potrebbe essere opera recente di abili falsari». Che i ciprioti fossero i più stretti partner commerciali dei sardi, nel 1200 avanti Cristo, è attestato anche dalle ricerche condotte dall’archeologa Fulvia Lo Schiavo sul finire degli anni Settanta del secolo scorso.
In quest’ottica emerge, dunque, per dirla con Attilio Mastino, rettore dell’Università Sassari, nonché esperto epigrafista, «il quadro di una Sardegna aperta al Mediterraneo, in particolare all’Iberia e all’Oriente, caratterizzata dalla presenza di reperti di cui, pur senza escludere niente, occorre chiarire contesto e circostanze di ritrovamento per avere ogni informazione utile alla ricostruzione di un’epoca rilevante per la storia dell’isola».

da un articolo su
LA NUOVA SARDEGNA

28 marzo 2013

Esattamente un anno fa, il quotidiano sardo 'La NUOVA SARDEGNA' pubblicava questo articolo sulla versione Internet del giornale (è ancora lì, consultabile).
Immediatamente, alcuni portavoce di un curioso Movimento di Pensiero rispondevano sulla stessa pagina elettronica, infuriati perché il dibattito non c'era stato in realtà: e come si permetteva mai il giornalista di parlarne di dibattito?
Essi approfittavano per reclamare che anzi desideravano questo dibattito, lo esigevano addirittura! Perché hanno delle assolute verità da rivelare al mondo intero e tutto il diritto/dovere di farlo.
Hanno ragione: il dibattito non c'è mai stato.
Hanno anche torto: non hanno alcunché da rivelare al mondo. 
Il motivo del mancato dibattito potrebbe essere stato il semplice fatto che, se ci si mette a discutere con un cretino, chi assiste al litigio potrebbe non capire chi è veramente il cretino.
Ma non si sa con certezza...

Naturalmente, in un anno tutto è cambiato:  c'è, infatti, oggi, chi scrive interi 'saggi' che dimostrerebbero in modo 'inconfutabile' l'esistenza della scrittura Nuragica.

Per la verità, non sono molti 'autori', anzi, sono pochissimi: a dirla tutta si tratta di una sola persona.

Che porta prove fantasiosamente prodotte a partire da 'reperti' spesso fuori contesto, talvolta molto o poco sospetti di falso, che lo hanno visto persino comparire in tribunale... (L'epigrafia, fatta davvero, è anche un lavoro pericoloso, si sa...).

Che è in palese polemica con gli studiosi esponenti ufficiali dell'Archeologia e della Filologia (i quali sono - obiettivamente - dei veri energumeni arroganti, è cosa nota).

Sarà forse per questo motivo che non scrive per riviste scientifiche (quelle definite 'Peer Reviewed', cioé quelle per cui l'articolo è valutato preventivamente da esperti che eventualmente lo scartano): quelle sono - evidentemente - per gente poco seria, priva d'arte e di conoscenza. Altre riviste qualificate, in qualche modo? Neppure: sono peggio delle riviste per parrucchieri. Dove scrive, allora? Ma sull'Internet, perbacco! (Non c'è alcun controllo, lì: lo dimostra il fatto che anche qui si stanno scrivendo queste fesserie!)

Sarà per questo motivo che procede autocitandosi nella monotona bibliografia sempre uguale e sempre  autoreferenziale, polemica e fantasiosa, basata su inconsistenze scientifiche.

Il fenomeno, però, è antropologicamente molto interessante, un vero caso da studiare, da molti punti di vista. 
Invece di consumarsi come una candela, nel breve tempo di autocombustione concessogli dalla Fisica (esiste una fisica, sì!), questo curioso 'Movimento di Pensiero' ha invece raggrumato intorno a sé un coagulo composito, quella che parrebbe essere una multicolore e varia 'Corte dei Miracoli'.  In breve tempo, stimati professionisti, cittadini riservati e schivi, attempati signori prima moderati e pieni di contegno sembrano essersi trasformati completamente, per diventare vendicatori delle ingiustizie perpetrate dalla Scienza ufficiale. Sembrerebbe - a prima vista, ma ci si può sbagliare - un gruppo formato di aspiranti scrittori senza editori, di storici autodidatti illusionisti e disillusi, incantatori di serpenti bevitori di birre di famiglia, saltimbanchi sciancati senza scrittura, delusi arrabbiati visionari, chiassoni incompresi in pensione, indipendentisti in cerca di lavoro, autolesionisti in riserva e scultori fai da te a tempo perso.
cercano visibilità in ogni modo possibile, prediligendo però la polemica ad oltranza con il mondo accademico, eletta a metodo del Movimento. Si danno molto daffare, producendo shakespearianamente molto rumore per nulla: "much ado about nothing".
Il loro motto potrebbe essere 'Facite Ammuino', se si trattasse di un Club Campano, oppure "Ballate 'a Taranta" se originasse dalla Puglia, tanto sembrano punti dalla stessa...
Ma siamo in Sardegna: quindi è sembrato più adatto ispirarsi al "Ballu Tundu".


sabato 1 marzo 2014

Scrittura "Nuragica"

Pubblico sempre con grande piacere tutto il materiale che il Prof. Pittau mi manda: in special modo, pubblico con un sorriso questo articolo, che s'inserisce nella recente diatriba nata intorno alla presunta scrittura nuragica, agitata (è il vocabolo corretto) da strumentali velleità affabuatorie senili di altri.Il non velato e diretto rimprovero al noto archeologo Raimondo Zucca per alcune sue imprecisioni personalmente mi sembra anche - ma certamente posso sbagliarmi - un modo per far capire a questi altri quanto siano in errore.E quanto abbia sbagliato Zucca a sdoganarli in una pubblicazione scientifica, invece d'ignorarli, come meritano.


Il Prof. Massimo Pittau
  

Quandoque bonus dormitat Homerus

L’epigrafista Raimondo Zucca.

articolo di Massimo Pittau


Io ho sempre dimostrato grande stima del collega Raimondo Zucca come studioso e talvolta l’ho fatto anche in forma pubblica. Però un suo recente ampio studio (di 70 pagine) dedicato alla cosiddetta “scrittura nuragica” e pubblicato nel «Bollettino di Studi Sardi» (5 - 2012), mi ha sorpreso abbastanza e non mi trova d’accordo in tutto. Egli infatti ha tracciato – molto bene – la lunga storia della questione sulla esistenza o meno di una scrittura fra gli antichi Nuragici, ma insieme ha allargato enormemente il suo campo di analisi, a tutto il Mediterraneo antico, dalla Sardegna all’Iberia, a Micene, a Cipro, alla Fenicia, all’Egitto, ecc. Io però non mi sento di interloquire col collega Zucca in un campo così vasto e precisamente sulla lingua iberica, su quella micenea, su quella fenicia, ecc., perché non sono stati questi miei campi di studio specifico e pertanto temerei di essere superficiale sull’argomento.

I) Venendo ai rilievi che intendo muovergli, in linea generale io lamento che egli abbia fatto riferimento a mie tesi personali, che avevo prospettato in opere o studi di trent’anni fa, mentre le ho abbandonate e lasciate cadere del tutto in mie opere successive. In tutte le discipline o scienze il progresso del sapere avviene per tentativi, molti dei quali sono fallimentari e perciò vanno abbandonati (però hanno pur sempre un valore ai fini dialettici della discussione). Egli cita una mia opera del 1981, «La lingua dei Sardi Nuragici e degli Etruschi», mentre mostra di non aver letto con sufficiente attenzione la mia recente opera «Storia dei Sardi Nuragici» (Selargius, Domus de Janas, 2007). Una lettura più attenta di questa mia opera probabilmente lo avrebbe indotto a lasciar cadere la tesi secondo cui i Serdaioi della famosa tabella greca di Olimpia erano un del tutto sconosciuto e ipotetico popolo dell’Illiria o del Bruzio (= Calabria) e non i Sardi della Sardegna. In questo mio libro ho scritto testualmente (pg. 94): «Le ipotesi sostenute da alcuni studiosi, secondo cui i Serdaioi sarebbero non i Sardi della Sardegna, bensì un popolo dell'Illiria oppure uno di montanari indigeni che avrebbe controllato le strade del Bruzio che portavano da Sibari a Lao ed a Scidro, sono da respingersi per le seguenti considerazioni: 1ª) È troppo semplicistico e comodo crearsi, con la semplice fantasia e come un deus ex machina, un popolo sconosciuto e misterioso ai fini della soluzione di un problema storiografico; 2ª) La potente e famosa città di Sibari si sarebbe screditata e perfino ridicolizzata di fronte a tutti i Greci, se avesse ufficializzato nel santuario di Zeus Olimpio un suo patto di amicizia perpetua con un oscuro popolo dell'Illiria oppure del Bruzio (cfr. G. Pugliese Carratelli, Studi Etruschi, XXXIII, 1965, pg. 226; Almanacco Calabrese, Roma 1969, pgg. 48-51); 3ª) Non è verosimile che, per stipulare un patto di amicizia con uno dei due supposti popoli, Sibari avesse chiamato in causa anche i suoi alleati. Si deve inoltre respingere anche l'ipotesi che i Serdaioi fossero gli abitanti di una finora sconosciuta città della Magna Grecia per le seguenti considerazioni: 4ª) La storia della Magna Grecia è ormai conosciuta molto bene, tanto che si può escludere con grande sicurezza che sia mai esistita una città il cui nome aveva la radice *serd-; 5ª) Non si vedrebbe alcun motivo per un impegno tanto importante e solenne della grande Sibari in un trattato di pace stipulato con una tale ipotetica città, la quale, non essendo mai stata ricordata dagli storici antichi, di certo sarebbe stata di scarsissima rilevanza politica, economica e militare». A queste mie considerazioni R. Zucca avrebbe dovuto opporre sue considerazioni differenti e non limitarsi a citare semplicemente un autore come Mario Torelli, il quale aveva dimostrato la sua serietà di studioso quando, trent’anni fa, mi aveva in un quotidiano romano attaccato per il mio citato libro, ma senza averlo ancora letto e, più tardi, senza aver alcuna competenza nella lingua etrusca, a proposito della mia interpretazione della famosa Tabula Cortonensis (da me debitamente rimbeccato entrambe le volte; cfr. M. Pittau, «I grandi testi della Lingua Etrusca tradotti e commentati», Sassari 2011, Delfino Editore, pg. 129).

II) Mi ha stupito il fatto che R. Zucca abbia sorvolato e passato sotto silenzio la evidente e stretta corrispondenza esistente tra l’etnico SERDAIOI della tabella di Olimpia e la legenda SERD, SER di monete rinvenute in Sardegna e inoltre abbia trascurato la sua corrispondenza coi toponimi sardi Serdis e Serdiana.
 
III) A me sembra che R. Zucca abbia errato ad attribuire a mercenari sardi che combattevano in Sicilia nell’esercito cartaginese contro i Greci le due monete che riportano la legenda SARDOI. Non è infatti concepibile che quei mercenari si portassero dietro in guerra lo strumentario della zecca. E non avrebbero forse coniato sulle due monete il loro nome in alfabeto fenicio-punico e nient’affatto nell’alfabeto dei Greci, da loro combattuti? E il comandante e gli ufficiali dell’esercito cartaginese avrebbero forse permesso questa emissione di monete da parte dei loro mercenari sardi?

IV) Nel caso che R. Zucca avesse ragione ad affermare che le lettere incise nell’ingresso del nuraghe Rampinu di Orosei-Onifai sono non in alfabeto greco, bensì in alfabeto latino di “avanzata età romana imperiale”, a me questa circostanza andrebbe molto meglio, anzi benissimo, perché avremmo un nuovo esempio del fatto che i Sardi, per scrivere messaggi della loro lingua nuragica, facevano uso dell’alfabeto latino ancora nella “avanzata età romana imperiale”.

V) Ma, a prescindere da tutto ciò, mi sembra che R. Zucca abbia errato anche a prospettare l’ipotesi che quelle lettere potrebbero essere un messaggio cifrato in inglese della II guerra mondiale. Del tutto fuori mano e all’interno del territorio come è quel nuraghe, cosa stavano a farci un messaggio militare cifrato e gli Inglesi? Al tempo di quella guerra io ero militare ed ho lavorato anche in un ufficio di cifratura di messaggi e pertanto posso assicurarlo che i messaggi militari cifrati non si scolpiscono in un monumento archeologico esposto al pubblico, anche se fuori mano. Molto probabilmente R. Zucca non ha mai visto quel nuraghe e constatato la grande durezza dei massi in cui sono incise le lettere. E almeno quelle lettere fossero state tracciate sul nuraghe con la vernice e non incise sulla sua durissima pietra…

VI) A me sembra che il collega Zucca abbia errato anche ad affermare che la sigla BE incisa profondamente in un masso dell’ingresso sopraelevato del Nuraxi di Barumini sia da leggere SE e risalga allo scorso secolo XX. Forse risalirebbe al periodo in cui venivano fatti gli scavi? Ma l’archeologo che presiedeva agli scavi e i suoi assistenti forse che non glielo avrebbero impedito? E poi perché il profanatore del monumento avrebbe inciso tanto profondamente la sua sigla su un masso di roccia durissima? E, bramoso di passare alla storia come dimostrava di essere, non avrebbe scritto il suo cognome intero e non siglato? e avrebbe forse commesso l’errore di scrivere al rovescio la lettera del suo prenome?

VII) La questione della iscrizione in caratteri greci, che compare incisa nell’abside esterna di San Nicola di Trullas di Semestene io l’ho lasciata cadere del tutto; però non mi sentirei di affermare – come ha fatto ma non dimostrato R. Zucca – che essa contiene un messaggio in lingua italiana.
VIII) Il mio egregio collega ha mai visto e studiato con attenzione la scritta che compare nel frontone del nuraghe di Aidu Entos di Mulargia? Come ho fatto io, che in differenti occasioni e differenti ore ho scattato una dozzina di fotografie della scritta e perfino fatto un calco. Io ho concluso che purtroppo l’iscrizione è quasi del tutto scomparsa per la erosione del masso, per cui risultano veramente leggibili soltanto due vocaboli, entrambi nuragici, NURAC e SESSAR, i quali non consentono affatto l’interpretazione che R. Zucca mostra di condividere.

IX) Parlando di toponimi di matrice protosarda, egli cita autori che non hanno scritto quasi nulla sull’argomento, mentre ha mostrato di ignorare la mia recente ed ampia opera (di 1.100 pagine), intitolata «I toponimi della Sardegna – Significato e origine» (Sassari 2011, EDES), nella quale ho analizzato e spiegato più di 20 mila toponimi della Sardegna centrale e, di nuovo, tutti i Macrotoponimi dell’Isola. Se avesse letto le mie conclusioni, probabilmente l’egregio collega avrebbe mutato qualche sua opinione sull’argomento.

Avrei qualche altra osservazione da fare all’egregio collega, ma mi sembra che siano sufficienti quelle fattegli.

Il Prof. Pittau in una foto recente, con la giornalista Rina Brundu

Massimo Pittau

martedì 1 ottobre 2013

LINGUA E CULTURA


Per via della completa identità di vedute con l'autore, ri- posto quest'articolo. Egli è sardo, eppure resiste alle facili strumentalizzazioni emotive di cui molti suoi conterranei sono vittime: e ne spiega i motivi, pacatamente e sottovoce, ma convincentemente.

Lingua e cultura, l’identità tradita dai nuovi falsari


Dalla scrittura nuragica al mito di Atlantide. L’archeologia diventa un campo a rischio





    di Marcello Madau
    Sta riprendendo vigore la moda dei falsi culturali. D'altronde, oggi appartiene a un più vasto fenomeno del mercato. Sembra che tocchi anche a una presunta scrittura nuragica.
    Il corto circuito fra scolarizzazione di massa, crescita della coscienza territoriale e nuovi mercati del “tipico” dà esiti assai contradditori. Aumenta la consapevolezza, il lavoro cognitivo. Ma si moltiplicano le costruzioni emotive basate su dati approssimativi, spesso inventati, non verificabili. Nascono fiori non proprio naturali, pur con esiti d'arte anche apprezzabili. D'altronde, come dimenticare il legame fra un grande fenomeno artistico come la “Sturm und Drang” e i falsi “Canti di Ossian”?
    Agli stati nazionali moderni, e a quelli che vorrebbero diventarlo, sembra servire il collante dell'immaginario emozionale. Una notte delle origini popolata da eroi in armi, divinità misteriose, ritualità emotive e sanguinarie, catastrofismi, tsunami. Oggi la sarabanda, spesso ridicola, di falsi e mezzi falsi offre le sue grazie all'industria culturale del tempo libero e dell'identità, del mercato. Si moltiplicano maschere tradizionali inventate da poesie inventate. Nel campo dell'archeologia persone e piccole comunità si autocertificano come portatrici di verità colpevolmente ignorate dalla ricerca scientifica. Per le figure di archeologo e demoantropologo sembra non contare la definizione professionale. Si può dire ad un ingegnere che il suo ponte fa schifo, ma senza essere ingegneri vi mettereste a costruirne uno?
    E' allora opportuna la lettura del saggio di Raimondo Zucca dal titolo Storiografia del problema della “scrittura nuragica” uscito nel nuovo numero del Bollettino di studi sardi (numero 5_2012), edito da Cuec-Csfs (Centro di studi filologici sardi). L'archeologo oristanese documenta le posizioni storiche sul tema, le varie letture nei secoli, compresi i limiti e le aggiunte moderne di un sistema scrittorio assai discutibile come quello che si raccoglie attorno alle proposte di Gigi Sanna.
    L'assenza di contesti stratigrafici, la sparizione degli originali, l'uso di aspetti parzialmente credibili, le integrazioni moderne formano un groviglio che la competenza (e la pazienza) di Raimondo Zucca ordinano in un'analisi densa e convincente. Iscrizioni reali e segni aggiunti, incisioni “post-patina”, possibili giochi di operai di scavo, interpretazioni fantasiose basate su un corpus inesistente, che cerca disperatamente di formarsi su segni e manufatti spesso di origine precaria senza raggiungere la massa critica necessaria per impostare e proporre analisi e letture.
    I materiali disponibili sono riesaminati, collocati cronologicamente. Ma il lavoro – puntuale nell'attribuire a tempi e contesti post-nuragici alcune iscrizioni, e a valutare come “moderne” altre – affascina per le vastissime letture mediterranee. E per quell'indice verso Cipro, luogo di relazioni incrociate dal quale dovettero dipendere tante vicende sarde. Sino agli ultimi eccezionali ritrovamenti nuragici nell’isola del Rame, all'ipotesi di lettura dell'eccezionale iscrizione sullo spillone nuragico proveniente da Antas.
    Il pregio del saggio non sta solo nella grande dottrina impiegata e mostrata, ma nella civile dialettica verso un mondo che ricorre comunemente ai toni delle crociate (e a volte dell'insulto) contro la “torre d'avorio” dei “poteri accademici” (peraltro anche in una torre piena di difetti la somma degli stessi non dimostra la veridicità di una scrittura inesistente).
    Io sono molto convinto che le forze che con più vigore si richiamano all'identità sarda e ai suoi valori storici saranno disposte (molti lo hanno fatto per Atlantide) ad abbandonare lusinghe emotive. La strumentalizzazione oggettiva del senso di inferiorità che la dipendenza e il colonialismo hanno costruito in molti sardi. La Sardegna, con le sue culture, è magnifica senza alcun bisogno di invenzioni ideologiche. Anzi, la speranza di un nuovo modello sociale basato sulla cultura e sul paesaggio ha più che mai bisogno, per essere davvero solido e civilmente etico – e non infangare l'identità – di inflessibile rigore scientifico.
    © RIPRODUZIONE RISERVATA
    12 Aprile 2013