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venerdì 25 luglio 2014

I Nuragici scrivevano?


Ecco, amico mio: I Protosardi hanno edificato strutture lodevolmente complesse e belle come i Nuraghi, numerosi, di vario tipo e dimensioni. Ne consegue - secondo logica - che dovevano possedere alcune misure (più probabilmente, basate sulle misure antropometriche più immediate: piede, braccio, e alcuni multipli derivati). Si è portati a credere che essi dovevano avere alcuni segni che servissero da notazione per quelle misure e da comunicazione ad altri, per potere trasmettere i dati e le informazioni. Sicuramente sapevano contare e parlare (anche se ancora non sappiamo affatto in quale lingua lo facessero).
Questo sopra è un tipo di pensiero che in Inglese si definisce: "Wishful thinking". Esso tradisce il desiderio di realizzazione in realtà di un fatto ipotetico non provato. Il "Wishful thinking" ha il grosso difetto di essere spesso contraddetto dalle dimostrazioni scientifiche, per cui non si può fare alcun affidamento su di esso...
Infatti e sino a prova contraria - per quanto possa apparire impossibile - i nuragici non scrivevano e non utilizzavano comunemente la scrittura per comunicare. Questo dato scientifico attuale è stato da alcuni biasimato come un pensiero fortemente offensivo e discriminatorio contro 'il popolo sardo'. 
Ma allo stato attuale della ricerca, non si può affermare alcunché di più: e per fortuna la maggior parte della popolazione sarda riesce a mantenersi serena, al riguardo. 
L’acquisizione di segni ed alfabeti di provenienza esterna è un conto; altro è pensare che qualcuno li conoscesse e li sapesse usare. Ne sono esempio le ceramiche nuragiche dell’ottavo secolo trovate da Valentina Porcheddu in un antico "emporio" a Villanova Monteleone con incisi, prima della cottura, segni alfabetici fenici e greci». Raimondo Zucca, tra i più autorevoli archeologi della generazione che ha raccolto la pesante eredità di Giovanni Lilliu, osserva dall’esterno l’acceso dibattito sulla scrittura nuragica. A riattivare un confronto che si trascina da anni è stato il blog del defunto giornalista Gianfranco Pintore, sempre attento a segnalare novità sui grandi temi del sardismo e dell’archeologia. Che insieme non dovrebbero stare, in quanto formanti un cocktail piuttosto indigesto, ma che proprio il Lilliu per primo mescolò indebitamente e servì alla sua Scuola.

L’esistenza o no di un alfabeto nuragico è uno di quelli che appassionano di più. Anche con toni spesso inutilmente accesi. Nel mondo dell’archeologia si muovono personaggi d’ogni genere, autorizzati e no, dai compassati studiosi ai sanguigni aedi paladini di una civiltà mitica e autoctona, quanto inesistente. Ed ecco il dibattito sui ritrovamenti – veri o presunti, dipende da come li si vuol vedere – delle prime iscrizioni nuragiche: le fantomatiche tavolette bronzee di Tziricotu (Cabras), l’anello-sigillo di su Pallosu (San Vero Milis), i segni sulla pietra di una capanna a Pedru Pes (Paulilatino) e un’iscrizione su un blocco di un muretto nella campagna di Abbasanta (nuraghe Pitzinnu). 
Il padre degli studi sulla civiltà nuragica, Giovanni Lilliu, ha sempre negato l’esistenza di un alfabeto originale perché non si è mai avuto un riscontro sul campo. Ma nessuno, (a cominciare proprio dall’ultimo Lilliu, allora ultranovantenne) esclude un ripensamento di fronte all’evidenza di una prova avvalorata dai crismi della scienza.

ZUCCA. «Tutto è possibile» sottolinea R. Zucca: «Degli antichi abitanti della Sicilia, i Sicani e gli Elimi, si pensava che solo i primi conoscessero la scrittura: Poi 40 anni fa in un tempio di Segesta è stata trovata una grande quantità di vasi greci con iscrizioni elima che hanno fatto ricredere gli storici. Per quanto sappiamo oggi la cultura sarda è profondamente orale: questo non e un mito perché nel mondo mediterraneo la scrittura fu elaborata dalle civiltà urbane, mentre la Sardegna esprime una civiltà contadina. Sino ad oggi conosciamo villaggi nuragici, ma non città, che nascono solo con l’arrivo dei fenici. Da quel momento (settimo-sesto secolo) convivono comunità distinte, ma ciò non esclude che gli autoctoni potessero aver acquisito o utilizzato alfabeti fenici».

STIGLITZ. Le scoperte da più parti annunciante sulle presunte iscrizioni nuragiche trovano puntuale smentita dagli esperti dell’Università e della Soprintendenza. Le misteriose tavolette di Tziricotu? L’archeologo Alfonso Stiglitz risponde con l’immagine di un reperto bizantino, un ornamento bronzeo di un fodero o di un altro oggetto: «La tavoletta è uguale. Le presunte iscrizioni nuragiche sono semplici decorazioni, usate sino al medioevo. Di per sé la tavoletta trovata a Cabras è molto importante perché è il primo esempio del genere rinvenuto in Sardegna. Ma poiché non è nuragico sembra disinteressare tutti. Il vero problema è questo: cerchiamo di valorizzare una civiltà che ci ha lasciato poco mentre trascuriamo altre di cui abbiamo abbondanti testimonianze». Stiglitz ribadisce un concetto ormai consolidato: «Un popolo che non ha la scrittura non viene più considerato barbarico, ma può essere comunque portatore di una grande civiltà. La scrittura nasce in contesti urbanizzati e con un potere centralizzato. Viene utilizzata per scopi amministrativi, burocratici e commerciali, serve per fare inventari. Ma in Sardegna mancano proprio quelle strutture sociali che in Oriente e in alcuni ambiti occidentali (etruschi, iberici, libici e italici) hanno dato via alle varie forme d’alfabeti».

DECORAZIONI. Nella maggior parte dei casi, quando si parla di presunte iscrizioni nuragiche, gli archeologi "ufficiali" chiamati a dare una valutazione scientifica arrivano ad altre conclusioni: «Si tratta di incisioni successive scolpite sul reperto originale oppure di semplici decorazioni scambiate per segni di lontane lingue orientali». Quelle che avrebbero influenzato la cultura dei mitici popoli del mare, gli Shardana, considerati da alcuni «padri dei nuragici». «Ma dov’è questa gente d’Oriente?» si domanda Alfonso Stiglitz: «Possibile che non abbiamo trovato alcuna traccia? Né tombe, né ceramiche, né armi. Eppure erano uomini che mangiavano e lavoravano come tutti. Mi stupisce che abbiano lasciato solo misteriose iscrizioni e neppure un segno del loro passaggio».

LA PRISGIONA. Ad Arzachena, nella rinomata terra del vino Capichera, il villaggio nuragico detto La Prisgiona ha restituito numerose capanne e una quantità di ceramiche. Un bel vaso sicuramente nuragico – datato tra il XII e il X secolo – mostra delle incisioni che hanno fatto pensare alla scrittura. «L’ennesimo falso allarme» spiega l’archeologa Angela Antona che ha diretto lo scavo: «L’hanno visto diversi esperti e tutti hanno parlato di semplici motivi decorativi. Nessun dubbio». Zucca ricorda ancora un esempio: a Huelva, in Andalusia, è venuto alla luce un blocco di 31 frammenti di ceramica nuragica insieme a vasi attici del periodo medio-geometrico (800-750 a. C). Tra questi reperti anche un’anfora vinaria sicuramente prodotta in Sardegna con due segni d’alfabeto. «Cosa significa?», si domanda l’archeologo oristanese: «È probabile che non sapessero scrivere, ma che utilizzassero segni di altri alfabeti per diversi scopi che non sono però quelli della scrittura così come la intendiamo noi». Una tesi che partendo da Lilliu e dai padri dell’archeologia nuragica (con qualche eccezione) si è consolidata nel tempo sulla scia di nuovi studi. E che i continui annunci di «clamorose scoperte» di un alfabeto tutto nuragico non scalfiscono di un pelo.

USAI. «Che gli antichi sardi parlassero una lingua comune, da nord a sud dell’isola, è ormai una certezza grazie agli studi filologici sui toponimi e sui "relitti" linguistici. Ma sull’esistenza di un alfabeto e sull’uso della scrittura non abbiamo alcun documento scientifico» ribadisce l’archeologo della Soprintendenza Alessandro Usai, responsabile per il territorio di Oristano da dove sono partite le più recenti segnalazioni (tavolette e iscrizioni). «Abbiamo riscontro di segni singoli sui lingotti di rame "oxhide" (cioè disegnati come pelli di bue), trovati in abbondanza nel bacino mediterraneo. Attribuiti da diversi studiosi alla civiltà nuragica risultano invece di provenienza cipriota alle luce delle analisi isotopiche. Altri singoli segni su ceramiche sono segnalati in uno scavo a Villanova Monteleone e a Monte Prama, nella zona dei famosi guerrieri di pietra. I segni però si notano non sulle statue, ma su modelli di nuraghi, fatti con elementi componibili: quindi si può ipotizzare che si tratti di indicazioni per far combacciare [sic!] i singoli pezzi. Non si può escludere, proprio perché non ne abbiamo mai trovato traccia, che esempi di scrittura si possano trovare su materiale deperibile, come argilla cruda, legno, pelli o tessuti. Ma oggi dobbiamo attenerci alle attuali conoscenze».

TZIRICOTU: un falso conclamato. Usai ha esaminato, per dovere d’ufficio, i casi di cui si discute vivacemente sul blog del giornalista Pintore, beccandosi anche ironici commenti. Ma una cosa è la discussione tra appassionati con incursioni di nomi di fama come il docente Giovanni Ugas che continua le sue ricerche sui presunti popoli Shardana (clamoroso caso di 'wishful thinking'). Altro sono le pubblicazioni scientifiche che devono passare al vaglio degli esperti di università e Soprintendenze. Le tavolette di Tziricotu? «Non c’è dubbio, un reperto tardobizantino o medievale, forse persino della civiltà longobarda che in Sardegna ha lasciato molte tracce, non abbastanza pubblicizzate», risponde Usai. Spiega che molti siti nuragici sono coperti da stratificazioni d’epoche successive: così reperti romani e medievali si possono mischiare a pezzi più antichi, confondendo – spesso in buona fede – i ricercatori meno avveduti. «Di molti reperti – conclude Usai – si parla, ma poi vengono tenuti nascosti per diversi motivi. In realtà chi cerca le prove dell’esistenza della scrittura nuragica guarda sempre in questa direzione e interpreta ogni segno a conforto della sua tesi. Ma i sardi nuragici erano un popolo contadino e non avevano bisogno di una scrittura per le necessità della loro vita».


Razionalmente, capisco tutto ciò e ne prendo atto. Comprendo bene che la scienza ufficiale non possa certificare ciò che non è provato. Ma col cuore, dentro di me sono certo che i Nuragici sapessero scrivere e che lo facessero, al bisogno, anche se certo non tutti. E spero fortemente che prima o poi se ne abbia la dimostrazione certa, al di là di ogni dubbio: è una cosa che mi farebbe veramente felice!
E' proprio per questo motivo che non perdono quei quattro cialtroni falsari interessati e politicanti che scherzano coi miei desideri proclamando con protervia di avere scoperto la scrittura nuragica nei loro ragnetti, nei loro falsi autografi, nelle loro ricerche da indigestione da spuntino sardo... 
Coi sentimenti non si scherza... 

giovedì 24 luglio 2014

BOLLETTINO ARCHEO-ANTROPOLOGICO SARDO

Pur essendo un articolo in qualche modo incompleto e lacunoso (per dirne una: manca qualsiasi  accenno alle numerose, complesse ed affascinanti forme di scrittura che si sono sviluppate sull'isola), pure  si tratta di uno scritto interessante e profondo nei temi che l'autrice - una giovane e colta archeologa antropolga - tratta con grande competenza e distacco.


di Carla Deplano*

gig**

La Sardegna, centro plurimillenario di rigenerazione, alimenta con integrazione cosmica tutto il Mediterraneo attraverso migliaia di invisibili cordoni ombelicali geomantici generati sul percorso Delfi-Karales. Le lito-interfacce telluriche energetiche e vibrazionali disseminate sul territorio sardo in corrispondenza dei pozzi sacri provano la scoperta dell’Acqua calda da parte degli Shardana, dominatori del mondo e lontani antenati di Ennio Porrino, che strapparono il primato ai Venusiani superandoli con le navicelle spaziali dette Pintadere, pilotate dai Bronzetti verdi con quattro occhi e antenne.
Stando alle ultime indiscrezioni, alieni atlantidei e la setta degli Illuminati custodirebbero il Graal sotterrato dai Templari nella ziqqurat di Monte d’Accoddi e ci controllerebbero con le scie chimiche. È quanto emerge dalle indagini archeologiche terrestri e aeree concentrate a macchia d’olio sul Capoi Nord cofinanziate dalla Regione Sardegna.
A Quartucciu, nel convegno di ufologia “Star Gate”, è stata finalmente chiarita l’origine dei 21 cerchi concentrici comparsi sulla spiaggia di Orosei: in tutto simili a quelli di Settimo S. Pietro e di Villaspeciosa, sarebbero vortici di plasma, frutto di tecnologie extraterrestri e manifestazioni di entità spirituali metadimensionali. I tre testimoni, figli degli scopritori delle Teste di Modigliani nel Fosso Mediceo di Livorno (1984 d.C.), raccontano di aver avvistato un meteorite e triangoli di luce in corrispondenza dei crops circles mentre si trovavano in camporella nelle campagne di Villaspeciosa.
Dell’ultima ora la notizia del rinvenimento di un gigantesco fiore di catrame nel Golfo degli Angeli dirimpetto al molo Ichnusa durante i lavori di dragaggio per l’approdo delle navi da crociera. Il residuo del materiale compresso nel sottosuolo, che ha trovato una via d’uscita sul fondale raffreddandosi, sarebbe pertinente all’eruzione del vulcano sottomarino Itagatzu citato da fonti storiche (Platone e Frau) che ha provocato lo tsunami che ha sommerso la civiltà nuragico-atlantica ed estinto gli ultimi dinosauri, rifugiati nell’isola dopo la seconda glaciazione.
Come è noto, dai tempi dei tempi in Sardegna l’entropia quantistica tra afflati metafisici promana una sensualità esoterica e dall’uovo cosmico si è generata in Barbagia una popolazione isolata che deficita dell’enzima g6pd a causa delle unioni tra consanguinei e in cui l’80% degli uomini ha più di 130 anni. Un gruppo di studiosi ha dimostrato che l’accorciamento della vita media delle ultime generazioni che popolano le zone costiere è dovuto alla recente emersione dal sottosuolo di un fluxus vortex di fattori esplosivo-vettoriali fallici legati al culto del dio Toro che, in contrasto con i vortici implosivi base della vita di Shauberger (come la spirale e l’elicoide nella necropoli di Montessu) penetrano e violano la materia, alterando meridiani e paralleli geomantici con micro tsunami genetici e psico-energetici.
Alcuni genetisti si sono recentemente trasferiti in Sardegna per studiare i Nephilim noti come “Giganti di Monti Prama”. Questi, stando alle ultime indagini, non sarebbero i “figli di Dio” angeli del Libro di Enoch, ma i figli dei figli di Set che si mescolarono coi depravati “figli degli uomini” discendenti di Caino sterminati nel diluvio universale mentre Noè festeggiava il suo seicentesimo compleanno.
Contro l’opinione comune che si tratti di neandertaliani sopravvissuti, prototipi dei Mamuthones, gli scienziati hanno scoperto che i Nephilim nascosti per 40 anni sotto il Museo archeologico di Cagliari appartengono ad una progenie pietrificata e geneticamente modificata, frutto di un’inseminazione artificiale operata da esseri interdimensionali rettiliani (per i Sumeri gli Annunaki, per gli ufologi gli abitanti di Nibiru) con stretti rapporti con la popolazione di Atlantide.
Insomma, nell’Isola dei Misteri i misteri non finiscono mai e, a fronte del noto fenomeno del nanismo isolano, qui vivevano dei giganti che venivano sepolti in tombe altrettanto giganti con funzione curativa energetico-vibrazionale (da cui la Giganto-terapia ancora praticata in loco), oltre a delle fate che venivano sepolte in tombe minuscole in cui si celebravano riti tantrico-orgiastici con gesuiti euclidei vestiti come bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming.


* Archeologa non praticante, antropologa e storica dell’arte
**Nella foto: Ritrovamento di gigante non pietrificato

domenica 23 febbraio 2014

Contro ogni falso


1915 - da dietro, a partire da sinistra: O. Barlow, Elliot Smith, Charles Dawson (considerato oggi l'autore del falso), Arthur Smith Woodward. Davanti: A.S. Underwood, Arthur Keith, William Plane Pycraft e Sir Ray Lankester.

(reblogged from: 'L'Uomo di Piltdown')

di Maurizio Feo


Perché si devono combattere i falsi?

- Un buon esempio del motivo è dato dal cosiddetto “Uomo di Piltdown”. 



Il 'cranio dell'Uomo di Piltdown' e la derivante ricostruzione ipotetetica del volto.

Nel 1912 l’archeologo dilettante Charles Dawson riferì alla Geological Society di avere trovato parecchi frammenti cranici molto spessi ed una mandibola incompleta in uno strato che conteneva ossa d’animali estinti, presso Piltdown Commons, nel Sussex. 


Lapide commemorativa sul luogo del ritrovamento, coerentemente di forma fallica.

Il Curatore del reparto di Storia Naturale del British Museum (l’anatomista Smith Woodward) lo appoggiò: secondo lui si trattava dell’anello mancante, come si diceva allora, cioè di un uomo estremamente antico e primitivo (anzi, il più antico), con un cranio voluminoso simile in tutto all’uomo moderno[12], e con una mandibola ancora scimmiesca i cui canini (mancanti nel reperto) avrebbero dovuto essere a forma di zanne sporgenti ed acute (secondo un’errata teoria in voga allora e derivata da Darwin) e propose il nome di Eoanthropus Dawsoni (uomo primitivo di Dawson)[13]

Un sacerdote cattolico francese (Teilhard de Chardin) appassionato d’archeologia, trovò proprio quei canini nel sito: erano perfettamente uguali a quelli di una scimmia. Niente di strano: qualcuno – rimasto ancora oggi ignoto – aveva costruito un abile falso. Si era procurato un cranio moderno insolitamente spesso, lo aveva spezzato in frammenti, aveva dipinto le ossa di marrone con materiale terroso fossile, aveva aggiunto una mandibola d’orango spezzata all’estremità articolare (altrimenti si sarebbe capito che non apparteneva al cranio umano), e ne aveva limato i molari per simulare il consumo dato dalla masticazione umana. Completò il tutto mettendo nel sito (solo in un secondo tempo, in un posto dove sarebbero state trovate dal sacerdote) zanne di scimpanzè, anch’esse limate e trattate ad arte per renderle “fossili”.

L’uomo di Piltdown fu chiuso sotto chiave, in una bacheca del Museo di Storia Naturale, gioiello della corona britannica. Gli studiosi non avevano accesso altro che a calchi in gesso: ecco perché il falso durò così tanto. 
Solo nel 1953, nel corso di un programma di verifica generale, si esaminò il reperto con l’allora nuovo metodo di datazione al fluoro, che denunciò il falso. Poi bastò il microscopio per riconoscere i segni della lima (J.S. Weiner, antropologo, Oxford). Infine si trapanò l’osso e si scoprì che l’interno era chiaro e moderno. 

 Una beffa umiliante!

Ma questo era stato considerato per 41 anni l’uomo più antico del Mondo intero. Aveva distolto ogni attenzione accademico-scientifica dagli studi faticosi e seri che da anni erano condotti in Sudafrica sull’Australopithecus Africanus (scimmia meridionale dell’Africa) da Raymond Dart dell’Università di Witwatersrand. 

Nel 1950 Robert Broom aveva rinvenuto, oltre ad altri esemplari d’Africanus, anche un’altra australopitecina che chiamò, per le sue caratteristiche Australopitecus Robustus

Con la dimostrazione del falso di Piltdown, gli studi s’incentrarono finalmente sull’Africa: oggi sappiamo con certezza che la Rift Valley fu abitata da almeno due tipi di scimmie antropomorfe, in un periodo compreso tra 3 milioni e un milione e trecentomila anni fa[14]

Nel 1973 D. Johanson scoprì, nel Triangolo di Afar, un’australopitecina ancora più antica, (Australopitecus Afarensis, 3.250.000 aa fa),  che divenne più nota con il nome di Lucy, essendo di sesso femminile[15]

Da allora, una vasta messe di nuove ricerche (Mary Leakey, Steven Ward e Andrew Hill)  dimostrarono che l’età degli ominidi era ancora più antica: fino a 5 milioni di anni fa.
E rivelarono che questi ominidi lasciarono per 25 metri le impronte solamente dei piedi, su uno strato di cenere proveniente dal vulcano Sadiman, che ci è stato gentilmente conservato dalla natura: camminavano come noi. 

Altre, numerose e più recenti scoperte ci parlano dell’antichità dell’Ardipithecus Ramidus (e dell’Ard. Kadabba, suo predecessore, risalente ad epoche anche precedenti), scoperto nel 1993 e pubblicato nel 2009.

Tutte queste rigorose ed affascinanti ricerche sull’origine vera dell’Uomo sono state terribilmente ritardate ed ostacolate da un falso, che adesso – forse – ci può far sorridere, ma che ha indubbiamente prodotto danni gravi alla scienza e mietuto numerose vittime innocenti tra i ricercatori seri. 

La sola considerazione finale dei danni creati dal falsario e dalla sua opera è sufficiente per convincersi che questo fenomeno va combattuto in ogni modo, sempre.

N.B. Le Note sono numerate a partire dalla [12] perché questo è solo la parte finale dell'articolo originale: 'L'Uomo di Piltdown è vivo'(che compare in questo stesso blog).





[12] Esisteva, infatti, il preconcetto che l’anello mancante dovesse avere un cervello molto sviluppato. Pertanto, il Pitecanthropus Erectus trovato a Giava da Eugene Dubois nel 1890 fu considerato insignificante, come progenitore dell’uomo (in seguito, fu riqualificato come Homo Erectus, ma Dubois morì sconfitto, convinto di avere trovato ‘solo una specie estinta di gibbone’, come ammise egli stesso). 

[13] Darwin, in realtà,  pensava ad un antico progenitore comune alle scimmie e all’uomo, non ancora umano.

[14] Datazione con decadimento del potassio radioattivo in argon radioattivo ed inversione del campo magnetico terrestre.

[15] Dalla canzone allora notissima e di moda: “Lucy in the Sky With Diamonds”, dei Beatles.


Martin Hinton è da alcuni considerato il vero autore del falso di Piltdown, vedi anche:
http://www.clarku.edu/~piltdown/map_prim_suspects/hinton/hinton_prosecution/pilthoax_whodunnit.html

Cronologia:
1856 -- Neanderthal man discovered
1856 -- Dryopithecus discovered
1859 -- Origin of Species published
1863 -- Moulin Quignon forgeries exposed
1869 -- Cro Magnon man discovered
1871 -- The Descent of Man published
1890 -- Java Man discovered
1898 -- Galley hill "man" discovered [modern, misinterpreted]
1903 -- First molar of Peking man found
1907 -- Heidelberg man discovered
1908 -- Dawson (1908-1911) discovers first Piltdown fragments
1909 -- Dawson and Teilhard de Chardin meet
1912 -- February: Dawson contacts Woodward about first skull fragments
1912 -- June: Dawson, Woodward, and Teilhard form digging team
1912 -- June: Team finds elephant molar, skull fragment
1912 -- June: Right parietal skull bones and the jaw bone discovered
1912 -- Summer: Barlow, Pycraft, G.E. Smith, and Lankester join team.
1912 -- November: News breaks in the popular press
1912 -- December: Official presentation of Piltdown man
1913 -- August: the canine tooth is found by Teilhard
1914 -- Tool made from fossil elephant thigh bone found
1914 -- Talgai (Australia) man found, considered confirming of Piltdown
1915 -- Piltdown II found by Dawson (according to Woodward)
1916 -- Dawson dies.
1917 -- Woodward announces discovery of Piltdown II.
1921 -- Osborn and Gregory "converted" by Piltdown II.
1921 -- Rhodesian man discovered
1923 -- Teilhard arrives in China.
1924 -- Dart makes first Australopithecus discovery.
1925 -- Edmonds reports Piltdown geology error. Report ignored.
1929 -- First skull of Peking man found.
1934 -- Ramapithecus discovered
1935 -- Many (38 individuals) Peking man fossils have been found.
1935 -- Swanscombe man [genuine] discovered.
1937 -- Marston attacks Piltdown age estimate, cites Edmonds.
1941 -- Peking man fossils lost in military action.
1943 -- Fluorine content test is first proposed.
1948 -- Woodward publishes The Earliest Englishman
1949 -- Fluorine content test establishes Piltdown man as relatively recent. 1951 -- Edmonds report no geological source for Piltdown animal fossils.
1953 -- Weiner, Le Gros Clark, and Oakley expose the hoax.

martedì 1 ottobre 2013

LINGUA E CULTURA


Per via della completa identità di vedute con l'autore, ri- posto quest'articolo. Egli è sardo, eppure resiste alle facili strumentalizzazioni emotive di cui molti suoi conterranei sono vittime: e ne spiega i motivi, pacatamente e sottovoce, ma convincentemente.

Lingua e cultura, l’identità tradita dai nuovi falsari


Dalla scrittura nuragica al mito di Atlantide. L’archeologia diventa un campo a rischio





    di Marcello Madau
    Sta riprendendo vigore la moda dei falsi culturali. D'altronde, oggi appartiene a un più vasto fenomeno del mercato. Sembra che tocchi anche a una presunta scrittura nuragica.
    Il corto circuito fra scolarizzazione di massa, crescita della coscienza territoriale e nuovi mercati del “tipico” dà esiti assai contradditori. Aumenta la consapevolezza, il lavoro cognitivo. Ma si moltiplicano le costruzioni emotive basate su dati approssimativi, spesso inventati, non verificabili. Nascono fiori non proprio naturali, pur con esiti d'arte anche apprezzabili. D'altronde, come dimenticare il legame fra un grande fenomeno artistico come la “Sturm und Drang” e i falsi “Canti di Ossian”?
    Agli stati nazionali moderni, e a quelli che vorrebbero diventarlo, sembra servire il collante dell'immaginario emozionale. Una notte delle origini popolata da eroi in armi, divinità misteriose, ritualità emotive e sanguinarie, catastrofismi, tsunami. Oggi la sarabanda, spesso ridicola, di falsi e mezzi falsi offre le sue grazie all'industria culturale del tempo libero e dell'identità, del mercato. Si moltiplicano maschere tradizionali inventate da poesie inventate. Nel campo dell'archeologia persone e piccole comunità si autocertificano come portatrici di verità colpevolmente ignorate dalla ricerca scientifica. Per le figure di archeologo e demoantropologo sembra non contare la definizione professionale. Si può dire ad un ingegnere che il suo ponte fa schifo, ma senza essere ingegneri vi mettereste a costruirne uno?
    E' allora opportuna la lettura del saggio di Raimondo Zucca dal titolo Storiografia del problema della “scrittura nuragica” uscito nel nuovo numero del Bollettino di studi sardi (numero 5_2012), edito da Cuec-Csfs (Centro di studi filologici sardi). L'archeologo oristanese documenta le posizioni storiche sul tema, le varie letture nei secoli, compresi i limiti e le aggiunte moderne di un sistema scrittorio assai discutibile come quello che si raccoglie attorno alle proposte di Gigi Sanna.
    L'assenza di contesti stratigrafici, la sparizione degli originali, l'uso di aspetti parzialmente credibili, le integrazioni moderne formano un groviglio che la competenza (e la pazienza) di Raimondo Zucca ordinano in un'analisi densa e convincente. Iscrizioni reali e segni aggiunti, incisioni “post-patina”, possibili giochi di operai di scavo, interpretazioni fantasiose basate su un corpus inesistente, che cerca disperatamente di formarsi su segni e manufatti spesso di origine precaria senza raggiungere la massa critica necessaria per impostare e proporre analisi e letture.
    I materiali disponibili sono riesaminati, collocati cronologicamente. Ma il lavoro – puntuale nell'attribuire a tempi e contesti post-nuragici alcune iscrizioni, e a valutare come “moderne” altre – affascina per le vastissime letture mediterranee. E per quell'indice verso Cipro, luogo di relazioni incrociate dal quale dovettero dipendere tante vicende sarde. Sino agli ultimi eccezionali ritrovamenti nuragici nell’isola del Rame, all'ipotesi di lettura dell'eccezionale iscrizione sullo spillone nuragico proveniente da Antas.
    Il pregio del saggio non sta solo nella grande dottrina impiegata e mostrata, ma nella civile dialettica verso un mondo che ricorre comunemente ai toni delle crociate (e a volte dell'insulto) contro la “torre d'avorio” dei “poteri accademici” (peraltro anche in una torre piena di difetti la somma degli stessi non dimostra la veridicità di una scrittura inesistente).
    Io sono molto convinto che le forze che con più vigore si richiamano all'identità sarda e ai suoi valori storici saranno disposte (molti lo hanno fatto per Atlantide) ad abbandonare lusinghe emotive. La strumentalizzazione oggettiva del senso di inferiorità che la dipendenza e il colonialismo hanno costruito in molti sardi. La Sardegna, con le sue culture, è magnifica senza alcun bisogno di invenzioni ideologiche. Anzi, la speranza di un nuovo modello sociale basato sulla cultura e sul paesaggio ha più che mai bisogno, per essere davvero solido e civilmente etico – e non infangare l'identità – di inflessibile rigore scientifico.
    © RIPRODUZIONE RISERVATA
    12 Aprile 2013