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martedì 29 luglio 2014

Non solo Ebrei




Il luogo di culto sciita e sunnita simbolo di Mosul è stato raso al suolo. La popolazione costretta ad assistere all'evento dimostrativo insensato ed anticulturale, olte che blasfemo.

Militanti islamici di Isis distruggono la Moschea di Giona: "Era frequentata da cristiani"

 - La Moschea di Giona è stata rasa al suolo dall'Isis. Il luogo di culto, sia sunnita sia sciita, era frequentato anche da cristiani. Per le milizie quindi non era "più un luogo di culto, ma era diventato un luogo di apostasia". La Moschea di Giona, simbolo della città irachena, non è stato l'unico monumento non sunnita distrutto dai fondamentalisti, che continueranno con le loro razzie. La popolazione è stata invitata ad assistere alla distruzione.



Il grandioso edificio, in origine di culto cristiano, era posto sulla sommità della collina di Al Tauba (Pentimento), sita nella parte orientale della città irachena ed era dedicato al profeta Giona (Yunis) che si credeva ivi sepolto, tanto da essere luogo di pellegrinaggio sia per i musulmani sia per i cristiani.

L'episodio è l'ultimo di una lunga serie che ha visto i membri dello Stato islamico dell'Iraq e della Siria (Isis: stato islamico di siria ed irak) occupare chiese e moschee sciite e costringere alla fuga le minoranze etniche o religiose perché in opposizione al califfato islamico. Le milizie hanno anche raso al suolo la moschea sciita di Wadi al Akhdar, e si apprestano a distruggere anche quella di Najib Jader, anch'essa importante monumento storico risalente al XII secolo e originariamente dedicata a San Giorgio, sia stato ordinato di evacuare la zona per "non subire danni".

Ultimatum ai curdi: "Lasciate la CITTÀ" - I miliziani dello Stato islamico (Isis) che controllano la città  nel nord dell'Iraq hanno dato tempo fino a domani ai cittadini curdi per lasciarla, come avevano fatto una settimana fa con i cristiani. Lo rendono noto fonti locali. Da oltre un mese, da quando cioè l'Isis si è impadronito di Mosul, combattimenti sono in corso a nord della città tra jihadisti di questa organizzazione e forze Peshmerga curde giunte dalla vicina regione autonoma del Kurdistan. Nuovi scontri sono in corso in particolare nell'area di Telkeif, una località una ventina di chilometri a nord-est di Mosul: una zona abitata da maggioranza cristiana.

domenica 27 luglio 2014

Una domenica uggiosa, di fastidio.




Un sabato inondasico ha impedito d’organizzare l’uscita del fine settimana.
La televisione trasmette ad oltranza gli ultimi milioni di momenti del lentissimo arrivo a Genova della ‘Concordia’.  Mi domando perché mai  tutti la chiamino ‘Nave Concordia’ – senza usare l’articolo – e alla fine concludo che il fatto curioso può essere spiegato solamente in due modi:

1)    l’articolo è andato perduto nel naufragio ed è rimasto nel fondale del Giglio.
2)    La lingua italiana si sta liberando definitivamente – dopo che del congiuntivo giurassico – anche dell’articolo, come nel caso “Ci vediamo settimana prossima”…

Spengo la televisione – gli altri canali sono tutta una carnevalata festante  di compravendite per decerebrati – e rivolgo un inutile, intimo pensiero ai 32 morti ed alle loro famiglie… Ma soprattutto penso ai sopravvissuti, quelli che ancora sobbalzano ad ogni rumore un po’ più forte, quelli che non dormono più bene, che non scorderanno mai, che hanno ancora una persistente paura di tutto e piangono per nulla…

Allora scendo dal giornalaio (i bar sono tutti chiusi, ormai), dove incontro alcuni esperti di politica internazionale che cercano di spiegarmi la situazione di Gaza. Sono gli stessi che allenerebbero la nazionale di calcio meglio del selezionatore di turno: credo di essere già preparato a quello che mi aspetta. Uno di essi - incredibile! - crede che Hamas (l'organizzazione palestinese che è il Movimento Islamico di Resistenza) sia una persona. La mia postura si fa un po’ più curva e vecchieggiante. La ‘discussione’ è già quasi allo stadio dello scontro fisico: qualche interiezione genitale si erige tra i contendenti… Il giornalaio ogni tanto sveltisce il traffico dei nuovi clienti incerti, che non osano passare tra gli 'esperti'.  Con gesti significativi e consumati, come a dire: “So’ solo penzionati cojoni, signo’, stia tranquilla che nun fanno male: 'o vole er messaggero?”. E lancia in giro occhiate che non riuscivano neppure ar mejo Ardo Fabbrizzi.

Non a caso, le opinioni si esprimono con modi e tempi calcistici. Juventini di qua, romanisti de llà. Sono fedi contrapposte. Predicano misteri non provati.
Io sono interista e quindi non parlo, sennò mi fanno nero, altro che nerazzurro. M’ingobbisco ancora un po’, con gli spiccioli in mano, mentre penso nostalgicamente che una volta – in lire – avrei potuto comprarci un intero pasto, mentre oggi ci compro solamente un fogliaccio con le notizie di ieri sera.




E poi, tristemente: io non ho capito ancora nulla di Gaza. 

Perché siano stati uccisi tre ragazzi israeliani, poi un ragazzo palestinese.

Come sia potuto nascerne un' Iliade che ha già prodotto i più di mille morti, tra cui civili, bambini, sfondando il limite del cinismo, della criminalità di guerra, dell’offesa ad ogni dignità umana. Ma non sono così tutte le guerre, in fondo? Ti ricordi la 'pulizia etnica'?

Non so neppure chi siano davvero i contendenti. La mia confusione è totale, lo ammetto: tra tregue richieste e negate, prima accordate e poi non rispettate. Dovrebbe esserci un potente divieto internazionale di guerra: con che cartello si potrebbe simboleggiarlo?

Hamas ha sistemato i suoi missili da lanciare, proprio tra i civili palestinesi nella ‘striscia di Gaza’.
A questo punto - secondo logica - dovrei pensare che due sono i casi:

1) O i civili palestinesi di Gaza sono conniventi e coscienti alleati di Hamas (e allora sono subdoli nemici di Israele, pur non dichiarandosi tali),
2) Oppure ne sono vittime non consenzienti: non li volevano tra loro e sono stati costretti ad accettarli (e allora Hamas è un violento e cinico oppressore assassino dei civili palestinesi, verso i quali non mostra alcuna pietà e cui non riconosce la minima dignità di esseri umani). 

Non esiste una terza possibilità, credo.

Ora, Hamas – mi sembra di avere capito – ha come bersagli programmati e premeditati i civili israeliani: lo dimostrerebbero i circa 100 missili al giorno che sono stati lanciati contro le città israeliane. Lo dimostrano anche i tunnel sotterranei scavati (circa 30 sono stati identificati) che conducono oltre il confine e presso i Kibbutzim israeliani, che sono fattorie, non caserme. Ma soprattutto lo dimostra il suo Statuto, che prevede la cancellazione dello Stato d'Israele e la sua sostituzione con uno Stato Islamico.

Israele ha colpito civili palestinesi e persino bambini palestinesi, nel tentativo di distruggere le basi di Hamas, che di quei civili si fanno scudo. Ma quei civili e quei bambini, in questo caso, non erano vittime premeditate: in qualche modo sono vittime forzate dall’essere state usate come scudo.

Un romanista, con foga, me sta a spiegà che nun se ne po’ pproprio più de ‘sti Sraeliani aroganti, ricchi e difesi dalli americani. Cianno li sordi e ffanno quello che vojono.

Un altro mi sposta con la mano – perché è del tutto evidente quanto io non sia all’altezza della conversazzione – e gli risponde: “Ma se lloro te li tirassero a tté tutti sti missili sulla capoccia tutti i giorni tu nun sarebbi ppiù Sreliano de loro?”.

Li guardo negli occhi, per un momento, ma subito capisco che non gliene importa nulla della mia stupida opinione al riguardo: gli importa di più urlare la propria. E chi urla più forte avrà senz’altro ‘raggione’...

Ammesso che io ne abbia veramente una, di opinione. Stringo il mio quotidiano nella mano, attento a non macchiarmi di stampa la polo chiara.
Però, ancora non capisco perché molti si schierino contro Israele e lo considerino come unico colpevole della strage...
Io sono un occidentale - non v'è dubbio - e forse moltissimo mi sfugge della mentalità medio-orientale, che per me resterà sempre incomprensibile, forse. Non sono di religione o di cultura ebraica e certamente quasi tutto di ciò che è folklore ebreo mi è ignoto.

Io, con i miei occhi, vedo solamente in atto un orrido processo a catena, in cui nuovi colpevoli si creano ogni momento e nuove vittime sono distrutte. So che si tratta di una faida antichissima: ne ho trovato tracce e cause in tempi andati, campi impensati, luoghi strani e lontani. Se ne occupano molto inefficacemente la sociologia, la storiografia, l’archeologia, l’antropologia, la psicologia, la politica e – in special modo – le religioni...

Una sola cosa – in tutta questa mia confusione impotente – mi è chiarissima:  credo che questa guerra si debba fermare. Subito e per sempre.

sabato 19 luglio 2014

PALESTINA


Se una guerra non è mai condivisibile, questo conflitto, che parte da molto lontano, lo è ancora meno: ciò che è più insensato è proprio il fatto che uno dei due contendenti non esiste più (se non come nome: ‘palestinesi’), in quanto fu sterminato.  I due contendenti principali d’oggi appartengono infatti al medesimo ceppo genetico. Questo dimostra come la separazione (per qualsiasi motivo, ma per un tempo sufficiente) di gruppi etnici identici, col tempo determini barriere sempre più incolmabili di tipo ideologico, religioso, linguistico, tradizionale. Fino all'apparente totale incompatibilità.

 ‘Palestina’ è la denominazione romana della provincia che risale all'epoca dell'imperatore Adriano, nel 135 d.C. quando il nome ufficiale Syria Palaestina sostituì il precedente Iudaea includendo anche altre entità amministrative: Samaria, Galilaea, Philistaea e Perea.
Il cambio di denominazione del governatorato suggerisce la rottura politica fra l'impero e le autorità locali presso gli Ebrei o Giudei. Il nome Palestina era tuttavia un toponimo già noto, già introdotto sicuramente da Erodoto e utilizzato dai Greci.
Nei più antichi documenti il territorio è noto con nomi diversi. Antichi documenti egiziani si riferiscono alla regione con il nome translitterato rṯnu (pronuncia convenzionale retenu o recenu).  
Nella Bibbia la Palestina è indicata con diversi nomi e risulta una presenza contemporanea di più stati sul suo territorio. Oltre ai termini Eretz Yisrael "Terra di Israele", Eretz Ha-Ivrim "Terra degli ebrei", "Terra in cui scorre latte e miele", Terra promessa, tutto il territorio ad occidente del fiume Giordano in epoca antecedente era chiamato "Terra di Canaan", in quanto precedentemente abitato dai Canaaniti o Cananei. Nella mitologia biblica i cananei sono i discendenti di Canaan figlio di Cam. Secondo la Bibbia questa popolazione sarebbe stata sopraffatta e colonizzata più o meno nello stesso periodo dalla popolazione degli Ebrei nella parte interna-centrale (popolo originario della Mesopotamia meridionale considerati discendenti di Abramo cui Dio avrebbe promesso la terra di Canaan), e da quella dei Filistei, nella parte costiera e sud-occidentale.
Con l'arrivo del popolo ebraico la 'Terra di Canaan' prese il nome di "Terra di Israele". La storia del territorio a questo punto coincide con la storia del popolo d'Israele.
A seguito vi fu una divisione del regno ebraico unito, il Regno di Giuda e Israele, in due regni separati, quello meridionale di Giuda (sottomesso e distrutto per un certo periodo a causa dei Babilonesi), quello settentrionale di Israele o Samaria (conquistato poi dagli Assiri).
La regione costiera invece, colonizzata probabilmente in un'epoca intorno al 1000 a.C. dai Filistei o pheleset (In cui si crede di potere identificare un a popolazione di lingua indoeuropea, forse di lingua greca) comprendeva almeno cinque città: Gaza, Ashdod, Ekron, Gath e Ashkelon. Di questa popolazione sono gli Egiziani antichi a dare per primi notizia come P-r/l-s-t (convenzionalmente Peleshet), uno dei cosiddetti (ma storicamente inesistenti, come gruppo) Popoli del Mare che invasero l'Egitto durante il regno di Ramsete III.
"Filistea" (italianizzazione del termine biblico "Peleshet", ebraico פלשת Pəléšeth, P(e) léshet) è il toponimo da cui è derivato il latino "Palaestina", dunque "Palestina" è un nome ispirato al gruppo etnico dei Filistei. In epoca biblica i Filistei si scontrarono con gli Israeliti per un lungo periodo, subirono sconfitte ma vinsero alcune battaglie ai tempi del profeta Amos, vennero infine sottomessi da re Davide e forse definitivamente sterminati, scomparvero definitivamente come nazione e non sono più citati dai tempi delle invasioni degli Assiri.
La terra di Israele in seguito venne sottoposta ai Persiani, al dominio ellenistico, ai Romani. Uno dei regni ebraici il Regno di Giuda, o Giudea continuò ad esistere, anche su territori dell'intera terra, come stato formalmente indipendente per almeno due secoli. I Romani intorno al 130 a.C. intervennero proprio su richiesta di uno dei due regni da parte della tribù regnante dei Maccabei, e lo stesso patriarca Giuda Maccabeo ottenne la cittadinanza onoraria di Roma e un seggio nel Senato Romano.
Con il tempo il regno divenne de facto uno stato vassallo e diversi territori della Palestina furono frazionati e passarono sotto diretta amministrazione romana. La complessa organizzazione amministrativa della provincia riflette una certa turbolenza politica, in gran parte dovuta a motivi religiosi di conflitto tra Ebrei e Romani. La popolazione israelita tentò di ribellarsi a più riprese al potere romano, ad esempio con Giuda Galileo nel 6 d.C. La Prima Guerra Giudaica, iniziata nel 70 d.C. portò alla distruzione del Tempio. Il famoso episodio della presa della fortezza di Masada risale a questo conflitto. La Terza Guerra Giudaica (132-134 d.C.) fu causata in parte anche dalla decisione di Adriano Imperatore di cambiare il nome della capitale in Aelia Capitolina e di inquadrare completamente la provincia tra le istituzioni dell'Impero. La guerra terminò con la vittoria dell'Esercito Romano contro Simon Bar Kokheba, ma a costo di pesanti perdite.
La guerra provocò la morte di una parte consistente della popolazione ebraica del territorio. Adriano decise, nel 135 al termine del conflitto, per stornare il pericolo di future rivolte, di emettere la disposizione drastica che proibiva agli Ebrei di risiedere nella città sacra di Gerusalemme, il centro religioso del Giudaismo, pur continuando a risiedere nel territorio circostante la capitale (le comunità ebraiche che vivono lontane dalla Terra di Israele sono note come Diaspora ed erano già molto consistenti in epoca romana). Adriano cambiò anche il nome della provincia che da ‘Provincia Judaea’ divenne ‘Provincia Syria Palaestina’ (più tardi abbreviato in ‘Palaestina’). Il nome Syria Palaestina era quello greco utilizzato da Erodoto per indicare il territorio meridionale da distinguere della semplice Syria, che si limita alla parte settentrionale. Nell'utilizzare il toponimo non ebraico, Adriano intendeva senz'altro umiliare ulteriormente gli ebrei anche per il fatto di ribattezzare la loro terra con il nome di loro antichi nemici, i Filistei appunto.
La cosa, in seguito, è purtroppo continuata in tempi più recenti.

venerdì 30 agosto 2013

#Syria


 L'Eterno, quasi biblico, conflitto Est/Ovest: oggi, è il turno della Syria. Davvero è inevitabile? Sono trascorsi ormai due anni e mezzo dall'inizio del 'conflitto interno' che riguardava solo la Siria, paese sovrano, e nessun altro. Ci sono stati centomila morti. Forse non si può più parlare di 'alcuni dissidenti violenti': forse si può iniziare a definirli cittadini privati dei loro diritti. Non a caso i principali fautori di un intervento armato sono USA e Francia, le due nazioni nelle quali si è fatta una rivoluzione per l'autederminazione degli individui e per il diritto alla libertà. Forse, infine, sarebbe il caso di evitare un conflitto armato e considerare quanto sia ormai lungo, nel tempo, lo scontro ideologico tra Oriente ed Occidente.




Mi ha sempre affascinato il difficile, complesso, talvolta orribile andamento delle cose nel Mondo. A volte mi sembra di intravedere una specie di involontario disegno, un filo conduttore, un copione, che cose, fatti e persone sono quasi obbligati a seguire, tutti insieme, tutti divisi nei propri ruoli, ineluttabilmente.

Il grave dissidio esistente tra Occidente ed Oriente del Mondo, procede con un esasperante ed illogico susseguirsi d’alti e di bassi. Non è recente: è molto più antico di quanto non si creda.
È d’antichissima data, ma cova costantemente, come brace sotto la cenere ineffabile del Tempo.
Anche quando non illumina i nostri volti attoniti d’involontari spettatori, esso è presente alla nostra mente (nella filosofia, nella religione, nel cosiddetto “sentimento comune”), aleggia tra le nostre paure e ci condiziona nelle nostre scelte quotidiane … 
Ormai, esso è vissuto quasi come in un racconto biblico, come l’inevitabile distruzione per meritata punizione, come se fossimo condannati a ripetere ineluttabilmente ciò che fu scritto. 
È una brace facilmente individuabile, oggi, nel perdurante ed insensato conflitto arabo-israeliano, atto in qualsiasi momento a scatenare un vero e definitivo Giudizio Finale.
A cercare bene, qualcuno potrebbe affermare che le ostilità tra Occidente ed Oriente del mondo iniziarono probabilmente con la storia stessa dell’Uomo …

Neanderthal occupava già l’Europa e parte dell’Asia, quando il suo spietato distruttore Uomo Moderno vi entrò dall’Africa (patria comune, in fondo) con le proprie migliori qualità.
Tutti potremmo obiettare che forse Neanderthal si sarebbe estinto egualmente e che in questo caso, Est ed Ovest non sono proprio ben distinti: i contendenti stessi non sanno che cosa essi stessi rappresentino.
Più in dettaglio, però, Uomo Moderno proveniva dalla Rift Valley Africana (e quindi da Sud) si può dire che per giungere in Europa attraversò la Penisola Arabica, Mesopotamia e Turchia.
Letteralmente quindi muoveva da Est. 

Altri conflitti successivi sono inquadrabili in questo schema Est / Ovest, con facilità variabile. La prima epica guerra della storia, la battaglia di Qadesh fra Egiziani ed Ittiti, in qualche modo lo è, anche se – per essa – non è ancora ben chiaro chi fu il vincitore. Il faraone dice di essere stato lui. Di fatto, però, fu fermato lì e non andò mai oltre.
Lo è senz’altro anche la ben più nota guerra di Troia, punta dell’iceberg di ben più grandi e profondi conflitti sociali, ambientali e alla fine militari, che condussero agli scontri decennali dei (fantomatici ed inesistenti) “Popoli del Mare” ed al lungo periodo, oscuro e miserabile, che ne seguì …
Sicuramente sono scontri tra Occidente ed Oriente le guerre tra Greci e Persiani e l’epopea di conquista d’ Alessandro Magno in Asia: anzi, forse sono proprio quelle che hanno contribuito a radicare nella Tradizione e nella Memoria Comune il senso di una profonda differenza tra Est ed Ovest.
Meno ascrivibile a questo schema è la continua espansione di Roma a discapito dei suoi vicini prossimi e poi più lontani, fino alla conquista della Grecia. Però essa ha contribuito a radicare l'odio, come fanno tutte le guerre di conquista.

Si potrebbe interpretarla come un’altra conferma della solo presunta superiorità degli Indoeuropei sulle altre genti del mondo (e qualcuno lo fa).
Ma questo concetto è errato due volte: 1) perché confonde un gruppo linguistico con uno etnico; 2) perché presuppone la superiorità biologica, che invece è scientificamente negata).
Calza perfettamente nello schema, invece, la serie di scontri (le guerre puniche) con Cartagine, ricca di valenze e tradizioni asiane che furono ridimensionate e mortificate dalla sconfitta con Roma, grande Capitale Occidentale.

Le Crociate - qualunque sia stato il loro vero numero (ed il possibile 'vincitore') - rientrano certamente in questa dinamica. 
La “scoperta” e la successiva colonizzazione delle Americhe, altro non sarebbe se non un nuovo scontro di civiltà tra gli occidentali europei ed i nativi, discendenti di quegli asiatici originariamente migrati attraverso lo Stretto di Behring: attenzione, qui, a non farsi imbrogliare dall’apparente inversione tra Est ed Ovest.
Sembra quasi un gioco (cinico) e probabilmente lo è, all'insaputa degli sessi partecipanti, anche se diversi pensatori hanno preso molto sul serio il cosiddetto “Scontro di Civiltà”, seppure da molto differenti punti di vista …

Certamente molti episodi della nostra storia non sono inquadrabili in questo modo: e alcuni non sono per nulla trascurabili, basti pensare anche soltanto alla “guerra dei cent’anni”…

Certamente i fattori economici: il potere, la ricchezza, l’abbondanza di terre fertili e coltivabili, oppure ricche di risorse del sottosuolo, molto hanno a che fare con le cause prime di guerre che concludono gli annosi dissidi tra i popoli diversi, in latitudini ed in epoche differenti.
Molto del nostro passato remoto è giustificato dal possesso delle miniere d’ematite e d’ossidiana o di selce e d’argento, oppure anche solamente di rame e di stagno...
Il passato più vicino è condizionato dall’acquisizione delle fonti di rame, stagno, piombo, ferro, oro ed argento.
Il presente è ostaggio di diamanti, smeraldi, petrolio.

Il futuro vedrà l’acqua come risorsa rara ed essenziale, sufficiente movente per le guerre …
Malgrado tutto ciò, in ogni conflitto si può sempre tentare di individuare la presenza di una qualche contrapposizione tra un Occidente ed un Oriente e le loro rispettive filosofie e tradizioni, ormai profondamente divergenti.
Crederci oppure no, poi, è libera prerogativa di scelta di ognuno. 
Ma in fondo, la contrapposizione Est/Ovest non è affatto strana: essa si deve quasi obbligatoriamente all’aspetto fisico e geografico del Mondo stesso e della distribuzione della razza umana su di esso.
La parte della Terra abitabile dall’uomo, sia il suo primo habitat, sia quelle terre di conquista ed espansione che erano convenientemente contigue con esso, è proprio quella che mostra una maggiore estensione in questa direzione, da Est ad Ovest. Nessuna sorpresa davvero se i principali avvenimenti della Storia dell’uomo si distribuiscono lungo queste linee, inclusi gli intrighi degli interessi e gli inciampi delle guerre.
Ma esiste anche qualche altro elemento, che potremmo definire culturale se vogliamo, che è coinvolto in queste considerazioni …
Spesso, se non sempre, in conflitti militari di vasta portata come nei movimenti di conquista e colonizzazione, si configura anche uno scontro di valori morali, religiosi, sociali, tradizionali, di folklore e di superstizioni, oltre alle usuali considerazioni economiche che connotano più direttamente questi sommovimenti.
Esistono numerose differenza tra i popoli, che sono determinate dallo Spazio e dal Tempo. 

- Lo spazio contrappone le distanze e gli ostacoli alla facile ricongiunzione ed ai contatti frequenti: questo determina la differenziazione tra due gruppi originariamente simili o uguali. 
- Il tempo permette cambiamenti progressivi ed indipendenti, del tutto a caso ma sempre più evidenti, di due popolazioni inizialmente simili o uguali, che alla fine del processo non si riconoscono neppure più come affini.

Le differenze nascono, crescono, esistono e prima o poi divengono così imponenti da costituire parametri di “diversità” immediatamente riconoscibili reciprocamente. Diventano elementi integranti dell'Identità, un fattore astratto ed irrinunciabile, per cui generazioni intere di esseri umani si sono immolate come lemmings.
La diversità è potenzialmente nemica, temuta, pericolosa, da eliminare.
I nemici divengono sempre più incomprensibili gli uni per gli altri.
Anche la lingua è sempre più differente.
L’incomprensione genera confusione, malintesi, preconcetti e paura.
La paura ha sempre spinto l’uomo all’eliminazione violenta delle sue cause: gli animali “feroci” sono pressoché estinti per questo preciso motivo.
Se poi l’ambiente ha determinato l’affermarsi genetico di una differente coloritura di pelle e capelli, di forma e colore degli occhi, ecco che al concetto di diverso si associa subito quello erroneo di “razza differente”, con tutto il lugubre corteo di superstizioni, sospetti, ingiustizie che ci è tristemente noto … 
Un altro carattere distintivo di questo conflitto tra Occidente ed Oriente è il suo finale incerto.
Se pure è vero che in passato vi sono stati periodi alterni di più o meno netta supremazia dell’una o dell’altra parte, è altrettanto evidente che non si sia mai giunti ad un vero e proprio “finale di partita”. Esempi diversissimi, quali le Crociate o la guerra del Vietnam possono testimoniarlo. 
La famosissima Battaglia di Lepanto (7 Ottobre 1571) è l'esempio per antonomasia: fu una vittoria contro i Turchi estremamente celebrata dalla stampa di tutto l'Occidente cristiano (ne derivarono festeggiamenti popolari che persistono tutt'oggi, come la Sagra del vino di Marino). Ma la Guerra fu persa: la Flotta Turca era stata ricostruita nel corso dell'intervallo invernale e la guerra ormai era costata già troppo. Cipro fu ceduta ai turchi: all'atto pratico, una sconfitta...


Forse proprio le Guerre Mondiali, apice dell’insulsa belligeranza umana contro se stessa, costituiscono l’unica eccezione assoluta che supera la logica Est/Ovest (anche qui si potrebbe riconoscere un Est Europa contro un Ovest Europa), ma comunque ci riporta al vero problema conclusivo di queste argomentazioni:
l’irrisolvibilità…
È questo forse il punto cruciale di tutta la questione, che dovrebbe fare riflettere a lungo su quali possibili soluzioni adottare …
Differenti Soluzioni Finali del problema del “nemico diverso” sono state tentate nel corso della Storia.
Si spazia da metodi cruenti ed aggressivi ad altri più sofisticati ed incruenti.
Dalla totale eliminazione fisica dell’avversario del momento (ma ce ne sarà sempre un altro, in seguito), al volontario isolamento di sé, come fu fatto dalla Cina del 1200 d.C. (ottenendo un controproducente salto indietro nella propria evoluzione sociale). 
Nessuno ha avuto successo.
Probabilmente, l’unico metodo che potrebbe portare validi progressi è il colloquio aperto, totalmente chiarificatore, privo di preconcetti.

È assolutamente inattuabile, adesso: anzi, improponibile. E' drammaticamente e SEMPRE troppo tardi...
Infatti, ci troviamo oggi in pieno scontro tra due culture: quella Occidentale e quella Orientale Islamica.

La situazione è di estremo pericolo per l’Occidente.
La filosofia permissiva e democratica di quest’ultimo, che tende ad assicurare la libertà di pensiero e di parola a chiunque, può essere usata a suo danno.
Può essere interpretata come segno di debolezza da altre culture, che (relativamente al solo stato attuale) potremmo definire forse più primitive, ma anche più sbrigative e dirette, anche se in tempi passati esse hanno espresso molti fattori trainanti e fondamentali, all’avanguardia nel Mondo intero.
L’Occidente del benessere economico è attualmente composto di una serie d’individui poco coesi, egoisti e disillusi, niente affatto propensi a sacrificare i propri beni materiali per una causa comune, figurarsi poi a morire per essa.
Esso si trova contrapposto (al di fuori della volontà dei suoi singoli) ad un Oriente fortemente  coeso, Teocratico, anche se multiforme nelle sue varie espressioni, che appare pesantemente indottrinato e determinato, che ha poco da perdere, salvo la propria dignità di appartenenza etnico religiosa ed è estremamente aggressivo nelle sue frange integraliste, individuando nell’Occidente il proprio bersaglio preciso.
Secondo alcuni, in uno scontro flagrante, vincerebbe l’Oriente, probabilmente perché l’Occidente cederebbe alla tentazione di “dare un esempio di Civiltà e di buona volontà”, sempre doveroso da parte di chi è superiore anche militarmente. Inoltre, l’Occidente è diviso tra i Materialisti Comunisti Russi o simili ed i Vari gruppi religiosi differenti, in dissidio tra loro, dell’Europa e degli Stati Uniti.
Questa magnanimità s’infrangerebbe contro un interlocutore sordo, insensibile e pratico, che ne approfitterebbe subito a proprio vantaggio … 
La paziente conoscenza reciproca, l’obiettiva rappresentazione delle posizioni filosofiche e delle necessità della controparte, l’istruzione non strumentale sono tutte soluzioni auspicabili che possono condurre al già citato dialogo onesto ed aperto, ma restano ancora impercorribili e lontane.
Bellissima simbologia, che invita alla coesistenza, nella conoscenza della scienza, diverse identità politico religiose.
La pratica reale è purtroppo fatta di una pressione militare parziale costante, che se da una parte non giova a nessuno, dall’altra è sufficiente a giustificare un’ininterrotta attività terroristica di ostinata ritorsione (perpetuando il dubbio circa la priorità tra uovo e  gallina).
Ogni increscioso fatto di cronaca non è solo un altro episodio spiacevole di una guerra non dichiarata ma già in atto: forse è qualcosa di più, di cui dovremmo interessarci più da vicino, tutti insieme. Prima o poi, sarà troppo tardi per tutti. E per sempre.

venerdì 21 giugno 2013

l'invenzione del cavallo

UNA "INVENZIONE" CHE HA RIVOLUZIONATO LA GUERRA
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L'invenzione del cavallo
da un articolo di Nicola Zotti, modificato.

Achille Campanile scrisse un'esilarante commedia intitolata "L'inventore del cavallo”.

L'Accademia delle Scienze sta per conferire al professor Bolibine un premio per l'eccezionale invenzione, quando il passaggio sotto le finestre della sala della cerimonia di una parata militare e di un reggimento di cavalleria, rivela sia agli accademici, sia al professore la terribile verità: il cavallo esisteva già da prima che questi lo inventasse.

Il povero Bolibine, sopraffatto dalla vergogna, si suicida.


Non sarà certo stato il professor Bolibine, però qualcuno il cavallo lo ha letteralmente, effettivamente  inventato. Creato ovviamente no, ma neppure scoperto, proprio inventato: lo ha inventato come arma. (Si pensa siano stati  i 'Kurgan', che l'avrebbero ripetutamente usato per le loro razzie su popolazioni che non conoscevano né il cavallo, né la possibilità di addomesticarlo
).

Quel qualcuno probabilmente non lo immaginò, ma aveva dato inizio ad una rivoluzione militare (e non solamente a quella, probabilmente: forse anche al procedimento di indoeuropeizzazione, a mezzo del quale un’intera famiglia di lingue, quelle indoeuropee, avrebbe avuto il sopravvento sulle altre).

Secondo storici e archeologi, il cavallo fu domato in diverse località tra Asia centrale e Ucraina, più o meno contemporaneamente tra il 4.500 e il 3.000 a. C.: in questo lasso di tempo ci sono ritrovamenti di crani di cavalli con i molari consumati da un morso.

Il periodo è molto ampio, ma rimane incerto, perché potrebbe trattarsi di "cavalli da compagnia", puledri catturati e poi tenuti presso la famiglia senza essere mangiati, come era magari capitato ai loro genitori.

La prima prova provata del connubio uomo-cavallo è ancora un millennio successiva: la tomba di Kriove Ozero in Siberia, della cultura di Andronovo nella sua prima forma detta di Sintashta-Petrovka, datata 2026 a. C., primo esempio di sepoltura funeraria con un carro a due ruote trainato da cavalli.

La natura bellicosa dell’occupante di questa tomba è suggerita dal ritrovamento al suo interno di punte di freccia e di lancia.

Il cavallo è così importante per quelle popolazioni che nello stesso periodo, attorno al II millennio a. C., da sedentarie si trasformeranno in nomadi.

Il carro da guerra l'avevano probabilmente inventato i Sumeri, come sembra testimoniare lo stendardo di Ur datato 2.500 a. C., però si trattava di carri con 4 ruote piene trainati da onagri (asini selvatici, famosi per il loro calcio, che avrebbe ispirato il nome di una ballista romana di qualche millennio successivo). Quelli della cultura di Sintashta-Petrovka sono invece carri più agili e adatti a seguire un gregge o una mandria nelle pianure della steppa.





I nostri antenati avevano scoperto che il cavallo è un animale meno bizzarro dell'asino e, per quanto all'epoca avesse più o meno la stessa taglia di quest'ultimo, poteva essere migliorato con la selezione delle razze. E’ già  curioso il fatto stesso che il cavallo si lasci addomesticare da un singolo uomo, quando possiede la forza di 15 uomini: ad un certo punto del processo, evidentemente, il cavallo in qualche modo ‘decide’ di ubbidire.



Per molti secoli il cavallo non fu abbastanza robusto da essere cavalcato, ma con un carro una coppia di animali era sufficiente a garantire il trasporto di due uomini e delle loro armi. Così come una coppia di cavalli è - in realtà - più efficace e più rapida di una coppia di buoi nel tirare l'aratro (la cosa divenne possibile solo dopo che si inventò il giusto tipo di basto per il cavallo, che altrimenti tendeva a strangolarsi sul lavoro).

Il cavallo, inoltre, possiede  spontaneamente almeno tre “andature” -- passo, trotto e galoppo -- mentre l'asino cammina ad una velocità pari o inferiore a quella dell'uomo, oppure parte ad un galoppo difficilmente controllabile, caratteristica che non ne fa un animale particolarmente affidabile in una situazione bellica. Il cavallo (nella migliore combinazione di clima, condizioni del terreno e carico) può coprire fino a 56 km al giorno, a 10 km/ora. Naturalmente, al galoppo va molto più veloce (20/25 km/ora) ma non può sostenere tale andatura molto a lungo.

Al contrario dell’asino, il cavallo risponde ai comandi del guidatore con molta più docilità ed è sicuramente meno testardo dei suoi parenti da soma. Il cavallo veniva anche cavalcato, ma data la debolezza della groppa, doveva essere montato sul posteriore, come vengono cavalcati ancora oggi gli asini.

Il cavallo è un animale timoroso e delicato, soggetto a molti malanni, non può vomitare e il suo corto intestino lo obbliga a mangiare tre volte al giorno, ma il vantaggio di possedere un mezzo di trasporto così efficiente, era una motivazione bastevole a superare qualsiasi difficoltà. Il cavallo fu quindi "inventato" come arma da guerra, traslando al conflitto tra popoli il vantaggio che il pastore aveva sulla mandria che custodiva.

Il pastore sapeva difendere con arco e frecce il proprio bestiame dalle bestie feroci, ma aveva imparato anche a radunarlo, conosceva come catturare altri capi o inseguire animali veloci nella caccia: questa esperienza tornò utile affrontando popolazioni sedentarie, le cui milizie di fanti erano praticamente indifese contro queste sofisticate tattiche di manovra.

Un po' per conquista e un po' per emulazione, dalla Siberia centrale il carro si diffuse inizialmente in tutta la steppa, fino ai confini della taiga a nord e dell'Iran a sud. Da qui giunse più o meno nello stesso periodo, ovvero attorno alla prima metà del secondo millennio, in Cina a est, in Europa centrale e nei Balcani a ovest, in Asia minore e in Egitto a sud.

I Mitanni nella Siria del nord furono i primi in quest'epoca a guadagnarsi la fama di abili guerrieri su carri scrivendo il primo manuale sul loro addestramento, giuntoci in una versione Ittita, assieme agli Hyksos che, da popolazione intimamente ancora nomade e di commercianti, si infiltrarono in Egitto, nella zona del Delta del Nilo, fino a diventarne i governanti per oltre un secolo (dal 1674-1548). Gli Hyksos pare siano anche inventori dell'arco composito (molto più potente di quello di un solo materiale),che permise di utilizzare la piattaforma del carro per colpire i nemici da ancora maggiore distanza.
L'invenzione del cavallo, quindi, portò alla ribalta della storia militare un principio tattico ancora attuale: quello della mobilità e della manovra. L'uomo che per primo capì l'importanza della manovra, non farebbe alcuna fatica a comprendere la Blitzkrieg, la Airland Battle, o Shock & Awe.



René Magritte: "Firma in bianco".


I mezzi sono cambiati, la tecnologia ha fornito l'arsenale degli uomini di nuovi strumenti, ma l'essenza della guerra dopo l'invenzione del cavallo si è consolidata nella ricerca di un vantaggio sull'avversario originato dalla velocità degli spostamenti: carri armati, elicotteri, aerei, e domani astronavi non sono altro – concettualmente – che sviluppi meccanici e tecnologici del concetto di cavallo: meno belli ed eleganti, non si può guardarli negli occhi e fargli un affettuoso complimento...