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domenica 22 marzo 2015

Il Guerriero di Ofena (sarebbe dovuto essere).




Il Guerriero di Ofena.
Una curiosa serie di fatti e reperti simili.


Ricostruzione ipotetica

Nell’ormai lontano 1934, un contadino abruzzese (Michele Castagna il suo nome) stava impiantando una vigna, in un suo campo presso Ofena (antica Aufinum, 588 abitanti oggi) in provincia dell’Aquila. Un masso gli fu d’ostacolo: andava rimosso. Guardandolo meglio s’avvide che non era un semplice masso, bensì una parte di una ‘statua a tutto tondo’ spezzata, della quale altri resti erano sparsi intorno. Rinvenne pure un grosso ‘cappello’ (scolpito in una pietra differente, ma facente parte della statua), sotto al quale si trovava un frammento di un’altra e più piccola statua. Spostò il tutto di lato, perché la sua vigna era più urgente ed importante.

Passò quasi un mese, prima che ci si accorgesse che quei frammenti ‘potevano avere qualche importanza’.
I resti furono quindi portati a Roma, in un Centro per il Restauro.


Il motivo del nome.
La statua fu chiamata: “Guerriero di Capestrano”, dal nome di un paese allora molto più grande di Ofena, oggi molto spopolato (da quasi 4.000 abitanti del 1921 si è passati ai meno di 900 d’oggi) presso il quale fu rinvenuto. È scolpita in pietra calcarea tenera locale. È una scultura funerea in pietra a tutto tondo. È datata secondo quarto del VI secolo a.C.. è conservata al Museo Archeologico Nazionale di Chieti. È considerata un capolavoro della scultura italica arcaica. La statua femminile (mostra due piccoli seni stilizzati), più piccola ed incompleta fu denominata “Dama di Capestrano”.

Dama di Capestrano


Sul sito un archeologo (Giuseppe Moretti) condusse uno scavo entro l’anno (altre campagne di scavo furono solo sporadiche: 1973[1] e 2003[2]) che mise in luce una necropoli comprendente 32/33 [quante sono le deposizioni di MontePrama?] tombe (21 ad inumazione, 5 ad incinerazione e 6 sconvolte), orientate quasi tutte secondo un asse stradale, per cui si sospettò la presenza di una ‘via Sacra’. Quindici di queste tombe erano visibilmente più antiche, cinque di queste ultime erano orientate in modo differente dalle altre…

Le tombe dal 12 al 15 erano disposte a raggiera intorno alla numero 3, più grande ed accessoriata da una nicchia per il corredo funebre e disposta in senso Nord-Sud. È sembrato lecito agli archeologi ipotizzare che – secondo l’uso funerario ‘italico’ – la tomba fosse indicata da un circolo di pietre e sormontata da un tumulo, sul quale torreggiassero due statue: quella maschile più grande e quella femminile più piccola. In seguito furono persino rinvenuti i due basamenti delle statue, che sfortunatamente sono andati poi perduti.

Veduta anteriore e posteriore del Guerriero


Che cosa rappresenta.
Si tratta di un documento d’eccezionale rilevanza, che rivela numerosi dettagli sull’armamentario bellico del Centro Italia dell’epoca (tra il 700 ed il 600 a.C.), anche se lascia ancora molti dubbi circa i relativi usi e costumi funebri.
Si tratta della statua di un uomo rivestito delle proprie armi. È alta 2.09 metri, senza il plinto.
Il guerriero è rigidamente eretto, con i piedi distanti e paralleli, sostenuto alle spalle da due appoggi di forma rozzamente piramidale, che portano ciascuna incisa nella parte esterna la figura di una lancia (1.36 e 1.29 mt, lama ‘a foglia di salice’ , innesto ‘a cannone’ e ‘amentum’ una correggia per prolungarne il lancio). L’armatura è costituita da due dischi (Kardiophylax, di cui l’Archeologia ha fornito anche reperti reali, che sono in lamina di metallo) uno sul petto e l’altro sul dorso, sostenuti da corregge, una difesa triangolare (Mitra? che doveva essere in cuoio o in lamina metallica) copre l’addome e l’inguine, rafforzata da una linea marginale più spessa decorata a meandro.
Aspetto posteriore del Kardiophylax e della Mitra
Le braccia sono strette sul davanti: sostengono una spada con rilievi d’animali fantastici sull’impugnatura, un pugnale senza elsa posto su questa ed un’esile ascia incrociata (che è stata interpretata come simbolo di rango o forse anche simbolo identitario d’appartenenza, un po’ come il pugnale ad elsa gammata dei bronzetti sardi; ma non se ne può escludere l’uso come arma vera); due armille si stringono intorno al braccio sinistro ed una intorno a quello destro; una doppia collana con breve ornamento sul davanti, cinge il collo (torquis).

Veduta posteriore del torquis

Torquis


Il viso si ritiene coperto da una maschera (metallica), la cui linea di confine è nettamente segnata sul volto, e che, secondo la più comune interpretazione, faceva parte dell’armatura; oppure sarebbe stata una maschera funeraria che si metteva addosso ai cadaveri, secondo un uso in voga fin dai tempi micenei e non ignoto ai Romani. Per altri la linea scolpita ai lati del volto si riferirebbe al soggolo dell’elmo.


Dettaglio della presunta maschera del Kardiophylax e dell'accetta simbolica


Anche le orecchie sono forse rappresentate chiuse da una difesa. Sulla testa, il guerriero ha un elmo a tesa larghissima (m 0,65 di diametro) con un cimiero di penne (oggi in massima parte di restauro) fissato ad un rialzo decorato a meandro.
La sproporzione evidente di questo copricapo ha fatto pensare che si trattasse invece di uno scudo e tutta la statua rappresentasse il defunto che assiste ritto (sostenuto dalle due lance) ai suoi funerali, con lo scudo in testa, costume largamente praticato a Roma (Polyb., VI, 53)[3] e presso i popoli italici. Lo scudo sulla testa andrebbe messo in relazione da un lato con la devotio, per cui ci si copriva la testa durante le funzioni religiose, e dall’altro con una tendenza a dare a cippi tombali una copertura a forma di scudo (specialmente in necropoli etrusche: Vetulonia).


dettaglio dei piedi, aspetto posteriore



Ipotesi suggestive.
L’ipotesi di riconoscere nel guerriero di Capestrano un’immagine di consacrazione (devotio) sembra confermata dall’altezza della scultura, corrispondente a sette piedi romani (Liv., VIII, 10, 12).[4] [Si tratta di un rituale per il quale un comandante militare che temesse la sconfitta, invocava terribilmente sopra di sé gli Dei Inferi, stando sopra una lancia, e prometteva loro solennemente di portare con sé nell’Ade schiere di nemici. Fatto ciò, si lanciava forsennatamente contro l’esercito nemico, provocando sicuro scompiglio, perché i suoi avversari temevano di ucciderlo, in quanto – divenuto egli ‘sacer’ – sul suo uccisore sarebbe caduta la maledizione divina]. 
Malgrado l’indubbia suggestione di tale teoria, sembra proprio che la presenza di una statua femminile e i ritrovamenti in numerose località vicine di altre state sicuramente funerarie, gioca contro questa ipotesi.



Le mani, posate in modo non naturale su addome e torace, lasciano credere infatti ad una posa funeraria, di cui esistono esempi mediorientali, relativi a personaggi di rango.
Lo sguardo ‘ieratico’ e sommario del volto delle statue sarde di Monteprama potrebbe – secondo alcuni – avere il medesimo scopo: illustrare la presenza di una maschera, seppure meno dettagliata di quella di  Capestrano. Forse, esisterebbero anche altre similitudini cultuali.

Veduta anteriore del torquis e del Kardiophylax
Kardiophylax
Gli oggetti che si vedono raffigurati indosso al guerriero sono stati identificati con altri rinvenuti in tombe etrusche o italiche delle località relativamente vicine; il luogo infatti in cui era la statua era quello di una popolazione che nelle proprie manifestazioni artistiche e culturali, pur mantenendo una base di elementi indigeni (Piceni o Sabelli), riceveva influssi Etruschi. I due dischi hanno riscontro con altri simili rinvenuti su scheletri in tombe di Alfedena, elemento che poi si svilupperà con la corazza tipicamente sannita formata da tre dischi sul petto e sulla schiena; il triangolo sull’addome è simile ad altri di lamina bronzea scavati in Etruria e nel Piceno; dell’ascia si ha un esemplare simile in ferro, trovato a Chiusi; maschere sono state trovate a Chiusi e nel Piceno, in lamina bronzea; anche elmi simili, però con tesa più ridotta, sono stati scavati nelle vicine regioni adriatiche.


Reperto ancora discusso.
Sul problema artistico di questa statua si sono accese notevoli discussioni; alcuni la vorrebbero ritenere un esemplare della metà del VI sec., tipico della civiltà sabellico-picena, non estraneo quindi ad influssi etruschi e anche greci, mediati o immediati, pur ostentando manifestazioni primitive tipiche di ogni arte periferica; del resto, è facile il confronto delle figure sull’impugnatura della spada con altre dell’arte etrusca orientalizzante.
Un’altra corrente di studiosi, invece, mettendo questa statua a confronto con monumenti dell’arte gallica e iberica, la valuterebbe come concepita sotto un influsso predominante dell’arte celtica.
Su uno dei sostegni è incisa un’iscrizione in caratteri e lingua presabellica o sud-picena, in cui probabilmente si deve leggere il nome, patronimico, ecc., del defunto.


Dettaglio di parte dell'iscrizione in Piceno
L’iscrizione.
È redatta in un alfabeto definito convenzionalmente sud-piceno nell’arcaica lingua italica. Il testo consiste di una sola riga, dal basso verso l’alto, lungo la faccia anteriore del piastrino di sinistra ed è possibile leggerla quasi interamente, malgrado i danni e le interruzioni determinati dalle fratture.

ma kuprì koram opsùt aninis rakine – ì – pomp [-----]-[5]

Si ritiene possibile che  il committente (forse Aninis) fece fare (opsùt) la statua in onore di Pomponio, in veste di suo erede (forse suo figlio) a capo della comunità locale.

Si tratterebbe in definitiva di un’espressione artistica interessantissima, forse legata al solido precedente protostorico della Daunia del Nord (Puglia), recepito a sua volta dalla precedente tradizione statuaria monumentale orientale, che giunse anche in Etruria nella prima età orientalizzante, senza attecchirvi in modo evidente. La progressiva trasformazione delle prime statue-stele, aniconiche  o con figura umana abbozzata, in vere e proprie statue ha seguito un suo percorso ‘interno’ a questa regione, attestato da reperti quali la stele di Guardiagrele, il torso di Atessa, la Testa di Numana.


Testa di Numana
Stele di Gauardiagrele

Le cosiddette "gambe del diavolo".

Torso di Rapino

La statua funebre si fratturò in più punti per la fragilità intrinseca del materiale, aumentata dalla realizzazione di punti sottili (ginocchia e caviglie), in corrispondenza dei quali il cedimento non è stato evitato dal rinforzo offerto dai due sostegni laterali.



Bibliografia.
G. Moretti, Il guerriero di C., con appendice epigrafico-linguistica di F. Ribezzo (Ist. Naz. Arch. St. Arte - Opere d'arte, IV, Roma 1936);
S. Ferri, Osservazioni intorno al guerriero di C., in Boll. d'Arte, 1949, pp. 1-9; M. Pallottino, Capestranezze, in Archeologia classica, I, 1949, pp. 208-210;
A. Boëthius, Sulle origini della scultura italo-etrusca, in Studî Etruschi, XXI, 1950, pp. 14-16; (cfr. anche A. Minto, I clipei funerarî etruschi ed il problema delle origini dell'imago clipeata funeraria, in Studî Etruschi, XXI, 1950, pp. 25-57;
F. Ribezzo, Popolo e lingua degli antichi piceni, ibidem;
E. Polomé, À propos du guerrier de C., in La nouv. Klio, IV, 1952, pp. 261-270;
L. Adams Holland, in Am. Journ. Arch., LX, 1956, p. 243 ss.;
A. Boëthius, in Eranos, LIV, 1956, p. 202 ss.;
G. Radke, Pauly-Wissowa, VIII A, c. 1779 ss.
A. Chierici, Armi e società nel Piceno, con una premessa di metodo ed una nota sul Guerriero di Capestrano, in Piceni e l’Italia medio-adriatica (Atti del XXII Convegno di Studi Etruschi e Italici, 2000);
M. Ruggeri, Guerrieri e re dell’Abruzzo antico, Carsa Edizioni, Ascoli Piceno 2007;
M. Buonocore, L. Franchi Dell’Orto, A. La Regina, Pinna Vestinorum e il popolo dei Vestini, I, “L’Erma” di Bretschneider, Roma 2011.



[1] Università di Pisa e Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo.
[2] Vincenzo d’Ercole, Soprint, Archeol. Abruzzo.
[3] Polibio racconta di funerali romani di uomini illustri, nei quali si provvedeva ad un’esposizione ‘eroica’ del defunto nelle sue armi, ritto in piedi. Riferisce anche che fera uso comune conservare in casa immagini sacre (imagines majorum) delle fattezze del defunto, da esibirsi in occasione dei funerali solenni, montata su di un busto e rivestita come se fosse una persona viva.
[4] Livio racconta il rituale in relazione alla battaglia di Sentino (295 a.C., III Guerra Sannitica o Guerra delle Nazioni) nel quale P. Decio Mure si immolò. Riferisce anche che  la Legge Sacra prevedeva – nel caso in cui il comandante sopravvivesse – che si dovesse seppellire una statua di sette piedi o più (2 metri e sette, coincidenti con la statua del guerriero!) e che sul luogo nessun magistrato romano potesse lecitamente recarsi.
[5] A. La Regina interpreta come raki nevìi (per il Re Nevio), mentre A. Calderini e S. Neri concordano per rakinelìs (un nome gentilizio, ancora non attestato).

lunedì 7 aprile 2014

DATAZIONE PRECISA: FERRO.



 Paolo Bernardini-Raimondo Zucca (a cura di), Il Mediterraneo di Herakles, Roma 2005, 
pp. 145-167



LE TOMBE E GLI EROI. CONSIDERAZIONI SULLA STATUARIA NURAGICA DI MONTE PRAMA 

Carlo Tronchetti - Cagliari 
L’area funeraria e sacra di Monte Prama, posta nel Sinis di Cabras (OR), si trova in un piccolo avvallamento alle pendici del colle omonimo, sulla sommità del quale sono percepibili i resti di un nuraghe complesso, ormai completamente degradati.

Il fondo naturale dell’avvallamento era stato regolarizzato in antico con la stesura di una coltre di terra giallastra e pietrine, assolutamente priva di elementi culturali. Questa terra copriva il terreno sterile, in cui si percepivano ampie e localizzate chiazze di bruciato. Anche lo scavo di queste fossette in cui erano stati accesi fuochi non ha restituito reperti di alcun tipo, ma solo ceneri.

Nonostante l’area sia stata interessata da profondi scassi di aratura, in alcune parti del margine occidentale della necropoli si è conservata una sorta di delimitazione in pietre non lavorate di medie dimensioni.
Sul lato orientale dell’area, seguendo l’andamento sinuoso del bordo dell’avvallamento, impostava la necropoli. Questa era compresa in uno spazio predeterminato. A Sud si trova l’inizio della necropoli, marcato da una lastra a coltello rincalzata da un grande blocco; le tombe, a pozzetto irregolare coperte da lastroni in arenaria gessosa di cm 100x100x14 di spessore, si stendono allineate verso Nord sino a raggiungere il limite settentrionale. Su questo lato troviamo una prima lastra a coltello di delimitazione, rotta intenzionalmente per collocare l’ultima tomba dell’allineamento, dopo la quale è stata messa in opera un’ulteriore lastra a coltello che segna il definitivo limite settentrionale destinato alle sepolture. Evidentemente perché lo spazio si era rivelato insufficiente si trovano altre tre tombe adiacenti ad Est le ultime tre settentrionali. L’ampliamento verso Nord della necropoli era impedito dalla presenza di un’altra area di sepolture, di tipologia a cista litica costruita con pietra diversa da quella delle nostre tombe, che assommano in totale a trentatre.




Sul lato occidentale l’allineamento delle tombe è marcato da una serie di lastrine poste a coltello allogate in una fossetta nel terreno vergine ovvero nella terra giallastra di riporto, non conservate ovunque. Sul lato orientale si mantiene, in alcuni tratti una sorta di delimitazione in pietre di medie dimensioni, talora rozzamente squadrate, legate con terra. Ancora, in alcuni tratti della zona immediatamente adiacente ad Est il filare di tombe, rimangono le tracce di piccole fossette scavate nel terreno in cui erano deposte ossa umane, ma sfortunatamente le arature le hanno completamente sconvolte non lasciando resti determinabili.

Altre testimonianze della frequentazione antica della zona si trovano nelle immediate vicinanze. A circa mt 20 a Sud-Ovest è una capanna nuragica.
 Sul sito ed i ritrovamenti si veda G.LILLIU, Dal Betilo aniconico alla statuaria nuragica: StSard 1975-77, pp. 73-44; C.TRONCHETTI, Monte Prama (Com. di Cabras - OR): StEtr 46 (1978), pp. 589-590; IDEM, Monte Prama (Com. di Cabras - OR): StEtr 49 (1981), pp. 525-527; IDEM, Nuragic Statuary from Monte Prama, in AA.VV., Studies in Sardinian Archaeology II, Ann Arbor 1986, pp. 40-59; IDEM, I Sardi.Traffici relazioni ideologie nella Sardegna arcaica, Milano 1988, pp. 73-77.

L'utilizzo in epoca tardo-romana per la deposizione di un incinerato entro una pentola afferente alla tipologia di quelle in ceramica africana da cucina, ma prodotta localmente, in cui l’unico elemento di corredo era dato da una moneta bronzea illeggibile, ma le cui dimensioni e peso la riportano senza dubbio ad epoca post-costantiniana. La capanna, precedentemente a questa fase, riporta solo livelli di accumulo con materiali di diversa tipologia e tracce di una frequentazione in età punica nello strato alla base del deposito, segno che la capanna era stata ripulita dei resti di vita precedente già in antico.

A circa mt 300 a Nord-Ovest si trova una piccola struttura quadrangolare, inglobata in un mucchio di spietramento, dove sono accumulate grandi pietre. I resti visibili di questa struttura sono in opus caementicium.

Circa 500 mt a Sud si trova un’ultima struttura circolare, verosimilmente una capanna nuragica, nella quale si è impostata una modesta stipe votiva in epoca repubblicana, segnalata da numerosi frammenti di piccola plastica fittile, ma si rinvengono pure elementi culturali riportabili ad epoca nuragica. 
L’accumulo dei materiali scultorei si trovava esattamente posizionato sopra la necropoli descritta, composta da 33 tombe. 
Più di 2.000 frammenti in arenaria gessosa, di cui si parlerà più in dettaglio appresso, giacevano sopra le tombe con un andamento che sembra poter far ipotizzare la loro discarica da Est verso Ovest. I frammenti coprivano infatti le tombe digradando poi verso il terreno che si trova ad Ovest del filare. Le statue e gli altri elementi sono stati gettati quando erano ormai frammentati, in un mucchio informe. Si è utilizzato il termine “gettati” perché è stato rinvenuto un torso di arciere che si è rotto in tre pezzi, rinvenuti in situ, quando è stato discaricato sopra un lastrone tombale.
 La cronologia ante quem non dell’accumulo è data da un grande frammento di orlo, parete ed attacco dell’ansa di un’anfora punica non databile più in alto del IV sec. a.C., rinvenuta nella parte più bassa del deposito di frammenti di sculture. Ovviamente nella terra infiltratasi tra i frammenti lapidei si trovano materiali di tutti i generi e cronologie, da una fibula bronzea datata alla prima metà dell’VIII sec. a.C. sino a pochi frammenti di ceramica a vernice nera di II sec. a.C.; quest’ultima è stata trovata solo nella parte più alta del deposito, pesantemente intaccata dalle arature, e quindi si ritiene metodologicamente più corretto assumere come elemento datante la discarica il frammento di anfora punica. 

Come detto l’accumulo si trova esattamente sopra la necropoli, con solo pochissimi pezzi spostati a Nord e Sud di non più di un paio di metri. In totale abbiamo una decina di pezzi su circa 2.000 che sono evidentemente scivolati ai lati del mucchio. Lo scavo della necropoli più settentrionale, condotto da Alessandro Bedini nel 1974/75, aveva restituito solo uno o due pezzi scultorei nella sua parte immediatamente adiacente il mio scavo; una articolata serie di saggi esplorativi nella zona a meridione delle tombe non ha evidenziato né ulteriori frammenti né tracce di frequentazione antica: lo strato di terra che ricopre il terreno sterile è di mediocre potenza, tanto che in quest’ultimo ho potuto agevolmente individuare i segni dell’aratro.

Le tombe sono del tipo a pozzetto irregolare circolare (fig. 8), scavato nel terreno e successivamente riempito della stessa terra; la bocca ha un diametro da 60 a 70 cm e sono profondi dai 70 agli 80; sul fondo, decentrata, abitualmente si trova una fossetta. Talvolta le ultime sepolture sono caratterizzate anche dalla presenza di una piccola lastrina irregolare di pietra poggiata sopra il capo del defunto.

Le tombe erano del tutto prive di corredo. Solo la tomba 25 ha restituito un oggetto che può essere interpretato come ornamento del defunto: uno scaraboide egittizzante tipo Hyksos, databile non prima dello scorcio finale del VII sec. a.C. . Oltre ad esso sono stati trovati frammenti di piccoli vaghi di collana in pasta vitrea nelle tombe 24, 27 e 29. Non si può escludere che tali elementi di cultura materiale, date le loro ridotte dimensioni, possano essere stati inclusi nella terra asportata per la creazione delle tombe e poi riversata al loro interno, assieme ai pochi frammenti di ceramica di tipo nuragico. La presenza dello scaraboide, con la sua cronologia sufficientemente definita, ci offre comunque un prezioso terminus post quem per l’impianto della necropoli, quantomeno della sua parte terminale. Si ritiene infatti che la necropoli sia stata utilizzata per più generazioni, con la realizzazione delle tombe al momento della necessità di utilizzarle, come indica, peraltro, anche la sistemazione del suo limite settentrionale di cui si è parlato sopra. 

Possiamo considerare, dunque, che la necropoli sia stata realizzata nel corso del VII sec. a.C., e mi sentirei di proporre una maggiore definizione nell’arco della seconda metà del secolo. (ndr.: il che è perfettamente compatibile con le datazioni attribuite a tutta la restante grande statuaria italica della penisola...)
L’analisi antropologica condotta sui resti ossei recuperati nelle tombe ha enucleato l’importante considerazione che gli individui sepolti nella necropoli appartengono ad entrambi i sessi e sono tutti in età post-puberale.


Una tabella riassuntiva presenterà in modo più idoneo i dati. n. tomba 
sesso 
età 
n. tomba
sesso 
età 
25 
18 
m? 
20 
19 
20 
16 
20 
m? 
35 
21 
f? 
25 
35 
22 
17-18
30 
23 
f? 
35-40 
24 
17 
20 
25 
20 
18-20 
26 
20 
10 
25 
27 
40 
11 
f? 
14-15 
28 
30-35
12 
f? 
20 
29 
13 
15 
30 
30 
14 
18 
31 
50 
15 
32 
25-30
16 
30 
33 
20-25
17 
25 

martedì 1 aprile 2014

Statuaria Italica Antica


CAPESTRANO, Guerriero di


Enciclopedia dell' Arte Antica (1959)



Chieti, Museo Archeologico Nazionale di Abruzzo -
VI sec. a.C., Guerriero Piceno di Aufinum -
Arte Italica
La statua, con le gambe spezzate, fu rinvenuta casualmente nel 1934, durante dei lavori agricoli per l'impianto di una vigna nella località "Cinericcio". I successivi scavi, condotti dall'archeologo G. Moretti, riportarono alla luce una necropoli con alcune tombe e corredi funerari, datati tra il VII e il IV secolo a.C.; furono anche portati alla luce altri frammenti della statua, che ne permisero più tardi la ricomposizione e il restauro: tra questi il copricapo, intagliato separatamente, ma sicuramente pertinente per la corrispondenza tra l'incasso centrale e una sporgenza realizzata sulla piatta superficie della testa.

CAPESTRANO, Guerriero di. - Statua, così detta dal luogo di ritrovamento (in provincia dell'Aquila), rappresentante un uomo rivestito delle sue armi. Tagliata nel calcare tenero locale, alta complessivamente m 2,09 senza il plinto, era posta sulla tomba del personaggio che rappresentava, come si deduce dal fatto che è stata trovata, insieme ad un busto acefalo femminile, in una vasta necropoli le cui tombe più antiche risalivano al VII-VI sec. a. C.
Il guerriero è rigidamente eretto, con i piedi distanti e paralleli, sostenuto alle spalle da due appoggi di forma rozzamente piramidale che portano incisa nella parte esterna la figura di una lancia. L'armatura è costituita da due dischi (che nella realtà erano in lamina metallica) uno sul petto e l'altro sul dorso, sostenuti da corregge, una difesa triangolare (che doveva essere in cuoio o in lamina metallica) copre l'addome e l'inguine, rafforzata da una linea marginale più spessa decorata a meandro. Le braccia sono strette sul davanti e sostengono una spada con rilievi di animali fantastici sull'impugnatura, un pugnale posto su questa ed un'esile ascia incrociata; due armille si stringono intorno al braccio sinistro ed una intorno a quello destro; una doppia collana con breve ornamento sul davanti, cinge il collo. Il viso si ritiene coperto da una maschera (metallica), la cui linea di confine è nettamente segnata sul volto, e che, secondo la più comune interpretazione, faceva parte dell'armatura; oppure sarebbe stata una maschera funeraria che si metteva addosso ai cadaveri, secondo un uso in voga fin dai tempi micenei e non ignoto ai Romani. Anche le orecchie sono forse rappresentate chiuse da una difesa. 
Sulla testa, il guerriero ha un elmo a tesa larghissima (m 0,65 di diametro) con un cimiero di penne (oggi in massima parte di restauro) fissato ad un rialzo decorato a meandro. La sproporzione di questo copricapo ha fatto pensare che si trattasse invece di uno scudo e tutta la statua rappresentasse il defunto che assiste ritto (sostenuto dalle due lance) ai suoi funerali, con lo scudo in testa, costume largamente praticato a Roma (Polyb., vi, 53) e presso i popoli italici. 
Lo scudo sulla testa andrebbe messo in relazione da un lato con la devotio, per cui ci si copriva la testa durante le funzioni religiose, e dall'altro con una tendenza a dare a cippi tombali una copertura a forma di scudo (specialmente in necropoli etrusche: Vetulonia).
L'ipotesi di riconoscere nel guerriero di C. una immagine di consacrazione (devotio) sembra confermata dall'altezza della scultura, corrispondente a sette piedi romani (Liv., viii, 10, 12).
Gli oggetti che si vedono raffigurati indosso al guerriero sono stati identificati con altri rinvenuti in tombe etrusche o italiche delle località relativamente vicine; il luogo infatti in cui era la statua era quello di una popolazione che nelle proprie manifestazioni artistiche e culturali, pur mantenendo una base di elementi indigeni (piceni o sabelli), riceveva influssi etruschi.
I due dischi hanno riscontro con altri simili rinvenuti su scheletri in tombe di Alfedena, elemento che poi si svilupperà con la corazza tipicamente sannita formata da tre dischi sul petto e sulla schiena; il triangolo sull'addome è simile ad altri di lamina bronzea scavati in Etruria e nel Piceno; dell'ascia si ha un esemplare simile in ferro, trovato a Chiusi; maschere sono state trovate a Chiusi e nel Piceno, in lamina bronzea (v.canopo); anche elmi simili, però con tesa più ridotta, sono stati scavati nelle vicine regioni adriatiche.
Sul problema artistico di questa statua si sono accese notevoli discussioni; alcuni la vorrebbero ritenere un esemplare della metà del VI sec., tipico della civiltà sabellico-picena, non estraneo quindi ad influssi etruschi e anche greci, mediati o immediati, pur ostentando manifestazioni primitive tipiche di ogni arte periferica; del resto, è facile il confronto delle figure sull'impugnatura della spada con altre dell'arte etrusca orientalizzante.
Un'altra corrente di studiosi, invece, mettendo questa statua a confronto con monumenti dell'arte gallica e iberica, la valuterebbe come concepita sotto un influsso predominante dell'arte celtica.
Su uno dei sostegni è incisa una iscrizione in caratteri e lingua presabellica o sud-picena, in cui probabilmente si deve leggere il nome, patronimico, ecc., del defunto. (v. Italicaarte).
Bibl.: G. Moretti, Il guerriero di C., con appendice epigrafico-linguistica di F. Ribezzo (Ist. Naz. Arch. St. Arte - Opere d'arte, IV, Roma 1936); S. Ferri,Osservazioni intorno al guerriero di C., in Boll. d'Arte, 1949, pp. 1-9; M. Pallottino, Capestranezze, in Archeologia classica, I, 1949, pp. 208-210; A. Boëthius, Sulle origini della scultura italo-etrusca, in Studî Etruschi, XXI, 1950, pp. 14-16; (cfr. anche A. Minto, I clipei funerarî etruschi ed il problema delle origini dell'imago clipeata funeraria, in Studî Etruschi, XXI, 1950, pp. 25-57; F. Ribezzo, Popolo e lingua degli antichi piceniibidem; E. Polomé, À propos du guerrier de C., in La nouv. Klio, IV, 1952, pp. 261-270; L. Adams Holland, in Am. Journ. Arch., LX, 1956, p. 243 ss.; A. Boëthius, in Eranos, LIV, 1956, p. 202 ss.; G. Radke, Pauly-Wissowa, VIII A, c. 1779 ss.
(articolo di G. Cressedi)


Stele della Lunigiana - Le statue stele lunigianesi: le più antiche risalgono a 5.000 anni fa e sono testimonianze di una popolazione preistorica che ha scolpito nella dura pietra arenaria locale misteriosi guerrieri e figure dai marcati tratti femminili. Fino ad oggi sono venuti alla luce 80 reperti, la maggior parte dei quali conservati nel Museo allestito nel Castello del Piagnaro di Pontremoli (Massa Carrara). www.statuestele.org.

Mater Matuta

Guerriero Celta



Laddove le statue steli sono di molto precedenti (anche 3.000 a.C. ed oltre) e le varie rappresentazioni della Mater Matuta sono certamente successive (malgrado la lunga fortuna del suo culto sotto vari nomi, nel tempo), per le altre statue si devono segnalare alcune analogie evidenti: alcune curiose, altre più significative...
 Ci sono infatti molte coincidenze in comune che legano il Guerriero di Capestrano ai Guerrieri di Monti Prama: sono scolpiti in pietra arenaria tenera; sono rappresentazioni funebri e celebrative, rinvenute intorno e sopra ad un sepolcro. Sono state rinvenute per caso, nel corso dell'aratura di un terreno. Sono molto dettagliate e sono datate attorno al VII VI secolo a.C. Sembrano fare parte di un medesimo modo di sentire che si espresse con analoghe manifestazioni artistico- culturali, pur se in sedi così lontane. L'archeologo Rendeli data le statue sarde attorno all'ottavo secolo, comunque l'Età del Ferro sarda. Naturalmente, non si tratta di una gara infantile a chi è arrivato primo, anche se i fantarcheologhi la interpretano sempre così: e - secondo un motto che è molto caro a loro, in Scenza ed in Politica - non fanno "la gara di un giorno".