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giovedì 27 giugno 2013

REVISIONE PARITARIA


PROPOSTA DI REVISIONE PARITARIA (peer review).

Caro Pasuco: 

Come tu ben sai, ho riportato su questo blog numerosi articoli sui falsi ideologici, storici, archeologici ed epigrafici.
Ho inoltre – chi ha letto lo sa bene, Pasuco – anche quello che è l’identikit del falsario, ovunque nel mondo e quali siano i moventi che lo spingono ad affermare, scrivere e divulgare pensieri ed opere distorte e fuorvianti.

Mi sono astenuto dal riportare qui i nomi dei falsari, che pure si conoscono, esclusi coloro che appartengono al passato ormai trascorso.

Mi rendo inoltre conto – come mi ha ammonito un caro amico più colto ed esperto di me – del fatto che la mia lotta sia molto simile alla donchisciottesca caccia ai mulini a vento. I falsari – lo affermano gli stessi studiosi che li combattono – non saranno mai eliminati dalla faccia della terra: ogni giorno nascono burle di vario livello, favole metropolitane buffe e divertenti, truffe ingegnose volte all’affermazione di sé oppure al guadagno ed inverecondi inganni per motivi ideologici, politici o altro...

Ho portato anche alcuni esempi famosi ed evidenti, utili a dimostrare che i falsi danneggiano tutta l’Umanità, in quanto tutti, chi più chi meno, rallentano il progredire della Cultura e sviano l’attenzione del grosso pubblico e talvolta anche degli specialisti dalla Verità.

Io sono fermamente convinto che esista un sistema per sbugiardare i più ostinati tra coloro che seguono – ed indicano ad altri – questa miserabile strada sbagliata, pretendendo inoltre di conservare il rispetto e persino di guadagnare la fama.

E’ il sistema della “Revisione Paritaria” (meglio nota nell’espressione inglese “Peer Review”).

Gli editori e le agenzie di finanziamento usano proprio la tecnica di valutazione tra pari per selezionare le proposte ricevute. Questo processo costringe gli autori ad adeguarsi ai migliori standard di qualità della loro disciplina, oppure ai requisiti specifici della rivista, o dell'agenzia finanziatrice. Pubblicazioni e progetti di ricerca che non siano stati soggetti a una revisione dei pari non sono generalmente considerati scientificamente validi dai ricercatori e dai professionisti del settore, se non dopo eventuali e accurate verifiche. La valutazione tra pari è nata assieme alla crescita e standardizzazione editoriale dei periodici scientifici, non è priva di difetti e di proposte di perfezionamento, ma nei fatti questo sistema è quello che ha maggiormente contribuito allo sviluppo della conoscenza scientifica, verificata attraverso un metodo scientifico, nella società moderna con l'affermarsi di un consenso nel tempo intorno alle varie tematiche di pari passo con le rispettive verifiche sperimentali.

COME FUNZIONA.
La revisione paritaria sottopone il lavoro o le idee di un autore allo scrutinio di uno o più esperti del medesimo settore. Ognuno di questi esperti fornisce una propria valutazione (solitamente valutazioni di metodo e/o ricerca di prove valide), includendo anche suggerimenti per l'eventuale miglioramento, ad un redattore o ad un altro intermediario (tipicamente, la maggior parte delle valutazioni sono comunicate anche all'autore stesso).
Le valutazioni solitamente includono raccomandazioni esplicite su cosa fare del manoscritto o della proposta, spesso scelte tra opzioni proposte dal giornale o dall'editore. La maggior parte di tali raccomandazioni rientra tra le seguenti:
  • il lavoro è accettato senza riserve;
  • il lavoro è accettato, a patto che l'autore lo migliori sotto determinati aspetti;
  • il lavoro è respinto, ma se ne incoraggia una revisione e una riproposta;
  • il lavoro è respinto senza appello.
In questo processo il parere degli esperti di fatto è solo consultivo e l'editore non assume alcun obbligo formale ad accettarne le conclusioni.
Inoltre, nelle pubblicazioni scientifiche, gli esperti non lavorano in gruppo, non comunicano tra loro e normalmente non sono a conoscenza delle identità degli altri esperti. Normalmente non vi è necessità che gli esperti esprimano un giudizio consensuale, a differenza d’altri ambiti, quale per esempio la giuria di tribunale.
Nel caso i pareri degli esperti divergano tra loro in maniera consistente sulla qualità di un lavoro analizzato, vi sono diverse strategie per dirimere la questione.
In alcune discipline, esistono luoghi arbitrati quali conferenze e laboratori. Per essere ammessi a parlare, gli scienziati devono sottoporre in anticipo un lavoro scientifico (in genere breve, 15 pagine o meno). Questo documento viene revisionato da un "comitato di programma" (l'equivalente di un consiglio editoriale), che in genere richiede opinioni dai revisori. Le scadenze rigide imposte dalle conferenze tendono a limitare le opzioni per l'accettazione o il rifiuto del documento.
Le riviste scientifiche osservano universalmente questa convenzione. I due o tre revisori selezionati riportano al redattore la loro valutazione dell'articolo, assieme a dei suggerimenti per migliorarlo. Il redattore riporta quindi l'insieme dei commenti all'autore (alcuni commenti possono essere stati segnalati al redattore come confidenziali), nel frattempo basandosi su essi, decide se pubblicare o meno il manoscritto. Quando un redattore riceve commenti molto positivi e molto negativi sullo stesso manoscritto, spesso sollecita una o più revisioni aggiuntive per spezzare l'incertezza.
Un'altra strategia in mancanza di un chiaro consenso è quella di invitare l'autore a replicare alle critiche dei revisori e permettere una confutazione convincente, per sciogliere l'incertezza. Se un redattore non si sente sicuro nel valutare la persuasività di una confutazione, può sollecitare una risposta al giudice che portò la critica originale. In rari casi, un redattore trasmetterà le comunicazioni tra autore e revisori, permettendo in pratica di discutere un punto. Anche in questi casi, comunque, i redattori non permettono ai revisori di conferire tra loro, e lo scopo esplicito del processo non è quello di raggiungere il consenso o convincere qualcuno a cambiare la propria opinione. Alcune riviste mediche comunque, (di solito seguendo il modello dell'accesso aperto) hanno pubblicato su Internet la storia precedente alla pubblicazione di ogni articolo, dalla candidatura originale ai rapporti dei revisori, ai commenti degli autori, ai manoscritti revisionati.
Dopo aver rivisto e risolto qualsiasi potenziale nodo, ci sono tre esiti possibili per l'articolo.
I due più semplici sono lo scarto diretto e l'accettazione incondizionata. In molti casi agli autori è data una possibilità di rivedere il lavoro, con o senza raccomandazioni o richieste specifiche da parte dei revisori.

Ecco dunque la mia proposta:

1)     Basterebbe che i tanti e numerosi tromboni che propalano pappecotte non scientifiche e totalmente false fossero costretti ad una peer review (anche se – certamente – la revisione non sarebbe fatta da persono pari a loro, bensì studiosi seri).

2)     Alcuni di essi hanno in realtà già provato a proporre al mondo scientifico i loro ‘lavori’ che – naturalmente – sono stati respinti.  Sarebbe doveroso rendere pubbliche queste sonore bocciature, in modo che si possa sapere bene da che pulpito giungano certe prediche: credo che molte sale e molte piazze resterebbero deserte...


lunedì 17 giugno 2013

Parahiba

Forse si tratta di uno dei casi più noti di falso epigrafico esistente. Se la pietra di Kensington  (almeno!) esiste in realtà, l'iscrizione di Parahibo - con ogni probabilità - non esiste neppure, esistendone solamente una trascrizione. Non mi soffermo sulla traduzione. Mi limito a sottolineare come questo sia - paradossalmente, data l'epoca in cui avvenne la frode - il metodo più 'moderno' con cui propalare le fole epigrafiche: non mostrare gli originali, infatti, evita il confronto con le sofisticatissime tecniche scientifiche anti frode.


The Paraíba Inscription

Transcript of the Paraíba Inscription
Transcription of the Paraíba Inscription: the sole evidence for its existence
While the Kensington Runestone undoubtedly exists, the same cannot be said for the so-called Paraíba (or Parahyba) Inscription, for which the sole evidence is a transcription accompanying a letter sent to Cândido José de Araújo Viana (1793-1875), the Visconde (later Marqués) de Sapucahy, President of theInstituto Histórico e Geográfico Brasiliero in Rio de Janeiro (Brazil) in 1872, who passed it toLadislau de Souza Mello Netto (1838-94). Although Netto was a botanist, he was also the interim director of the Museum Nacional and had a knowledge of Punic archaeology and the Hebrew language. The following year, the discovery was reported by the newly formed London Anthropological Society in Anthropologia (1, 208) in a letter sent by A F Jones from Rio de Janeiro, who said that “[t]he published accounts of this find are so vague and unscientific that I can form no opinion of my own about it”. At a meeting of the Society on 6 January 1874, three translations were compared and there was considerable discussion about its authenticity; on the 11 August 1874, A F Jones wrote again to the Society, saying thatErnest Renan (1823-1892), the Semiticist, considered it a hoax. Other experts in Semitic languages, including Konstantin Schlottmann (1819-1887) and Julius Euting (1839-1913) were also of the opinion that the supposed inscription was a fake.
Ladislau de Souza Mello Netto (1838-94)
Ladislau de Souza Mello Netto (1838-94)
In the meantime, Netto had tried to locate the original inscription. The letter writer was one Joaquim Alves da Costa, a plantation owner from a place named Pouso Alto, near Paraíba; several places called Pouso Alto were found, while two places named Paraíba are known (one in the province of the same name, the other near Rio de Janeiro). Alves da Costa and his estate proved impossible to locate and Netto concluded that the whole affair was nothing more than a hoax, publishing a report as Lettre à Monsieur Ernest Renan à propos de l’Inscription Phénicienne Apocryphe soumise en 1872 à l’Institut historique, géographiqe et ethnographique du Brésil(“Letter to M Ernest Renan concerning the fake Phoenician inscription submitted in 1872 to the Historical, Geographical and Ethnographic Institute of Brazil”) in 1885. Netto blamed the hoax on foreigners who were trying to discredit Brazilian scientists and although he claimed to know the identity of the hoaxer, declined to reveal it.
However, the story was revived more than eighty years after Netto’s debunking work was published in 1885, when Jules Piccus (1920-1997), professor of Romance languages at the University of Massachusetts (Amherst, USA), bought a scrapbook at a jumble sale in Providence (Rhode Island, USA) in 1967. It contained correspondence sent by Netto toWilberforce Eames (1855-1937), a librarian at New York Public Library, which included a copy of the alleged inscription and a translation made by Netto in 1874. Piccus, who seems to have been unaware of Netto’s 1885 report, sent a copy to Cyrus Herzl Gordon (1909-2001), head of the Department of Mediterranean Studies at Brandeis University in Waltham (Massachusetts, USA) and an expert in ancient Semitic languages. Unlike Renan, he thought the Paraíba inscription contained elements of Phoenician style that were unknown in the nineteenth century and concluded that it was genuine.
Gordon was quick to release the story to the media, with a report appearing in The New York Times by the science writer Walter Seager Sullivan (1918-1996) that was widely syndicated to other newspapers, and a sensational report by A Douglas Matthews in Life. This is a tactic widely used by pseudoscientists and regarded with suspicion by scholars. Despite Gordon’s certainty about the genuineness of the inscription, he failed to find support from other linguists. He conducted a long and acrimonious dispute with Frank Moore Cross Jr (born 1921), Hancock Professor of Hebrew and Other Oriental Languages Emeritus at Harvard. Cross was scathing in his criticisms of Gordon, pointing to problems with the script, vocabulary and spelling. Gordon continued to champion this text and others as evidence for numerous transaltantic contacts in Antiquity but failed to convince sceptics.
Like the Kensington Runestone, the Paraíba Inscription was quickly denounced by linguists, subsequently to be revived by those claiming that its peculiarities could be explained by more recent discoveries that would have been unknown to a nineteenth-century hoaxer. Unlike the Runestone, though, there is no artefact to examine, no physical evidence and not even an accepted findspot. It has all the hallmarks of a crude fraud.