giovedì 28 febbraio 2013

HATSHEPSUT











EGITTO: Ecco il Tempio del Faraone Femmina.

di Rossella Fabiani
 

«E desideriamo comunicarle che l’Egypt Exploration Fund ha deciso, in accordo con l’amministrazione per le antichità del Cairo, di sospendere gli scavi di Tell el-Amarna alla fine della stagione in corso. Ci avvarremmo tuttavia volentieri dei suoi servigi a Deir el-Bahari, dove Edouard Naville, il capo archeologo dell’Egypt Exploration Fund, svolge da tempo la sua attività…». Era la primavera del 1894. La rabbia assalì l’archeologo Flinders Petrie – destinatario della missiva – che dopo due anni di scavi nella città costruita dal faraone Akhenaton si vedeva costretto a lasciare Tell el-Amarna per ordine della società di Oxford e dell’amministrazione cairota. Con lui c’erano l’egittologo Percy E. Newberry e l’archeologo e disegnatore Howard Carter (destinato a scoprire il tesoro di Tutankamon). Ma quella che sembrava la fine di un’avventura straordinaria si sarebbe rivelata l’inizio di una storia che avrebbe segnato l’egittologia per sempre.
Con un atto di generosità – tipica soltanto di uomini intelligenti – Petrie consigliò a Carter di andare a Luxor, da Edouard Naville, portando con sé le piante che aveva disegnato della città di Akhenaton. «Signore, lei voleva portare le piante con sé in Inghilterra!» «Si, lo volevo. Ma credo che al momento siano più importanti per lei. Se Naville vede i suoi disegni e ha anche soltanto un briciolo di intelligenza, l’assumerà come disegnatore». E così andò.

LA NASCITA MIRACOLOSA

Nel 1894 l’egittologo svizzero Edouard Naville proprio a Deir el-Bahari (vicino a Luxor), durante la campagna di scavi nel tempio funerario della regina Hatshepsut, «la più bella di tutte» (la prima di tutte le signore), porta alla luce una serie di iscrizioni e di rilievi sul colonnato del grande complesso chiamato in geroglifico Djeser Djeseru (la meraviglia delle meraviglie).
 Queste iscrizioni narrano la nascita miracolosa della regina Hatshepsut frutto dell’unione tra il dio Amun, divinità tebana e dio dell’invisibile, e la regina madre Ahmose, consorte di Thutmosi I. Una nascita divina che ha nella storia dell’antico Egitto, un carattere di assoluta unicità in quanto «Maat-ka-Rà» (Giusto è il Ka di Rà), altro nome della sovrana, è stata l’unico faraone donna della storia. E’ riconosciuta come la prima grande donna della Storia di cui abbiamo notizia (definizione di James Henry Breasted, egittologo).
Ma tale fama non le venne perdonata. Tanto che alla sua morte, per volere di suo nipote, il faraone Thutmosi III, la regina fu condannata alla damnatio memoriae. L’intendimento era di cancellare ogni traccia del periodo del suo regno.
Soltanto il lavoro paziente degli archeologi ha permesso la ricostruzione di alcuni suoi monumenti. Dopo la scoperta a Deir el-Bahri, l’opera di Hatshepsut si può ammirare anche in altre località come a Karnak, dove la sovrana fece erigere obelischi e statue e dove oggi si può visitare la celebre Cappella Rossa che la regina fece costruire per ospitare la barca sacra di Amon e che è molto importante per le iscrizioni che ne coprono le pareti.






IL GIGANTE VOTIVO

E sempre a Karnak, per la prima volta, si potrà finalmente vedere la cappella che Hatshepsut volle costruire in onore del dio Amon-Rà e che era stata distrutta dopo la sua morte. Ritrovata smantellata agli inizi del Novecento, è stata oggetto di un lungo lavoro di ricostruzione e di restauro da parte del Centre Franco-Egyptian d’Etude des Temples de Karnak (Cfeetk).
La cappella si chiama nTry mnw (monumento divino) e sarà visitabile nell’area del complesso di Karnak dalla fine di febbraio.

Il lavoro di rimontaggio del Cfeetk è durato quattro anni ed è terminato a fine gennaio. I blocchi di calcare erano stati scoperti all’inizio del XX secolo dall’archeologo francese Georges Legrain e alla metà degli anni ’50 da Shehata Adam e da Farid el-Shabouri nella cachette (nascondiglio) del cortile di Karnak, quindi c’è voluto oltre mezzo secolo per vedere di nuovo la cappella in piedi. 






Il monumento, alto quasi 5 metri e mezzo, era stato dedicato alla divinità tutelare di Karnak dalla regina non ancora al potere che vi è fatta rappresentare insieme allo sposo, il faraone Thutmosi II (1492-1479). Si tratta di un monumento unico e di grande interesse per Karnak e per la storia dell’antico Egitto in quanto – come ha anche sottolineato Mansour Boreik ispettore delle antichità di Luxor – è una delle rare testimonianze dei poteri che Hatshepsut esercita già prima della sua salita al trono.

Forgers in Epigraphy and archaeology


REFLECTING ON SOME OF THE MOTIVATIONS OF FORGERS

Various motivations can be deduced (with some certitude) for the production of forgeries. 
(1) Venality is certainly a component present in the production and sale of forgeries. Non-provenanced inscriptions routinely sell for four, five, and even six figures. Some recent non-provenanced inscriptions have been valued at seven figures. 
(2) Some forgeries are arguably the result of “sour grapes” (e.g., a student purged from a Northwest Semitic epigraphy program) or professional rivalry, with the forger hoping to “dupe” the “offender.” (3) Naturally, sometimes a forgery can be a prank. For example, the forger of the Hebron Documents was probably a prankster (or a dolt, or both). 
(4) Moreover, there is a certain amount of prestige associated with being the person who “collects,” “vets,” or “finds” a significant “ancient epigraph” from the market. Indeed, the public (and even scholars within the field) can sometimes lionize such people, often suspending critical mental faculties (and thus assessments of antiquity) because of “sensational” non-provenanced epigraphs. 
(5) Religion and politics are also strong motives for the production of a forgery. For example, there was arguably a strong religious motivation for the production of the Shapira Fragments (and the initial aura surrounding them). The fact that the Jehoash Inscription was “reported to have been found in the region of the Temple Mount” has political and religious overtones. Ultimately, forgers are arguably motivated by a combination of such factors, and, of course, with each success, hubris is fostered.
Finally, I should like to note that those who suggest that “knowledgeable people” would not engage in the production or vetting of a forgery are being rather naïve. The fact of the matter is that even gifted scholars have been implicated for the production of forgeries. For example, Metzger has stated that former Princeton classicist Coleman-Norton (Metzger’s Doktorvater) concocted an apocryphal story about finding a manuscript of a Greek translation of the Latin Opus Imperfectum in Matthaeum (in the North African town of Fedhala), and then published a detailed article about his sensational “find.” That is, to assume that bright, well-trained people are always characterized by professional ethics is belied by “epigraphic history.”
This post is a selection from my article in Maarav 10 (2003): 135-193…and from pages 191-193 in particular.

15 Marzo 2012
Articolo di  Cristopher Rollstone

Dal che si vede bene che all' Estero (ma solo lì...per fortuna non da noi!) hanno seri problemi con i falsari di reperti antichi, di iscrizioni antiche e di fatti inventati. Che fortuna, che abbiamo!

Juppiter Stator




Il Tempio di Juppiter Stator,  come appare oggi negli scavi
JUPPITER  STATOR  IN  PALATIO


Rinvenuto – alle pendici del Colle Palatino – il luogo di culto latino più antico, quello di cui anche Ovidio ebbe ad interessarsi. Un santuario fu eretto, intitolato al Re degli Dei “che aveva fermato la ritirata dei guerrieri romani” e che quindi aveva impedito che i Sabini entrassero nella città, conquistandola. Per questo il titolo di ‘Stator’, colui che ferma

Lo scontro tra Sabini e Romani è una delle battaglie forse più note, seppure romanzata e sospesa tra Storia e Mito, posta alle origini della Città di Roma.

Direttori dello scavo sono A. Carandini, P. Carafa e N. Arvanitis.

Il sito si trova nei pressi della Porta Mugonia (che prende forse il nome dai muggiti degli armenti che inizialmente vi passavano, via il Foro Boario) e del cosiddetto ‘Muro di Romolo’ (datato VIII secolo a.C. ed indicato da Carandini come prima fortificazione della città). 

Il sito del ritrovamento è indicato dal cerchio rosso

È stato trovato un altare in blocchi di tufo, che sembra essere stato in funzione tra il VI ed il III secolo a.C. In fosse disposte presso l’altare sono stati rinvenuti materiali votivi, tra cui anche un vaso miniaturizzato a vernice nera ed un ‘oscillum’ (un oggetto di forma circolare, che si usava appendere agli alberi, in segno d’offerta). L’area sacra in seguito fu monumentalizzata: su fondamenta in ‘opus caementicium’ (calce, sabbia, pietre e cocci) fu creato un piccolo, ma prezioso, edificio, con muri composti da mattoni squadrati di tufo. Al tempio di questa fase forse si riferiva Ovidio, quando scrive del tempio di Giove Statore al Palatino: la fase compresa tra gli anni 125 e 100 a.C. Fino ad oggi non se ne aveva notizia alcuna.

Scema di ricostruzione del sito nella fase del primo tempio.

Si sapeva di un tempio di Giove Statore sulla Collina Velia, che si trova dall’altra parte del Foro Romano (ne abbiamo una raffigurazione in un rilievo della tomba degli Haterii, una famiglia di costruttori della seconda metà del I secolo d.C.).
Oggi si può affermare che il culto nacque dalla parte del Colle Palatino ed in seguito fu spostato sulla Velia.
La situazione si complicò ulteriormente, con la costruzione di un altro tempio dedicato a Giove Statore: è quello meglio noto come tempio di Romolo figlio di Massenzio, ancora oggi conservato e visibile presso il tempio di Antonino e Faustina.


Esisteva anche un tempio di Giove Statore in Circo Flaminio: complicatissimo, quindi, raccapezzarsi tra polemiche, attribuzioni discusse o errate, spostamenti successivi.
Forse, alla fine, sul luogo inizialmente sacro/pubblico, dopo lo spostamento del culto, fu eretta una domus privata. Ne sono state trovate tracce. 
Ma è meglio – almeno per ora – lasciarsi fermare da Giove Statore e non formulare ipotesi troppo ardite su chi la commissionò e ne fu il proprietario, anche se non doveva trattarsi esattamente di uno qualunque… forse un Cesare?

Gli scavi proseguono: ne apprenderemo ancora. Presto comparirà un articolo sulla rivista “Archeologia Viva”.

The temple built by Romulus to celebrate the hand of Jupiter giving Roman troops their unstoppable force has been found at the foot of the Palatine Hill, Italian archaeologists say. 

The ruins of the temple identified by Italian archaeologists as the one built by Romulus in 750 BC, after winning the battle against the Sabines [Credit: Archeologia Viva]
The ruins of the shrine to Jupiter Stator (Jupiter the Stayer), believed to date to 750 BC, were found by a Rome University team led by Andrea Carandini. 

"We believe this is the temple that legend says Romulus erected to the king of the gods after the Romans held their ground against the furious Sabines fighting to get their women back after the famous Rape (abduction)," Carandini said in theArcheologia Viva journal

According to myth, Romulus founded Rome in 753 BC and the wifeless first generation of Roman men raided nearby Sabine tribes for their womenfolk, an event that has been illustrated in art down the centuries. 

Temple of Jupiter Stator discovered in Rome
An artist's impression of the Temple of Jupiter Stator (Jupiter the Stayer), which stood in the Forum area of Rome. Tradition had it that the temple was founded by Romulus after a battle with the Sabines. The temple was ultimately destroyed by the fire in July 64, during Nero's reign [Credit: © Mary Evans Picture Library]

Carandini added: "It is also noteworthy that the temple appears to be shoring up the Palatine, as if in defence". Rome's great and good including imperial families lived on the Palatine, overlooking the Forum. 

Long after its legendary institution by Romulus, the cult of Jupiter the Stayer fuelled Roman troops in battle, forging the irresistible military might that conquered most of the ancient known world. 

In the article in Archeologia Viva, Carandini's team said they might also have discovered the ruins of the last Palatine house Julius Caesar lived in - the one he left on the Ides of March, 44BC, on his way to death in the Senate.



Notizie ed immagini da:
'Il Messaggero" del 28/02/2013

Leone di Cerveteri



On line il 28/02/2013

Ecco il leone di Cerveteri 
guardiano delle tombe



Le «voci» del territorio erano diventate allarmanti. I tombaroli a caccia di tesori etruschi l’avevano presa di mira da tempo, e i tentativi di scavi clandestini erano troppo evidenti. Ed è così che la Soprintendenza per l’Etruria meridionale guidata da Alfonsina Russo Tagliente ha deciso di avviare una campagna di scavo nell’altopiano della Tegola dipinta, un’area all’interno della famosissima necropoli della Banditaccia a Cerveteri. 



STATUE E TESSUTI 

Appena in tempo, perché l’operazione ha sventato il rischio di perdere per sempre un capolavoro di arte etrusca. L’equipe diretta da Rita Cosentino ha infatti riportato alla luce il «Leone di Cerveteri», come lo chiamano oggi gli studiosi, una scultura in peperino del VI secolo a.C. conservata in stato integrale. Uno scavo che non si è esaurito con il ritrovamento della splendida statua arcaica, perché il personale della Soprintendenza ha riportato alla luce a pochi metri di distanza anche una nuova straordinaria tomba «a camera» databile al IV-III secolo a.C. che custodisce una ventina di scheletri nelle sepolture, di cui solo sette ben conservati (tutti sotto studio del Dipartimento di Biologia dell’Università Tor Vergata), con ricchi corredi funerari tra ceramiche e bronzi. 

Ma ad aver sorpreso gli archeologi è stato il letto funerario di una donna adulta, riconosciuta come la sepoltura principale, dove sono stati rinvenuti per la prima volta resti di cestini in vimini con tracce di tessuti: «Sono i cesti simbolo per eccellenza della donna e dell’universo femminile, dove nell’uso quotidiano veniva riposta la lana grezza per essere filata e lavorata - racconta la Soprintendente per l’Etruria meridionale Alfonsina Russo Tagliente - Ed è in questa deposizione che sono riaffiorati frammenti di lana e lino, reperti che ci offrono un contributo storico per approfondire gli usi e i costumi dell’epoca». 

La sepoltura rimanda alla «Signora» di Cerveteri, principessa e «domina» da interpretare come figura di prestigio del clan familiare sepolto nella tomba che apparteneva all’elite aristocratica della città e che cominciava a convivere con l’espansione di Roma. Ma ricostruiamo i fatti. «Dopo l’allarme per i tentativi clandestini, abbiamo deciso di scavare tutta la fascia di tufo intorno al famoso Tumulo III della Tegola dipinta, il più grande della necropoli della Banditaccia», ricorda Rita Cosentino. 

Lo stupore è stato grande quando gli archeologi si sono visti spalancare una scalinata monumentale che scendeva nel sottosuolo per sette metri, per incontrare la facciata della tomba in blocchi di tufo. L’interno rivela una camera rettangolare con una sequenza di sepolture, dove si riconosce una cella con i loculi più importanti riferiti ai capifamiglia. 



CIPPI E BARE SIGILLATE

E le sorprese non sono finite: «Abbiamo trovato dieci cippi con iscrizioni che stiamo studiando, ma che probabilmente recano i nomi dei componenti della famiglia», racconta la Russo. Spicca poi il «cold case» della tomba: «Un individuo presenta il letto funerario chiuso con la calce - osserva la Russo - Una modalità inedita, forse è morto di malattia e l’hanno voluto sigillare». Il corredo funerario, poi, appariva raccolto in una fossa scavata al centro della camera. Al di fuori, le indagini hanno recuperato un altare per riti funerari legati al clan gentilizio, che ha svelato, ai suoi piedi, il leone: «E’ il primo leone intero che troviamo a Cerveteri, ce n’è un altro, ma senza testa», avverte la Cosentino. E’ perfetto. Accovacciato, la muscolatura in tensione, le zampe ben delineate, è il guardiano del tumulo della Tegola dipinta. 




Da un articolo di Laura Larcan.

Martedì 26 Febbraio 2013 - 07:30
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 27 Febbraio - 23:46

martedì 26 febbraio 2013

Origini Semitiche



Alfabeto Fenicio con 'spiegazioni' grafiche della possibile origine dei singoli caratteri. Le forme con asterisco sono quelle che rispondono al principio 'acrofonico' (la lettera si identifica con l'iniziale dell'oggetto inizialmente rappresentato).




ALEF  -  è un nome ricostruito per indicare la prima lettera dell’alfabeto Cananeo, che però è stato trasmesso ad alfabeti successivi (Fenicio Alef, Siriano Alaf, Ebraico Alef, ed Arabo Alif). Esso rappresentava un suono consonantico, ma in Greco divenne Alfa ed in Latino A, ambedue vocali. Il segno grafico deriva dalla parola Semito-occidentale per ‘Bue’ e la forma stessa della lettera discende dal Glifo Proto-Sinaitico basato sul geroglifico che dipinge una testa bovina con le corna. È anche stata formulata l’ipotesi (A. Gardiner) che il geroglifico Egizio dell’avvoltoio fosse usato per rappresentare il medesimo suono, recentemente messa in dubbio.
Possiede un intenso valore rappresentante l’unicità di Dio.

BET (Beth, Beh, Vet) è la seconda lettera di molti alfabeti Semiti. Il suo significato è ‘casa’ (geroglifico:in varie lingue semitiche (Arabo bayt, Accadico bitu, o betu, Ebraico bayit, Fenicio byt, tutti derivanti dal Proto-Semitico bayt). Ha originato le lettere greca Beta e latina B. Il valore numerico è due, in gematria: è il primo segno della Torah, a significare che ne esistono due parti, quella scritta e quella orale.

GIMEL – è la terza lettera degli alfabeti Semiti. Si pensa che possa derivare da un precedente segno non attestato Proto Cananeo per descrivere o il manico di una fionda o un bastone da lancio (quindi, un’arma). Essa ha dato origine alla Gamma greca ed alla C latina. Bertrand Russel formulò l’ipotesi che la lettera rappresentasse  l’immagine convenzionale di un cammello. Il valore numerico è tre.

DALED, (Dalet, Daleth, Ashkenazi Dales) è la quarta lettera degli alfabeti Semiti (Fenicio, Aramaico, Ebraico, Siriano, Arabo) derivante da un glifo degli alfabeti della media Età del Bronzo che era il Dalt (‘porta’) e che in seguito divenne il geroglifico rappresentante appunto una porta. Ha dato origine alla Delta Greca ed alla D latina.  Simboleggia il numero quattro.
Nel Giudaismo è utilizzata per fare riferimento a Dio, in modo non sacro, mentre He è usato più frequentemente e possiede un significato più formale. Anche Gimel è usato con questo scopo, ma molto raramente.
Graficamente, Daled è il disegno della parte superiore delle porte Egizie che disegnava un triangolo di 3 lati e comprendendo l’architrave formava un angolo, che nelle costruzioni sacre era di 144 gradi.
Questa lettera proviene dal disegno di un antichissimo attrezzo, la “squadra”.


HE – è la quinta lettera di molti alfabeti Semiti. Ha dato origine all lettera greca Epsilon e alla latina E. Rappresentava inizialmente una consonante, ma in Latino Greco, Cirillico assunse un suono vocalico. In Gematria, He assume il valore numerico 5 e quindi, usato all’inizio degli anni Ebraici il valore di 5.000.
Graficamente, essa è sempre stata caratterizzata da 3 linee parallele come ad indicare la staccionata di un recinto
Nel Giudaismo è utilizzata spesso per indicare il nome di Dio (significa: Hashem = ‘Il Nome’) e costituisce un espediente per riferirsi a Dio senza pronunciarne il nome.

WAW
(Vau, Vav) è la sesta lettera degli alfabeti semiti. Il suo significato letterale è piolo, uncino, lancia. Il suo valore numerico matematico è sei. 
Il geroglifico egizio da cui deriva rappresenta un uomo in preghiera con le mani alzate.  Si è trasformata nel greco F e Y e nel Latino F, V, U, W e Y.

ZAYIN
(Zain, Zayn, Zay) è la settima lettera degli alfabeti semitici. Da esso discendono la Z greca Etrusca e Latina. La lettera fenicia sembra descrivere un’arma, forse una spada. (ne derivano nell’Ebraico biblico il termine spada ed il verbo ferire, mentre nell’Ebreo moderno il termine pene ed un verbo, volgare per rapporto sessuale). Il valore numerico è sette.

HET (Khet, Kheth, Chet, Cheth, Heth) è il nome ricostruito dell’ottava lettera del Proto-Cananeo, passata poi negli alfabeti Semiti, incluso il Berbero. In Greco ha dato origine all’Eta, in Latino all’ H ed è passata graficamente immodificata nell’Etrusco. La forma del segno discende originariamente da un geroglifico indicante un ‘cortile’ ( ) forse denominato ‘hasir’ negli alfabeti del Medio Bronzo e risalente a ’Hayt’, nome ricostruito per una lettera indicante ‘filo, trama’. Il valore simbolico in gematria è quello di otto, che è anche simile alla sua forma grafica.

TET (Teth) è la nona lettera di molti alfabeti semiti. Ha dato origine alla lettera greca theta. La lettera Fenicia significa ‘ruota’, ma è possibile che derivi da un glifo della Media Età del bronzo (‘tab’) significante ‘buono’ (tav in Aramaico e tov in Ebraico, tayyib in Arabo moderno), forse tutti derivanti dal geroglifico nfr ‘buono’.
In gematria rappresenta il numero nove; se seguito da un apostrofo: novemila.

IOD (Yodh, Yud, Jod, Jodh) è la decima lettera di molti alfabeti Semiti, che ha prodotto lo Iota in greco e la I in latino. Si pensa abbia avuto origine da un pittogramma di una mano attraverso una forma Proto-Semitica “yad” che potrebbe essere correlata al geroglifico Egizio rappresentante un braccio  () . In gematria rappresenta il numero dieci. Due Yod di seguito rappresentano il Dio Adone, ciò che si ottiene egualmente bene con il Tetragramma (‘le quattro lettere’). Dato che è proibito agli israeliti pronunciare o scrivere per intero per intero il Tetragbramma, il termine è in genere sostituito da ‘Adone’. Yod è la lettera più piccola e compare in molti modi ed esempi nella Gabbala anche il suo significato numerico, importante nel Giudaismo, contribuisce a questo.

KAF (Kaph) è l’undicesima lettera degli alfabeti Semiti e ha dato origine a K greco e latino.  Deriva più probabilmente da un pittogramma indicante il palmo della mano (sia in Ebraico sia in Arabo moderno la parola kaph significa ‘palmo’, ‘presa’ con la mano). In gematria, il significato è 20. Raramente anche 500.

LAMED (Lamedh) è la dodicesima lettera deglo alfabeti Semitici (Lam in Arabo). La lettera Fenicia ha dato origine al greco Lambda ed al latino L. In gematria, simboleggia il numero trenta. Insieme alla lettera Vav sta per i 36 giusti che salvano il mondo dalla distruzione.

MEM (Meem, Mim) è la tredicesima lettera degli alfabeti Semitici. Ha dato origine al Greco M (mu) ed al latino M. Si pensa derivi dal segno geroglifico Egizio per acqua ( ), semplificandolo e dandogli il suono del vocabolo Fenicio per ‘acqua’ (mem), che a sua volta derivava dal Proto Semitico. In gematria mem simboleggia il numero quaranta. Il vocabolo assume anche molti altri significati, in epoche, contesti e luoghi differenti.

NUN (pronunciato talvolta  ‘nunu’) è la quattordicesima lettera dell’alfabeto semitico. Ne derivano il greco N (nu) e la N latina. Si pensa che il segno derivi dal pittogramma di un serpente (la parola Ebraica per serpente ‘nachash’ inizia con un Nun, in Aramaico ‘nun’ significa proprio serpente) oppure un’anguilla. Alcuni hanno ipotizzato la presenza di una forma geroglifico per ‘pesce’, dato che in Arabo ‘nun’ significa pesce o balena. La lettera Fenicia, quindi, fu chiamata ‘Nun’, pesce, ma il glifo si è sempre ipotizzato discendere da un’ipotetico termine Proto-cananeo nahs, ‘serpente’, basandosi sull’Etipoe e su un geroglifico di serpente. In Arabo moderno, nahs significa ‘ cattiva fortuna’. Il suo valore in gematria è di cinquanta.

SAMEKH  E’ la quindicesima lettera di molti alfabeti Semiti: ha dato origine alla lettera greca Xi ma non esiste un equivalente Latino. Le sue origini non sono chiare. La lettera Fenicia potrebbe infatti essere la continuazione di un glifo degli alfabeti del Bronzo Medio, oppure essere basato su di un geroglifico Egizio rappresentante il piolo di una tenda, o qualche altro tipo di supporto. Il suo valore in Gematria è sessanta.
Samekh e Mem formano l’abbreviazione per l’Angelo della Morte, il cui nome in Ebraico è Samaele.
Nel capitolo 32 dell’Esodo si legge che le tavole della Legge erano scolpite ‘su ambo le facce’: questo fatto viene in genere interpretato dal Talmud di Gerusalemme come una iscrizione trapassante la pietra e quindi come un miracolo, in quanto la parte interna del Samekh (che realizza un cerchio, in Ebraico) sarebbe dovuto cadere dalle tavole. Il Talmud di Babilonia lo spiega invece con la differente grafia dell’alfabeto Paleo-Ebraico.

AYIN (‘Ayin) è la sedicesima lettera di molti alfabeti Semiti. Il nome della lettera deriva dal Proto-Semitico ‘Ayn’, Occhio : anche la lettera Fenicia aveva una forma di occhio, derivando dal geroglifico i’r che possiede esattamente la medesima forma ( ). Dalla lettera Fenicia derivarono il greco Omicron ed il latino O, che rappresentano vocali. In gematria, il simbolo è 70.

PE è la diciassettesima lettera di molti alfabeti Semiti, che ha dato origine al greco Pi ed al latino P. Sembra essere originata dal pittogramma di una bocca (in Ebraico: pe, in Arabo: fam). In gematria, il valore simbolico è ottanta.

SADE (Tsade, Saddi, Sad, Tzadi, Sadhe, Tzaddik) è la diciottesima lettera di molti alfabeti Semiti.  Se ne presentano numerose varianti. Ha dato origine a segni di lettere Greche (San e forse Sampi) ed Etrusche, ma non Latine. L’origine del segno non è chiaro: possibilmente deriva da un glifo del Medio bronzo rappresentante una pianta, forse di papiro. Il suo valore numerico matematico è 90.

QOF (Qoph, Qop, Kof, Qaf) è la diciannovesima lettera di molti alfabeti Semiti. Si attribuisce ad essa il valore di Q, oppure K ed il suo valore in gematria è 100. Si pensa che il segno nasca inizialmente da quello di un ago per cucire, sulla base di glifi Paleo Ebraici. Crea un po’ di confusione l’omofonia con il vocabolo ‘scimmia’.  

RESH è la ventesima lettera degli alfabeti semitici. Nella gran parte di essi, si tratta di un segno molto simile al Dalet. (la somiglianza ha dato origine a doppie grafie, ad esempio di alcuni nomi di regnanti). Il vocabolo Fenicio ha dato origine al Rho greco (P) e alla R latina. Il pittogramma  di una testa, derivante dal proto-Semitico Rais sembra sia all’origine del segno alfabetico. Forse il Semitico orientale Ris era il rendimento fonetico del Sumero cuneiforme ‘testa’ in Accadico. Il suo valore simbolico in gematria è 200.

SHIN (Sin, Sheen) è la ventunesima lettera di molti alfabeti Semiti e letteralmente significa ‘tagliente’, acuminato. Ha dato origine al Sigma greco ed alla S latina. Secondo W. Albright, il glifo Proto-Sinaitico era basato su di un dente. L’Enciclopedia Giudaica ricorda che originariamente si trattava dell’immagine di un arco composito. La storia e l’evoluzione delle sibilanti dal proto-sinaitico alle successive lingue semitiche è piuttosto complicata, in quanto esistono già nella forma più antica cinque differenti forme di ‘s’.
In gematria Shin rappresenta il 300.
Il segno Egizio rappresentava un arco composito non teso, stante ad indicare la funzione dell’arco di trasportare la freccia da un luogo all’altro.

TAW (Tav, Taf) -  è la ventiduesima  ed ultima lettera degli alfabeti semitici. Sembra che la sua origine sia in un segno a croce, oppure ad asterisco, forse indicante una firma. Il suo uso letterario nella Torah è quello di una ferita. Il suo valore numerico matematico nella gematria è quattrocento). Nel giudaismo, Tav è l’ultima lettera della parola ‘verità’ (emet, composta della prima lettera Alef, l’intermedia, Mem e l’ultima lettera Tav dell’alfabeto: a significare che la Verità comprende tutto, include ogni cosa). Shequer, invece, che significa menzogna, è composta della diciannovesima, ventesima e ventunesima lettera: a significare che la bugia è di strette vedute, piccola ed incompleta.

"Cappero Canadese" Vince Oscar

Come pre-annunciato il 25 gennaio scorso - quindi con un mese di anticipo  su pubblico e critica italiani -  'Argo' ha vinto l'Oscar per il miglior film.

"Lincoln" è molto arrabbiato.

Anche Ulisse ha reagito male: "Dopo l'Odissea che ho dovuto attraversare, hanno dato il premio al mio cane!".

domenica 24 febbraio 2013

ALFABETI






Un ‘Alfabeto’ è un insieme prestabilito di lettere (simboli di base, detti ‘grafemi’), che si utilizza per scrivere una o più lingue. Le lettere rappresentano ‘fonemi’, cioè i suoni significativi di base della lingua parlata. Il sistema alfabetico si oppone al sistema  ‘Sillabico’, in cui ogni lettera rappresenta una sillaba e al sistema ‘Logografico’ in cui ogni segno rappresenta una parola, un morfema (un’unità semantica).
Le origini dell’Alfabeto sono sconosciute, ma esistono numerose teorie circa il come si sia sviluppato: la certezza è che questo sviluppo abbia richiesto l’attività e l’impegno di diverse generazioni d’uomini, in località e tempi differenti, con una serie di tentativi ed errori.

Periodo d'Introduzione Dei Vari Alfabeti

Geroglifici egiziani
XXII sec a.C.
Proto-Sinaitico
XIX sec a.C.
Ugaritici
XV sec a.C.
Proto-Cananeo
XIV sec a.C.
Fenicio
XII sec a.C.
Paleo Ebraico
X sec a.C.
Samaritano
VI sec a.C.
Aramaico
VIII sec a.C.
Kharosthi
IV sec a.C.
Brahmi
IV a.C.
Ebraico
III sec a.C.
Thaana
IV sec a.C.
Pahlavi
III sec a.C.
Palmyrene
II sec a.C.
Sogdiano
II sec a.C.
Nabateo
II sec a.C.
Greco
VIII sec a.C.
Etrusco
VIII sec a.C.
Latino
VII sec a.C.
Runico
IV sec d.C.
Ogamico
IV sec d.C.
Goto
III sec d.C.
Paleo Ispanico
VII a.C.
SudArabico
IX a.C.
Ieratico
XXXII s a.C.
Demotico
VII sec a.C.
Meroitico
VII sec a.C.


Una ipotesi conosciuta come ‘Teoria Proto-Sinaitica’ è che la Storia dell’alfabeto iniziò in Egitto, quando ormai l’umanità possedeva la scrittura da un millennio. Secondo questa teoria l’alfabeto fu inventato per potere rappresentare il linguaggio dei lavoranti semiti in Egitto e fu almeno influenzato dai principi alfabetici degli scritti ieratici egiziani. Se questo principio fosse corretto, allora tutti gli alfabeti del mondo di oggi o discendono direttamente da questo processo di sviluppo o furono almeno ispirati da esso. L’alfabeto più usato al giorno di oggi è quello Latino. Esso deriva dal Greco, il primo ‘vero’ alfabeto che assegna in modo definitivo segni (lettere) sia alle vocali che alle consonanti. A sua volta l’alfabeto Greco deriva da quello Fenicio, che era un cosiddetto ‘abjad’, cioè un sistema alfabetico nel quale ogni segno possiede in genere un significato consonantico.
Schema delle 'discendenze' dall'Abjad Fenicio (da sin a dx: Latino, Greco, Fenicio, Ebraico, Arabo) 
PREISTORIA.
Due scritture sono ben testimoniate prima della fine del IV millennio a.C.: il Cuneiforme Mesopotamico ed i Geroglifici Egiziani.  Ambedue erano piuttosto conosciuti in quella porzione del Medio Oriente nella quale si  produsse per la prima volta il primo Alfabeto usato diffusamente, il Fenicio. Forse anche il Cuneiforme stava sviluppando proprietà alfabetiche in alcune delle lingue per il quale era stato adattato, come si osserva nell’antico Cuneiforme Persiano, ma si tratta di sviluppi collaterali che non ebbero futuro. Questi hanno solo il significato di lasciarci intendere che si sarebbe comunque arrivati ad un alfabeto vero, prima o poi, anche se non costituiscono veri antecedenti. Il Sillabario di Byblos possiede somiglianze grafiche suggestive con lo Ieratico Egiziano e con il Fenicio, ma dato che rimane indecifrato poco si può affermare con certezza circa il suo ruolo nello sviluppo storico dell’Alfabeto.
PREDECESSORI.
Intorno al 2700 a.C. nell’antico Egitto si era già sviluppato ed affermato il sistema di scrittura geroglifico. Il sistema era usato in tre differenti modi, negli antichi testi egizi (a dimostrazione del fatto che si trattava di uno strumento ancora in fase di perfezionamento e rielaborazione):
1) come ideogrammi (logogrammi), rappresentanti un vocabolo che caratterizza l’oggetto disegnato nel geroglifico;
2) più frequentemente, come fonogrammi ( indicanti uno o più suoni in sequenza);
3) come ‘determinativi’ che forniscono indizi circa il significato, senza direttamente ricorrere al vocabolo cui si riferiscono).
Dato che, in massima parte, le vocali passavano non scritte, i geroglifici che rappresentavano singole consonanti potevano anche entrare a fare parte di un alfabeto consonantico (cosiddetto ‘abjad’). Questo non avvenne mai per l’Egiziano scritto. Ma ebbe – evidentemente – una grande influenza nella composizione del primo alfabeto, che fu indubbiamente usato per un linguaggio Semitico. Tutti i successivi alfabeti presenti nel mondo o sono direttamente derivati da quello, o ne sono stati fortemente ispirati, attraverso altri alfabeti suoi discendenti (diffusione ‘trans-culturale’).  Unica eccezione potrebbe essere stata l’Alfabeto Meroitico, un adattamento dei geroglifici Egiziani avvenuto nella Nubia, verso il III secolo d.C.
Diagramma di Venn, mostrante i caratteri in comune tra Alfabeto Latino, Greco e Russo
ALFABETI CONSONANTICI.
Alfabeto Semitico.
La scrittura Proto-sinaitica Egizia deve ancora essere pienamente decifrata. Potrebbe comunque darsi che essa sia alfabetica e che sia scritta in un linguaggio Cananeo. Gli esempi più antichi di ciò sono costituiti da graffiti del Wadi El Hol, datati attorno al 1850 a.C. circa.
scritta di Wadi el Hal, da Rollstone.
Sono stati proposti prototipi d’alfabeto Fenicio espresso in geroglifici Egizi, ma gli studi sono ancora in corso. Si prospettano anche alcune corrispondenze con le lettere appartenenti al Proto-Sinaitico. Ma – per il momento – non c’è nulla di più.
La scrittura Fenicia spesso adattava il geroglifico Egizio per significare con esso il suono consonantico del nome semitico dell’oggetto raffigurato dal geroglifico (questo metodo è definito ‘principio acrofonico’). Secondo questo metodo, il geroglifico ‘per’ (che significa ‘casa’ in Egiziano) era utilizzato per il suono ‘b’ dato che ‘b’ era il primo suono della parola Semitica per ‘casa’ (‘bayt’). La scrittura era quasi solo sperimentale, solo sporadicamente usata, per cui conservò la sua natura pittografica ancora per circa mezzo millennio, fino a quando non fu utilizzata per usi routinari amministrativi e di governo a Canaan. I primi Stati Cananei che adottarono in modo intensivo l’alfabeto furono le Città-Stato Fenicie, alcune delle quali erano ormai molto avanzate tecnologicamente ed economicamente, essendo anche tra le più antiche città in assoluto al mondo. Per questo motivo, gli stadi tardivi degli scritti Cananei sono definiti Fenici. Gli Stati Fenici erano anche stati marittimi, posti al centro direzionale di una vasta rete di commerci: questo fatto favorì l’estensione dell’alfabeto fenicio in tutto il mediterraneo. Due varianti dell’alfabeto fenicio in particolare ebbero un impatto maggiore sulla storia della scrittura: l’Alfabeto Aramaico e l’Alfabeto Greco.

Alfabeto Greco, su un vaso a figure nere: vi compaiono un Digamma, ma non un Ksi o un Omega. La lettera Phi, che nella parte superiore sembra un omicron è rappresentata in modo corretto nella porzione inferiore del vaso.
Il Fenicio e l’Aramaico, come il loro ‘prototipo’ Egiziano, rappresentavano unicamente consonanti: questi sistemi sono detti ‘Abjad’. L’Alfabeto Aramaico, che si sviluppò a partire dal fenicio nel VII secolo a.C. come scrittura ufficiale dell’Impero Persiano, sembrerebbe essere stato l’antenato comune a tutti gli alfabeti moderni dell’Asia.
L’Alfabeto Arabo attraverso il Nabateo (appartenente a quella regione che adesso è la Giordania).
L’Ebraico – inizialmente Samaritano – nacque come variante dell’Aramaico Imperiale Persiano.
Il Siriano, usato dal III secolo d.C. si evolvette attraverso il Pahlavi ed il Sogdiano nei moderni alfabeti Mongolo, Manchu e Uyghur.
Anche il Georgiano sembra appartenere alla medesima famiglia, attraverso vicissitudini poco note.
Gli Alfabeti ‘Veri’: sono sostanzialmente quelli che includono anche la rappresentazione scritta di vocali, oltre a quelli per le consonanti. I principali sono quello Greco e quello Latino, di cui tutti gli altri sono discendenti.
Diffusione dell'Alfabeto Latino nel Mondo - Il verde scuro rappresenta le zone in cui il Latino è il solo alfabeto, il verde chiaro le zone in cui è in comune con qualche altro alfabeto.