domenica 28 settembre 2014

Ebola: previsioni.

I modelli utilizzati per prevedere l'evoluzione dell'infezione sono modelli adattivi, il che significa che aggiornano le proprie previsioni a seconda delle 
informazioni che gli giungono.

Inizialmente, si pensava che dopo nove mesi la situazione sarebbe stata sotto controllo, con 20.000 casi d'infezione.

Oggi, non è più così: le previsioni attuali considerano possibili 20,000 nuovi casi in un mese.
Soltanto in Liberia sono considerati possibili centinaia di migliaia di nuovi casi per fine gennaio.

Visto che una terapia medica è ancora inesistente e comunque meno efficace delle misure di supporto e di prevenzione è soprattutto sull'organizzazione di queste ultime che si deve porre attenzione.
Al momento, si considerano possibili 1.4 milioni di casi infetti totali per la fine di Gennaio 2015.


Ebola could infect more than 1.4 million people by end of January 2015 

The Ebola epidemic could claim hundreds of thousands of lives and infect more than 1.4 million people by the end of January, according to a statistical forecast released this week by the U.S. Centers for Disease Control and Prevention. 


The Ebola virus, shown in this scan from the Centers for Disease Control and Prevention,  could affect more than a million people in West Africa if left unchecked  [CREDIT:CDC/Virginia Tech] 


The CDC forecast supports the drastically higher projections released earlier by a group of scientists, including epidemiologists with the Virginia Bioinformatics Institute, who modeled the Ebola spread as part of a National Institutes of Health-sponsored project called Midas, short for Models of Infectious Disease Agent Study. 

The effort is also supported by the federal Defense Threat Reduction Agency. 
Before the scientists released results, the outbreak in West Africa was expected to be under control in nine months with only about 20,000 total cases.

But modeling showed 20,000 people could be infected in just a single month. 
The predictions could change dramatically if public health efforts become effective, but based on the virus's current uncontrolled spread, numbers of people infected could skyrocket. 
"If the disease keeps spreading as it has been we estimate there could be hundreds of thousands of cases by the end of the year in Liberia alone," said Bryan Lewis, a computational epidemiologist with the Network Dynamics and Simulation Science Laboratory at the Virginia Bioinformatics Institute. 
Lewis and his fellow researchers use a combination of models to predict outcomes of the epidemic. 



The Network Dynamics and Simulation Science Laboratory at the Virginia Bioinformatics  Institute modeled the rate of infections and how interventions would affect the rate  [CREDIT:CDC/Virginia Tech] 


The agent-based models are adaptive, evolving as more information is fed into them to provide an accurate forecast. 
Pharmaceutical intervention, which is still on the horizon, is proving less effective in the models than supportive care and personal protection equipment for health care workers.

 "The work with Ebola is not an isolated event," said Christopher Barrett, the executive director of the institute. "This research is part of a decades-long effort largely funded by the Defense Threat Reduction Agency to build a global synthetic population that will allow us to ask questions about our world and ourselves that we have never been able to ask before, and to use those answers to prevent or quickly intervene during a crisis." 

Barrett and other institute leaders updated U.S. Sen. Tim Kaine and Virginia Tech President Timothy Sands about the Network Dynamics and Simulation Science Lab's role in analyzing the Ebola outbreak at the Virginia Tech Research Center in Arlington on Tuesday morning. 
That afternoon in Blacksburg they briefed staff members from U.S. Sen. Mark Warner's office. A university-level Research Institute of Virginia Tech, the Virginia Bioinformatics Institute was established in 2000 with an emphasis on informatics of complex interacting systems scaling the microbiome to the entire globe. It helps solve challenges posed to human health, security, and sustainability. Headquartered at the Blacksburg campus, the institute occupies 154,600 square feet in research facilities, including state-of-the-art core laboratory and high-performance computing facilities, as well as research offices in the Virginia Tech Research Center in Arlington, Virginia. 


Source: Virginia Tech [September 26, 2014]

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TOCCATO.


___________________

L’armatabrancaleoneshardariana reagisce abitualmente in modo volgare e scomposto, ogni qualvolta subisca un affondo in un punto sensibile.
È bastato postare un link ad un blog di recente comparsa, nel quale figurano alcuni dei nomi dei guerrieri shardariani e subito, apriti cielo! Lesa maestà.
Perché chi scriveva, diceva le cose come, forse, davvero stanno.
E – pare – stanno veramente male...

Subito, come in una sceneggiata di Mario Merola, i guerrieri dell’armata si lacerano le vesti, si strappano i capelli per “l’offesa ricevuta” da parte di creature immonde, notoriamente nefaste a tutta la società.
Si sprecano allora verso costoro le calunnie, gli attributi a base d’escrementi e di anellidi invertebrati (tutta materia molto familiare all’Armatabrancaleoneshardariana, che ci vive dentro) e le ormai abituali minacce di ricorrere alla Polizia Postale.
A parte il fatto che la Polizia Postale ha certamente di meglio da fare che correre dietro agli isterismi di pseudoscienziati permalosi e grifagni, c’è da dire che, visto il loro personale turpiloquio e le vere calunnie che essi portano, la minaccia finirebbe – credo – col ritorcersi immediatamente contro di loro.

Ecco: proprio questo tipo di reazione scalmanata ed urlante costituisce di per sé una prova. Non è affatto il comportamento tipico dello scienziato o del ricercatore: questo - di fronte a chi gli dice “Sei in errore, dici sciocchezze” - semplicemente decuplica i propri genuini sforzi per convincere con la forza della logica l’avversario. Non con la diffamazione, la calunnia e l'invettiva.
Ma qui, invece, ci troviamo piuttosto di fronte alla reazione esagitata e contorsionista del cialtrone guitto scoperto con le mani nella marmellata.
Sono lieto che si contorcano.

Personalmente sono contento anche di scoprire che – nella lotta per arginare la loro Incultura aggressiva e petulante – non sono affatto solo. Non conosco i miei alleati in questa avventura e non ne condivido completamente i modi, ma sono lieto che ci siano e so che non sono affatto così volgari ed ordinari come vogliono sembrare: si richiede una persona colta e sensibile per riconoscere la volgarità dell’inganno culturale e per decidere di combatterlo.

Il che – si deve ammettere – è già molto di più di ciò che fa la pavida pattuglia dell’Accademia, prudentemente chiusa nelle proprie aule universitarie, tremebonda e tutta impegnata ad evitare ogni scontro abrasivo, nel tentativo di far passare per elegante distacco intellettuale la propria codardìa ed il proprio colpevolissimo immobilismo...

Un’Accademia matura e cosciente di sé e delle proprie responsabilità produrrebbe – ad ogni uscita del guitto cialtrone – sferzanti comunicati ufficiali (e scomuniche scientifiche pubbliche) e contemporaneamente diffiderebbe la Stampa isolana dal propalare idiozie, dall’accorrere ad ogni richiamo del ciarlatano, dal diffondere Incultura.

Ma inoltre, si dovrebbe indagare (e chi, meglio della Stampa?) sulle gravi accuse di pagamenti in nero, di autoinviti a raduni d’ogni genere, di sfruttamento in ogni modo (economico, d’immagine, politico) di ogni situazione, sagra, aggregazione popolare. 

Perché non si fa?
Non ci si rende conto del fatto che proprio questo comportamento pavido, proprio questa lunga serie di colpevoli assenze dà maggiore coraggio al ciarlatano?
Non ci si rende conto che non tutti – nel vasto pubblico degli astanti, dei partecipanti, dei lettori – sono attrezzati per distinguere il vero dal falso?

Pazienza: la situazione è questa, al momento.

Io, da parte mia, ho una serena certezza: vincerò io.
Non perché io sia forte in prima persona.
Bensì perché mi sono scelto un alleato veramente imbattibile.
Come ho fatto?
Semplice.

Io non chiedo soldi.
Io non chiedo riconoscimenti.
Io non cerco di radunare intorno a me un gruppo di fedeli sodali, succubi ed incubi (anche se Luigi Amedeo Sanna sostiene amabilmente di sì: perché questo è proprio quello che ha fatto lui).
Io non mi faccio invitare di qua o di là a pranzi, cene, feste o altro.
Io non parteciperò alle elezioni, né in Sardegna, né altrove.

Pertanto, io non ho affatto bisogno di mescolare denaro, potere o politica alla Storia ed all’Archeologia. Che siano Sarde, oppure no, è sempre meglio che stiano da sole...

Invece loro sì: lo fanno sempre, per metodo, immancabilmente.

Per questo so che vincerò io.

Il mio alleato è la Verità.

venerdì 26 settembre 2014

I NOMI dell'Armatabrancaleoneshardariana

Più di qualcuno mi ha chiesto di scrivere i nomi dei guerrieri della luce, degli scultori dremelliani delle pietre sacre, che io amo definire - tutti insieme allegramente - Armatabrancaleoneshardariana...

Mi accorgo che questi nomi non sono affatto un mistero, per chiunque bazzichi nell'area 'archeologica' sarda...Esistono infatti molti siti che ne parlano e sparlano in lungo in largo, denunciando anche fatti che io non immaginavo neppure (si tratta certamente di sardi residenti).

Ecco qui, per esempio, un WebLog un po' goliardico (che non conoscevo affatto, mi è stato segnalato stamane):

http://untoreblog.wordpress.com/2014/09/26/la-professoressa-aba-losi-quella-del-fallo-nuragico/

AVVERTENZA: Il linguaggio è sbracato e volgare, volutamente. Credo che sia per meglio mostrare ed esprimere il totale disprezzo dello scrivente (che non conosco: non ne approvo i modi, ma ne condivido il disprezzo e ne ammiro ed invidio l'inventiva oltraggiosa).

Consiglio, a chi fosse veramente interessato, di leggere non solamente l'articolo in oggetto, ma anche esoprattutto i vari links riportati, che possono essere preziosi e molto informativi circa fatti e nomi richiestimi.

Se poi qualcuno riuscisse a comprendere che cosa sia realmente E.JA ed in che modo possa servire a produrre ricchezza (privata, credo, non certamente pubblica), ebbene costui sarebbe molto vicino alla soluzione definitiva dell'Enigma Arcano dell'Armatabrancaleoneshardariana e dei suoi numerosi Adepti, Incubi e Succubi...e soprattutto dei motivi che li tengono insieme.

martedì 23 settembre 2014

COLD CASE

Si parla molto di DNA, recentemente. E se ne capisce poco, sempre.
Proprio con questa metodica sembra che - a distanza di così tanti anni - sia finalmente stato identificato 'Jack lo Squartatore' (Jack the Ripper).

Gli esami sono stati effettuati su di uno scialle che sarebbe appartenuto ad una delle vittime, ottenuto nel 2007 ad un asta da un collezionista ricercatore, Russel Edwards. A suo tempo, eccezionalmente, lo scialle sarebbe stato lasciato ad un poliziotto, Amos Simson, che era presente sul luogo del quarto omicidio (vittima Catherine Eddowes), che lo avrebbe in seguito custodito - non lavato - in una scatola.

Sullo scialle sono stati trovati liquidi organici (sangue e sperma) contenenti DNA. Quello del sangue è stato confrontato con il DNA dei possibili discendenti  di Catherine Eddowes, offrendo la certezza della provenienza del sangue. Il DNA del liquido seminale è stato confrontato con quello di varie persone residenti nella zona di Whitechapel. 
Alla fine, il famigerato squartatore è stato identificato in Aaron Kosminky, un emigrato polacco che faceva il barbiere. Fu in seguito internato in una casa di lavoro in quanto poverissimo, poi in un manicomio per malattia mentale ed infine morì di gangrena.
Se questa è la verità, come sempre essa è meno avventurosa e interessante del racconto romanzato dalla fantasia popolare.

La descrizione dei fatti recenti è in qualche modo troppo imprecisa, per cui i risultati sono stati messi in dubbio da alcuni, mentre altri hanno chiesto una supervisione del lavoro di laboratorio (effettuato da stimati specialisti) da parte di colleghi pari grado ed esperienza ( è il metodo che si definisce: 'peer review').




Jack the Ripper identified through DNA traces 

 Jack the Ripper, one of the most notorious serial killers in history, has been identified through DNA traces found on a shawl, claims a sleuth in a BOOK out on Tuesday. The true identity of Jack the Ripper, whose grisly murders terrorised the murky slums of Whitechapel in east London in 1888, has been a mystery ever since, with dozens of suspects that include royalty and prime ministers down to bootmakers. 
But after extracting DNA from a shawl recovered from the scene of one of the killings, which matched relatives of both the victim and one of the suspects, Jack the Ripper sleuth Russell Edwards claims the identity of the murderer is now beyond doubt. He says the infamous killer is Aaron Kosminski, a Jewish emigre from Poland, who worked as a barber.

Edwards, a businessman interested in the Ripper story, bought a bloodstained Victorian shawl at auction in 2007. The story goes that it came from the murder scene of the Ripper's fourth victim, Catherine Eddowes, on September 30, 1888. 

Police acting sergeant Amos Simpson, who had been at the scene, got permission from his superiors to take it for his dressmaker wife -- who was subsequently aghast at the thought of using a bloodstained shawl. It had hitherto been passed down through the policeman's direct descendants, who had stored it unwashed in a box. 
It briefly spent a few years on loan to Scotland Yard's crime museum. 

Victim disembowelled 

Edwards sought to find out if DNA technology could conclusively link the shawl to the murder scene. 




Dr Jari Louhelainen, senior lecturer at Liverpool John Moores University, testing a shawl that  was taken from the murder scene of Jack the Ripper's fourth victim Catherine Eddowes  on September 30, 1888 [Credit: AFP] 

Working on the blood stains, Doctor Jari Louhelainen, senior lecturer in molecular at Liverpool John Moores University, isolated seven small segments of mitochondrial DNA, 
which is passed down through the female line.

They were matched with the DNA of Karen Miller, a direct descendant of Eddowes, confirming her blood was on the shawl. 
Meanwhile stains exposed under ultra-violet light suggested the presence of seminal fluid. Doctor David Miller, reader in molecular andrology at the University of Leeds, managed to find cells from which DNA was isolated. 
With the help of genealogists, Edwards found a descendant of Kosminski through the female line, who offered samples of her DNA. Louhelainen was then able to match DNA from the semen stains to Kosminski's descendant. For Edwards, this places Kosminski at the scene of Eddowes' gruesome murder. 
Eddowes, 46, was killed on the same night as the Ripper's third victim. An orphan with a daughter and two sons, she worked as a casual prostitute. She was found brutally murdered at 1:45am. Her throat was cut and she was disembowelled. Her face was also mutilated. The belief is that the shawl was left at the crime scene by the killer, not Eddowes. 

Calls for peer review 

Kosminski was born in Klodawa in central Poland on September 11, 1865. His family fled the imperial Russian anti-Jewish pogroms and emigrated to east London in the early 1880s. He lived close to the murder scenes. Some reports say he was taken in by the police to be identified by a witness who had seen him with one of the victims, and though a positive identification was made, the witness refused to give incriminating evidence, meaning the police had little option but to release him. 
He entered a workhouse in 1889, where he was described on admission as "destitute". 
He was discharged later that year but soon ended up in an insane asylum. He died from gangrene in an asylum on March 24, 1919 and was buried three days later at East Ham Cemetery in east London. 
Some have cast doubt on Edwards' findings. 
The research has not been published a a peer-reviewed scientific journal, meaning the claims cannot be independently verified or the methodology scrutinised. 
Professor Alec Jeffreys, who invented the DNA fingerprinting technique 30 years ago this week, called for further verification. 
"An interesting but remarkable claim that needs to be subjected to peer review, with detailed analysis of the provenance of the shawl and the nature of the claimed DNA match with the perpetrator's descendants and its power of discrimination; no actual evidence has yet been provided," Jeffreys told The Independent newspaper. 

Author: Robin Millard | Source: AFP [September 07, 2014]

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sabato 20 settembre 2014

libere considerazioni di libero scalzacane

Caro amico mio Pasuco, che mi leggi con affetto, voglio che tu sappia che sono del tutto libero: non devo nulla a nessuno, nel campo della Storia e dell'Archeologia della Sardegna.(anzi: ti confesso che nel mio piccolo io portatile ed enflatile al bisogno, credo - semmai - di avere dato qualche cosa, seppure in rare puntiformi occasioni).
Appartengo ad un minuscolo manipolo di pazzi che alla Storia della Sardegna desidera dare, non prendere qualcosa.Si tratta di un tipo di psicopatologia rara ed ancora non descritta nella Letteratura Medica.

Sono cioé un libero scalzacane*, almeno in teoria perfettamente alla pari di tutti gli altri numerosissimi presuntuosi scalzacani che si affollano a scrivere articoli su blog tossici e (pensa!) persino libri coloratissimi su questi argomenti.
Più precisamente sono quelli, per intenderci, che non si peritano di criticare dal basso della loro arroganza (in sardo si dice barrosìa) tutto e tutti, accademici e no, in un italiano incerto e sommario, primo indice delle loro numerose carenze.
E non dico che non ce ne siano di accademici che meritano d'essere criticati, anzi! Ma trovo giusto semmai criticare per migliorare le condizioni dell'Archeologia Sarda malata, e per guarirla infine vivaddio, dai suoi molti mali! Mentre è invece proprietà del vero ciarlatano di strada il miserabile criticare per promuovere sé stessi e le proprie idee balzane, antiscientifiche e campate per aria. E se ti viene in mente qualcuno, qui, non dirlo, per carità cristiana! Io ho in mente una cinquantina di persone (tutta l'ArmataBrancaleoneShardariana ed i suoi gloriosi guerrieri della luce ed i cavatori del Sacro Dremel), ma come vedi me li tengo per me...

Insomma: credo che - chiunque legga - possa trovare in sé i criteri per giudicare di fronte a quale tipo di scalzacane egli realmente si trovi.al momento. So che esistono lettori che vanno precisamente alla ricerca di Voyager, per cui prima o poi incapperanno senza errore nella rete di ciò che più desiderano trovare. Complici tutti i librai (e gli Editori) che mettono in primissima evidenza l'ormai abbondante produzione della Pulp Fiction dominante. Ma esistono ancora esseri senzienti, capaci di distinguere correttamente tra una legittima cernita delle competenze ed una cernia (che sia poi meglio la cernia, dipende dai momenti e dalle situazioni!).

Insomma, seguimi: una popolazione capace di ideare e costruire fini opere idrauliche come Sedda 'E Sos Carros nel 1300 a.C. (gli Etruschi non esistevano ancora come tali, Roma non era stata fondata, etc.etc) secondo te ha davvero bisogno di altri belletti e trucchi posticci per essere considerata una popolazione evoluta, avanzata, ammirevole?

Se hai risposto no, prosegui pure la lettura tranquillo, altrimenti  - Satana - esci da questo corpo!

Tieni anche presente che si tratta di una popolazione che è certamente legittima seppur distante erede di quella che aveva edificato - circa un millennio prima - i meravigliosi Nuraghi!

Perché mai - allora - alcuni sardi oggi sentono il fortissimo bisogno d'inventare altre cose (tutte fasulle e rigorosamente non dimostrate scientificamente), intorno ai protosardi?

L'elenco è lungo ed ormai stantio: tutte le istanze sostenute dagli esponenti dell' #armatabrancaleoneshardariana vi compaiono.
L'evoluzione dell'uomo avvenuta in Sardegna attraverso i suoi vari stadi di cacciatore e agricoltore, la navigazione sarda, le prime osservazioni astronomiche mondiali, il dominio sardo del Mediterraneo (e non solo di quello!), la presenza di numerose piramidi a gradoni in Sardegna, una lunghissima ed impossibile durata del periodo Nuragico, l'appartenenza dei bronzetti al nuragico, la scrittura Nuragica, i guerrieri Shardana leader dei Popoli del Mare (cioé: una popolazione inesistente a capo di una coalizione mai esistita!) etc. etc. ...

Mi fermo qui, perché non voglio annoiarti, amico mio: ma tu - a questi motivi - ci hai mai pensato davvero?
Credi veramente che chi sostiene tutte quelle panzane ci creda poi davvero a sua volta?

Beh, un caro saluto - amico mio - dal tuo libero scalzacane....


________
Scalzacane è un vocabolo provocatorio e - in realtà - piuttosto inadatto qui, dove sarebbe molto più corretto usare il termine "non addetto ai lavori".
Scalzacane, infatti, possiede due significati, ambedue fuori luogo:1) soggetto di povera estrazione sociale; 2) persona incapace nella propria professione.Se consideriamo 'professione' la nuova missione profetica e rivelatrice che ciascuno scalzacane si è proposto, questo secondo significato gli calza a pennello...
Libero scalzacane è poi forgiato autoironicamente (rivolto a me) e sarcasticamente (rivolto all'ArmataBrancaleoneShardariana) sull'espressione "libero pensatore".


venerdì 19 settembre 2014

LIBRI LETTI: "DORGALI Archeologia & Umanità"




Archeologia e Umanità
Dorgali
tra Ottocento e Novecento
di Giacobbe Manca
CSCM-UNITRE  2014    € 19.90




Ecco, a parer mio, come dovrebbe scrivere l’archeologo, per i lettori fuori dell’Accademia.
Quando si scrive per i colleghi è un conto: allora sì, è necessario tirar fuori tutti i lustrini della propria professione, la toga, la parrucca e l’oratoria specialistica incomprensibile.

Ma quando si scrive per la gente comune, la chiarezza e la semplicità devono essere maestre e guide. Si dev’essere suadenti, si deve spiegare. E non si deve parlare nel tono lugubre di chi esegua l’autopsia di un corpo morto. Si deve trasmettere l’entusiasmo per ciò che si descrive. Chi legge vuole certamente apprendere la storia, ma vuole anche sentire la palpabile partecipazione di chi scrive.
Non dico che questo libro sia perfetto: ma credo sinceramente sia il migliore – fino ad oggi – di questo autore.
Il titolo sarebbe dovuto essere (come ammette egli stesso) più propriamente: “ Umanità ed Archeologia”. Ma forse sarebbe stato frainteso… e bene ha fatto a lasciarlo così.

Chi desiderasse finalmente conoscere davvero, attraverso vari aneddoti poco noti, piccoli e grandi segreti, fatti curiosi e strani, che tutti insieme riguardano gli uomini stessi che hanno fatto la Storia dell’Archeologia Sarda, sarà più che accontentato.

È un libro sussurrato con antico garbo isolano, il che non risparmia battute salaci e osservazioni divertite quando siano richieste, in una composizione divertente, interessante, la cui lettura non si riesce più a lasciare.
Qualcuno si sorprenderà per il fatto che i primi curatori dell’Archeologia Sarda non fossero affatto archeologi. Il primo fu infatti un genio eclettico, ufficiale del Regno di Piemonte e Sardegna, di cui l’autore ci mostra aspetti sconosciuti ed umanamente grandi. Un altro fu un geologo, sinceramente innamorato dell’isola e dei suoi fantastici tesori.
Altri furono prelati d’altalenante pregio seppure di nascita isolana; altri ancora, furono invece finti sardi e veri occupanti, fecero il male dell’ambiente e dell’economia sarda. 

In certi tratti indigna l’apprendere che il primo vero e grande Archeologo della Sardegna sia stato allontanato a causa delle Leggi Razziali, per essere frettolosamente sostituito indegnamente e male da indegni successori ossequienti al partito.
Non cito i nomi, nella certezza che scoprirli direttamente leggendo sarà meglio, per il lettore ignaro: ma credo che anche l’esperto possa trovare veri e seri motivi d’interesse e di diletto in queste righe. 
E - mi auguro - di riflessione.

Questo libro consegna al sereno giudizio della Storia, più che del pubblico che ne resta comunque testimone, i precisi meccanismi per cui l’Archeologia Sarda è oggi quel che tutti vediamo. 
E consegna delicatamente nelle mani degli Archeologi Accademici di domani (non quelli d’oggi, cui purtroppo il coraggio è venuto meno) un lascito preciso, insieme ad un monito: la difesa dell’Archeologia Sarda dai troppi ciarlatani, al fine di potere ridare dignità ad una materia che l’ha smarrita, rimuovendo dalle pastoie della politica un ambiente che solo allora tornerà a respirare scienza.

È un lascito pesante, senza dubbio: speriamo tutti che più di qualcuno voglia generosamente farsene carico. Certamente, non potrà essere lasciato solo. Chi ‘tiene famiglia’, lo sappiamo, non parteciperà:  non faccia più l’archeologo, per favore...

giovedì 18 settembre 2014

Annibale Cartaginese


   

    Annibale Cartaginese 
      in una iscrizione etrusca

di Massimo Pittau


Nel vasto quadro della cultura etruscologica odierna è comunemente nota la notizia che in una iscrizione etrusca compare in maniera abbastanza chiara un riferimento ad Annibale, il grande condottiero dell'esercito cartaginese. Come molti sanno, costui, durante la seconda guerra punica (216-202 a. C.), sottopose Roma a una prova durissima, che sarebbe potuta concludersi in maniera esiziale per questa città, se alla fine non fosse intervenuta la grande vittoria di Scipione l'Africano a Zama.
L'iscrizione si trova in una tomba a camera nella necropoli di Monterozzi di Tarquinia, dipinta su una parete, ed essa recita testualmente:

FELSNAS : LA : LEΘES
SVALCE : AVIL : CVI
MURCE : CAPUE
TLEXE : HANIPALUSCLE

Nella iscrizione gli etruscologi hanno individuato facilmente i significati di quasi tutti i singoli vocaboli, nonché i loro valori morfologici. In particolare hanno individuato il nome del condottiero cartaginese nel vocabolo HANIPALUSCLE e precisamente col significato «di quello (esercito) di Annibale» (HANIPALUS-CLE). Il riferimento al grande condottiero cartaginese è confermato dalla presenza nell'iscrizione del nome della città campana di Capua, la quale fu da lui conquistata nel 212/211 e la quale ha giocato un ruolo notevole nello svolgimento successivo della guerra.
Solamente di due vocaboli gli etruscologi non sono finora riusciti a dare una esatta o almeno verosimile traduzione, MURCE e TLEXE. Questi sono comunemente interpretati dagli etruscologi come due verbi al preterito, il primo all'attivo, il secondo al passivo, ma i significati prospettati per essi risultano fino ad ora assai dubbi. Trattandosi di due verbi, per di più entrambi di modo finito, si comprende facilmente come e perché in realtà il fallimento dei vari tentativi di dare loro un significato esatto o almeno verosimile pregiudichi alla base il significato effettivo dell'intera iscrizione. Se oggi, con questo mio breve scritto, io intervengo di nuovo su questa iscrizione, dipende dal fatto che ritengo di aver finalmente trovato il significato verosimile dei due citati verbi.
E precisamente: io interpreto il verbo MURCE come connesso coi lat. mora «indugio, ritardo», morari «attardarsi, indugiare, trattenersi, dimorare, soggiornare» [finora di origine incerta (DELL, DELI, DEI s. v. mora²) e pertanto probabilmente di origine etrusca] e traduco MURCE CAPUE come «dimorò, soggiornò a Capua» (toponimo in ablativo di luogo). È noto che Capua, in origine probabilmente osca, era diventata una città etrusca fin dal secolo V a. C. e - come già detto - fu conquistata da Annibale nel 212-211 a. C.
Interpreto invece il verbo TLEXE come «fu tolto, fu levato» in quanto connesso con la radice del verbo etrusco tul (Liber II 3, 15; III 22; IV 12, 13, 16; V 5, 9, 12; IX 4, 16, 18, 20; X 2; XI 19) probabilmente «togli!, leva!, solleva!» (imperativo forte sing.) (LEGL 121) da confrontare col lat. tolle (Trombetti, Olzscha). cisum pute tul «e tre volte solleva il calice»; ei(m) tul var «e non togliere affatto». (AV 0.28 – rec, su vaso) tul «solleva (alla salute)!». tule probabilmente «solleva!», «prendi!», imperativo debole sing., da confrontare ancora col lat. tolle e probabilmente da pronunciare tulle. (Ve 3.32 – 6: su ansa di vaso) mini tule «sollevami!» (= alla salute!) oppure «prendimi!, accettami (in dono)!».

Pertanto la mia traduzione dell'intera iscrizione è questa:

«La(ris) Felsinio (figlio) di Letio
visse anni 106
soggiornò a Capua
(e ne) fu cacciato dall’esercito di Annibale»


D'altra parte c'è da considerare che «fu tolto o levato dall'esercito di Annibale» potrebbe essere interpretato anche come «fu arruolato dall'esercito di Annibale», dandosi pertanto un argomento a favore di coloro che hanno interpretato che Felsinio fosse finito come soldato mercenario nell'esercito di Annibale, come di fatto era accaduto a numerosi individui di nazionalità etrusca. Io però escludo del tutto questa interpretazione, in primo luogo perché questa implicherebbe una certa forzatura del significato del verbo TLEXE «fu tolto, fu levato», in secondo luogo perché 70 o 60 anni dopo gli eventi storici su accennati, è estremamente improbabile che i familiari del defunto Felsinio facessero comparire nel suo epitaffio la notizia infamante della sua militanza nell'esercito di Annibale, cioè di colui che aveva seminato morte, distruzione e terrore in tutta Italia e quindi risultava essere ancora molto odiato dai suoi abitanti.
A maggior ragione, a mio avviso, va respinto il tentativo, che è stato pure effettuato, di vedere nella iscrizione un riferimento a qualche episodio bellico avvenuto nelle vicinanze di Capua. Nulla di tutto questo traspare o semplicemente trapela dalla nostra iscrizione.
C'è da precisare che il gentilizio FELSNAS (in genitivo patronimico fossilizzato) è del tutto isolato a Tarquinia, mentre è frequente nell'Etruria settentrionale. E infatti la lontana origine del nostro personaggio quasi certamente era Felsina o Bologna, dato che abbastanza chiaramente si vede che il gentilizio in origine era un cognomen avente il significato di «nativo di Felsina». In ogni modo il nostro personaggio dunque, una volta cacciato da Capua dall'esercito di Annibale, aveva finito per trasferirsi a Tarquinia, dove aveva terminato i suoi giorni.
In questo personaggio stupisce molto anche la sua lunga vita, 106 anni, e qualche interprete recente ha parlato in proposito di “longevità millantata”. Io però non condivido questa considerazione: anche nel presente dappertutto si trovano, come eccezione, individui centenari e supercentenari e niente impediva che questa eccezione valesse anche nell'antica Italia.
Bibliografia essenziale con sigle

AEI       Devoto G., Avviamento alla etimologia italiana, Firenze 1968².
CIE       Corpus Inscriptionum Etruscarum.
DEI       Battisti C. - Alessio G., Dizionario Etimologico Italiano, I-V,   Firenze 1950-1957.
DELG   Chantraine P., Dictionnaire Étymologique de la Langue Grecque - Histoire des mots, I-II, Paris 1968-1980.
DELI     Cortelazzo M. - Zolli P., Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, I-V, Bologna 1979-1988; DELI²    II ediz. a cura di M. Cortelazzo e M. A. Cortelazzo, col soprattitolo Il nuovo etimologico, 1999.
DELL    Ernout A.  Meillet A., Dictionnaire Étymologique de la Langue Latine, IV édit., IV tirage, Paris 1985.
DETR    Pittau M., Dizionario della Lingua Etrusca, ediz. digitale Ipazia Books, 2014.
DICLE  Pittau M., Dizionario Comparativo Latino-Etrusco, Sassari 2009, Libreria Koinè.
ESL       Breyer G., Etruskisches Sprachgut im Lateinischen unter Ausschluss des Spezifisch Onomastischen Bereiches, Leuven 1993.
ET         Rix H., Etruskische Texte, Editio Minor, I Einleitung, Konkordanz, Indices; II Texte, Tübingen 1991 (le iscrizioni sono citate con le sigle di quest'opera).
Etim      Nocentini A., l’Etimologico, Firenze 2010, Le Monnier.
GDLI    Battaglia S., Grande Dizionario della Lingua Italiana, I-XXI, Torino 1961-2002.
GEW     Frisk H., Griechisches Etymologisches Wörterbuch, I-III, II ed., Heidelberg 1973.
GTLE    Pittau M., I grandi testi della Lingua Etrusca tradotti e commentati, Sassari 2010, C. Delfino editore.
LEGL    Pittau M., La Lingua Etrusca - grammatica e lessico, Nùoro 1997 (Libreria Koinè Sassari).
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LIOE    Pittau M., Lessico italiano di origine etrusca – 407 appellativi 207 toponimi, Roma 2012, Società Editrice Romana (Libreria Koinè Sassari).
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REW     Meyer-Lübke W., Romanisches Etymologisches Wörterbuch, III Auflage, Heidelberg 1935.
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ThLE    Thesaurus Linguae Etruscae, I Indice lessicale, Roma 1978; I Supplemento, 1984; Ordinamento inverso dei lemmi, 1985; II Supplemento, 1991; III Supplemento, 1998.
ThLE²   II edizione, Pisa-Roma 2009.
TLE     Pallottino M., Testimonia Linguae Etruscae, II ediz., Firenze 1968.
TIOE    Pittau M., Toponimi Italiani di origine etrusca, Sassari 2006, (Libreria Koinè).

LIBRI LETTI: Sa Sedda ‘E Sos Carros






Sa Sedda ‘E Sos Carros
E La Valle Del Lanaitho
Di M.A. Fadda e G. Salis

Serie ‘Guide ed Itinerari’ (46)
Carlo Delfino Editore


Non ci si aspetta certamente un trattato approfondito, bensì un piacevole compagno di visita durante una scampagnata archeologica naturalistica, come spesso la Delfino sa fare, con l’aggiunta d’iconografie in genere sempre accattivanti.

In questo caso, però, sono rimasto deluso da troppi dettagli, così tanti e vari, che non posso citarli tutti: mi limiterò a quelli che considero più importanti per la comprensione dell’argomento, saltando a piè pari gli errori di lingua italiana (‘silos’ al posto di ‘sili’, ‘cultuale e non’ invece di ‘cultuale e no’, etc ) che, pur gravi, non compromettono l’archeologia e la storia.

La prima parte del trattatello è firmata da Gianfranca Salis, che tratta prevalentemente la parte naturalistica ambientale e biologica. Qui, il difetto maggiore mi sembra stia nel chiamare ‘Sisaia’ (scarafaggio, blatta) quella che in realtà dovrebbe essere ‘Bisaia’ (bisavola). È fatto senza neppure citare l’origine di questo spiacevole equivoco, nel quale invece di una traduzione del termine scelto da ricercatori non sardi (Ferrarese Ceruti e Germanà non conoscevano il sardo-nuorese), vi fu un irriverente tradimento vero e proprio da parte d’accompagnatori e guide, che probabilmente consumarono la loro marachella in un momento d’allegrezza alcolica.

La seconda parte è prevalentemente la descrizione archeologica del sito e anche – più malauguratamente – la sua interpretazione, a cura di Maria Ausilia Fadda.
Esistono numerosi motivi di disappunto, qui.
- Per primo: il riferimento al nome del sito “Sedda ‘E Sos Carros” è attribuito a un’antica economia legata alla selvicoltura (che è falso; l’economia era pastorale: il taglio degli alberi fu un ordine preciso impartito dal re piemontese, accompagnato da false promesse che non furono mai esaudite e che alla fine danneggiarono gravemente l’economia e l’ambiente locali). Già l’introduzione d’ambientamento è molto fuori bersaglio, quindi…


Il sito risale al 1300 a.C. La Fadda non dice che il sito è bellissimo. Né che si tratta di un’opera di inaspettata e brillante ingegneria idraulica non necessaria, tanto ben studiata ed interamente artistica quanto certamente del tutto superflua per la sopravvivenza quotidiana della comunità locale.
L’archeologa deduce che il luogo fosse un tempio ad una divinità dell’acqua*, che illustra le capacità progettuali degli architetti nuragici* tra il 1200 ed il 700 a.C.

Se gli archeologi sardi imparassero una buona volta a scrivere comunicando l’entusiasmo (che essi stessi dovrebbero provare, prima, durante e dopo gli scavi) per ciò che è bello e vale ed è significativo, forse anche i lettori s’appassionerebbero e sarebbero più numerosi. Invece essi scrivono come se fossero tecnici annoiati di sala settoria che esaminano un cadavere già freddo, procedendo ad elencare lettere e numeri di ambienti e suppellettili, senza gioia, senza un lampo di luce, senza il sorriso da bambino che la sorpesa sa sempre accendere sul viso di chiunque veda certe cose per la prima volta. Invece l’autrice si sofferma niente, troppo poco sull’eccezionalità del sito, per lanciarsi subito sulla descrizione di come e perché presto (troppo presto) questa meravigliosa struttura sia stata distrutta dalla natura… L'impressione che il lettore ne ricava è quella di un effimero di vita breve.

*Faccio notare di passaggio che non ci vuole troppa fantasia a pensare ad un’ignota divinità dell’acqua, ma che altre ipotesi sono possibili. Più grave è invece il riferimento (ripetuto) agli ‘architetti nuragici’ nell’epoca cui le date si riferiscono.
Il ‘Nuragico’ era ormai finito. I Sardi che edificarono i Bagni di Sedda ‘E Sos Carros erano certamente i legittimi eredi lontani dei Costruttori, ma appartenevano ad un’altra Cultura e non costruivano più da secoli i Nuraghi (e la Fadda stessa lo dice: "i cui valori alla fine del bronzo furono messi in crisi dall'apporto fondamentale di culture esterne che si andavano affermando in tutto il Mediterraneo"). 
Ne riproducevano le icone – certamente – come sarebbe possibile comportarsi in altro modo, in un’isola che ti presenta un nuraghe quasi ovunque tu ti possa voltare? Ma definirli ‘nuragici’ equivale a legittimare la medesima definizione per chiunque, ancora oggi, porti una maglietta con un nuraghe sopra: non è scientifico e confonde il lettore.

Peggio ancora con le ipotesi formulate. Ne cito tre solamente.
- A me importa poco immaginare il vero motivo per cui si saldassero alla pietra sottili bronzi a forma di spade, preparati in precedenza dai fanatici (addetti al fanum/tempio) per i fedeli che pagavano certamente un obolo. Mi pare evidente che l’obiettivo fosse l’obolo, per il mantenimento del tempio e che i fedeli l’avrebbero versato per qualunque altra forma in bronzo fuso gli potesse essere proposta. I tripli salti mortali per dimostrare comee perché si legasse simbolicamente la riproduzione votiva di una spada alla possibile divinità ctonia dell’acqua sono – conseguentemente, per me – buffissimi.
- L’archeologa cita altri siti simili a questo (innecessariamente, secondo me: non è una pubblicazione scientifica, si tratta di divulgazione!) e fa riferimento al ‘battesimo del sangue’ immaginato da altri colleghi per gli altri siti. Alla fine dell’inutile divagazione, ella esclude che il sangue animale fosse mai stato usato nel fine meccanismo di scorrimento vascolare di Sedda ‘E sos Carros, perché si sarebbe ostruito… A parte il fatto che non vedo affatto la necessità d’immaginare (senza un valido motivo d’appoggio) riti così cruenti per i Sardi di qualunque epoca, vorrei tranquillizzare la signora Fadda circa il fatto che il sangue non avrebbe ostruito un bel niente e sono disposto a tenerle una lezione privata gratuita circa il fenomeno fisiologico della coagulazione dello stesso, purché mi prometta di non scrivere più simili corbellerie ...
- Infine, l’archeologa trova il modo di stupirsi (non di fronte alla meraviglia struttura) per via della presenza di ‘abbondanti frutti di mare, come telline, patelle ed altre conchiglie, che dimostrano che i nuragici del Lanaitho avevano trovato un rapido sistema di collegamento per raggiungere la costa in tempi brevi e fare ritorno alla valle in tempi brevi per consumare cibi facilmente deperibili’.
Qui siamo, più propriamente, nel mondo di Voyager: il reperimento di gusci di conchiglie in un sito abbastanza lontano dal mare non ci fa pensare alla possibile raccolta per braccialetti, collane ed altri ornamenti, bensì – subito – al consumo alimentare, sottointeso come abituale e giornaliero.
Ammetto sia possibile un uso alimentare.
Ma non posso fare a meno di sottolineare che diversi articoli scientifici hanno dimostrato senza ombra di dubbio che in Sardegna (ma in tutto il Mediterraneo antico) non si consumavano di regola mai (se non proprio eccezionalmente) prodotti di mare. Un articolo riassuntivo/esplicativo di ciò è comparso recentemente sull’ultimo numero della rivista semestrale “Sardegna Antica”, numero 45: “Paleo dieta dei Sardi Preistorici”.


Splendida l’iconografia.
Insoddisfacente il testo.
Splendido il posto.
Merita il viaggio, un po’ scomodo e lungo, a fronte dei numerosi  motivi per affrontare l’escursione: naturalistici e paesaggistici, archeologici, fotografici e altro ancora (se incontrate un muflone, capirete esattamente cosa altro!). Un'altra Sardegna, che resiste per quanto possibile alle antiche mortificazioni e cerca di non subirne più.

lunedì 15 settembre 2014

Sa Gratzia


Noi facciamo così.

Finita la cerimonia del matrimonio, la madre della sposa aspetta insieme a tutti gli invitati che la coppia esca.
Tutti lanceranno sulla coppia neocomposta grano, sale, monete, petali di rosa.

Oh, sì, dimenticavo: molti sardi ti correggeranno – a questo proposito – e ti assicureranno che il sale non c’è e che le monete, forse, neppure. 
E poi (alcuni aggiungeranno, cinicamente) provati a trovare dei chicchi di grano, al giorno d’oggi! Devi pensarci con grande anticipo, magari andando in un’erboristeria modernissima, oppure da un commerciante agricolo (pronto a vendertene un sacco da 50 kg)… Eddové la tradizione?

Più spesso, quindi, si ripiega sul riso e su foglietti di carta colorata, anche in Sardegna.
Che tristezza, però, picciocché...

Ma la madre della sposa sa di avere un preciso dovere: per quanto si possa essere prima commossa e malgrado il pianto ed i singulti irrefrenabili durante la cerimonia alla pronuncia del reciproco ‘Sì’, ella ha un compito che svolgerà con la determinazione estrema di un antico cavaliere rossocrociato in difesa della TerraSanta e dal quale nulla potrà distoglierla.
 
Deve rompere quel piatto in cui prima custodiva gelosamente grano, petali, sale e monete lanciati agli sposi, scagliandolo a terra con forza insospettata. 

Alcuni turisti - casualmente presenti - si spaventano a morte.

E se qualcuno degli invitati – incautamente – aveva anch’egli portato un piatto, ci sarà sempre qualcuno presente tra la folla che glielo tombolerà proditoriamente per terra.  Perché ogni contenitore dei simboli dell’augurio di ‘sa gratzia’ deve essere infranto, per rigida Tradizione antica.

In molti, moltissimi pezzi.
Tanto più numerosi i frammenti, tanto più completa la soddisfazione. Tanto maggiori saranno l’abbondanza, la saggezza, la ricchezza, l’amore durante tutta la vita coniugale.
Perché?
Non lo so: so che noi facciamo così.

Se sei un tipo curioso, ti potrai anche chiedere se ci sia qualche possibile analogia con la rottura di una coppa di vetro tipica del matrimonio ebraico.
Forse sì, forse no. Bisogna anche tenere conto del fatto che i due gruppi (Sardi ed Ebrei) sono isolati culturali (e genetici) e quindi molto conservatori, ma non s’identificano. Inoltre, le due tradizioni si rifanno certamente a tempi più antichi, a luoghi differenti…

Alla rottura del bicchiere ebraico, tutti gridano ‘Mazel Tov’, che significa ‘congratulazioni e buona fortuna’. Pare ovvio che le due cose s’identifichino e che l’augurio sia mediato, permesso, originato dalla rottura del simbolo. Ma certamente, la rottura del piatto sardo non può essere facilmente messo in relazione con la distruzione del Tempio di Gerusalemme.

- Il rumore forte, provocato dalla rottura è atto a ‘spaventare i demoni’ che potrebbero avere volontà contrarie al bene della coppia.
- La rottura dell’oggetto è qualche cosa di definitivo e non più riparabile: sembra presentare il mutamento radicale delle due vite unite in matrimonio, che non torneranno mai più come prima.
- Inoltre, la fragilità estrema  del simbolo, sottolineata dalla sua rottura, ammonisce contro la fragilità  del corpo e dell’animo umano e contro le possibili sorprese che tali debolezze possono implicare.
- Ed infine – forse – ‘sa gratzia’ necessita di un sacrificio vero, di una rinunzia a qualche cosa di intimo e di personale, di appartenenza della casa, per potersi realizzare compiutamente, attraverso un processo di magia simpatica , o qualche cosa di simile.

Insomma: non lo so.
Ma da noi si fa così.

E quindi prima di sposarsi ci si pensa bene su, perché troppe cose restano inestricabilmente aggrovigliate, in quel nodo gordiano. Che è solo apparentemente un semplice nodo. A guardarlo meglio, è più complicato del nodo di Gordio e forse anche più ineludibile. Non per niente un proverbio sardo recita: "alla bestia la fune, all'uomo l'onore", che può valere solo laddove all'onore dell'essere umano si creda ancora. 
Inoltre, quel nodo contiene, com’è ovvio, anche tutti i già innumereveli simbolismi più o meno compiutamente espressi e già insiti nel rito e nel mito del matrimonio di tutti i paesi del mondo...

Se non vuoi averci a che fare, stanne lontano, quindi: la spada reciderebbe molte altre cose, oltre al nodo stesso.

E ricordati bene: "Su qui est intra su coru l'ischit Deus et su punzone"*.

*) "Ciò che è dentro il cuore lo sa solo Dio ed il coltello".
E' un proverbio barbaricino: Puoi anche non credere in Dio - fatti tuoi - ma dovrai comunque credere al coltello e quindi comportarti secondo il Codice de Justitzia.