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martedì 17 settembre 2013

Neuroarcheologia


NEUROARCHEOLOGIA
Mi chiedi ora – seriamente? – che cosa sia la NeuroArcheologia. Cercherò d’essere serio nel parlartene, amico mio, ma non è facile: lo scherno mi verrebbe più naturale....

Fino ad oggi la cosa è stata (volutamente) spiegata alla gente comune e ai non addetti in modo per essi oscuro e complesso, con sontuoso impiego di tecnicismi pseudoscientifici (‘network corticali e sottocorticali’, ‘plasticità neurale’), ricorrendo a difficili contorsioni esistenziali (‘come emerge il pensiero simbolico?’) e a paroloni incomprensibili (‘complessità dell’architettura cognitiva della mente umana’): si è fatto di tutto, cioè, pur di non spiegarlo affatto… Questo è un noto ed abusato metodo per trasmettere al volgo non l’argomento di cui si parla, bensì il concetto: ‘Io scienziato, tu popolo bue’.
Funziona con i pirla senz’arte né parte che ci cascano e fa inc…uietare chi fa uso della logica, invece che dell’ideologia.

La neuroarcheologia comprenderebbe con il proprio ampio respiro un campo di ricerche interdisciplinari, “che focalizzano le problematiche emergenti tra encefalo e Cultura, percorrendo le traiettorie del divenire umano”.

E alla fine – invece di dare risposte – si sono solo poste altre domande, naturalmente, sottointendendo che la NeuroArcheologia potrebbe rispondere ad esse, quali ad es.: “Com’è possibile identificare le tracce materiali delle capacità simboliche nei reperti archeologici? Quale legame esiste tra la struttura funzionale del cervello e le tracce comportamentali osservabili archeologicamente, considerando l’inestricabile relazione tra il binomio cervello/corpo e l’ambiente?”

Ma alla fine, dato che qualche cosa si deve pur proporre, eccola qui: “La neuroarcheologia si propone di comprendere i meccanismi di sviluppo nel lungo termine della sinergica co-evoluzione del cervello con la cultura e il mondo materiale”.
Chiarissimo, quindi, anche preciso, se ci si pensa bene: un atteggiamento fastidiosamente parolaio, per spiegare qualche cosa che è ancora indefinito, fin da quando fu – furbescamente – architettato. [1]Una cervellotica ipotesi di lavoro (niente di più), che la logica rifiuta del tutto.
Una volta si ricorreva al Latino, per sembrare saggi ed istruiti e riuscire ad essere incomprensibili all’uditorio. Oggi si ricorre preferibilmente all’Inglese (facci caso: è il motivo per cui la ‘rotazione con tiranti’ della ‘Concordia’ si definisce ‘Parbuckling’. Tutta la faccenda diventa molto più difficile ed interessante!).
Si ammoniscono persino gli archeologi (che si suppone siano smidollati e praticoni materialisti, che  forse anche indulgono nella deboscia più turpe) che essi “potrebbero imparare molto dai metodi delle Neuroscienze per stabilire legami ‘testabili’ empirici e concettuali tra struttura cerebrale, funzioni cognitive e comportamenti archeologicamente osservabili”. E anche: “… gli studi sulle demenze possono dare un notevole contributo alla comprensione dei meccanismi evolutivi della mente dell’uomo moderno, partendo dall’indagine di quella che nella progressiva perdita di moduli corticali può essere definita “ancient mind”.

In parole povere (e quindi comprensibili a tutti), si sostiene che la regressione della mente di un paziente singolo (affetto da una demenza, quindi una malattia degenerativa che ‘spegne’ gradatamente ma ineluttabilmente sempre più numerose unità funzionali del cervello, dette neuroni) ne riduce ovviamente le prestazioni, conducendo alla semplificazione in tutte le espressioni dell’individuo: eloquio, comprensione di immagini e parole, capacità di concentrazione, profondità di analisi, scrittura (è questo è lapalissiano, non è certamente nuovo, ma almeno è chiaro, spero).
Ma oltre a ciò si sostiene che questa regressione del singolo ad uno stadio ‘più primitivo’ sia uno stadio identico ad uno stadio che – in passato – è stato uno stadio comune a tutta l’umanità e non solo a quel paziente: è quindi un ritorno ad una fantomatica “mente antica” di tutti gli uomini del mondo.
Questo non è affatto credibile: non credo sia scientifico.
In Inglese (così sembrerò anche io più colto!) è quello che si chiama ‘wishful thinking’.  Il che significa la formulazione di pensieri e la scelta di decisioni effettuate più secondo quanto è gradito all’autore, che non secondo evidenza, razionalità, o realtà.  È il procedimento per cui si ritengono ottimisticamente probabili esiti positivi che non quelli negativi.
(Non è affatto da confondere con il ‘positive thinking’, il pensiero pratico e fondato, che influenza positivamente il comportamento tanto da permettere realmente risultati migliori).
Che i ‘segni’ siglati dai pazienti malati di una demenza diventino ‘primitivi’ nel senso di rudimentali risponde certamente al vero: il paziente non riesce a fare di più, perché i mezzi per un migliore risultato sono venuti meno.
Se vogliamo, è il motivo per cui – dopo molti anni che non andiamo in bicicletta, oppure sui pattini – non riusciamo più a farlo. Il motivo è che abbiamo perso, col tempo, i neuroni preposti a quelle attività motorie e di controllo dell’equilibrio. Non avendo proseguito nell’esercizio, non è stato possibile ad altri neuroni sopperire alla mancanza dei primi, vicariandone la funzione. Risultato: la nostra mente ricorda perfettamente quello che dobbiamo fare, ma il nostro corpo non riesce assolutamente ad eseguire l’esercizio, perché gli mancano le connessioni neuromuscolari per compierlo. Quest’ultimo è un fenomeno fisiologico d’invecchiamento, che comporta la perdita giornaliera di numerosi neuroni. La malattia degenerativa è invece un fenomeno molto più devastante e rapido.

Ma che quei segni, tracciati con difficoltà dai malati, corrispondano a quelli di un passato che dovrebbe interessare gli archeologi è umoristico.
Equivale a sostenere che i malati di demenza Turchi oggi scrivano in Ittita e che gli Alzheimeriani
Egiziani scrivano in antico Egizio e così via...
Gli antichi abitanti di un qualunque paese del mondo non hanno mai fatto ‘segni’ simili a quelli di un’altra località.
Infatti, la teoria ‘Neuroarcheologica’ ha convinti avversari anche tra gli addetti ai lavori, oltre che tra i debosciati archeologi. [2]
Fino ad oggi, la teoria non ha fatto molta strada, infatti è arenata nelle posizioni di partenza e secondo alcuni non se ne sentirà parlare gran che in futuro.
Ma – naturalmente – coloro che hanno puntato su di essa per promuoversi devono atteggiarsi a conoscitori esperti e vanno in giro proprio come il re nudo della favola, pavoneggiandosi con nulla addosso. Essi dichiarano di capire i difficili concetti della Neuroarcheologia, mentre gli altri non ci arrivano, poveretti.
La verità è che non c’è nulla da capire.
Fuffa: la Neuroarcheologia ed i lavori che ad essa si appoggiano per sembrare "scientificamente" fondati.



[1] Lambros Malafouris: My research interest is in the archaeology of mind and the anthropology of the brain artefact-interface (BAI) – covering topics extending from early stone tools and the ‘exographic’ symbolic technologies of more recent periods, to the latest developments in neuro-prosthetics and cognitive enhancement. My research aims at developing ways to understand the long-term implications and causal efficacy of material culture in the functional architecture of the human brain and the evolution of human intelligence (especially with reference to human capacities related to self awareness, memory, theory of mind, agency and the body schema). For the last few years I have been working on the Material Engagement approach to the study of mind and the archaeology of extended and distributed cognition. I also participate in the European Platform for Life Sciences, Mind Sciences, and the Humanities (Volkswagen Stiftung).
[2] Thomas Donaldson: “Solving the problem of neural archaeology is like curing or preventing all diseases. It won’t happen”.

sabato 14 settembre 2013

Scarabeo Parolaio

Caro amico mio Pasuco:

questa volta, ti scrivo perché succede qualche cosa di divertente.
Oltraggioso, sì, ma anche divertente.
Sarà la stagione, chissà.
Gli scarabei stercorari di MonteParma hanno ripreso leggiadri a rotolare le loro palle di sterco, con rinnovata lena, per seminarci dentro le loro immonde uova, in modo che la nuova generazione di larve sia contenta ed abbia tanta cacca olezzante di cui cibarsi.

Groupies imbirrazzite ed affamate, nani deformi stitici ma dialettali, saltimbanchi artritici e bolsi, predicatori prostatici visionari e donne Letizie apologetiche.

Ci sono proprio tutti e ognuno rotola assiduamente la propria pallina identitaria e distintiva e davvero a nessuno importa la verità. Con la verità, questi, ci fanno la birra…

Ma perché lo fanno, amico mio? Te lo chiedi, ogni tanto?

Difficile a dirsi. Alcuni, forse solo perché non hanno proprio un tubo di altro da fare… Hanno incontrato Yahweh e sono rimasti abbrustoliti come una falena sul lampione, con un sorriso ebete sulle labbra tumide e con gli occhiali appannati dall’emozione. Cornuti come Mosè dopo la rivelazione, come la statua del Michelangelo nel mausoleo di Papa Paolo II a San Pietro in Vincoli...

Altri motivi?
Mah, chissà,vediamo…

Se ti scrivo nel menù un  ‘brodino di pollo ristretto’, te lo posso mettere a un euro e magari mi tocca sentire le tue rimostranze, perché tu sei uno che il brodo di pollo ed i polli li conosce bene, anche quelli mannari.
Ma se ci scrivo ‘Consommé’ te lo schiaffo sicuramente a cinque. E ti tocca pure stare zitto, perché non sai nemmeno come si pronunci, quella parola: ti vergogni a farti sentire mentre sussurrando chiedi ad un tuo intimo amico: “Ma che cos’è il Consumè?”.

Ecco: è tutto qui, il trucco! Non credevi fosse così semplice, vero?
E invece sì. Altro esempio?

I giornalisti scrivono sempre ‘espianto di organo’, invece che ‘prelievo di organo’ destinato al trapianto. E sai perché? Ma è facile, dai!
Perché la parola ‘prelievo’ suona troppo come un comunissimo prelievo di sangue alla ASL, non ha quel terribilismo  Salgariano che fa così amabilmente salire le vendite… Sì, hai ragione, in realtà ‘espianto’ andrebbe riservato alla rimozione dell’organo trapiantato dopo il rigetto, ma la gente che ne sa? Espianto suona meglio e usiamo quello, anche se è una bugia..

Il primo principio dello scarabeo stercorario è: sii sempre un parolaio e li fregherai sempre tutti.

Ma di princìpi ce ne sono molti altri, porcellino… 
Per esempio: non mettere mai un prezzo basso a quel che vendi. Il prezzo deve sempre essere anzi oltraggiosamente alto, perché un prezzo basso non significa che sei onesto, significa che stai vendendo roba di pessima qualità…
Eh, sì, amico mio: se la gente desidera essere gabbata, lo sarà. Sai come dice il motto: fatti pecora e lupo te se magna
Vendilo a 80 euro e ripeti sempre che bisogna leggerlo molte volte, per capirlo: vedrai che tutti, prima o poi, per non ammettere di essere scemi, cominceranno a dire che iniziano a comprenderlo, anche se non c'è niente da capire (ma è un ricordo che vale 10 lire). Bugia, certo: ma lo sai solo tu (e loro). E' la favoletta del Re Nudo, ricordi? Ah, le favole piacciono a grandi e piccini!

Io ti scrivo nella locandina galeotta, per esempio: “Neuroarcheologia”.
E tu ci caschi subito dentro a piè pari, se già in partenza non sai che cosa è il consommé! Io devo essere veramente un tipo in gamba, se conosco certi paroloni, non credi? Non ti appaio già un po’ come Yahweh, con le Tavole della Legge (di Tzricottu) in una mano e un Kaf (decaffeinato, però: ho un’età, ormai!) nell’altra?
Non puoi sapere che persino il furbetto Malafouris che questo termine lo ha inventato per primo ancora non sappia bene di che cosa si tratti, non abbia certezze circa il metodo e la sua reale efficacia.

…Certo, è un bel parolone ed intimidisce un sacco! Allora usiamolo, dai! Tanto, quelli che ne sanno? Che ci capiscono?

Mi chiederai: riguarda l’archeologia? Niente affatto. Ma loro non lo sanno!
Riguarda la Medicina Generale? Niente affatto. Ma verranno lo stesso al Seminario: ci sono i crediti!
Ma allora non gli servirà a un tubo, nella loro professione medica! Ma chissenefrega! Basta che vengano.
Ma che cos’è – insomma – questa Neuroarcheologia? Ma perché lo chiedi a me? Deu cumprendu nuddha de custa cosa. 
Basta che qualcuno pensi che l’Archeologia c’entri in qualche modo.
Infatti, lo sponsor è la Scuola di Archeologia di Sassari, pensa un po’!

Ma di che cosa si parlerà?
Di come i Malati di Alzheimer (tutti) semplificano i segni della loro scrittura, con l’avanzare della loro malattia e di come questi segni, semplificandosi, vadano sempre più assomigliando ad archetipi (altra bella parola, dai!) ed ai segni che gli antichi sardi scrivevano, nella loro antica scrittura nuragica, un po' dappertutto in Sardegna. Quella che io ed i miei seguaci stiamo scolp... ehm, trovando dappertutto, tanto che ormai abbiamo vinto la nostra sacra battaglia, che non è di un giorno, contro i nostri oscurantisti avversari ormai tutti depressi, divisi ed abbattuti.

Lo studio è su malati sardi, vero?
Certamente.
Ma se fosse su malati toscani, avrebbero scritto in Etrusco?

Ba’ a cagai: tu non capisci nulla di Epigrafia, né di Archeologia, né di Neurologia, né di Fisica e ti permetti anche di parlare! Sei un miserabile infame, sei un indegno gabbaroballo, sei un imbecille incolto, sei un volgare giacobino, sei un servo degli accozzati accademici, sei… e non ti permettere di brullare sulla tragedia dei familiari e dei malati di quella terribile malattia!

Ma un libro che parla di questo e che vende a 60 euri non specula sui malati?
No! Eresia!  E' un libro di linguistica, catalogato tra i dizionari! Al massimo è archeologia! Non è un libro che promette cure o guarigioni! Vade retro, Satana!

Solo noi possiamo darci una definizione, solo noi conosciamo l'argomento: voi siete gaglioffi e barbari e malevoli diffamatori!

E voi siete l'Armata Brancaleone Shardariana, è chiaro...

Tutto nel nome della Scenza, con la ‘S’ maiuscola e pomposa, ma purtroppo senza quella ‘i’ che la renderebbe almeno un po’ più digeribile: in fin dei conti, ragazzi, si tratta di mandar giù palline di sterco!

Certo: la birra, magari, aiuta.

mercoledì 10 luglio 2013

UN UOMO SINGOLARE

Oliver Sacks ha 80 anni: gioia nella vecchiaia. 

Un medico neurologo.Uno scrittore prolifico ed intrigante. 

Oliver Sacks, 80 anni ieri.

Un uomo singolare.

Nella foto tratta dal web il 7 luglio 2013 il neurologo e scrittore Oliver Sacks
dal Web Log di Oliver Sacks
Oliver Sacks a 80 anni, la gioia della vecchiaia
Confessioni di un ottuagenario inglese che vive e lavora in USA: ovvero, "la gioia della vecchiaia". Il neurologo di 'Risvegli' (da cui è stato tratto il film con DeNiro e WilliamsOliver Sacks proclamava qualche giorno fa che il suo ottantesimo compleanno segna l'inizio di una nuova era: "Non penso alla vecchiaia come a un epoca più triste da sopportare ma un tempo di piacere e libertà: libertà dalle fastidiose urgenze di giorni precedenti, libertà di esplorare i miei desideri e di legare assieme pensieri e sentimenti di una vita".
L'autore dell'intrigante libro "L'uomo che scambiò la moglie per un cappello" (fu il suo primo bestseller) e la cui ultima opera è 'Allucinazioni'  ha compiuto ieri i fatidici ottanta anni. 
Il suo 'Elogio della Vecchiaia ' è apparso sulla pagina delle opinioni del New York Times. "Ottanta! Non riesco a crederci", scrive Sacks: "Spesso mi sembra che la vita sia appena cominciata e subito mi accorgo che sta per finire". Non è per giovanilismo che il neurologo si sente giovane, ma perché è cresciuto così fin da ragazzo: sua madre era sedicesima di 18 figli, lui l'ultimo di quattro. "Sono sempre stato il più giovane nella mia classe al liceo e questa sensazione, di essere il più giovane, mi è rimasta anche se adesso sono quasi la persona più vecchia tra le mie conoscenze". La realtà è che, a dispetto di una serie disparata di problemi medici e chirurgici che includono un cancro superato, gravi problemi di vista e alle ossa, Sacks è "felice di essere vivo".
Felice "di aver provato tante cose - alcune meravigliose, altre orribili - di aver saputo scrivere decine di libri e di aver ricevuto innumerevoli lettere da amici, colleghi e lettori. Di aver goduto quella che Nathaniel Hawthorne aveva definito 'una comunione col mondo'". 
Rimpianti, pochi: "Aver perso tanto tempo. Essere ancora terribilmente timido come ero a 20 anni. Non parlare altro che la mia lingua madre. Non aver viaggiato e conosciuto altre culture come avrei voluto". Ma il bilancio è quello di una vita ben vissuta e pronta a ad essere vissuta ancora per anni: "Spero di completare la mia vita", scrive il neurologo. E che alcuni dei suoi libri "continuino a parlare ancora" dopo la sua morte. Di qui la bellezza degli 80 anni: "Uno può ancora guardare lontano e avere un vivido, vissuto senso della storia impossibile quando si è più giovani. Posso immaginare, sentire nelle mie ossa, il significato di un secolo. Non avrei mai potuto farlo a 40 o 60 anni".

Per saperne di più:
http://www.innernet.it/la-natura-della-consapevolezza-intervista-a-oliver-sacks/

Vive a City Island nel Bronx,  il dr. Sacks è professore di neurologia clinica alla facoltà di Medicina Albert Einstein.
Famoso per le sue intuizioni straordinarie sul mondo interiore dei pazienti affetti da malattie neurologiche, esposte in modo chiaro e divulgativo nei suoi libri:

-L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, 
-Emicrania, 
-Risvegli, 
-Zio Tungsteno, 
-Un antropologo su Marte, 
-Vedere voci, 
-Su una gamba sola, 
-L’isola dei senza colore  
-l’isola delle Cicadine
-Allucinazioni. 

Indubbiamente, un Neurologo capace ed un

professionista serio. Viene da domandarsi

perché non abbia mai citato la 

'neuroarcheologia': forse anche lui la considera 

una solenne fesseria?



domenica 10 marzo 2013

Incultura Rampante, ma rispettabile, diamine!


In questo blog ho portato (e continuerò a riportare) vari scritti di validi esperti su materie ed argomenti diversi.

Capisco forse di annoiare qualcuno (non me ne importa poi gran che: basta andare altrove, l’Internet è un mare navigabile e vasto) e di fare arrabbiare qualcun altro (e davvero non me ne cale proprio nulla, così imparano a fare i pataccari).

Mi sembra che ormai sia tempo di tracciare un chiaro e netto confine, tra le pseudoscientificherie dei fantarcheologhi e la scienza (che già ha tanti problemi anche da sola e non ne abbisogna d’altri).

Ora, certe belle persone sono arrivate a cercare di carpire l’approvazione accademica, magari  anche attraverso matrimoni multinazionali: i pataccari Inglesi (e di altre nazionalità, sia chiaro) invitano quelli Italiani a parlare e viceversa. La rete di sostegno è sempre più complessa.
Si vuole affermare il principio per cui, se lo dicono gli Inglesi che questa pataccata è vera, allora deve essere vera! Perché gli Inglesi sono gente seria (paragonati a chi? si potrebbe chiedere).
In genere sì: più seri lo sono. Ma anche lì esistono i pataccari, con le precise, identiche motivazioni dei pataccari latini, solo che loro sono biondi ed hanno gli occhi chiari, che sembrano più onesti.
Anche per questo motivo ho descritto i movimenti di terra di cemento e di gru che hanno interessato Stonehenge per anni: quando si patacca – amici miei – si patacca e non si può, né si deve negarlo. Infatti oggi, nei pamphlets illustrativi del sito di Stonehenge, quella ormai vecchia azione di pataccaggio è doverosamente ammessa e riportata.
Chi fece il falso di Piltdown era, appunto, inglese anche lui. Non è stato scoperto se non dopo molti anni. Ma ha prodotto danni sensibili, come riporto nel post: per decine d’anni ha distolto attenzione, forza, finanziamenti, interesse pubblico ed individuale alle ricerche vere e giuste, che erano condotte in Africa e che portarono alla scoperta epocale dell’Australopitecus e del Ramipitecus.

Ogni falso causa questo tipo di danno. Per questo va sempre combattuto.
Quindi, le notizie strepitose vanno sempre vagliate attentamente.

I ricercatori che non sbagliano mai sono solamente tristissimi buffoni.
Gli “autori” che scrivono solamente nei blog e mai nelle riviste scientifiche, sono falsi scienziati e veri cialtroni: si offendano pure e poi vadano al diavolo, con la loro ideologia malata.

Anche per questo scrissi l’articolo su come chiunque possa identificare un falso: un’affermazione un po’ ottimistica, forse, ma non troppo lontana dal vero. Il ciarlatano è un imbonitore, che scrive cose piacevoli per l’uditorio, lo deve affascinare, ne deve rapire la fantasia. In Spagna, egli deve postulare l’assoluta superiorità degli Spagnoli antichi, in Germania deve scoprire la superiorità dei Germani...

Deve produrre, poverino, sempre nuovi e più convincenti argomenti: non è un caso che ormai il 25% dei vasi etruschi esistenti sia oggi considerato composto da falsi.

Una volta il falsario non desiderava anche essere considerato un erudito: vendeva di nascosto la sua merce clandestina (un misto di roba vera da tombarolo e di roba da pataccaro) e si contentava di costruirsi una bella casa e di avere di che campare: era sempre meglio che lavorare.
Oggi no: oggi vuole anche essere considerato un esperto, un ricercatore, persino – incredibile! – una persona degna di rispetto.

Oggi, d'altronde, le cose sono differenti: anche perché oggi c’è la crisi, e nessuno compra più le patacche. Oggi – poi – c’è molto maggiore rischio a produrre le patacche, perché ci sono mezzi sofisticati veramente diabolici per smascherarli con assoluta sicurezza. Quindi, si mostrano solo le foto, oppure i calchi. Il materiale concreto non lo si espone più al pericolo di un esame diretto.
Ma allora – si chiederà – come si fanno i soldi?
È un procedimento un po’ più lungo, certamente, ma è molto più sicuro e non espone alla denuncia o alla galera. Ci vuole solamente un po’ di pazienza. (E furbizia: il falsario, spesso, non è affatto un cretino. È un istrione, un attore, un abile comunicatore: ma resta un miserabile imbroglione).

Si inventa qualche cosa di concettuale, di astratto, che però abbia grande rilevanza culturale: la luce che passa attraverso la bocca di un pozzo antico, ad esempio, va benissimo.
Poco importa se quel pozzo antico è stato ritoccato nel corso degli anni, con maggiore o minore perizia, molte volte, per cui le sue misure e caratteristiche sono certamente molto modificate da come erano in origine. Tra l’altro – guarda un po’! – i primi lavori di restauro del pozzo non sono mai stati pubblicati! Esiste solamente un filmato – dell’allora Istituto Luce – che mostra bene in quale stato di rovina versasse quel pozzo e come non potesse assolutamente avere le caratteristiche che sono osservabili adesso…
Oppure, ci si accontenta della luce che passa attraverso una finestrella a caso di un muro antichissimo. Se i Cinesi hanno avuto tanto successo con le ombre, noi possiamo averlo con le luci, o no?
Oppure ancora si trovano strane incisioni graffite, segni che sono sicuramente lettere di una lingua morta: nessuno si farà male, in fondo!
La lingua tanto, è già morta da tempo. E nessuno è mai andato in galera per averla voluta resuscitare… O per avere inventato di sana pianta una lingua morta: ce ne sono già tante!

Il secondo passo è quello di crearsi intorno un ambiente favorevole di seguaci e credenti nel movimento: questo richiede un paziente lavoro di anni di relazioni amichevoli e d’inviti, contatti, dissertazioni, abboccamenti etc etc . E' un lavoro politico, appunto. Ed è forse il vero motivo dell’indignazione dei soggetti di fronte all’accusa di falso: “Dopo tanti anni di duro lavoro!”.

Comunque sia, le idee sono astratte e purtroppo non si possono monetizzare subito, vendendole. Esse richiedono, pertanto, di essere comunicate ad Enti, Comuni, Circoli, Giornali locali e no,  etc. Queste comunicazioni sono possibili solo presso Circoli Privati, Sagre paesane, Feste regionali, Incontri Programmati, Interviste, Seminari, Dibattiti, Conferenze etc...

Finalmente, quando la patacca iniziale – lievitando a fuoco lento – si è trasformata in rispettabile fama, allora si può finalmente cominciare a monetizzare.
Come? Pubblicando libri e vendendoli a carissimo prezzo: attenzione! Il prezzo deve essere altissimo, così è più difficile che si pensi ad un’invenzione a base di fuffa: se costa molto, il libro riporta per forza i risultati di lunghissimi e serissimi studi. Non può essere ciarpame inventato dopo una cattiva digestione di casseula lombarda.

Questo è appunto diventato il metodo maggiormente usato in questi anni: la produzione di una ‘letteratura ciarpame’. In questo tipo di ‘letteratura ciarpame’ vanno incluse molte pappecotte che riguardano l'Italia e le sue regioni, ma anche molte regioni estere...
Dalle teorie ‘Din, Don Dan’ sui Shardana, fino all’inesistenza dei Fenici, all’esistenza di Atlantide e alla scrittura Nuragica, Ulisse nel Baltico ed i Vichinghi con gli elmi cornuti, alle piramidi extraterrestri, alluomo di Similaun sardo ed agli antenati Illirici, alla talassovrazia per mezzo di una navigazione inesistente da parte di una popolazione sparuta e poco numerosa, ma egualmente superiore a tutti. E così via, in un lunghissimo elenco.
Ed altro ancora verrà prodotto, naturalmente, perché il falsario deve inventare sempre qualche cosa di nuovo, accattivante, strepitoso. E al peggio non c’è davvero fine.

Ma v’è molto d’altro: si è in genere preso a modello la ricerca effettuata all’estero, per trasportarla di peso in Italia: i monumenti megalitici Inglesi possiedono un orientamento astronomico? Cerchiamolo immediatamente nei monumenti megalitici nostrani, baldanzosamente incuranti di due fatti fondamentali:
1)    l’uomo ha sempre orientato astronomicamente le proprie costruzioni, anche se solo per banalissimi motivi ambientali e pratici.
2)    Solamente una popolazione di cretini costruisce allineamenti astronomici attraverso monumenti complessi ed impegnativi, invece che con semplici pali o pietre, tirate su in un attimo...

Il fatto che l’Archeoastronomia esista come 'scienza' e che gli astrofantasmagorici esistano anche all’estero, non dovrebbe autorizzarci a tradurli in italiano. Ma rende: e produce libri che si vendono. Anche alle Case Editrici.

Che si neghi aprioristicamente il grandissimo movimento migratorio che condusse il Progresso inarrestabile lungo le sue millenarie direttive Est-Ovest, conducendo con sé tutte le sue componenti (l’agricoltura, le piante coltivate, gli strumenti e le tecniche ancillari, l’allevamento, gli animali addomesticati, la ceramica, la ruota, la scrittura, la fusione dei metalli etc. etc.), solamente perché non ci piace la semi-poetica frase  Ex Oriente Lux”, con cui questa realtà fu simboleggiata è una posizione da ottusi esseri asfittici con una sola piccola idea piantata nell’angusto cranio, vuoto. Ed è – naturalmente – un’idea venata di pericolosissimo razzismo: tanto più pericoloso quanto con maggiore forza lo si nega, da parte di chi crede di ‘fare cultura’, con questo atteggiamento.

Basta, dicevo, avere una vaga infarinatura di una lingua straniera ed “importare” le idee più strane di moda oggi tra i venditori di fuffa stranieri.
Ed ecco comparire l’Archeoacustica (sia ben chiaro: una parte dell’Archeoacustica è davvero scienza riconosciuta; mi riferisco alla parte di essa che è solo ciarlataneria) con alcuni studi che definire coraggiosi è un atto di pietà.
Ed ecco sbocciare la Neuroarcheologia: vedremo quale risultati concreti riuscirà a produrre, prima di evaporare sotto il sole.
Esistono molte altre “Nuove Scienze” già pronte a rivelarci attraverso i rispettivi profeti, la vera storia del mondo che fino ad oggi abbiamo tutti colpevolmente male interpretato.
Le previsioni Maya avevano una scadenza: è bastato semplicemente attenderla, per sbugiardarla anche presso i più creduloni.
Perciò, naturalmente, i sostenitori delle nuove scienze oggi reclamano la necessità di lunghi anni (almeno un cinquantennio), prima di potere avere qualche risultato pratico ed utile dalle nuove metodiche.

Per fortuna tra cinquant’anni saremo tutti morti e non ci toccherà sentirgli dire – con l’usuale arroganza – che, per colpa del nostro atteggiamento negativista che li ha osteggiati, ce ne vorranno altri cinquanta.