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martedì 30 aprile 2013

De Palma, Origine degli Etruschi










LA TEORIA DELL’ORIGINE DEGLI ETRUSCHI
( di Franca Raggi )

   Il prof. Claudio de Palma ha dedicato anni e anni di studio  al tema dell’origine egeo-anatolica  del popolo etrusco  ed è riuscito  a dimostrare la validità di questa tesi, mettendo al centro del suo lavoro lo studio linguistico e storico di un documento famosissimo scoperto nell’isola di Lemno nel 1884, incontrando il plauso di grandi accademici europei, come il prof. Adrados [1] e il prof. Briquel [2]. Chi scrive ha vissuto (come moglie) e collaborato col prof. De Palma e sostiene fermamente la validità del suo lavoro, basandosi anche sulla conoscenza psico-sociale della cultura egeo anatolica da un lato ed etrusca dall’altro.  L’isola di Lemno è situata nell’angolo nord-orientale dell’Egeo, di fronte all’imboccatura dei Dardanelli, l’Ellesponto dei Greci, o porta del Mar Nero (il Ponto Eusino o ‘mare oscuro’ ). .  L’isola, era in posizione strategica sulla via dei metalli provenienti dalla zona pontica, e conobbe una fioritura precocissima fin dal quarto millennio a. C. per la lavorazione dei metalli.[3]

[1] Vedi recensione prof. Adrados in Emerita, resena de libros II, su “Le origini degli Etruschi” di Claudio de Palma ed. Nuova S1
[2] Vedi recensione prof. Briquel in Revue des ètudes latines ,riportata nel sito www.claudiodepalma.it
[3]La nascita e la diffusione della metallurgia nelle società antiche è dunque accompagnata dal diffondersi di miti, la divinità che presiede la metallurgia è Efesto. L’arte di creare utensili dalla materia minerale grezza è considerata dagli antichi prerogativa divina e viene associata alla sfera sovrannaturale e religiosa. L’introduzione dei metalli portò anche ad una profonda modificazione dell’assetto sociale perché oltre a garantire un aumento della produzione alimentare e della ricchezza  ebbe anche lo scopo di potenziare i mezzi di difesa e di offesa della società. (nota di chi scrive)
Alcuni esempi di lavorazione dei metalli (fig:-a-b-c)

a) - Elmo Etrusco, da Populonia.
c) - Flabello in bronzo decorato a sbalzo da Populonia, necropoli di Porcareccia, tomba dei Flabelli VII sec.a.C.


b) - Concrezioni di oggetti in ferro da rifondere.

L’isola raggiunse notorietà negli studi archeologici europei a seguito della scoperta nel 1884 da parte di due ricercatori francesi, il Cousin e il Durrbach, di  una stele iscritta, quasi integra,  misurante cm. 95 x 40.  La faccia reca il disegno di profilo di un uomo anziano armato di lancia foliata e di scudo rotondo,  con tutto intorno un’iscrizione in caratteri greci.  Nello spessore laterale della pietra, poi, è una seconda iscrizione, con andamento bustrofedico, sempre in alfabeto greco di tipo euboico od occidentale (indicato dai linguisti come ‘rosso’, in contrapposizione a quello attico o ‘azzurro’).   Il prof. De Palma  ha dato una  importantissima traduzione di questa stele scritta, oltre alla lettura di altri documenti tirrenici trovati anche recentemente a Lemno, a partire dal 1999.
L’acquisizione più importante che deriva dalla decifrazione è sul piano storico la notizia ‘autentica’ che tutta l’isola di Lemno era nel VI secolo ‘Paese dei Tirreni’:  serona toveronarom,  a conferma di quanto scrive Erodoto (VI, 140)  e che ambedue le città lemnie, Efestia e Myrina, erano città tirrene, e questo è documentato sul piano archeologico anche dagli scavi condotti dagli italiani ad Efestia, iniziati nel 1926, che continuano ancor oggi, e da quelli greci a Myrina, iniziati in anni  più recenti.

Agiografo della Stele di Kaminia.
Il Prof C. De Palma, affianco alla Stele di Kaminia (foto Franca Raggi).



La decifrazione della stele [4] trova proprio nel sintagma serona toveronarom il punto focale in quanto viene dimostrato che si debba intendere come "il paese dei Tirreni"
 Esso potrebbe rappresentare l'anello di congiunzione diacronico e geografico della civiltà tirrenica sviluppatasi nell'ambito del mare Mediterraneo a partire dal terzo millennio a.C. con l'antica Età del Bronzo, fino a raggiungere la metà del primo millennio, con la caduta degli stati indipendenti tirrenici dell'Iberia e dell'Asia. Dunque per risalire all’origine degli etruschi bisogna trattare dei Tirreni che furono prima di loro e che vissero sulle coste e sulle isole del lontano egeo nord-orientale., nella zona chiamata Anatolia ,che coincide più o meno con l’attuale Turchia.  I Tirreni erano insediati fin dalle origini del popolamento nella zona dell’Anatolia occidentale. Erano maestri nel trattare i metalli, abili nel navigare ed esperti del lavoro agricolo.  I popoli che abitavano l’Anatolia sudoccidentale chiamavano sé stessi Rasenna ,mentre gli abitanti dell’Anatolia nordoccidentale si definivano Turranoi. Vediamo tanti e importanti ritrovamenti in quest’isola che ci parlano del popolo tirreno: sulla costa orientale dell’isola un grande archeologo italiano , Bernabò Brea scavò  Poliochni, la prima città europea che già agli albori del terzo millennio contava una superficie di 140 ettari, quasi il quadruplo di quella della contemporanea rocca di Troia, e pari a quella che raggiungeranno città come  Caere e  Tarquinia in Etruria. La sua popolazione può essere stimata in circa 1400 persone. Troviamo in questa città la prova certa della  sua vocazione metallurgica che è esemplificata dal ritrovamento di un’ascia a cannone di bronzo e della forma fittile per fusione a cera persa usata per fondere questa classe di strumenti, rinvenute in strati databili al 3000 circa a.C., agli albori cioè dell’Età del Bronzo.  

Sarcofago delle Amazzoni - Tarquinia, IV secolo a.C.
Achille che uccide Pentesilea, V sec A.C.
  

Sulla costa nord di Lemno veniva invece scavata e messa in luce dal Della Seta la città di Efestia, il cui nome tirrenico era Evistho, come ci dice la stele di Kaminia .  Si trattava di una grande città cinta di mura, che visse almeno dall’VIII secolo a.C. fino in età bizantina. Molte iscrizioni in lingua tirrenica provengono appunto da Efestia. Queste iscrizioni, unitamente a quelle rinvenute nel santuario dei Cabiri e nell’altra grande città lemnia, Myrina, posta sulla costa occidentale dell’isola, e alla grande iscrizione della stele di Kaminia, testimoniano della presenza su tutta la superficie dell’isola di una popolazione di lingua tirrenica fin al VII -VI secolo almeno.   Ma dopo che abbiamo visto  come la metallurgia fosse  un’importante connotazione del popolo tirreno cerchiamo   sempre a Lemno un altro argomento che ci farà trovare altre corrispondenze tra etruschi e tirreni: Una caratteristica che distingue da ogni altra la necropoli di Efestia è la presenza di numerose armi in corredi sia maschili, sia femminili, e fra le armi la tipologia più diffusa è quella delle asce da combattimento, simili a quella rappresentata sulla stele funeraria di Avle Feluske a Vetulonia (VII secolo) o su un avorio da Enkomi (Cipro), del XII secolo, rappresentante un guerriero tirreno.

Muro di Gortina.
Particolare del muro interno dell'ekklesiastèrion (luogo di riunione dell'assemblea cittadina) di età classica a Gòrtyna, che reca inciso il testo delle leggi della città, datato al V secolo a.C. e pubblicato dall'archeologo italiano Federico Halbherr a Firenze nel 188 5. Viene soprannominata 'la Grande Iscrizione' e consiste in 12 righe in scrittura e lingua greca arcaita in andamento bustrofedico, più forse altre otto andate perdute, di contenuto giuridico. Si tratta di un corpus di leggi cheraccolgono consuetudini antichissime del mondo minoico ed egeo-anatolico più in generale, riguardanti rapporti familiari, patrimoniali, sociali e di diritto penale, quali proclamazione della libertà o della schiavitù, offese corporali, beni delle donne divorziate o vedove, eredità paterna o materna, figlie ereditiere, figli adottivi

La presenza di armi anche in cinerari con corredi femminili , riconoscibili non solo dai monili, presenti in verità anche in molte tombe maschili, ma inequivocabilmente dalle fuseruole e dai pesi da telaio relativi a un’attività, la tessitura, esclusiva delle donne in tutte le società antiche, fa pensare alla presenza nella società tirrenica di donne-soldato, e vengono alla mente le mitiche amazzoni, dall’antico persiano ha-maza, cioè ‘guerriero’, ben rappresentate nella mitologia greca dalle regine di Lemno,  Myrina e Hipsipyle, nonché da Pentesilea, uccisa da Achille davanti alle mura di Troia. .Dunque se in tombe di donne dell’isola di Lemno si trovano armi come non pensare alle tombe di donne etrusche dove pure si ritrova un corredo simile? Basta citare la tomba della Principessa,nel  Lazio proto-etrusco, dove è presente anche un carro da guerra,inoltre in molte tombe tarquiniesi sono state trovate armi in tombe femminili esattamente come nella necropoli tirrenica di Efestia, a Lemno.  Chi non penserebbe alle donne-soldato dell’Anatolia protostorica?   

  

Questi dati archeologici, uniti alla tradizione letteraria, tracciano una linea continua che parte dall’Asia Minore per raggiungere l’Etruria, paese dove le donne, non diversamente da quelle lidie, godevano di una tale indipendenza da farle considerare da Greci e Romani poco meno che donne di malaffare. ( fig.2)
 Così nel quadro familiare in Etruria la donna godeva della stessa autorità dell’uomo, non era soggetta al volere del padre prima e del marito poi, aveva un proprio prenome e un proprio gentilizio, e i suoi figli venivano chiamati col loro prenome più il patronimico e il gentilizio paterno, e anche il matronimico e il gentilizio materno.  Ad esempio: vel tulumnes  larthal clan pumplialkh velas: vel tolumnio figlio di larth e di vela pumplia. Una importantissima documentazione epigrafica a riprova di quanto detto ci è data dal codice di Gortyna, città dell’isola di Creta, che fu inciso nella parete interna dell’esedra dell’ekklesiasterion costruita in pietre squadrate nel foro della città nel V secolo a.c.. Si tratta di una grande parete semicircolare tuttora visibile.
  
Il codice contiene la codificazione in disposizioni di legge, promulgate dall’autorità cittadina, di antiche consuetudini giuridiche comuni a tuatta l’area egeo arcaica della quale vanno cercate le radici nelle primitive culture dell’area egea ed anatolica occidentale.

Rotte del Mediterraneo (cabotaggio).

Le disposizioni concernenti la capacità della donna di ereditare e di trasmettere proprietà per via ereditaria, sono indicative di una comune visione  della società arcaica preindoeuropea nella quale la donna aveva in ogni campo uguali diritti degli uomini. Anche nel campo patrimoniale, dunque.Il Codice di Gortyna sancisce e codifica l’antica consuetudine secondo la quale la donna rimasta vedova con figli può risposarsi, restando nel possesso di ciò che le appartiene e delle donazioni fattele dal marito defunto. Le stesse disposizioni si applicavano nel caso di donna divorziata [5].  Ma cerchiamo anche punti di affinità culturale in altri campi. Importantissimo è quello sessuale: l'iconografia etrusca, come quella romana di età imperiale, ben attestata dagli affreschi pompeiani, ci mostra scene di natura erotica tra etero ed omosessuali, analogamente a quanto vediamo nella pittura greca su ceramica. Analizzando le raffigurazioni che sono arrivate a noi scopriamo forti differenze. Nelle rappresentazioni etrusche ciò che è profondamente diverso è l'atmosfera che circonda e anima l'agire e il pensare degli Etruschi in ogni momento del loro tempo libero, dal piacere dello slanciarsi corpo e anima nella danza del tripudium, come nella coppia tarquiniese dalla tomba delle Leonesse, ai piaceri della mensa, dove uomini e donne mangiano e bevono sdraiati sulla kline uno accanto all'altra (e non necessariamente si trattava di coppie maritali) fino all'immagine della coppia che affronta la morte abbracciata, viso contro viso, corpo contro corpo, nudi sotto un lenzuolo trasparente.  
Itinerario di Tirreno - itinerario ricostruito sul viaggio della flotta di Tirreno dall’Anatolia all’Etruria. Dal libro 'Sotto il segno di Turan'. Immagine e grafica di Franca Raggi
Allora questa parità di diritti dal campo militare a quello sessuale, da quello familiare a quello giuridico ci riporta ad una situazione di   tipo matriarcale preindoeuropeo (vedi più avanti la Gimbutas),che si è evoluta verso la parità di diritto tra uomo e donna. Questa è un’ulteriore prova del legame del popolo etrusco con  una cultura di origine egeo-anatolica risalente al mondo arcaico ed oltre…
Una grande studiosa, M.Gimbutas, ha definito la civiltà dell’Europa neolitica come il mondo della Dea Madre o della Grande Dea.
Queste civiltà ,secondo la Gmibutas,avrebbero avuto lingue non indoeuropee e sarebbero state connotate da una cultura di tipo matriarcale. Successivamente gli indoeuropei avrebbero sopraffatto il sostrato neolitico paleoeuropeo, sovrapponendo culture di tipo patriarcale. [6]
Le caratteristiche di fondo della società etrusca che nasceva matriarcale non sono state messe in risalto come meritavano. Oppure si può dire che si volevano ignorare per restare vicini al concetto di  femminilità proprio dei romani. [7] La grande dea madre terra dei Tirreni era Turan, Il nome di Turan era noto anche agli Egizi, che chiamavano i Tirreni ‘Tursha’, e troviamo mercanti tirreni sepolti nel Fayyum egizio fin dall’epoca di Sethi I.[8]  .
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Facciamo il punto della situazione, abbiamo messo insieme  alcune  informazioni basilari  riguardo a:
- La lingua. l’etrusco-arcaico scritto e parlato in tutta l’isola
- Il popolo tirreno che abitava Lemno
- La metallurgia che era esercitata a Lemno
- La figura della donna nell’ area egeo-anatolica

Possiamo dire di avere trovato un grande riscontro e un’altissima affinità tra Tirreni ed etnos etrusco.
Furono i Tirreni a diffondere dall' Anatolia all' Iberia i substrati di una lingua, di una tecnica mineraria ed agricola comune, in molti casi anche la scrittura. Tanto che non ha più senso domandarsi se gli Etruschi vennero da chissà dove o piuttosto furono indigeni dell' Italia centrale. Semplicemente, la loro cultura arrivò dai Tirreni. Così che numerose civiltà, a cominciare da quella etrusca, vanno ricollegate alla loro. Così come accadde per i Filistei, o per i sardi[9].
Adesso vediamo come e perché questo popolo tirreno si sia potuto spostare dall’oriente verso l’Italia .I1 regno di Arzawa, come era chiamato il regno dei tirreni in Anatolia, aveva impedito per parecchi secoli all’ímpero di Hatti di raggiungere il mare verso ovest [10],fino a tutto il XIV secolo a.c.,quando, a seguito di una guerra lunga e sanguinosa, combattuta con alterne vicende, esso divenne uno stato vassallo di quello.[11]
La situazione peggiorò molto nel XIII secolo, il  Paese di Arzawa mostrava sempre più segni di indebolimento, non tanto a causa della crescente pressione da est del nemico di sempre, gli Ittiti, quanto per le tribù seminomadi che raggiungevano l’Anatolia occidentale attraverso­ l’Ellesponto e il Bosforo, e seguendo una strada parallela alla costa, da nord verso sud, devastavano le regioni più fertili del Paese, provocando distruzione di raccolti, carestia e fame. Questo è il motivo per cui un pò alla volta, spinti probabilmente dalle invasioni dei Traci e degli Illiri, furono costretti ad imbarcarsi e a ricercare nuove terre  

Coppia di danzatori -Tarquinia, tomba delle leonesse, VI sec.a.c.          
Banchetto-Larth Velkha e la sua sposa seduti a banchetto, dalla tomba degli scudi,III sec a.C.          

Attraverso lo studio dei toponimi - che nel linguaggio sono una delle realtà più affidabili perché meno soggette a modifiche - li ritroviamo anche nella terra dei Filistei, l'odierna Israele, vengono poi a contatto con gli egiziani, superarono lo stretto di Messina e arrivano alle Eolie.
In conseguenza della configurazione geografica della nostra penisola, fin dal Neolitico  le rotte consuete dall’Oriente verso l’Italia, anche per la direzione delle correnti e  per la conformazione particolare della penisola, videro preferire la navigazione di cabotaggio lungo le sponde orientali dell’Adriatico con traversata del canale d’Otranto o più a nord al Gargano col ponte delle isole Trèmiti, o più a nord  ancora al Cònero. La rotta più meridionale raggiungeva  direttamente Otranto o il capo di Leuca in Puglia..
Le prime rotte dall’oriente verso l’Italia fino ad arrivare al mare Tirreno toccavano dapprima la penisola  Salentina nota già agli antichi naviganti come leucopetrai tarentinorum. Il nome rimasto è  quello di S. Maria di Leuca. Di qui si costeggiava il golfo di Taranto, le coste lucane e poi càlabre, fino allo Stretto di Sicilia. Invece la rotta attraverso il mare Jonio, più ampio , venne affrontato alquanto più tardi, con rotte dirette dalla Grecia alla Calabria e alla Sicilia, che miravano sempre e sopratutto allo stretto di Messina e, al di là di esso al mare Tirreno e alle sue ricchezze minerarie, note da tempo immemorabile.  A causa delle condizioni difficili del mare sullo Stretto, tuttavia, simboleggiate nel mito dai mostri Scilla e Cariddi, molti naviganti preferivano la rotta più lunga, che costeggiava l’intera Trinacria o Sikelìa  e di qui per le isole Eolie raggiungeva la costa tirrenica della penisola.
I tirreni possono aver seguito in ondate successive alcune di queste rotte  spinti dalla necessità di lasciare le loro terre  sotto la spinta di invasioni che ostacolavano l’approvvigionamento dei minerali di cui avevano bisogno e che minacciavano la loro stessa vita.
Perché l’Etruria? "Cercano metalli - sostiene il professor De Palma - quindi eccoli nell' Italia centrale, e poi in Sardegna dove  trovano lo stagno, indispensabile, fuso con il rame, per ottenere il preziosissimo bronzo..”Si sposteranno poi attraverso il “ponte” formato da Corsica Elba fino nella futura Etruria.Analizzando il percorso seguito si può trovare un’altra  indicazione e conferma del perché volessero  proprio andare in Etruria.Nel loro lungo e si può immaginare difficile e disagevole viaggio si sono dovuti fermare  infinite volte sulla costa dell’Italia meridionale ed erano zone bellissime, pochissimo popolate, attraversate da corsi d’acqua con terreni anche pianeggianti adatte dunque a stabilirvi degli insediamenti. Come avverrà secoli dopo con la colonizzazione  della Magna Grecia..Ma i Tirreni proseguirono perché per loro era prioritario  raggiungere le miniere di ferro già conosciute dell’Esperia.
Infatti l’itinerario marittimo divenne preponderante a partire dall’Eneolitico, quando venne seguito dai cercatori di metalli diretti alle coste tirreniche centro-settentrionali. La rotta marittima infatti era sempre la più sicura e anche la più veloce, e permetteva carichi ben maggiori di quelli delle carovane di muli .Questa è dunque la rotta con più probabilità seguita dalla maggior parte dei  Tirreni . Si deve quindi immaginare, dal 4 millennio a.C., mille anni prima che arrivassero i popoli indoeropei, una civiltà dominante : ha enormi capacità tecniche, e un po' alla volta si impone in tutta l'area del Mediterraneo sino a formare "il paese", anzi "il regno dei Tirreni”.


[1] Vedi recensione prof. Adrados in Emerita, resena de libros II, su “Le origini degli Etruschi” di Claudio de Palma ed. Nuova S1
[2] Vedi recensione prof. Briquel in Revue des ètudes latines ,riportata nel sito www.claudiodepalma.it
[3] La nascita e la diffusione della metallurgia nelle società antiche è dunque accompagnata dal diffondersi di miti, la divinità che presiede la metallurgia è Efesto. L’arte di creare utensili dalla materia minerale grezza è considerata dagli antichi prerogativa divina e viene associata alla sfera sovrannaturale e religiosa. L’introduzione dei metalli portò anche ad una profonda modificazione dell’assetto sociale perché oltre a garantire un aumento della produzione alimentare e della ricchezza  ebbe anche lo scopo di potenziare i mezzi di difesa e di offesa della società. (nota di chi scrive)

[4] Il Paese dei Tirreni, Claudio de Palma,ed Nuova S1 Bologna
[5] A.L.Di Lello Finuoli” Trasmissione della proprietà per successione ereditaria femminile” in “La transizione dal miceneo all’alto arcaismo” edizioni CNR Roma 1991
[6] Gimbutas M. The language of the Goddess: unearthing the hidden symbols of Western Civilisation, Harper &Row,S.Francisco 1989
[7] Secondo chi scrive l’archeologia  da sola come disciplina non riesce a mettere insieme tutti gli indizi necessari a connotare la cultura di  una civiltà antica .
[8] “Sotto il segno di Turan” Claudio de Palma –Franca Raggi ed. Nuova S1, bologna 2005
[9] M.Pittau Origine e parentela dei Sardi e degli Etruschi, Delfino-Sassari 1995
[10] Più a lungo restarono nelle isole come Lemno, Imbros e Tenedos,come si può vedere dalla stessa stele di Kaminia che risale al VII a.C, vedi Il Paese dei Tirreni di Claudio de Palma
[11]  Le campagne militari dei re ittiti contro i re di Arzawa e i loro alleati  sono raccontate, spesso con descrizioni vivaci, negli Annali conservati nella grande biblioteca del palazzo reale ittita nella capitale Hattusa, a est di Ankara, scavi che hanno restituito una città con palazzi e templi fra i più grandiosi di tutti i tempi.


venerdì 19 aprile 2013

Dibattito, non diktat...


Tirreni dall'area egeo-anatolica in Etruria 
III- II millennio  a.C.  
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La (ormai non più troppo) recente scoperta e decifrazione di iscrizioni etrusche sull'isola di Lemno ha riproposto con forza il problema delle origini etrusche, anche se il mondo accademico sembra non accorgersene.
   
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Le iscrizioni lemnie, da quelle di Kaminia a quelle, numerose ma frammentarie, da Efestia, dal Kabirion e da Myrina, risultano appartenenti a una lingua etrusca molto arcaica, e in un alfabeto derivato da quello greco a sua volta derivato da quello fenicio. Le conseguenze sul piano storico sono che l'isola di Lemno era abitata fin dal VII secolo, ma certamente anche prima, come mostrano le testimonianze archeologiche, da una popolazione appartenente all'ethnos tirrenico.
Questa popolazione, a giudicare dagli elementi fonetici, morfologici e lessicali affioranti nelle lingue anatoliche indeuropee, rendono sicura la presenza di un sostrato antichissimo in Anatolia, sul quale si sovrapposero popolazioni indeuropee.  Queste popolazioni, a giudicare dai dati archeologici che sempre più abbondanti raggiungono gli studiosi, giunsero in Anatolia nel  III millennio, forse anche prima. L'ethnos di sostrato vi era invece presente forse già dal XIII millennio, a giudicare dai risultati dei recenti scavi in Anatolia sud­orientale.

Queste lingue di sostrato potevano essere il tirrenico, parlato nell'Anatolia meridionale e occidentale, il hattico, parlato nell'Anatolia centrale, dove stabilì il centro del potere l'impero ittita a partire dai primi secoli del secondo millennio, forse anche il cario, parlato nell'Anatolia sud­occidentale e altre, note o meno.  Il tirrenico, come il hattico, ha dato al luvio e all'ittita elementi fonetici, morfologici e lessicali numerosi e inconfondibilmente di natura non indeuropea, molti dei quali dal tirrenico d'Asia sono passati nell'etrusco.

Non se ne danno qui esempi perché non è questa la sede per approfondire l'argomento, ma lo studioso potrà trovare quanto gli serve nelle opere `La Tirrenia Antica' (ed. Sansoni, Firenze,1983, 2 vol.), 'Il Paese dei Tirreni' (Accademia Toscana di Scienze e Lettere, ed.Olschki, Fiirenze, 2001), le `Origini degli Etruschi' (ed. Nuova SI, Bologna, 2003).
Claudio de Palma Firenze, 22.12.2006

E' un articolo datato, ormai, certamente in parte anche superato dai risultati scientifici chiari ed evidenti (riportati per intero in precedenti posts) ottenuti da altre Discipline. Ma non si può, né si deve, ignorare:. In fondo, anche la ricerca linguistica, produce i propri risultati più che dignitosi e spesso interessanti. Ed in questo caso si tratta di risultati filtrati attraverso i risultati della ricerca archeologica. Quindi, a tutti gli effetti, si tratta di un tentativo multidisciplinare.
Nessun risultato è per sempre. Si deve accettare il principio della precarietà dell'ultimo Consenso, intendendo con questo che l'ultima Verità può sempre essere modificata nel caso compaiano prove valide e scientificamente più convincenti che favoriscono un'altra tesi.
Ma - naturalmente - tale Tesi deve essere vagliata ed approvata da tutto il mondo scientifico competente nel caso in questione.

martedì 2 aprile 2013

Risposta a M. Pittau

Caro Professor Pittau:

La sua lettera mi pone di fronte ad un obbligo piuttosto oneroso di risposta, al quale non desidero certamente sottrarmi, anche perché mi ha evidenziato una mia responsabilità diretta (involontaria, le assicuro) nel fraintendimento dal quale originano alcune (non tutte) sue critiche.

-- Mi permetta pertanto di iniziare proprio dal punto (6) della sua lettera, che è quello incriminato
Come lei sa, non perdo di vista le attività dei Fantarcheologi.
Le mie espressioni poco gentili sono rivolte a loro e certamente mai a lei.
Ma mi rendo ben conto che il mio tentativo frettoloso di sintesi nel mio blog ha prodotto lo spiacevole effetto di far sembrare possibilmente quelle espressioni indirizzate a lei. 
Non è affatto così e me ne devo scusare con lei, professore: sono realmente mortificato per avere io causato questa spiacevolissima incomprensione imbarazzante.

Proseguirò con un ordine sparso, se mi perdonerà, toccando però tutti i punti che lei annota, non senza avere prima fatto una premessa.

I Limiti dell'Argomento.

Stiamo trattando di un argomento che sta molto a cuore ad entrambi e nel quale lei indubbiamente possiede un'esperienza di studio pluriennale molto più lunga e certamente superiore alla mia, (che sono solo un orecchiante appassionato): quindi non dubiti mai - la prego - della mia buona fede o delle mie intenzioni nei suoi confronti. Io sono un suo indegno studente 'part time', che in più possiede fortunatamente anche altre letture, numerose quanto talvolta disordinate.

Quando Seneca scrive: "La differenza tra Noi (i Romani) e Loro (gli Etruschi) sta in questo: che noi crediamo il fulmine nasca dallo scontro di due nuvole. Loro credono che le due nuvole si scontrino per causare quel fulmine". 

Questa frase esemplifica la praticità latina ed il fatalismo etrusco (probabilmente anche nella mente dell'autore). 

Ma esprime anche la differenza tra il fatto noto, che non si mette neppure in discussione e si dà per scontato (l'effetto mortifero del fulmine) e l'ignoto (la causa vera del fulmine), su cui si possono formulare ipotesi e si possono quindi avere opinioni discordanti.
Io schematizzo così i vari aspetti di questo argomento in:

Fatti noti: appartengono al mondo concreto ed ineludibile dell'evidenza provata ed in genere non si può affatto 'formulare ipotesi' oppure avere 'opinioni differenti' al riguardo di essi. Folgorato è morto.

Ipotesi opinabili: appartengono all'ignoto, su cui quasi tutto si può costruire. Basta ricordare che tali costruzioni possono essere un vasto ventaglio di ipotesi, dalle più alle meno credibili. In genere si devono scartare quelle ipotesi che contengono elementi provati scientificamente o certamente come falsi; poi si devono scartare quelle ipotesi conteneti la maggior parte di elementi incredibili o poco probabili: infine, tra ciò che resta, si deve 'premiare' l'ipotesi che contiene la maggiore qualntità di elementi credibili o scientificamente provati come veri. Questo è il metodo per giungere alla teoria di massima verosimiglianza, che è la Verità del Consenso, ma è pur sempre temporanea, fino a che nuove evidenze non la detronizzeranno a favore di un'altra, eventualmente più sicura scientificamente. Ripetere fino all'esaurimento un'ipotesi non fa di essa una Teoria.

Teoria: è un'ipotesi valida (o un complesso d'ipotesi sinergiche), con molti elementi di prova a proprio favore, tali da renderla credibile e diventare, almeno, un'ipotesi di massima verosimiglianza se non proprio una verità definitiva... 

Proseguo quindi nei punti.

(7) La scarsità di vocaboli fenicio-punici. Si tratta qui di un apprezzabilissimo e solido dato di fatto, che non appartiene alla sfera delle ipotesi su cui si possano sostenere opinioni differenti e contrapposte. E - tra l'altro - l'apporto della Genetica di Popolazioni a questo fatto non è affatto in contrasto con l'esiguità dell'apporto demico fenicio-punico alla composizione del pool genetico dei Sardi. L'unica cosa che la Genetica di Popolazioni dimostra scientificamente è la presenza di elementi genetici che sono fenici, in tutte le sedi che la storia ha riferito come sedi di stanziamento o di fondaci Fenici. Anche fuori della Sardegna (Cipro, Creta, coste dell'Africa, altre isole greche etc). Eppure esiste chi - fantarcheologo - sostiene che i Fenici non sono mai esistiti e scrive libri al riguardo.

      a) Non conosco il dott. Mulas (genetista o immunoematologo?) di Olbia. Le posso però assicurare che non abbiamo alcunché su cui "metterci d'accordo", anche perché i suoi studi che lei mi cita al riguardo sono ormai incompleti e datati e le sue conclusioni errate (sono certo che egli sia informato degli ultimi studi, che le accludo alla mia). Gli studi più recenti e fededegni - infatti - sono prodotti da altri (per esempio: Barbujani, Wells, etc.). 

     b) Ma le dico subito che lei ha visto giusto, quando ha parlato di 'campionatura'.
 Infatti se fino a qualche tempo fa sembrava che M. Pallottino avesse fatto salti mortali in difesa del proprio posto di lavoro (in tempi di 'autarchia', quando tutto doveva essere italiano: la squadra "Internazionale" dovette rinominarsi "Ambrosiana Inter" ed il trio di sorelle cantanti Leschan dovette chiamarsi Lescano). La teoria del famoso Etruscologo, circa l' importanza preminente della sede ove si è compiuta  appieno la formazione del carattere di un popolo, (che avrebbe molto maggiore importanza dell'origine geografica reale di tale popolo), sembra oggi essere molto più accettata di un tempo e confermata dai risultati di campionamenti più grandi.

Oggi, si parla nuovamente di Etruschi autoctoni (da parte di Barbujani e Caramelli), accreditando nuovamente Pallottino di un'ottima teoria, quando in passato lo si era ridicolizzato come un 'tengo famiglia' di regime... 

Io le ricordo qui che gli studi genetici condotti sulle popolazioni di bovini dimostravano (e lo fanno tuttora) la Chianina come proveniente dall'oriente mediterraneo (a differenza di tutte le altre popolazioni di bovini italiani, che si raggruppano geneticamente con quelle europee), in un periodo in cui la quantità del campione 'etrusco' per la popolazione umana era scarsissimo, per cui si ipotizzava l'estinzione delle linee evolutive degli Etruschi. Si ipotizzava conseguentemente un'immigrazione demica di scarsa entità dall'oriente, che nel tempo si era persa del tutto, pur lasciando un'impronta culturale estremamente duratura.

Infatti, avevo scritto che - pur restando la distanza genetica incolmabile dei Protosardi dagli Etruschi (in questo caso sarà meglio che il Mulas si aggiorni, se non lo ha già fatto, come credo) - la veridicità del racconto Erodoteo circa l'origine orientale degli Etruschi era 'salvata' proprio dalla Chianina. E - non so se lei abbia letto oppure no il mio articolo, ormai vecchio - citavo anche lei ed i suoi studi, cui ero e sono molto affezionato, confortandomi della perdita dell'affinità sardo etrusca con il recupero degli etruschi orientali.

Al momento, il Consenso resta altrove, lontano da queste ipotesi di affinità e di parentele: non è un mio pensiero, né un'ipotesi basata su desiderata o preferenze identitarie: è la teoria del momento. Non è certo per sempre, potrà ancora essere cambiata.
(conseguentemente, la popolazione Chianina di bovini potrebbe semplicemente essere un fatto collaterale ed indipendente da ogni movimento di popolazione umana).

Professore: io capisco bene che le leggi della Genetica siano un po' difficili da digerire per chiunque non le abbia praticate almeno per un po'. E comprendo bene lo sconcerto di chi - dall'esterno, e specialmente da umanista - vede cambiare così tanto le conclusioni scientifiche nell'arco di pochi anni. Tanto da perdere ogni fiducia nella 'scientificità' di certe dottrine, come la Genetica, appunto e trattarle con sufficienza, incredulità o addirittura sarcasmo.

Ma le garantisco che vi è molto di buono e di serio - negli studi genetici - che spesso in altre scienze io non trovo. D'altro canto, capisco per intero i suoi dubbi.

Le faccio qualche esempio e spero che lei mi voglia scusare se appartengono alla sua materia. 
- Mallory, Adams e Bernal (cito solo tre nomi di autori che ho letto, ma so che lei conosce tutti gli altri, a me ignoti) sostengono un Etrusco non Indoeuropeo, a differenza di quello che sostiene lei. Quando lei si indigna, al sentire questo, mi dice che lei ha studiato la lingua Etrusca per molti più anni di chiunque altro e più profondamente di tutti questi signori messi insieme, ovviamente io le credo. Ma io resto  lì così, a crederle per fede e con un dubbio segreto in un angolino della mente.
- Quando i vari linguisti del mondo credono d'individuare la culla delle lingue Indoeuropee in 21 posti differenti (almeno questi sono quelli che sono riuscito a contare, un giorno, per curiosità mia), anche a me viene voglia di proporre agli studiosi delle lingue: "Mettetevi d'accordo e poi offrite - a me che non capisco la materia - una sola sede concordata".
- Ricordo che io stesso restai un po' perplesso quando lei mutò - nel corso del tempo - la sua interpretazione sull'origine del vocabolo 'nuraghe': ma non per questo ho smesso di leggerla e di seguirla.

Intendo con quanto sopra esemplificarle che la difficoltà di comprendere una materia con la quale non si ha confidenza (e lo scetticismo verso di essa che ne deriva, conseguentemente) è presente in tutti noi.

La ricerca Genetica è fondata e può dare risultati splendidi. Si può eseguire sia sul DNA antico (che è comprensibilmente molto scarso, frammentato e  danneggiato quando lo si trova, non rappresentativo di un'intera popolazione e talvolta può essere 'inquinato' da DNA moderno di chi ha manipolato a mani nude i reperti: un inconveniente in cui incorse anche il grande Svante Paabo). Oppure si può lavorare su DNA moderno (e qui si compie un lavoro a ritroso, calcolando la frequenza - nota - delle mutazioni secondo il principio di quello che chiamiamo 'orologio molecolare' ed ottenendone dati spazio-temporali utilissimi per stabilire la rapidità e la direzione delle migrazioni delle popolazioni). 
Alcune delle leggi della Genetica sono altrettanto obbligate come la nascita, la crescita la riproduzione e la morte di ogni essere vivente. Infatti, anch'esse sono appunto leggi biologiche: sono complesse e talvolta possono apparire misteriose, ma una volta comprese appaiono chiare ed altrettanto ineluttabili, come tutte le altre. E' proprio da considerazioni biologiche che sono giunto alla conclusione che la popolazione umana - in Sardegna - non è mai stata molto numerosa. Lo ho affermato, immodestamente,  in un periodo in cui si riteneva che i Protosardi fossero milioni (e lo si faceva partendo da un concettualmente errato conto a ritroso dal numero dei nuraghi e da un errato concetto del tempo necessario per edificarne uno).
Lei ha ragione, quando indica alcuni 'nodi' di difficoltà nel risalire temporo spazialmente lungo determinate direzioni, ma la ricerca Genetica non è puntiforme e non descrive in dettaglio ciascuno spostamento. Brevemente, potremmo dire che siede allo stesso tavolo della Storia e della Linguistica, ma adotta posate differenti.
Ma ci tengo a dire che gli 'interpreti' dei risultati genetici non devono essere non addetti ai lavori e - soprattutto - mossi da particolari ideologie: altrimenti si arriva alla comicità più disastrosa, quale fu l'interpretazione (inutile che le dica da parte di chi!) dell'uomo di Similaun come un Sardo conquistatore delle Alpi Venoste.

(8) Critiche mosse al suo saggio. Non credo siano meritevoli d'essere prese in alcuna considerazione, perché sono quelle presenti su fonti che non meritano alcuna citazione. Non conosco l'esistenza di serie critiche scientifiche, né credo sinceramente possano esservene.

(5) Negazione dell'esistenza di una flotta  nuragica. Io non nego affatto l'esistenza di tale flotta: ma confesso onestamente di non credere in tale eventualità.
Mi rendo ben conto che l'assenza di prova non costituisce affatto la prova dell'assenza (e lo riferisco, nel blog) . Esistono solamente prove indirette. 
In questa situazione non si può formulare affatto una teoria, bensì solamente ipotesi. Siamo, cioé, pienamente nel campo dell'opinabile circa qualche cosa che è sconosciuto. Io non ho nulla in contrario verso la sua ipotesi di viaggi, anche abituali, dei Sardi su un naviglio proprio. 
Ma ho molti argomenti contro l'amplificazione delle sue terorie che i Fantarcheologi sviluppano fino ad ipotizzare una talassocrazia sarda nel mediterraneo, l'Atlantide sarda, la colonizzazione miltare sarda del mediterraneo ed altro ancora.
Accetto, quindi la possibilità della sua ipotesi (che conosco ed ho sempre molto apprezzato) ben sapendo al contempo che essa è solamente un'ipotesi (degna di seria considerazione, certamente), ma non concedo alcunché alla speculazione selvaggia degli altri.

(4) Bronzetti sardi. Quello che riferisco circa i bronzetti sardi non è certamente farina del mio sacco, bensì l'opinione informata dei miei amici archeologi di professione. A me personalmente piace molto la distinzione cronologica e culturale tra Costruttori e loro Discendenti.
Ma è solamente un distinguo che considero necessario per non confondere i non addetti ai lavori definendo 'Nuragico' qualsiasi elemento sardo, senza curarsi del passaggio del tempo.
Trovo interessante la sua teoria - che non conoscevo - circa l'epoca e le modalità dell'interruzione dell'edificazione dei nuraghi (anche se  ero bene al corrente del fenomeno di sincretismo di cui lei ha fatto numerosissimi e convincenti esempi). 
Personalmente, però, non sono in grado neppure d'ipotizzare con approssimazione alcunché di ciò che accadde, a fare cadere la Grande Civiltà dei Costruttori: eppure credo che si possa ancora scoprire molto al riguardo e che sia una fase affascinante, seppure probabilmente turbolenta e sofferta, della storia dei Sardi.

(3) Obbligo di dimostrazione della sostanza di Fenici e Cartaginesi. Non capisco bene perché abbia specificato questo punto: di fatto che i Fenici esistessero è provato anche dalla Genetica, proprio secondo quanto tramandato dalla Storia e - a quel che so - dalla Linguistica. Le riferisco brevemente ed indegnamente:
In effetti, è interessante notare che ci sono varie fonti egizie che ci parlano di "Fenici", stanziati tra Libano e Siria molto prima del bronzo finale/inizio età del ferro.La prima fonte, e anche la più precisa, è il cosiddetto "Romanzo di Sinuhe",  testo letterario che racconta la storia un Egizio che si trova costretto a fuggire dalla Valle e finisce col vivere tra le popolazioni della costa Siro-Palestinese.
La vicenda si svolge subito dopo la morte del Faraone Amenemhat I, fondatore della XII dinastia e quindi databile al XX secolo a.C., tuttavia i manoscritti più antichi pervenutici risalgono al regno di Amenemhat III, circa attorno al 1800 a.C. Quindi possiamo considerare che le informazioni contenute in Sinuhe risalgono certamente almeno al 1800 a.C. forse addirittura al 2.000 a.C.;  L'identificazione infatti non è supportata solo dalla corrispondenza fonetica (F-n-kh-w = F-n-k), ma è anche e soprattutto confermata dalla localizzazione geografica: Fenkhu si trova vicino a Retenu (Siria) e Kesh : I monti della Cappadocia e del sud est dell'Anatolia o forse l'Armenia?
Alcuni contratti con l'antichissima città di Byblo per l'importazione di legno di cedro portano lo stesso nome esoetnico (esoetnico perché Egizio. Ma gli Egizi ed i Fenici parlavano ambedue lingue Semitiche: pertanto i rispettivi vocaboli dovevano essere almeno simili quanto lo sono tra loro oggi  'Espanol' e 'Spagnolo' ). 
Il vocabolo 'Fenicio' sarebbe quindi Semitico (corrispondenza fonetica abbastanza buona con 'Phoinikes' di derivazione non I.E.) e sarebbe andato a significare una differente sfumatura di Rosso da quella per cui il Greco possedeva già il vocabolo Indoeuropeo 'Erythros'.
Ma nessuno le ne ha fatto obbligo di dimostrazioni, credo. E comunque credo esista un sostanziale accordo multidisciplinare al riguardo.

(2) Usanza o abitudine di riferirsi a tutti i Sardi come 'Nuragici'. Non ho mai avuto alcuna intenzione di farne una colpa a lei o di pensare che lei non facesse tale distinzione.

(1) Opere non lette. Professore: le farò avere il mio libretto se solo mi vorrà far sapere a quale indirizzo io possa spedirlo. Per il momento le accludo il testo a questa lettera: anche se non è la stessa cosa, sperò troverà il modo di dargli uno sguardo.
 In esso troverà (è evidente ed inevitabile) altri ulteriori motivi di critica verso il mio lavoro (spero non troppi). Mi viene subito in mente l'esempio della città di Sardi, che le mie personali ricerche bibliografiche rimandano più ad accomunare con Sparta piuttosto che con la Sardegna e con i Sardi...
Per quanto riguarda il suo libro: è vero, non lo ho trovato e non lo ho ancora letto. Ho solo poche e consunte scuse.
Vado in Sardegna solo sporadicamente, ferie permettendo. E ormai da molti anni quando sono sull'isola il tempo non mi basta più per fare solamente un decimo di quello che avevo in animo di fare.

In realtà, poi, questo è ormai vero anche qui a casa mia: avrei bisogno di molto più tempo.
Ci sono sempre cose più urgenti, di cui occuparsi subito e frettolosamente.

Spero che apprezzerà questa mia risposta. 

Penso che potrei metterne almeno una parte sul Blog, come credo sia dovuto, visto l'equivoco che ho involontariamente creato.
Ora la lascio, sperando di non averla annoiata eccessivamente, ma solo in misura tollerabile.
Tanti cari saluti, professore: alla prossima!

giovedì 7 marzo 2013

Origine degli Etruschi


Abstract

The Etruscan culture is documented in Etruria, Central Italy, from the 8th to the 1st century BC. For more than 2,000 years there has been disagreement on the Etruscans’ biological origins, whether local or in Anatolia. Genetic affinities with both Tuscan and Anatolian populations have been reported, but so far all attempts have failed to fit the Etruscans’ and modern populations in the same genealogy. We extracted and typed the hypervariable region of mitochondrial DNA of 14 individuals buried in two Etruscan necropoleis, analyzing them along with other Etruscan and Medieval samples, and 4,910 contemporary individuals from the Mediterranean basin. Comparing ancient (30 Etruscans, 27 Medieval individuals) and modern DNA sequences (370 Tuscans), with the results of millions of computer simulations, we show that the Etruscans can be considered ancestral, with a high degree of confidence, to the current inhabitants of Casentino and Volterra, but not to the general contemporary population of the former Etruscan homeland. By further considering two Anatolian samples (35 and 123 individuals) we could estimate that the genetic links between Tuscany and Anatolia date back to at least 5,000 years ago, strongly suggesting that the Etruscan culture developed locally, and not as an immediate consequence of immigration from the Eastern Mediterranean shores.

Introduction

The Etruscan culture is documented in Central Italy (current Tuscany and Northern Latium, formerly known as Etruria) between the 8th and the 1st century BC. Questions about the Etruscans’ origins and fate have been around for millennia. Herodotus and Livy regarded them as immigrants, respectively from Lydia, i.e. Western Anatolia, or from North of the Alps, whereas for Dionysius of Halicarnassus they were an autochthonous population [1]. Previous DNA studies, far from settling the issue, have raised further questions. The Etruscans’ mitochondrial DNAs (mtDNAs) appear similar, but seldom identical, to those currently observed in Tuscany [2][3]. Assuming reasonable effects of genetic drift and mutation, these levels of resemblance proved incompatible with the notion that modern Tuscans are descended from Etruscan ancestors [4][5]. Explanations for this result include the (extreme) possibility that the Etruscans became extinct, but also that their modern descendants are few and geographically dispersed, or that the ancient sample studied represents a small social elite rather than the entire population [4]. As for the Etruscans’ origins, ancient DNA is of little use, because pre-Etruscan dwellers of Central Italy, of the Villanovan culture, cremated their dead[1], and hence their genetic features are unknown. DNAs from modern humans and cattle in Tuscany show affinities with Near Eastern DNAs, which was interpreted as supporting Herodotus’ narrative [2][6], but in these studies modern Tuscans were assumed to be descended from Etruscan ancestors, in contrast with ancient DNA evidence [5]. The claim that systematic errors in the Etruscan DNA sequences led to flawed genealogical inference [2][7]is not supported by careful reanalysis of the data [8].
What previous studies overlooked is the potential genetic effect of population subdivision. If most Etruscans’ descendants lived in isolated communities in the last 2,000 years, their DNAs may still persist in some localities, but will escape detection unless they are sought at the appropriate (i.e., smaller) geographical scale. Indeed, previous work in another area of Italy [9]showed that modern populations separated by only tens of kilometers can differ sharply in their genealogical relationships with ancient populations. To investigate in greater geographical detail the biological relationships between contemporary and ancient populations, we thus sampled multiple burials in classical Etruria. MtDNA was extracted from bones, amplified and sequenced by a combination of classical methods and Next Generation Sequencing. After adding these sequences to the other Etruscan sequences produced in our lab [3] we compared them through methods of Approximate Bayesian Computation with those of relevant ancient and modern human populations. These include Medieval Tuscans (n = 27) [5], contemporary Tuscans from three sites in historical Etruria (Casentino, n = 122; Murlo, n = 86; Volterra, n = 114) [2] and from Florence [10] (n = 48) (Figure 1). The sample from Florence here represents a control, since no special relationships is expected between the DNAs of the Etruscans and those of the inhabitants of a large city, after millennia of immigration.
Figure 1. Geographic location of the samples considered in the ABC analysis.
Triangles, Contemporary Tuscans (n = 370); Circles, Medieval Tuscans: 1. Massa Carrara (n = 3); 2. Florence, (n = 10); 3. Pisa, (n = 6); 4. Livorno, (n = 3); 5. Siena, (n = 4); 6. Grosseto (n = 1); Squares, Etruscans: 1. Castelfranco di Sotto (n = 1); 2. Volterra (n = 3); 3. Casenovole (n = 10); 4. Castelluccio di Pienza (n = 1); 5. Magliano/Marsiliana (n = 6); 6. Tarquinia (n = 9).
doi:10.1371/journal.pone.0055519.g001
We thus tried to address two questions, namely (1) whether an analysis at the small geographical scale can provide evidence of a genealogical continuity between the Etruscans and some current inhabitants of historical Etruria, and (2) whether the observed degree of genetic resemblance between modern inhabitants of Tuscany and Western Anatolia has anything to do with the Etruscans’ origins. To answer, for each modern population we designed and compared three demographic models differing for the genealogical relationships with the ancient samples (see Material and Methods for details). We identified the model best fitting each set of the observed data, and then we moved to estimating, under an isolation-with-migration (IM) framework, the separation time between Tuscan and Anatolian populations [11], evaluating whether the estimated time can be reconciled with an Etruscan origin in Anatolia and a subsequent migration in Italy around the 8th century BC.

Results

Ancient DNA Sequences

We could obtain amplifiable DNA from 14 Etruscan specimens. Four of them, from Tarquinia, were analyzed in 2004 but were still unpublished. Ten samples come from 18 initial bone samples (each represented by two fragments of the right tibia) from a 3rd century BC multiple burial in Casenovole, Southern Tuscany. The bones were freshly excavated and collected according to the most stringent ancient DNA criteria (see Materials and Methods) by one of us (EP); they can safely be regarded as belonging to different individuals. After a first round of DNA extraction, the 18 Casenovole samples were subjected to multiple PCRs, cloning and cycle sequencing. In ten of them we could determine the sequence of the complete mtDNAhypervariable region I (hereafter: HVR-I), whereas the remaining eight gave no results (Figure S1). Their final consensus sequences (Table S1) were determined by comparing results obtained using the standard procedures (575 clones overall) and Next Generation Sequencing (127,837 reads) (Figure S2). We added to these the sequences of four individuals from Tarquinia, (GenBank accession numbers: bankit1285669 GU186064; bankit1285680 GU186065; bankit1285699 GU186066; bankit1285702 GU186067).

The Etruscans in the Context of Modern and Ancient Genetic Diversity

We analyzed four non-overlapping datasets (Table 1). The ETR dataset comprises the 14 newly produced DNA sequences, along with 16 already available sequences from necropoleis in historic Etruria [3]; individuals from geographically distant Etruscan populations, Adria and Capua, were excluded. The TUS dataset comprises four modern Tuscan populations, i.e. Casentino, Murlo, Volterra and Florence; the last mentioned is a forensic sample, representing random members of a large city, to the exclusion of recent immigrants (Figure 1). In addition, this dataset includes a sample of Medieval Tuscans from Guimaraes et al. [5]. Finally, the ANC dataset and the EUR dataset include, respectively, data on ancient and modern populations from Europe and from the Near East.
Table 1. A synopsis of the datasets analyzed.
doi:10.1371/journal.pone.0055519.t001
In Table 2 we show several statistics summarizing genetic variation in the ETR and TUS datasets. Estimates of the internal genetic diversity of the Etruscans, as expressed by their mean pairwise difference (2.966±1.560) and by haplotype diversity (0.943±0.032), appear close to those obtained in Vernesi et al. [3] using a partly different dataset. We also calculated two measures of genetic distance between the Etruscans (ETR) and modern populations (EUR), namely Wright’s pairwise Fst and allele sharing, the latter measured as the fraction of modern sequences also observed in the Etruscan sample (Figure S3). A general decline of genetic resemblance with geographic distance is evident (Figure 2).
Figure 2. Genetic distances (percent FST values) between the Etruscan and modern population samples.
Different colors represent different levels of genetic differentiation from the Etruscans.
doi:10.1371/journal.pone.0055519.g002
Table 2. Statistics summarizing intra-(A) and inter- (B) population genetic diversity.
doi:10.1371/journal.pone.0055519.t002
Among the 30 Etruscan individuals (ETR dataset) we observed 21 different sequences with 24 variable sites (Table 2); the network describing the relationship among the Etruscans’ haplotypes is reported in Figure 3. Comparisons with 52 modern populations in the TUS and EUR datasets (listed in Table S2) show that 11 of these sequences are shared with at least one of 4,910 individuals from Western Eurasia and the Southern Mediterranean shore (Table S1). The Etruscan sample falls within the range of contemporary genetic variation (EUR dataset, Figure S4A, S4B). In the comparison with the samples of the ANC dataset, the Etruscans appear to fall very close to a Neolithic population from Central Europe and to other Tuscan populations; geographically distant Bronze and Iron-age samples, from Iberia and Sardinia, appear genetically differentiated from the Etruscans (Figure S4C).
Figure 3. Median-joining network of the Etruscans’ haplotypes.
The width of the circles is proportional to the frequency of that haplotype in the Etruscan sample; the labels on the edges of the network indicate the position of the nucleotide substitution in the mtDNA reference sequence. The colour of each haplotype represents whether that sequence is also present in five modern populations from Tuscany and Anatolia.
doi:10.1371/journal.pone.0055519.g003

Genealogical Relationships between the Etruscans and Contemporary Populations

We investigated the genealogical relationships between ancient and contemporary samples by Approximate Bayesian Computation (ABC), a set of methods to fit complex evolutionary models to genetic data. We proceeded in 5 steps, namely: (i) we defined 3 alternative models of the genealogical relationships between ancient and current inhabitants of Tuscany (TUS dataset) (Figure 4A); (ii) we generated by serial coalescent simulation millions of gene genealogies for each model; (iii) we summarized genetic diversity in the observed and simulated data by the same set of statistics (Table 2); (iv) by comparing these statistics in the observed and simulated data, we selected a set of simulations best reproducing variation in the data (the number of simulations retained depends on the criterion chosen for the model selection: 100 for the simple rejection procedure and 50,000 for the weighted multinomial logistic regression); and (v) we estimated the models’ posterior probabilities (PP) by counting how many of the selected simulations were generated under each model (normalizing so that the sum of PPs for all models is equal to 1). Demographic (population sizes) and evolutionary (mutation rates) parameters were explored in the simulations within a broad range of possible values defined by priors, and finally estimated from the simulated data.
Figure 4. Alternative models of the genealogical relationships among past and present populations, and their posterior probabilities.
Shaded areas represent the modern population (at 0 years ago on the Y axis), the Medieval population (900 years ago) and the Etruscans (at 2,500 years ago). Model 1 assumes genealogical continuity between ancient and modern samples, Model 2 assumes continuity only between Etruscan and Medieval individuals, and in Model 3 the Etruscan lineage separates from the lineage leading to Medieval and Modern Tuscans. Under each model is the proportion of the best-fitting simulations supporting it, for the four modern populations considered, using the acceptance rejection (AR) and logistic regression (LR) methods [43]. (A) Comparison among Models 1–3 for four modern Tuscan populations. (B) Comparison of the fit of Model 1, with and without a bottleneck corresponding to the Plague epidemics at 625 BP [12].
doi:10.1371/journal.pone.0055519.g004
In total, 24 million simulations were run (1 million for each of 3 models, 4 modern populations in the TUS dataset, and 2 demographic scenarios, respectively including or not including a bottleneck at the time of the Medieval plague epidemics [12]).
We found evidence for genealogical continuity all the way from Etruscan to current times in two contemporary populations (Figure 4A); the posterior probability (PP) of Model 1 was between 0.65 and 0.76 for Volterra and 0.95 and 0.99 for Casentino, and this result did not change considering different numbers of best-fitting simulations (say, 500 instead of 100, or 100,000 instead of 50,000). Similar results were obtained incorporating in the model a recent population bottleneck (Figure S5), although an explicit comparison between models with and without plague favoured the latter (Figure 4B). At any rate, the relative success of the models does not depend on the presence of a bottleneck in the late Middle Age. Therefore, this event was not considered in subsequent analyses.
By contrast, for Murlo and Florence, Model 2, with the modern DNAs occupying a distinct branch of the genealogical tree with respect to Etruscans and Medieval Tuscans, was shown to be 7 to 99 times more likely than any alternative model (PP between 0.86 and 0.99) (Figure 4A); Model 3 received essentially no support. Choosing different sets of statistics to summarize the data did not change the essence of the results.
We then asked whether there is enough power in the data for these models to be discriminated. To answer, we generated by simulation (separately for Casentino, Murlo, Volterra and Florence) 1,000 pseudo-observed datasets according to each model analyzed (Models 1–3), with parameter values randomly chosen from the correspondent prior distribution. We analyzed these pseudo-observed data with the standard ABC procedure, and counted the fraction of cases in which the model used to generate the data was not recognized, or Type I error. We found that Type I error was always ≤0.08 and that the model emerging from the analysis of the observed data (Model 1 for Casentino and Volterra, Model 2 for Murlo and Florence) was correctly identified in at least 95% of cases (Table 3).
Table 3. Type I errors for the 3 Models in the 4 Tuscan samples.
doi:10.1371/journal.pone.0055519.t003
Under Model 1, archaic population sizes appear small in both Tuscan populations, with an exponential growth starting around 10,000 years ago for Casentino and 16,500 years ago for Volterra (Figure S6). The estimated mutation rate (around 0.3 mutational events per million years per nucleotide) is in agreement with previous independent reports [9][13]. In general, all the parameters appear well estimated; indeed, their R2value are always higher than 0.1, an empirical figure generally accepted to be the value beyond which an estimate may be considered reliable [14]. We note that the posterior distribution of the modern effective population sizes drives to the upper limit of the priors (Figure S6). This has also been observed in previous comparable studies [15][17] and reflects the fact that the estimated population size is basically a function of the existing genetic diversity. Clearly, immigration processes have introduced new haplotypes in populations that we had to model as genetically isolated; the resulting excess of diversity is reflected in an increase of the estimated population size. However, in simulations based on the parameters estimated for Model 1 (posterior predictive tests) we succeeded in generating patterns of variation fully compatible with the observed variation; the model’s P-values (0.332 for Casentino, 0.380 for Volterra) show that the statistics estimated from the observed and simulated data do not differ significantly, and imply that problems related with the estimation of modern population sizes did not undermine the general validity of our approach.

An Etruscan Origin in Anatolia?

Going back to the issue of the Etruscans’ origins, if the genetic resemblance between Turks and Tuscans reflects a common origin just before the onset of the Etruscan culture, as hypothesized by Herodotus and as considered in some recent studies [2][6][18], we would expect that the two populations separated about 3,000 years ago. To discriminate between the potentially similar effects of remote common origin and recent gene flow, we ran four independent analyses based on the IM method [19][20]. In the model we tested, the two populations originate from a common ancestor, and may or may not exchange migrants after the split (Figure S7A). Assuming an average generation time of 25 years [16][21] and no migration after the split from the common ancestors, the most likely separation time between Tuscany and Western Anatolia falls around 7,600 years ago, with a 95% credible interval between 5,000 and 10,000 (Figure 5). These results are robust to changes in the proportion of members of the initial population being ancestral to the two modern populations (Figure S7B). We also considered an expanded Anatolian sample (total sample size = 123 [11][22]) coming from all over Turkey, to test whether a founder effect might have enhanced the role of the genetic drift in the previous analysis, inflating the divergence time estimates; the resulting distributions of separation times completely overlapped with those previously estimated, with a lower bound of the 95% credible interval never smaller than 5,300 years ago (Figure 5).
Figure 5. Separation time estimated by the IM model.
Estimation of the separation time between the gene pools of Anatolians (whether only Western Anatolians, or the expanded sample) and contemporary Tuscans (Casentino and Volterra). Means, upper bound and lower bound of the 95% credible intervals in four independent runs, obtained fixing the migration rate (indicated by dashed arrows) at 0, with mutation rate = 0.003 and assuming that the proportion of the ancestral population is equal in each descendant population (i.e. s = 0.5). Each analysis consisted of five coupled Markov chains, and 10,000,000 steps. Any degree of gene flow between the ancestors of Anatolians and Tuscans results in an increase of the estimate of the time since the population separation.
doi:10.1371/journal.pone.0055519.g005
For these tests we chose the mutation rate (μ) estimated from the data in the previous ABC analyses (very close to the figure accounting for the time-dependency of the mitochondrial molecular clock [13], μ = 0.003). Tests were also run using the value incorporating a correction for the effects of purifying selection [23] (μ = 0.0014), always finding that it results in a further increase of the estimated separation times (Figure S7B). Only assuming very high mutation rates, at least twice as large as estimated in Henn et al. [13], was it possible to obtain separation times <5,000 years (Figure S7B). With both Anatolian samples, any degree of gene flow after separation between the ancestors of Tuscans and Anatolians resulted in more remote separation times.

Discussion

MtDNA data give much stronger support to a model of genetic continuity between the Etruscans and some Tuscans than to any other model tested, characterized by plausible population sizes and mutation rates. However, this clear picture emerges only when modern Tuscan communities are separately considered, highlighting the importance of population structure even at the small geographical scale. In a previous analysis of smaller samples we found no evidence of genealogical continuity since Etruscan times [5]. In this study, the larger sample sizes allowed us to separately investigate the relationships of each modern population with the Etruscans. A model of genealogical continuity across 2,500 years thus proved to best fit the observed data for Volterra, and especially Casentino, but not for another community dwelling in an area also rich with Etruscan archaeological remains (Murlo), nor (as expected) for the bulk of the current Tuscan population, here represented by a forensic sample of the inhabitants of Florence. Therefore, the present analysis indicates that the Etruscan genetic heritage is still present, but only in some isolates, whereas current Tuscans are not generally descended from Etruscan ancestors along the female lines. It also shows that there is no necessary correlation between the presence of archaeological remains and the biological roots of the inhabitants of the areas where these remains occur. Because Medieval Tuscans appears directly descended from Etruscan ancestors, one can reasonably speculate that the genetic build-up of the Murlo and Florence populations was modified by immigration in the last five centuries.
As for the second question, the IM analysis shows that indeed there might have been a genealogical link between modern Tuscans and the inhabitants of what Herodotus considered the Etruscans’ homeland, Western Anatolia. However, even under the unrealistic assumption of complete reciprocal isolation for millennia, the likely separation of the Tuscan and Anatolian gene pools must be placed long before the onset of the Etruscan culture, at least in Neolithic times; if isolation was incomplete, the estimated separation must be placed further back in time. Consistent with this view is the observation that Etruscan and Neolithic mtDNAs are close to each other in the two-dimensional plot of Figure S4C; however, a formal test would be necessary to draw firm conclusions from the simple observation of a genetic similarity. Separation times were very close when estimated both using a sample from Western Anatolia, and an expanded sample including individuals from much of Anatolia, and so the choice of the Anatolian population does not seem to affect the results of this analysis.
A general problem in ancient human DNA studies is the quality of the data; errors resulting from contamination, or from poor preservation of DNA in the specimens, are common. However, there are several reasons to be confident that the Etruscan sequences obtained in this study are authentic: (i) bones were recovered from burials according to the most stringent existing procedures and sent directly to the ancient DNA laboratory without manipulations; (ii) the mtDNA HVR-I motifs of the people who came in contact with the bones at any stage of the analysis do not match those obtained from the ancient samples (Table S1); (iii) the ancient samples were typed following the most stringent standard criteria for ancient DNA authentication; (iv) we used two different sequence determination procedures (classical methodology and high throughput methodology) and the results obtained from different extractions and different sequencing methodologies are concordant except in the regions of homopolymeric strings ≥5 bp that are problematic for the 454 pyrosequencing technology; in these cases, consensus sequences were determined considering only the results of the standard sequencing procedure; (v) sequences make phylogenetic sense, i.e. do not appear to be combinations of different sequences, possibly suggesting contamination by exogenous DNA.
Using such ancient DNA data for testing complex evolutionary models has become possible with the development of ABC and other recent Bayesian inference methods [24][25]. These models, albeit more articulate than those that can be tested otherwise, are still a necessarily schematic representation of the processes affecting populations in the course of millennia. Many phenomena that could not be incorporated in the models, such as immigration from other sources or additional demographic fluctuations, most likely occurred and left a mark in the patterns of genetic diversity. In addition, specific phenomena may have involved mostly or exclusively males, resulting in genetic changes that are not recorded in mtDNA variation. Still, if we rule out the unlikely hypothesis that the Etruscans’ and their descendants’ population history was radically different for males and females, the picture emerging from this study is rather clear. The additional tests we ran (Type I error, Table 3) show that, at these sample sizes, we had a high probability to identify the correct evolutionary model.
As also suggested by the analysis of skull diversity [26], contacts between people from the Eastern Mediterranean shores and Central Italy likely date back to a remote stage of prehistory, possibly to the spread of farmers from the Near East during the Neolithic period[27][28], but not necessarily so (we only estimated a minimum separation time between gene pools). At any rate, these contacts occurred much earlier than, and hence appear unrelated with, the onset of the Etruscan culture (Figure 5). We conclude that no available genetic evidence suggests an Etruscan origin outside Italy. While their culture disappeared from the records, the Etruscans’ mtDNAs did not; traces of this heritage are still recognizable. However, most current inhabitants of the ancient Etruscan homeland appear descended from different ancestors along the female lines, as clearly shown by the analysis of the urban (Florence) sample. Genetic continuity since the Etruscan’s time is still evident only in relatively isolated localities, such as Casentino and Volterra.

Materials and Methods

DNA Extraction and Characterization of the Etruscan Samples

We obtained 18 bone samples (each represented by two fragments of the right tibia) from a multiple burial from Casenovole, Southern Tuscany, near Grosseto. Their approximate age, based on archaeological evidence, is the 3rd century BC. The permit to genetically characterize these fossil samples came from Soprintendenza Archeologica per la Toscana (Archaeological Authority for Tuscany), Siena. The bone fragments were freshly excavated and collected according to the most stringent ancient DNA criteria [29] by one of us (EP) and can safely be regarded as belonging to different individuals (Minimum number of individuals estimated in the burial = 21). These fragments were processed in the ancient DNA facilities at the University of Florence using standard ancient DNA procedures [30]. After a first round of DNA extraction, the samples were subjected to multiple PCRs, cloning and cycle sequencing.
In a successive step, DNA was independently reextracted from the samples that had given positive results in the previous analysis. In this case, after multiple PCRs, the amplicons were not cloned but ligated to the appropriate adaptor sequences and directly sequenced with 454/Roche technology. Low Molecular Weight DNA (LMW DNA) 454/Roche protocol was applied and a final procedure modification was added to increase the recovery of a single stranded library [31]. Libraries were quantitated using a quantification Real Time PCR (qPCR) by KAPA Library Quant Kits (KAPA Biosystems, MA, USA). Samples libraries were independently amplified on beads by emulsion PCR (emPCR), then enriched and counted beads were loaded onto 454/Roche PicoTiterPlate (PTP) divided in 16 regions. Sequencing was performed as in 454/Roche protocol and the obtained reads were filtered and mapped using the Cambridge reference sequence [32]. For each sample and amplicon, a masking procedure allowed to remove primer sequences from the reads and obtain a multi-alignment using the 454/Roche Amplicon Variant Analysis (AVA) software. A consensus was generated by custom scripting and then mapped on the mitochondrial DNA reference sequence (GenBank accession number: J01415). Complete mtDNA HVR-I sequences could be retrieved in all samples. At each site the most frequent nucleotide was observed in a range of 97.7–98.8% of the reads in the different samples. Unmapped reads were then analyzed in order to characterize them and we found that they are mostly primer dimers. Final consensus sequences of the 10 samples were determined by comparing results obtained from both standard procedures (575 Clones) and Next Generation Sequencing (127,837 reads).
Four additional samples from Tarquinia, sequenced in 2004, but never published so far, brought to 14 the total of Etruscan samples typed for this study.

Ancient and Modern mtDNA Diversity

In all statistic analyses, we replaced the nucleotides occupying position 16180–16188 and 16190–16193 with the nucleotides in the CRS, because they contain two stretches of Adenines and Citosines known to result in apparent length polymorphism of the mtDNA sequence [33],[34]. Summary statistics were estimated by Arlequin ver. 3.5.1 [35]. The Fst values between the populations in the EUR dataset and the Etruscans were interpolated in a map representing using the Spatial Analyst extension in ArcGIS 10 (ESRI; Redlands, CA, USA) using the Kriging procedure. Genetic distances between the Etruscans and each population in the ANC, TUS and EUR datasets were visualized by Multidimensional Scaling (MDS), using thecmdscale function in the R environment [36].

Approximate Bayesian Computation

Inferring demographic and evolutionary processes from genetic data requires the testing of models which are often too complex for their likelihoods to be derived. Approximate Bayesian Computation (ABC) [37] offers a valid alternative. Summary statistics estimated from the data are compared with those generated by simulation, and posterior distributions of the models’ parameters can be approximated by simulating large numbers of gene genealogies. We generated gene genealogies in which individuals are sampled at different moments in time using the Bayesian version of SERIALSIMCOAL [38]. At every iteration, the parameters of the model (population sizes, mutation rates, timing of demographic processes) were considered as random variables, and their values were extracted from broad prior distributions; ages and sizes of the samples were equal to those of the observed samples. We then calculated a Euclidean distance between observed and simulated statistics, and we ordered the simulations according to this distance. In total, 24 million simulations were run (1 million for each of 3 models, 4 modern populations in the TUS dataset and two demographic scenarios, respectively including or not including a recent bottleneck). All the procedures were developed in the R environment [36] using scripts from [39]. We selected the summary statistics via PCA, keeping for the ABC analysis those statistics which have shown to be more correlated with the parameters’ variance (Table S2).

Demographic Models and Priors

The three demographic models tested differ for the relationships between modern and ancient samples (Figure 4); under each model, each population in the TUS dataset was independently compared with the Etruscan and Medieval populations. All prior distributions were uniform and wide. The effective modern population size ranged between 100 and 200,000; for the time of the onset of the expansion (under Model 1) and the separation time (under Models 2 and 3) the priors ranged from 101 (one generation before the Etruscans) to 1,500 generations ago. Priors for the mutation rate encompassed the low value estimated from phylogenies [40], and the high value estimated from pedigrees [41], from 0.0003 to 0.0075 mutations per generation for HVR-I. The Medieval and the Etruscan effective population sizes were extracted from a prior distribution spanning from 100 to 50,000, as suggested in Guimaraes et al. [5]. Ancestral population sizes varied from 5 to 6,000 individuals. The entire procedure was repeated under a demographic scenario including a population bottleneck corresponding to the 14th century plague epidemics, in which an estimated one-third of the population was lost [42].

Model Selection and Parameter Estimation

The posterior probabilities of the 24 combinations of models (3), modern populations (4) and demographic scenarios (2), were calculated either: (i) by a simple rejection procedure (AR) [43]for which we retained the 100 simulations associated with the shortest distance between observed and simulated statistics [44]; or (ii) by a weighted multinomial logistic regression (LR)[44] for which we retained the 50,000 simulations generating the shortest distance between the observed and simulated statistics. In both cases, we normalized the PPs so that their sum for all models being compared is 1. The parameters of the best-fitting model were estimated from the 2,000 simulations closest to the observed dataset, after a logtan transformation of the parameters [45] and according to Beaumont [37].

Additional Tests: Type I Error and Posterior Predictive Tests

We estimated the probability that the true null hypothesis be rejected by evaluating the Type I Error, i.e. the proportion of cases in which 1,000 pseudo-datasets generated under each model are not correctly identified by the ABC analysis. In addition, to test whether the data can be actually reproduced under a specific demographic model, we carried out a posterior predictive test [9][25]. For that purpose, we simulated 10,000 datasets according to the model with the highest probability using the estimated posterior parameter distribution, and we calculated a posterior predictive P-value for each statistic; these probabilities were then combined into a global P-value, taking into account their non-independence [46].

The Isolation with Migration (IM) Model

We estimated the likely separation time between the Tuscan and Anatolian gene pools by Isolation with Migration (IM), a method generating posterior probabilities for complex models in which populations need not be at equilibrium [19]. Seven parameters were estimated from the data, namely the size of the ancestral and daughter populations (NA, N1, N2), the rates of gene flow between daughter populations (m1, m2), the time since the split (t), and the proportion of the members of the ancestral population giving rise to the first daughter population (s[47]. Because any degree of genetic exchange increases the t estimate, after some preliminary tests we set to 0 the values of m1 and m2. Most tests were run fixing the mutation rate at the value estimated in the ABC analysis (0.003 mutational events per locus per generation), but we repeated the whole IM analysis with both lower and higher values (respectively, 0.0014 and 0.0060 mutational events per locus per generation; [13][23]) under a Hasegawa-Kishino-Yano (HKY; [48]) mutational model with inheritance scalar 0.25, as recommended for mtDNA data. For each mutation rate tested we ran several analyses starting from different random seeds, in order to assess the consistency of the results; moreover, to improve the exploration of the parameters’ space, and thereby the convergence, we coupled the Markov chains, running simultaneously 5 chains per run.

Supporting Information

Figure_S1.pdf
Amplicons of the 10 sequences from Casenovole. DNA sequences from the575 clones analysed for the 10 Casenovole Etruscan samples. The sequences of the external primers are not reported in the figure. The Cambridge reference sequence with the numbering of the nucleotide positions is at the top. Nucleotides identical to the Cambridge reference sequence are indicated by dots. The clones are identified by a code (from S1 to S17, indicating the individual), the first number is the extraction, the second number is the PCR.
Amplicons of the 10 sequences from Casenovole. DNA sequences from the575 clones analysed for the 10 Casenovole Etruscan samples. The sequences of the external primers are not reported in the figure. The Cambridge reference sequence with the numbering of the nucleotide positions is at the top. Nucleotides identical to the Cambridge reference sequence are indicated by dots. The clones are identified by a code (from S1 to S17, indicating the individual), the first number is the extraction, the second number is the PCR.
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Results of the mapping step for the 10 Etruscan samples analyzed. (A) The number of sequences that map to the reference and those that do not map is plotted as a histogram. Some samples had a large amount of unmapped reads that were afterwards characterized as primers’ dimers. (B) Frequency distribution (% on the Y axis) of the frequency of the most frequent nucleotide for the 10 Etruscan samples analyzed (the upper limits of the % intervals are reported in the legend). For example, in sample S1 at around 84% of the positions the frequency of the most frequent allele among reads is between 99% and 100%.
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Measures of genetic distance. Allele sharing (A) and Fst (×100) (B) in 52 modern populations of Western Eurasia and the Mediterranean basin. Population labels and sample sizes are provided in Table S2. Allele sharing estimated as the number of sequences shared between Etruscans and every modern population, divided by the sample size of the modern sample.
(TIF)
Multi Dimensional Scaling. Multi Dimensional Scaling summarizing genetic affinities between the Etruscans and (A) 52 modern populations of Western Eurasia and the Mediterranean basin; (B) Medieval and modern Italian populations; (C) 9 ancient populations of Europe. Population labels and sample sizes are provided in Table S2.
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Results of model selection. Results of model selection with or without a bottleneck representing the plague epidemics at 625 BP, in Casentino, Murlo and Volterra. Dashed lines represent the presence of plague epidemic that killed one third of the population. For each sample we report the posterior probabilities calculated comparing Models 1–3, either considering or disregarding this demographic event.
(PDF)
Parameter estimates and posterior distributions under Model 1, for Casentino (A) and Volterra (B). Upper panels: Prior distributions (all the priors were uniform), median and mode estimates, the 95% of the highest posterior density (lower and upper bound), and coefficient of determination R2. The time is expressed in years, the mutation rate in number of mutational events per generation per locus. Lower panels: histograms and smoothed distributions of the parameters estimated.
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IM model (A) and estimates (B) for the separation time between Anatolians and Tuscans.N1 and N2: modern population size; NA: ancestral population size; m1 and m2: migration rates; s: proportion of the ancestral population that founds descendent population 1; t: separation time. Different mutation rates and proportions of the ancestral population founding the descendant populations were considered.
(PDF)
Consensus HVR-I Etruscans mtDNA and sequences of all the investigators. Upper panel: Consensus HVR-I mtDNA sequences in 30 individuals from historical Etruria. Tarq represents individuals from Tarquinia, Cas from Casenovole, Vol from Volterra, Pie from Castelluccio di Pienza, Sot from Castelfranco di Sotto and MM from Magliano and Marsiliana. CRS is the Cambridge reference sequence [32]. The HVR-I motif is the position (−16,000) where substitution were observed, with respect to the CRS; the observed transversions are indicated with a capital letter. The haplotypes shared with EUR dataset are in bold type. For the Casenovole sample, the labels of the individuals used in Figure S1 are between parentheses. Lower panel: Sequences of all the investigators who had direct contact with the ancient specimens.
(DOCX)
Detailed description of the samples in the EUR and ANC datasets.
(DOC)

Acknowledgments

Computational support for the data analysis has been provided by CINECA (Bologna) and CASPUR (Roma) HPC facilities. We thank Carlo Previderé for sharing with us unpublished data, Sibelle Vilaça for her help with the graphics, Alessandro Achilli, Andrea Benazzo, Mathias Currat, Martin Richards and especially Stefano Mona for discussion and suggestions.

Author Contributions

Conceived and designed the experiments: SG DC GB. Performed the experiments: SG FT EF AS ML SV EP GC ER GDB. Analyzed the data: SG FT EF VC. Wrote the paper: SG DC GB.

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