mercoledì 30 aprile 2014

IDENTITA' SARDA


Juanne Maria Angioy, un grande esempio; a differenza di quanto segue...



Da: "La Nuova Sardegna - Oristano"

del 23 Aprile 2014

Carta d’identità “sarda”: arrestato

Obbligo di firma per un ex vincitore del Palio di Siena: alla polizia ha mostrato un documento della Repubrica de Sardinnia

articolo
di Elia Sanna
ORISTANO.

Quando gli agenti della questura gli hanno chiesto i documenti, non ha esibito la classica carta d’identità. Quella che ha mostrato agli agenti era diversa, peccato che non fosse valida e che questo gli sia costato l’arresto. Alla richiesta dei poliziotti ha risposto esibendo una carta d'identità della Repubrica de Sardinnia.

Una decisione che dev’essere stata agevolata anche dal troppo alcol che aveva in corpo e che gli ha fatto perdere la calma. Ha infatti reagito, minacciato e oltraggiato uno degli agenti. Per Damiano Anello, 58 anni, residente ad Oristano, conosciuto come Damasco, nomignolo con il quale aveva corso niente meno che al Palio di Siena, è scattato l'arresto che l’ha poi portato nella cella di sicurezza della Questura. L’ultima tappa, ieri mattina, è stato il tribunale dove è iniziato il processo per direttissima con la convalida del fermo e l’obbligo di firma deciso dal giudice su richiesta del pubblico ministero Paolo De Falco.

Le notti brave di Damiano Aniello erano iniziate alla vigilia di Pasqua all’interno di un locale nel centro città. L’ex fantino, vincitore dell’edizione del 1978 del palio più famoso del mondo, aveva alzato il gomito oltre misura e stava importunando, secondo quanto è emerso dalle indagini della polizia, alcuni clienti all'interno del locale notturno. Quando sono arrivati gli agenti delle Volanti, Damiano Aniello non ha voluto mostrare i documenti di riconoscimento e solo dopo diversi tentativi ha mostrato alla polizia un’inutile carta d’identità della Repubrica de Sardinnia, in qualità di appartenente ad una associazione di indipendentisti.

Come se non bastasse l’ex fantino ha minacciato e offeso gli stessi poliziotti. Non è stato facile farlo salire sulla volante, ma alla fine lo sforzo degli agenti ha avuto successo. L’indipendentista, così si è proclamato, è stato quindi portato in questura per gli accertamenti.
Il funzionario gli ha contestato i reati di resistenza e oltraggio, cosa che gli è costata la notte nella cella di sicurezza.
Ieri mattina Damiano Aniello è stato poi accompagnato in tribunale per la direttissima. Dopo aver convalidato il fermo il giudice l’ha scarcerato e gli ha imposto la misura cautelare dell’obbligo di firma.

La notizia dell’arresto dell’ex fantino ha destato stupore e indignazione nel gruppo di indipendentisti sardi del quale fa parte. All’interno del gruppo della Repubrica de Sardinnia, Damiano Aniello viene considerato come una persona tranquilla e nessuno ha creduto al fatto che potesse essere ubriaco.

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Come ottenere una carta d'identità sarda:

1) Andare sul sito indicato di seguito e seguire tutte le istruzioni


2) Pagare sul c.c. indicato nel sito IT29 M076 0104 8000 0100 9278 985 ed intestato al tesoriere pro tempore Pes Sergio la somma di lire 15 (+ 3 per spese postali).

Consiglierei - comunque - un comportamento più simile a quello dell'Angioy.
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Mi hanno informato - immediatamente - anche di quest'altra stranezza (ringrazio l'amico Andrea Ghiani per avermi fornito la notizia, che mi era sfuggita):
Viene da chiedersi che cosa stia accadendo a certi soggetti in Sardegna...

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Targa falsa? “No, è del Regno Sovrano di Gaia”


L’incredibile caso capitato alla polizia municipale di Sassari comincia con un’auto parcheggiata in via Zanfarino: denunciato il proprietario, un imprenditore

    di Nadia Cossu16/Aprile/2014
    SASSARI. Non poteva passare inosservata quella sigla RSG nella targa di una Peugeot parcheggiata in via Zanfarino. E infatti venerdì ha catturato l’attenzione della polizia municipale di Sassari. “Che Paese è?” La curiosità viene soddisfatta subito dopo quando i vigili in servizio danno un’occhiata più approfondita e leggono: Regno Sovrano di Gaia. Aggrottano le sopracciglia. Ma non è ancora finita: la stessa identica scritta compare nel contrassegno dell’assicurazione esibito “regolarmente” nel parabrezza dell’auto.
    Il provvedimento scatta subito: la macchina viene caricata su un carroattrezzi e trasferita nel deposito del comando della polizia municipale. La seconda sorpresa arriva ieri mattina quando tre persone – tra cui il proprietario dell’auto – si presentano negli uffici chiedendo spiegazioni sul sequestro del veicolo: “La targa è falsa – rispondono gli agenti – così come sono falsi il tagliando assicurativo, il certificato di proprietà, il libretto”. I tre sembrano quasi cadere dalle nuvole: “Non sono falsi, li ha rilasciati il Regno Sovrano di Gaia”.
    Stupore e imbarazzo dilagano nei corridoi del comando di via Carlo Felice. A quel punto vengono chieste loro le generalità e in un primo momento si rifiutano di fornire il nome di battesimo. Non solo. Alla domanda: “Dove siete residenti?” rispondono: “Nel pianeta terra”. E nulla di più. Facile immaginare l’espressione sul volto dei vigili urbani che si trovano a dover gestire una situazione certamente fuori dalla routine. Ce n’è quanto basta per inviare tutto alla Procura della Repubblica di Sassari.
    Il proprietario della Peugeot, un imprenditore sassarese, viene denunciato per falsificazione di targa, contraffazione dell’assicurazione e generalità false. Cosa ci sia dietro tutto questo non è proprio semplice da spiegare. Le tre persone in questione ritengono di non far parte dello Stato italiano, di conseguenza non ne riconoscono le leggi.
    Davanti agli agenti hanno tentato con una incredibile convinzione di far valere le proprie ragioni considerato che la loro filosofia di vita si basa su scelte che non hanno bisogno di autorizzazioni, sul libero scambio o una moneta complementare “di tua scelta e valore, comunemente accettata”. Qualsiasi cosa è sempre meglio che “continuare a essere schiavo del sistema e delle banche illegittime, pignorate, che hanno ingannato l’umanità per secoli”. Intanto, però, all’imprenditore sassarese libero dalla schiavitù imposta dallo Stato italiano è stata confiscata la macchina. Non è nemmeno escluso che tenti di riaverla indietro, magari facendo ricorso alla giurisdizione del Regno Sovrano di Gaia.


    martedì 29 aprile 2014

    TROIA, IRLANDA...

    Ho trovato questa curiosità. Che può essere indicativo di quanto l'identità nazionale riesca ad obnubilare il cervello di schiere di persone - talvolta anche brillanti - e a modificare la percezione della Storia. In particolare: la Battaglia di Clontarf, che circa mille anni fa marcò l'incontro tra gli Irlandesi ed i Vichinghi e dette agli Irlandesi la loro identità nazionale, è  sempre stata raccontata - si scopre adesso - traendo spunto dall'Iliade. Pertanto si tratterebbe più di Letteratura che non di Storia.

    Medieval account of Irish battle borrowed from the Iliad 


    ArchaeoHeritage, Archaeology, Breakingnews, Europe, Ireland, UK, Western Europe 


     As Ireland marks the millennium of the Battle of Clontarf – portrayed as a heroic encounter between Irish and Vikings which defined the nation’s identity - new research argues that our main source for what happened may be more literary history than historical fact. 



    An 1826 painting of the Battle of Clontarf by the Irish artist, Hugh Frazer
     [Credit: Isaacs Art Centre/Wikimedia Commons] 



    The standard account of the Battle of Clontarf – a defining moment in Irish history which happened 1,000 years ago this week – was partly a “pseudo-history” borrowed from the tale of Troy, new research suggests. 
    The findings, which are to be published in a forthcoming book about the intellectual culture of medieval Ireland, coincide with extensive celebrations in Dublin marking the millennium of Clontarf, which was fought on Good Friday, April 23, 1014. 
    In popular history, the battle has been characterised as an epic and violent clash between the army of the Christian Irish High King, Brian Boru, and a combined force led by the rebel king of the territory of Leinster, Máel Mórda, and Sitric, leader of the Dublin-based Vikings. 
    The disputed outcome saw the Vikings beaten off, but at huge cost. 
    Brian himself was killed, and became an iconic figure and Irish martyr. 
    According to the new study, however, much of what we know about Clontarf may be rooted not in historical fact, but a brilliant work of historical literature which modelled sections of its text on an earlier account of the siege of Troy. 
    Rather than a trustworthy description of the battle itself, this account – Cogadh Gáedhel re Gallaibh (“The War Of The Irish Against The Foreigners”) – was really a rhetorical masterpiece designed to place Ireland’s legendary past in the context of a grand, classical tradition, stretching back to the works of Homer and classical philosophy. 
    The study argues that this in itself should be seen as evidence that the cultural achievements of Brian Boru’s successors in medieval Ireland were complex, highly sophisticated, and the equal of anywhere else in Europe. 
    It also means, however, that despite the widespread portrayal of Clontarf as a heroic, quasi-national conflict in which the lives of Brian and others were sacrificed in the Irish cause, the historical truth is unknown. 
    While the advent of the battle itself and its significance is beyond question, the details of what happened are likely to remain a mystery. 
    The research was carried out by Dr Máire Ní Mhaonaigh, a Reader in medieval literature and history at St John’s College, University of Cambridge.
     It will appear in a new book called Classical Literature and Learning in Medieval Irish Narrative, published in Boydell and Brewer’s ‘Studies in Celtic History’ series and edited by Ralph O’Connor. 
    “The casting of Clontarf as a national struggle in which the aged, holy Brian was martyred still defines what most people know about the battle, and it has probably endured because that was what numerous generations of Irish men and women wanted to read,” Dr Ní Mhaonaigh said. 
    “Academics have long accepted that Cogadh couldn’t be taken as reliable evidence but that hasn’t stopped some of them from continuing to draw on it to portray the encounter. 

    What this research shows is that its account of the battle was crafted, at least in part, to create a version of events that was the equivalent of Troy. 

    This was more than a literary flourish, it was a work of a superb, sophisticated and learned author.” 
    Another reason that the story may have endured is a lack of physical evidence for the battle. No archaeological remains have been found, and the precise location, presumed to be somewhere around the modern Dublin suburb of Clontarf, is disputed. 
    Compared with the very basic information in contemporary chronicles, Cogadh provides by far the most comprehensive account of what happened. 
    It was, however, written about a century later, probably at the behest of Brian’s great-grandson. 
    Historians have rightly treated it as partial, but also as the written version of oral accounts that had been passed on from those who witnessed the battle itself. 
    The new research suggests that this pivotal source was even more of a cultivated fabrication than previously thought. 
    Through a close study of the text, Dr Ní Mhaonaigh found that the imagery, terminology and ideas draw inspiration from a range of earlier sources – in particular Togail Troí (The Destruction of Troy), an eleventh-century translation of a fifth-century account of the battle for Troy. 
    In particular, the unknown author explicitly cast Brian’s son, who it is believed led a large part of his father’s army at Clontarf, as an Irish Hector, whom he describes as “the last man who had true valour in Ireland”. 
    Tellingly, Togail Troí is also found in the same manuscript as Cogadh suggesting that the author had this to hand when describing the battle. 
    Rather than pouring cold water on the millennial celebrations by showing the main account of Clontarf to have been an elaborate piece of story-telling, however, the study points out that the work bears witness to the cultural achievements of Brian’s successors. 
    The parallel between Murchad and Hector in particular was in fact part of a complex and deeply scholarly analogy which drew on the recurring classical motif of the “Six Ages of the World” and “Six Ages of Man”. 
    It shows that whoever wrote it was not simply describing a battle, but crafting a brilliant work of art. 
    “Whoever wrote this was operating as part of larger, learned European tradition,” Dr Ní Mhaonaigh added. 
    “People should not see the fact that it is a fabricated narrative as somehow a slur against Brian, because what it really shows is that his descendants were operating at a cultural level of the highest complexity and order.”

    Source: University of Cambridge [April 23, 2014]

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    Busto di Alessandro il Grande: a Cipro.



    Bust of Alexander the Great found in Cyprus 

     A second three-aisled basilica was brought to light by archaeologists on the site of Katalymmata ton Plakoton, of the Akrotiri peninsula, in Cyprus.


     The marble stele with a bust of the Byzantine emperor Heraclius personified as Alexander the Great 
    [Credit: ΑΠΕ-ΜΠΕ] 



    Excavations by the Cyprus Antiquities Department in the area have been in progress since 2007 when the first basilica was revealed. However, the new basilica is not the only important finding. Archaeologists also discovered a marble stele with a bust of the Byzantine emperor Heraclius personified as Alexander the Great. It is believed that the two basilicas are part of a monumental ecclesiastical complex which according to Eleni Procopiou, an area officer for the Antiquities Department, is related to St John the Merciful, Patriarch of Alexandria, the patron saint of Limassol. 


    The south transept of the first basilica excavated at Katalymmata ton Plakoton 
    [Credit: Cyprus Dept. of Antiquities] 



    The first basilica is a burial monument 36 meters in width and 29 meters in length, without the apse protruding to the west. Procopiou stated that the second basilica is also a burial monument 20 meters in width and 47 meters in length. It is estimated that the findings date back to the second decade of the 7th century, between 616-617 A.D. “This literally helps us understand and re-write the history of the 7th century in Cyprus. We estimate that after its construction, it had a very short life-span of approximately 30 years before it was abandoned and destroyed. This was a very important place and housed the relics of some very important people,” Procopiou stated. 



    Author: Nikoleta Kalmouki  

    Source: Greek Reporter [April 28, 2014]

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    Eredi di stirpe reale







    Egyptologists identify tomb of royal children 

     Who had the privilege to spend eternal life next to the pharaoh? 
    Close to the royal tombs in the Egyptian Valley of the Kings, excavations by Egyptologists from the University of Basel have identified the burial place of several children as well as other family members of two pharaohs. 


    Mummified remains among fragments of coffins, cloth and sherds: Tomb KV 40 was  plundered several time and damaged by a fire 
    [Credit: Matjaz Kacicnik,  University of Basel/Egyptology] 


    Basel Egyptologists of the University of Basel Kings' Valley Project have been working on tomb KV 40 in the Valley of the Kings close to the city of Luxor for three years. 
    From the outside, only a depression in the ground indicated the presence of a subterranean tomb. Up to now, nothing was known about the layout of tomb KV 40 nor for whom it was build and who was buried there.
     The Egyptologists assumed that it was a non-royal tomb dating back to the 18th dynasty. They first cleared the six meter deep shaft which gives access to five subterranean chambers and then recovered the countless remains and fragments of funerary equipment.

     Mummified royal children  

    The scientists discovered mummified remains of at least 50 people in the center chamber and in three side chambers. Based on inscriptions on storage jars, Egyptologists were able to identify and name over 30 people during this year's field season. 
    Titles such as "Prince" and "Princess" distinguish the buried as members of the families of the two pharaohs Thutmosis IV and Amenhotep III who are also buried in the Valley of Kings. 
    Both pharaohs belonged to the 18th dynasty (New Kingdom) and ruled in the 14th century BC. 


    Mummified remains among fragments of coffins, cloth and sherds: Tomb KV 40 was  plundered several time and damaged by a fire [Credit: Matjaz Kacicnik,  University of Basel/Egyptology] 


    The analysis of the hieratic inscriptions (related to hieroglyphics) revealed that tomb KV 40 contains the mummified remains of at least 8 hitherto unknown royal daughters, four princes and several foreign ladies. 
    Most of them were adults, however, mummified children were also found: "We discovered a remarkable number of carefully mummified new-borns and infants that would have normally been buried much simpler", describes Egyptologist Prof. Susanne Bickel the findings.
     "We believe that the family members of the royal court were buried in this tomb for a period of several decades." The identification of people buried in the proximity of the royal tombs gives the team of researchers important insight into who had the privilege to spend eternal life close to the pharaoh. 
    "Roughly two thirds of the tombs in the Kings' Valley are non-royal. 
    Because the tombs do not have inscriptions and have been heavily plundered we so far have only been able to speculate on who lies buried in them", explains Susanne Bickel in regard to the importance of the findings for the field of Egyptology. 

    Remains of later burials 

    Even though the tomb was looted several times in Antiquity as well as at the end of the 19th century, the researchers found countless fragments of funerary equipment, such as fragments of coffins and textiles. 
    "The remains and the walls have been heavily affected by a fire that was most likely ignited by the torches of the tomb raiders", suspects Susanne Bickel. 
    The fragments of various wooden and cartonnage coffins indicate that tomb KV 40 was used a second time as a burial ground: long after the abandonment of the valley as royal necropolis, members of priestly families of the 9th century BC were interred here. 

    This is a panorama view over the area in the Valley of Kings investigated by the  University of Basel Kings' Valley Project. 



    Tomb KV 40 is located directly next  to tomb KV 64 which was discovered by the Basel Egyptologists in 2012  [Credit: University of Basel/Egyptology] 



    Anthropological analyses as well as further examination on the burial goods will deliver important insight into the composition of the pharaonic court of the 18th dynasty as well as the conditions of life and the burial customs of its members. 
    University of Basel Kings' Valley Project The archaeological research project lead since 2009 by Basel Egyptologist Prof. Susanne Bickel has been studying how the Valley of the Kings was used for the burials of selected members of the elite and the royal family in the vicinity of the royal tombs. 
    In 2012 researchers of the University of Basel Kings' Valley Project, which is financially supported by the Gertrud Mayer foundation in Basel, discovered tomb KV 64 in the Valley of the Kings in collaboration with the Egyptian authorities and local workmen. 

    Source: University of Basel [April 28, 2014]

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    domenica 27 aprile 2014

    I verbi servili (o modali)



    - funzionano normalmente come verbi ausiliari.
    Come le copule i verbi servili sono una classe ristretta e piccola
    La loro caratteristica sintattica più importante è l'espansione ad infinito puro, quindi la proprietà di precedere immediatamente il verbo all'infinito. In unione con l'infinito di un altro verbo modificano il loro significato.
    I verbi servili sono quelli che reggono l'infinito di un altro verbo, attribuendo all'azione una specifica modalità. I verbi servili esprimono p.e. desiderio, proposito, possibilità, permesso, capacità o necessità. In Italiano i verbi servili classici sono dovere, potere, volere più sapere (nel senso di 'essere capace', 'essere in grado di').

    - Esempi:
    necessità, obbligo:           Devo finire gli esercizi
    possibilità:                          Posso venire alle 9
    volontà:                              Voglio andarmene velocemente
    capacità:                            So camminare senza di te.

    Uso degli ausiliari.

    Per quel che riguarda l'uso degli ausiliari con i verbi servili (o modali), si tratta di una questione un po' intricata, ma risolvibile nella prassi seguendo poche regole:


    1) Se si sceglie l'ausiliare del verbo retto dal servile, non si sbaglia mai: es. "Ha dovuto mangiare" (come "ha mangiato"); "è dovuto partire" (come "è partito").


    2) Se il verbo che segue il servile è intransitivo, si può usare sia "essere" che "avere": es. "è dovuto uscire" o "ha dovuto uscire".


    3) Se l'infinito ha con sé un pronome atono (mi, si, ti, ci, vi) bisogna usare
    -"essere" se il pronome è prima dell'infinito (es. "non si è voluto alzare"),
    -"avere" se il pronome è dopo l'infinito (es. "non ha voluto alzarsi").


    4) Se il servile è seguito dal verbo "essere", l'ausiliare sarà sempre "avere": es. "ha dovuto essere forte", "ha voluto essere il primo".

    sabato 26 aprile 2014

    Le Armate Brancaleone


    Il grottesco elmo gluteiforme del condottiero dell'armata brancaleone



    Capolavoro, originale.
    È un film di Mario Monicelli. Alcuni lo considerano il suo capolavoro, altri solamente un originale e divertente film d’evasione, con un ottimo cast e bellissime riprese, basato su una sceneggiatura ed una trama avvincenti e – forse – simbolici (Age e Scarpelli, non per nulla). Vi si narra una serie d’avventure grottesche di un’improbabile ‘armata’, con scopi confusi e mutevoli ed esito casuale ed incerto. Il film è corredato da una colonna sonora molto personalizzata e da un idioma immaginario, ottenuto mescolando con successo dialetto, latino maccheronico e linguaggio medioevaleggiante.

    Un breve riassunto:
    A Civitanova, nella buia Italia dell'XI secolo, Brancaleone da Norcia, unico e spiantato rampollo di una nobile famiglia decaduta, dotato però di una non comune eloquenza ed animato da sane virtù e cavallereschi principî, guida un manipolo di miserabili (l'anziano notaio giudeo Abacuc, il robusto Pecoro, un ragazzino di nome Taccone e lo scudiero Mangold) alla presa di possesso del feudo di Aurocastro in Puglia, secondo quanto dettato in una misteriosa pergamena imperiale scritta da Ottone I il Grande che gli stessi miserabili gli porgono e che affermano di aver rinvenuto in modo del tutto lecito e casuale, in realtà rubata al suo proprietario: un cavaliere aggredito e creduto morto. Brancaleone inizialmente non vuole mettersi al comando di un gruppo di straccioni e rifiuta con disprezzo. Tuttavia, nel torneo a cui si accingeva a partecipare, il combattimento con un altro cavaliere si conclude con la sua sconfitta, e il cavaliere accetta di unirsi con il gruppo di miserabili.

    Il film ebbe uno strepitoso successo, perché immediata fu la simpatia verso quel manipolo di miserabili ed improbabili interpreti della dissennata e grottesca impresa irresponsabile, condotta all’impronta e senza alcuna preparazione.

    Un paradigma.
    L’espressione ‘Armata Brancaleone’ è così diventata d’uso comune, per indicare qualsiasi iniziativa disordinata e velleitaria, condotta con irresponsabile improntitudine da persone di vario tipo ma tutte in ogni modo inadatte a condurla a termine. Ne abbiamo numerosi esempi dalla cronaca quotidiana, in una gamma piuttosto vasta di deprecabilità ed in quasi ogni aspetto della vita sociale italiana. 'Armate brancaleone' pullulano in ogni ambiente (e in tutte le branche di ciascun ambiente) italiano: politico, sociale, medico, archeologico, amministrativo, giornlistico etc etc.

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    Ma altro è il film – una storia immaginata e non reale – che non ha quasi alcun punto di contatto con la quotidianità di ognuno, ben altro discorso è invece la realtà. Anche nel caso si tratti della realtà della Storia, cioè non del nostro quotidiano attuale, bensì del nostro passato comune.
    Perché è da quel passato che noi proveniamo: è proprio quel passato che ci ha fatto diventare ciò che – nel bene o nel male – noi siamo veramente oggi. Rivisitare la Storia e l’Archeologia in modo non scientifico e personale realizza esattamente quel falso di cui sopra: ci offre un Seurat, gratuitamente.
    Ma se noi preferissimo il nostro più modesto e casalingo Segantini, che sappiamo essere 'roba nostra' autentica?

    Le Armate (ed i 'guerrieri' che le compongono) sono molte e varie: ognuno ne avrà una che costituisce il proprio bersaglio preferito. Alla fine di questo post, io stesso ne ricorderò tre casi famosi in campo medico. Alcune sono organizzazioni a scopo di lucro. Altre, no: ed è allora più difficile smascherarle.

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    L'eroico componente dell’Armata Brancaleone.

    Se oggi qualcuno vi regala le facce di Modigliani, oppure un falso Seurat (come nel film ‘Art & Craft’, in cui il falsario era un generoso Pigmalione egocentrico) oppure cerca di convincervi di una presunta discendenza da un ‘anello mancante umano’ rinvenuto in Inghilterra due secoli fa ('Uomo di Piltdown'), oggi voi ed io sappiamo che mente. 
    Come possiamo saperlo?
    Lo sappiamo proprio grazie a persone serie, che hanno fatto e fanno (più o meno degnamente, o talvolta anche indegnamente, come tutti) il proprio lavoro.
    Tutti, naturalmente, sono criticabili: ma sarebbe bene che fossero criticati da chi ha tutti i titoli per farlo, non da un poco credibile ed arrogante venditore d'insetti bioluminescenti che nella propria intera vita si è occupato di tutt’altro che d’Archeologia o di Storia (o, eventualmente, di quel campo specifico in cui opera la 'sua' armata).

    Criticare senza fare è troppo facile e bello: ma è un attività da pensionati con lo stampo della panchina impresso sulle chiappe flaccide.
    Fare, invece, è molto più difficile: e si è sempre esposti ad un possibile sbaglio.
    Come si dice a Roma, in questi casi: “E allora viecce te!”, che è poi la scorciatoia dialettale per affermare che l’infallibilità è virtù propria dei cretini, degli imbonitori, dei ciarlatani...

    Ammettiamolo pure: questa ipotetica persona in fondo non sta tentando di vendere alcunché (oppure non lo si può provare), per cui la Legge probabilmente non può definirlo truffatore a pieno titolo, né di conseguenza punirlo come tale. Ma se ciò che sta cercando di propalare è falso, abbiamo tutto il diritto personale di ritenerlo almeno un ‘falsario’. E tutto il diritto di insistere a chiedere prove convincenti. E, per l'universale diritto alla libertà d'espressione, abbiamo anche il diritto di dirglielo!

    C'è Scienza e ‘scenza’.
    Ed è proprio qui che la Scienza differisce – meravigliosamente cristallina – dalla ‘scenza’ puteolente e proterva di tutte le armate brancaleone: lo scienziato vero sa bene di avere un preciso dovere verso tutti gli altri e verso il mondo, oltre che verso se stesso. Egli deve innanzi tutto dimostrare le proprie ipotesi: altrimenti non avrà diritto d'essere ascoltato, non sarà preso in considerazione, non potrà pubblicare. E - soprattutto - dovrà tacere (lasciamo pure stare il vendere o spacciare il proprio 'prodotto')..
    .

    Lo 'scenziato', invece, vuole essere creduto 'perché lui è lui' e gli altri sono... proprio come nella famosa battuta di Alberto Sordi, nel "Marchese del Grillo"... E' anche la sindrome dell' idiot savant, già discussa in un altro post.

    Ogni vero scienziato sa bene che ripetere all’esaurimento un’ipotesi non la trasformerà mai in una tesi.
    Invece, il soldato (instancabile) dell’Armata Brancaleone crede che l’usuale ‘fare ammoino’ mediterraneo, i lazzi e i frizzi, le atellane su qualsiasi palco improvvisato ed il diffuso sarcasmo vomitato con metodo in continui libelli diffamatori verso gli addetti ai lavori, possano essere presi in seria considerazione.
    Lo 'scenziato' tratta la propria ‘missione’ (diffusione del proprio messaggio luminoso e rivelatore) come una guerra da vincere per esaustione dell’avversario, che va preso per stanchezza.
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    Conclusione.
    Se gli Italiani fossero una popolazione di persone serie, istruite, valide, responsabili ed efficienti... Tanti tamburi maggiori della Banda D'Affori - in ogni campo - non ci sarebbero stati.*
    E' superfluo fare tutti i numerosi esempi: ce ne sono troppi: e certamente ognuno ha il suo proprio personale esempio in mente.

    Mi sento in dovere, da parte mia, di ricordare solo tre casi, in campo medico: il 'Metodo Bonifacio', la 'Cura di Bella' ed il 'Metodo Stamina'.

     E se il 'tamburo maggiore' è di solito una figura inquietante e deprecabile (anche se talvolta - lo si è visto - in buona fede e del tutto innocente), sono davvero quei 550 pifferi  ciò che dà più fastidio, in quanto dimostrano appieno quanto facilmente si possano manipolare le opinioni della folla e manovrarne le singole persone, influendo sulle coscienze e precedendo le sentenze di chi ha i titoli per darle.
    Non è un caso, quindi, che tutte le armate brancaleone - prima o poi - siano condotte dal tamburo maggiore ad un seggio elettorale, o ad aprire il proprio borsellino o - peggio - indurre anche altri a farlo.

    E' l'Italia, quella che fu descritta benignamente come 'Il Bel Paese', ma che resta fedele nei secoli alla severa sentenza dantesca del VI Canto del Purgatorio (76-78).

     *Sia subito chiaro che la Banda d'Affori (quartiere di Milano) è una tradizione regionale seria: la prendo qui ad esempio solamente in occasione dell'anniversario della Liberazione e proprio nel senso in cui essa fu usata per un certo periodo, cioé come simbolo a dileggio semi-segreto del fascismo e del trombone a capo di esso, con i 550 pifferi che gli stavano al seguito e gli reggevano il bordone (550 erano i componenti della Camera dei Fasci e delle Corporazioni). In Toscana si cambiava il verso con: "550 bischeri". La canzone fu censurata.


    Il tamburo principal della banda d'Affori
    Correva l’anno 1942 - Testo di Mario Panzeri e Nino Rastelli - Musica di Nino Ravisini

    Versione Originale
    'Riva la banda, 'riva la banda,
    'riva la banda del nòst paes,
    del nòst paes, del nòst paes.
    Oh Caterina mettel su 'l tò vestii de spos.
    Oh Caterina mettel su 'l tò vestii de spos.

    Gh'è 'l capobanda, gh'è 'l capobanda,
    gh'è 'l capobanda ch'el g'ha i barbis,
    che bej barbis, che bej barbis .
    Oh Caterina el capobanda l'è 'l tò Luis.
    Oh Caterina el capobanda l'è 'l tò Luis.

    Vardee tosann che bej bagaj,
    vardee tosann che bej sonaj,
    e col tambur inscim' ai spall,
    vardee 'l Luis se 'l par on gall.

    L'è lù, l'è lù, sì sì, l'è pròpi lù!
    L'è 'l tamburo principal della Banda d'Affori,
    ch'el comanda cinquecentocinquanta pifferi.
    Oh tosann batt i man ch'el tambur l'è scià.
    Che risott!
    Gh'è anca i òcch che ghe fan "qua qua".
    A vedell gh'è i tosanell che diventan timide,
    lù confond el Riguleto con la Semiramide:
    "Bella figlia dell'amor,
    schiavo son, schiavo son dei vezzi tuoi".

    Passa la banda, passa la banda,
    passa la banda, la va a Cantù,
    la va a Cantú, la va a Cantú.
    Oh Caterina el tò Luis el va avanti pù
    Oh Caterina el tò Luis el va avanti pù.

    Forza Luigi, forza Luigi,
    forza Luigi ch'è scià 'l tranvai,
    ch'è scià 'l tranvai, ch'è scià 'l tranvai.
    Oh Caterina lù 'l gh'ha on pè dent in di rotaj
    Oh Caterina lù 'l gh'ha on pè dent in di rotaj.
    Fermate il tram, spostate il tram!
    Vegnen giò tucc. Oh che can can!
    E lù l'è là compagn d'on scior,
    ch'el ghe da dent col sò tambur.

    L'è lù, l'è lù, sì sì, l'è pròpi lù!
    L'è 'l tamburo principal della Banda d'Affori,
    ch'el comanda cinquecentocinquanta pifferi.
    Oh tosann batt i man ch'el tambur l'è scià.
    Che risott!
    Gh'è anca i òcch che ghe fan "qua qua".

    A vedell gh'è i tosanell che diventan timide,
    lù confond el Riguleto con la Semiramide:
    "Bella figlia dell'amor,
    schiavo son, schiavo son dei vezzi tuoi"
              
    Versione Italiana
    Arriva la banda, arriva la banda,
    Arriva la banda coi suonator
    Coi suonator, coi suonator.
    Oh Caterina Caterina che batticuor.
    Oh Caterina Caterina che batticuor.

    Il capobanda, il capobanda,
    Il capobanda ha i bottoni d’or
    sorride ogn’or, che rubacuor
    Oh Caterina il capobanda è il tuo grande amor
    Oh Caterina il capobanda è il tuo grande amor

    Eccoli qua son tutti qua,
    Sol La Sol Mi Do Re Mi Fa
    e coi baffoni a penzolon,
    giunge il tamburo come un tuon.

    E’ lui, è lui, è lui, è lui, si si è proprio lui
    è il tamburo principal della Banda d’Affori
    che comanda cinquecentocinquanta pifferi
    Che passion, che emozion, quando fa bum bum
    Guarda qua!
    Mentre va le oche fan qua qua
    Le ragazze nel vederlo diventan timide
    Lui confonde il Trovator con la Semiramide:
    "Bella figlia dell'amor,
    schiavo son, schiavo son dei vezzi tuoi".

    Passa la banda, passa la banda,
    passa la banda, poi va a Cantù,
    Poi va a Cantù, poi va a Cantù
    Oh Caterina, ma il tuo amor non va avanti più
    Oh Caterina, ma il tuo amor non va avanti più

    Forza Luigi, forza Luigi,
    forza Luigi che c'è il tranvai,
    che c'è il tranvai, che c'è il tranvai.
    Lui con un piede nel binario sta in mezzo ai guai
    Lui con un piede nel binario sta in mezzo ai guai

    Fermate il tram, spostate il tram!
    Scendono tutti che baccan!
    E lui con calma e serietà,
    cerca la banda dove sta.

    E’ il tamburo principal della Banda d’Affori
    che comanda cinquecentocinquanta pifferi
    Che passion, che emozion, quando fa bum bum
    Guarda qua!
    Mentre va le oche fan qua qua
    Le ragazze nel vederlo diventan timide
    Lui confonde il Trovator con la Semiramide:
    "Bella figlia dell'amor,
    schiavo son, schiavo son dei vezzi tuoi".


    venerdì 25 aprile 2014

    FALSO & CREATIVO



    Mark Landis, falsario e filantropo, al lavoro

    falso Signac

    1) Fai un abile falso, estremamente somigliante.

    2) Assumi un'identità insospettabile: ad esempio quella di un sacerdote, Father Arthur Scott...

    3) Vai dai responsabili di un museo e raccontagli - come Father Scott - una storia familiare lacrimevole : la madre è morta, la sorella sta regolando la successione, ambedue voi fratelli volete soddisfare le ultime volontà della madre, che erano precisamente quelle di donare alcune meravigliose opere d'arte.

    4) Scopri quanto sia facile ingannarli: perché li colpisci proprio nel loro tallone d'Achille. Non sanno resistere alla tentazione di accettare un Paul Signac, un Alfred J. Miller, oppure un Luois Valtat.

    5) Quello che fai si chiama 'Forgery', cioè falsificazione di opere d'arte. Ma attenzione: se tu regali e non chiedi soldi, non è facile imputarti una truffa...

    6) I musei ingannati così generosamente da Father Scott (che in realtà si chiama Mark Landis) nell'arco di tempo di circa 30 anni, sono quasi 40 e alcuni anche di gran nome.

    7) Quanto può durare l'inganno? Dal 1987 al 2008, in questo caso: ma se nessuno è stato alleggerito di contanti, che cosa hai mai fatto di male? Che cosa possono imputarti?

    8) Come è stato scoperto il falsario? Semplice: qualcuno (Matthew Leininger, del Museo d'Arte di Cincinnati) si è incuriosito del fatto che troppi musei vantavano il possesso della medesima opera.

    9) Robert Wittman,  fondatore dell'Art Crime Team del FBI, ammetterà che  hai solo il "desiderio di soddisfare il tuo ego", ma non sei un criminale: potresti essere accusato di plagio, ma gli autori non lo faranno, essendo deceduti.

    10) Faranno un film, sulle tue singolari gesta: s'intitola "Art and Craft" e sarà visibile al TriBeca Film Festival, già aprile 26.

    Ah, Mark Landis: sei un genio indiscusso!

    vedi anche:
    https://www.kickstarter.com/projects/1041148411/art-and-craft-a-feature-documentary


    Il falsario, a casa propria.


    Expert Art Forger is Exposed in Documentary

    The Tribeca Film Fest flick ‘Art and Craft’ paints a crazy picture of a man obsessed with re-creating and donating famous works—and fooling many in the process.
    As a self-proclaimed “philanthropist” Father Arthur Scott has donated hundreds of notable artworks to museums all across the country. Institutions like the National Portrait Gallery in Washington, D.C., and the Philadelphia Museum of Art have accepted works by Paul Signac, Alfred Jacob Miller and Louis Valtat. Or have they?
    Each museum registrar heard the same story: Father Arthur Scott’s mother has recently passed away and while his sister—still in Paris—settles the estate, he is there to facilitate her wish to bequest the institution with a piece from her collection.
    The works came with the proper paperwork, so no one questioned a thing. After all, promises of money and art are these institutions biggest weaknesses. But what seemed like generous donations turned out to be one of the largest, and most unique, deceptions the art world has ever seen—spanning three decades and over 40 museums. Father Scott wasn’t even his real identity—it is Mark Landis—and those Signacs, Millers, and Valtats weren’t real either.
    A new film, Art and Craft, which premiered at the TriBeCa Film Festival on Thursday, follows 59-year-old Landis from the moment he was exposed to a full-scale exhibition of his forgeries as the man encounters the many people trying to figure out his motives and convince him to abandon them.
    Funded on Kickstarter, the filmmakers began the project after reading a riveting 2011 profile on Landis in The New York Times. “When we tracked him down in Laurel, MS, we began the three-year journey of telling Landis’ story and unpacking the complicated impulses and influences that brought him to where he is today,” they wrote in an article for Filmmaker Magazine.
    Each work is meticulously copied. Wood is cut to the exact dimensions, sanded and stained to stress the age of the work. A photocopy of the work is pasted onto the wood before being painted over to give the piece its deceiving authenticity. Watercolors are strikingly identical and the charcoal works, done with color pencil, are deceptively perfect.
    Landis’ first “philanthropic binge”—as he calls them—occurred in 1987 when he donated his first copy to the New Orleans Museum of Art. But it was not until 2008 that he was caught in the act. 
    A red flag was raised after he met with Cincinnati Museum of Art’s chief registrar Matthew Leininger, who discovered that multiple museums claimed the same pieces.
    Since then, the museum registrar has become borderline obsessive in devoting his time to stopping Landis. “I sent a message out through the registrar’s listserv,” he explained in the film, “and within the first hour, my phone was ringing off the hook.” At least 20 museums contacted him that day—all with forgeries of works that appeared in multiple museums.
    The task, however, has proved more difficult than he imagined. 
    The fact that Landis is not in it for the money makes it hard for him to be prosecuted. “It wasn’t like Landis went in and [demanded money],” Robert Wittman, founder of the FBI Art Crime Team, explained of what can only be deemed as an act of “ego satisfaction.” “That would be fraud. The fact is that he gave it to the museum for free. It’s up to the museum to determine what they think of it.”
    The story of Landis’ folly is exactly what makes this film so captivating. He seems to still seek approval from a father that has long been deceased, while mourning the death of his mother, who his relationship with can only be described as uncomfortably close. The viewer can’t help but empathize for the lone man riddled with schizophrenia and other mental handicaps.
    But with no way to prevent the artist from continuing his quests, Leininger and his colleagues decided to give Landis the ultimate gift—an exhibition of his forgeries. “The show focuses on using a predecessor’s work as inspiration versus simply plagiarizing the work,” University of Cincinnati DAAP Galleries director Aaron Cowan says of the exhibition, which plots out a timeline of Landis’ donations, pairing his works with their originals.
    Invited to be the guest of honor, Landis was then forced to come face to face with the people that he fooled. In the film, patrons of the arts question why he does it and why he won’t stop—or better yet, why he doesn’t create his own original pieces.
    Instead, Landis hinted at his next project—returning lost or stolen works to their rightful owners. The questions remains, though: Does he mean the actual works, or replicas by the world’s greatest forger?
    ‘Art and Craft’ will be running periodically at the TriBeCa Film Festival through April 26, 2014.