Un saluto a salve.
Ciao, Pasuco!
Oggi non ho molto da dire: quindi ti scrivo solamente le mie impressioni del giorno. Uscendo di casa ho incontrato un conoscente, che mi ha salutato con un: “Salve!”. Sorrideva, gentile.
Ma io penso che il ‘salve’ sia un saluto ignavo, codardo, vago (1).
Lascia che io mi spieghi, Pasuco, non pensare subito che io sia pazzo, per favore!
Il ‘ciao” è familiare, amichevole, intimo. Presuppone precedenti rapporti cordiali, una conoscenza ben vissuta e – se non proprio di lunga data – almeno una frequentazione reciproca gradita ad ambedue i contraenti. Va usato con le persone che frequenti abitualmente di più, con gli amici, i parenti, i colleghi di lavoro. Sarebbe sfacciato e irriguardoso usarlo con uno sconosciuto estraneo, oppure con un superiore con il quale non sei in confidenza, con un tuo professore (se sei uno studente) che non te ne ha dato permesso). Ciao è un saluto complice, vicino, che non esclude il massimo del rispetto. Possiede molte implicazioni, tutte interessanti.
‘Salve’ non presuppone nulla di tutto ciò. Non è un “saluto ufficiale” in alta uniforme, formale e rispettoso, ma distante. Non è neppure un saluto confidenziale ed affettuoso, che prelude ad una strizzatina d’occhio o ad un abbraccio e magari qualche cosa di più. Certamente è meglio di niente, cioè meglio che ignorarsi del tutto. Certamente è molto, molto meglio che scambiarsi un’occhiataccia minacciosa digrignando i denti. Questo va da sé, andiamo…
Ma – insomma – un ‘salve’ non prelude a nulla, non implica null’altro che la mera conoscenza di vista tra due persone, non compromette parte di sé, non spartisce alcunché della propria vita, del proprio modo di essere o di sentire: è un saluto ignavo, appunto, che resta in superficie e non approfondisce, che non osa e non compromette, che non dà nulla a chi lo riceve...
E’ il tipico saluto che si dà alle persone a cui – per chi si pone questo tipo di problema – non si sa se dare del ‘tu’ oppure del ‘lei’. Capisci, Pasuco? E’ quando quel tipo di persona non sa se con te “deve” essere amichevole e affettuoso, oppure "deve" essere formale e distante e quindi (credendo d'essere furbo) sceglie una forma di saluto neutra, atossica, che non possiede alcuna connotazione. Ma questo, in fondo in fondo, non è già di per sé una forma di offesa, seppure involontaria? Non significa, in fondo: "Di te non me ne frega nulla, ma le convenzioni sociali mi obbligano ad un saluto, per cui ti dò quello di minimo impegno, per non sembrare un cafone"?
A me il “salve” fa lo stesso effetto di quelle persone che – quando ti porgono la mano per salutarti – non ti stringono la tua mano, ma si lasciano stringere la loro, abbandonata lì, con la stessa consistenza e partecipazione di un pesce lesso privo di ogni vita e personalità. (lasciamo stare che per soprammercato quella mano possa essere grassoccia e magari anche sudata: non desidero terrorizzarti troppo, amico mio!).
“Buon giorno!” - invece - è un saluto meraviglioso: anch’esso non implica affatto che uno si debba compromettere in un rapporto interpersonale familiare ed intimo o magari carnale. Anzi, uno può continuare a dare confortevolmente del ‘lei’, oppure può anche restare agnostico e non sapere mai, fino all’eternità, che forma usare, con quella persona: ma intanto, le ha augurato di avere una bella giornata!
Insomma: augurare buon giorno con un sorriso, perbacco, è mille volte meglio che sparare uno svogliato saluto a salve, insignificante e olezzante di pesce morto da qualche giorno.
E questa, mio caro Pasuco, è la mia cordialissima opinione sul “salve” e su tutti gli ignavi svogliati che lo usano: stammi bene, ed abbiti da me una bellissima giornata, perbacco!
(1) perché ha perso in Italiano il significato che aveva in Latino: stai salvo, cioé sano, in buona salute.