Se la Zona Franca
è solo uno slogan
La proposta della Giunta ha più contenuti di propaganda che
del progetto - La
lettera all’Unione europea rispedita al mittente - Gli
effetti negativi inoltre
sarebbero superiori ai possibili benefici
"Zona franca, zona franca".
Da settimane il dibattito politico
isolano è attraversato da questa parola d’ordine che come un fiume carsico
riemerge ogni tanto, per poi regolarmente tornare sottoterra, soprattutto dopo
le elezioni. È successo anche questa volta, quando a febbraio la giunta
Cappellacci, per guadagnare credibilità e spazio in quella fascia di elettorato
vicino a posizioni nazionalitarie e indipendentiste, e levare acqua dal mulino
dei sardisti, ha prodotto due delibere con le quali si “attivava” la zona
franca in tutta la Sardegna e se ne dava prontamente comunicazione all’Unione europea.
Nei due documenti si ponevano le basi politiche (su quelle giuridiche il
discorso è più complesso...) per richiedere al Governo e all’Unione europea
l’applicazione di norme che dovrebbero rendere meno drammatica la situazione
dell’isola, rendendola nel suo complesso più competitiva. Le due delibere, del
7 e del 12 febbraio, nelle intenzioni dello stesso Cappellacci dovevano rappresentare
il punto più alto di una battaglia per la difesa dell’autonomia che ha radici
antiche e nobili e si richiama direttamente ai padri costituenti dello Statuto
Sardo.
Obiettivo ambizioso, ma non raggiunto del tutto, anche per la
genericità delle proposte, della insussistenza dei presupposti giuridici, per l’assenza
di una azione concordata col governo, e infine per la confusione che un’idea
forte, come quella della zona franca, ha ingenerato nei tanti gruppuscoli e
movimenti nei quali si è divisa la società sarda, tutti pronti a cavalcare
frasi a effetto soprattutto se prive di contenuti.
- Zona franca fiscale o
doganale?
- Punti franchi o zona integrale?
Come si integra e si armonizza questo
sistema, una volta definito, con le norme statali e europee? La delibera di
giunta prima ricorda la grave situazione dell’isola e poi ricorda sia il Trattato
di Lisbona (sulla coesione e il superamento delle situazioni di arretratezza
nell’Unione) che il nuovo codice doganale che entrerà in vigore il prossimo 24
giugno. Poi cita le ragioni, storiche e geografiche, per un regime speciale per
l’isola, lo Statuto, e il
pronunciamento di 240 consigli comunali che si sono pronunciati
per la “zona franca”.
Forte di questi pareri e di alcune norme costituzionali e
comunitarie, interpretate in chiave estensiva, la Giunta regionale il 12
febbraio dà mandato al presidente Cappellacci di “comunicare alle autorità
europee e a quelle doganali nazionali e regionali la volontà popolare di
rendere immediatamente operative sul territorio le prerogative riferite ad
alcuni regolamenti e di individuare nel perimetro dell’isola e delle isole
minori... il territorio extradoganale dell’Italia”.
Tutto risolto?
Neppure per sogno; a seguito di questa delibera,
accolta dai tifosi della zona franca come una dichiarazione di indipendenza, sono
sorti comitati, gruppi, associazioni convinte che bastassero poche parole per
risolvere un problema complesso. La Giunta però è andata anche oltre: ha
scritto all’Unione europea, ai primi di marzo, al commissario europeo per la
Fiscalità, Semeta, per chiedere una modifica del nuovo codice doganale
comunitario, e agli enti petroliferi per comunicare i contenuti delle delibere.
Passano pochi giorni e arriva dall’Unione la risposta, non come Cappellacci e
il suo esecutivo si aspettavano: “Caro Presidente, non possiamo trattare queste
richieste che provengono da una Regione; deve essere lo Stato a
comunicarcelo... per le zone franche queste possono essere attuate dagli Stati
in autonomia; al massimo devono comunicarcelo. Livigno e Campione d’Italia non sono
zone franche, e non fanno parte del territorio doganale dell’Unione”.
Una risposta che ha a sua volta creato dibattiti e polemiche e
dopo la quale è calato un provvidenziale silenzio da parte della Regione. Nel
frattempo il mondo imprenditoriale sardo si è espresso praticamente all’unanimità
contro questa rabberciata ipotesi di zona franca: l’unico risultato che se ne
ricaverebbe infatti sarebbe una ulteriore riduzione della quota Iva che lo Stato gira alla Sardegna, senza alcuna vantaggio
né in termini fiscali né doganali.
Inoltre, secondo gli esperti, le zone
franche hanno senso in un’area limitata solo se le produzioni interne fossero
ad alto valore aggiunto e la capacità di esportazione dei prodotti lavorati
fosse alta: a quel punto l’ulteriore abbattimento di costi a monte
favorirebbe sempre più l’interscambio. Ma per avere uno straccio
di idea sulla zona franca bisognerebbe risolvere l’equivoco se questa debba
essere doganale o fiscale, se totale o parziale. Aspetti su cui i tecnici si sono esercitati in mille studi e comparazioni con l’attuale
sistema economico sardo, arrivando alla conclusione che adesso una zona franca
per l’isola creerebbe più problemi di quelli che secondo i promotori dovrebbe risolvere.
In ogni caso l’ambito normativo su cui agire, lo Statuto e le
leggi nazionali, prevedono un percorso definito, con eventuale “istituzione di
punti franchi secondo le norme nazionali e comunitarie in materia doganale”.
Ma quello che nel 1948 era una carta utile per vedere uno sviluppo
possibile oggi è stata ampiamente superata dalle decisioni che negli anni sono
state assunte da altre Regioni, come la Val d’Aosta (zona franca fuori dalla
linea doganale), Gorizia (agevolazioni doganali e fiscali, un diritto speciale per
una serie di beni e regimi agevolativi per le imprese), Livigno (disciplina speciale sin dal 1910 e con
Campione d’Italia esenzioni speciali in materia doganale e fiscale e daziaria,
riconosciute dall’Ue perché talmente limitate per il territorio interessato da non
creare distorsioni artificiali nel territorio dell’Unione) e Trieste (porto
franco doganale totale).
Visti i casi nazionali, l’applicazione della zona franca integrale
alla Sardegna rappresenta un boccone troppo grande da digerire per il nostro
paese. Si potrebbe al massimo ragionare sulla zona franca al porto di Cagliari,
principale porta d’accesso alle merci dell’isola, e agli altri scali di
Oristano, Porto Torres, Olbia, Portovesme e Arbatax, ma se non ci sono
interventi di carattere fiscale la zona franca doganale “portuale”, se vogliamo
chiamarla così, da sola non è utile.
Tutti questi ragionamenti portano alla conclusione che non è con
slogan estemporanei che si può proporre un pacchetto di iniziative utili per l’isola.
Le leggi, come hanno ricordato in Consiglio regionale diversi esponenti politici
di entrambi gli schieramenti, già adesso consentono l’avvio di un percorso virtuoso
per realizzare in Sardegna un sistema fiscale e produttivo agevolato. Ma per
farlo bisogna valutare tutti i pro e i contro, capire cosa ci si guadagna e
cosa ci si perde, individuare i punti di forza propri e quelli di debolezza
degli interlocutori.
Insomma compiere un lavoro serio e articolato che al
termine veda un confronto serrato con Stato e Ue sul futuro dell’isola. A detta
di molti osservatori, la Sardegna e le sue istituzioni non sono ancora arrivati
a questo punto. Ma non è detto che un domani non possano passare dagli slogan
alle proposte. Sarebbe il miglior regalo che si possa fare ai giovani e il modo
migliore di onorare la memoria dei politici sardi che nel 1948, con un dialogo
costruttivo con lo Stato, scrissero uno Statuto ricco di idealità e di
speranze. Forse quel testo era meno ricco di strumenti e leve finanziarie, ma
questa, chiaramente, è un’altra storia.
Un articolo di
Giuseppe Centore
per il MessaggeroSardoOnLine - 13 Aprile
"Pronto, UE? Guardi che ci serve la ZONA con una certa urgenza!" |