giovedì 25 aprile 2013

ANCORA e sempre ZONAFRANCASARDA IV











Se la Zona Franca
è solo uno slogan

La proposta della Giunta ha più contenuti di propaganda che del progetto - La
lettera all’Unione europea rispedita al mittente - Gli effetti negativi inoltre
sarebbero superiori ai possibili benefici





"Zona franca, zona franca"

Da settimane il dibattito politico isolano è attraversato da questa parola d’ordine che come un fiume carsico riemerge ogni tanto, per poi regolarmente tornare sottoterra, soprattutto dopo le elezioni. È successo anche questa volta, quando a febbraio la giunta Cappellacci, per guadagnare credibilità e spazio in quella fascia di elettorato vicino a posizioni nazionalitarie e indipendentiste, e levare acqua dal mulino dei sardisti, ha prodotto due delibere con le quali si “attivava” la zona franca in tutta la Sardegna e se ne dava prontamente comunicazione all’Unione europea. Nei due documenti si ponevano le basi politiche (su quelle giuridiche il discorso è più complesso...) per richiedere al Governo e all’Unione europea l’applicazione di norme che dovrebbero rendere meno drammatica la situazione dell’isola, rendendola nel suo complesso più competitiva. Le due delibere, del 7 e del 12 febbraio, nelle intenzioni dello stesso Cappellacci dovevano rappresentare il punto più alto di una battaglia per la difesa dell’autonomia che ha radici antiche e nobili e si richiama direttamente ai padri costituenti dello Statuto Sardo.
Obiettivo ambizioso, ma non raggiunto del tutto, anche per la genericità delle proposte, della insussistenza dei presupposti giuridici, per l’assenza di una azione concordata col governo, e infine per la confusione che un’idea forte, come quella della zona franca, ha ingenerato nei tanti gruppuscoli e movimenti nei quali si è divisa la società sarda, tutti pronti a cavalcare frasi a effetto soprattutto se prive di contenuti

- Zona franca fiscale o doganale? 
- Punti franchi o zona integrale? 

Come si integra e si armonizza questo sistema, una volta definito, con le norme statali e europee? La delibera di giunta prima ricorda la grave situazione dell’isola e poi ricorda sia il Trattato di Lisbona (sulla coesione e il superamento delle situazioni di arretratezza nell’Unione) che il nuovo codice doganale che entrerà in vigore il prossimo 24 giugno. Poi cita le ragioni, storiche e geografiche, per un regime speciale per l’isola, lo Statuto, e il
pronunciamento di 240 consigli comunali che si sono pronunciati per la “zona franca”. 
Forte di questi pareri e di alcune norme costituzionali e comunitarie, interpretate in chiave estensiva, la Giunta regionale il 12 febbraio dà mandato al presidente Cappellacci di “comunicare alle autorità europee e a quelle doganali nazionali e regionali la volontà popolare di rendere immediatamente operative sul territorio le prerogative riferite ad alcuni regolamenti e di individuare nel perimetro dell’isola e delle isole minori... il territorio extradoganale dell’Italia”.


Tutto risolto? 

Neppure per sogno; a seguito di questa delibera, accolta dai tifosi della zona franca come una dichiarazione di indipendenza, sono sorti comitati, gruppi, associazioni convinte che bastassero poche parole per risolvere un problema complesso. La Giunta però è andata anche oltre: ha scritto all’Unione europea, ai primi di marzo, al commissario europeo per la Fiscalità, Semeta, per chiedere una modifica del nuovo codice doganale comunitario, e agli enti petroliferi per comunicare i contenuti delle delibere. Passano pochi giorni e arriva dall’Unione la risposta, non come Cappellacci e il suo esecutivo si aspettavano: Caro Presidente, non possiamo trattare queste richieste che provengono da una Regione; deve essere lo Stato a comunicarcelo... per le zone franche queste possono essere attuate dagli Stati in autonomia; al massimo devono comunicarcelo. Livigno e Campione d’Italia non sono zone franche, e non fanno parte del territorio doganale dell’Unione”.

Una risposta che ha a sua volta creato dibattiti e polemiche e dopo la quale è calato un provvidenziale silenzio da parte della Regione. Nel frattempo il mondo imprenditoriale sardo si è espresso praticamente all’unanimità contro questa rabberciata ipotesi di zona franca: l’unico risultato che se ne ricaverebbe infatti sarebbe una ulteriore riduzione della quota Iva che lo Stato gira alla Sardegna, senza alcuna vantaggio né in termini fiscali né doganali. 

Inoltre, secondo gli esperti, le zone franche hanno senso in un’area limitata solo se le produzioni interne fossero ad alto valore aggiunto e la capacità di esportazione dei prodotti lavorati fosse alta: a quel punto l’ulteriore abbattimento di costi a monte
favorirebbe sempre più l’interscambio. Ma per avere uno straccio di idea sulla zona franca bisognerebbe risolvere l’equivoco se questa debba essere doganale o fiscale, se totale o parziale. Aspetti su cui i tecnici si sono esercitati in mille studi e comparazioni con l’attuale sistema economico sardo, arrivando alla conclusione che adesso una zona franca per l’isola creerebbe più problemi di quelli che secondo i promotori dovrebbe risolvere.
In ogni caso l’ambito normativo su cui agire, lo Statuto e le leggi nazionali, prevedono un percorso definito, con eventuale “istituzione di punti franchi secondo le norme nazionali e comunitarie in materia doganale”.

Ma quello che nel 1948 era una carta utile per vedere uno sviluppo possibile oggi è stata ampiamente superata dalle decisioni che negli anni sono state assunte da altre Regioni, come la Val d’Aosta (zona franca fuori dalla linea doganale), Gorizia (agevolazioni doganali e fiscali, un diritto speciale per una serie di beni e regimi agevolativi per le imprese), Livigno (disciplina speciale sin dal 1910 e con Campione d’Italia esenzioni speciali in materia doganale e fiscale e daziaria, riconosciute dall’Ue perché talmente limitate per il territorio interessato da non creare distorsioni artificiali nel territorio dell’Unione) e Trieste (porto franco doganale totale).

Visti i casi nazionali, l’applicazione della zona franca integrale alla Sardegna rappresenta un boccone troppo grande da digerire per il nostro paese. Si potrebbe al massimo ragionare sulla zona franca al porto di Cagliari, principale porta d’accesso alle merci dell’isola, e agli altri scali di Oristano, Porto Torres, Olbia, Portovesme e Arbatax, ma se non ci sono interventi di carattere fiscale la zona franca doganale “portuale”, se vogliamo chiamarla così, da sola non è utile.

Tutti questi ragionamenti portano alla conclusione che non è con slogan estemporanei che si può proporre un pacchetto di iniziative utili per l’isola. 
Le leggi, come hanno ricordato in Consiglio regionale diversi esponenti politici di entrambi gli schieramenti, già adesso consentono l’avvio di un percorso virtuoso per realizzare in Sardegna un sistema fiscale e produttivo agevolato. Ma per farlo bisogna valutare tutti i pro e i contro, capire cosa ci si guadagna e cosa ci si perde, individuare i punti di forza propri e quelli di debolezza degli interlocutori. 
Insomma compiere un lavoro serio e articolato che al termine veda un confronto serrato con Stato e Ue sul futuro dell’isola. A detta di molti osservatori, la Sardegna e le sue istituzioni non sono ancora arrivati a questo punto. Ma non è detto che un domani non possano passare dagli slogan alle proposte. Sarebbe il miglior regalo che si possa fare ai giovani e il modo migliore di onorare la memoria dei politici sardi che nel 1948, con un dialogo costruttivo con lo Stato, scrissero uno Statuto ricco di idealità e di speranze. Forse quel testo era meno ricco di strumenti e leve finanziarie, ma questa, chiaramente, è un’altra storia.

Un articolo di
Giuseppe Centore
per il MessaggeroSardoOnLine - 13 Aprile


"Pronto, UE? Guardi che ci serve la ZONA con una certa urgenza!"