La vaccinazione anti
influenza riduce del 50% il rischio per infarto o per ictus cerebri, secondo
due studi presentati al Congresso Cardiovascolare Canadese.
Sono stati prodotti studi su un
totale di 3.227 pazienti, la metà dei quali con diagnosi di malattia cardiaca.
L'età media dei pazienti era di 60 anni: sono stati trattati - del tutto a caso
- alcuni con un vaccino vero, altri con un placebo. Sono stati seguiti per un anno
(Network for Innovation in Clinical Research e TIMU Study Group).
La riduzione degli attacchi di
cuore è stata del 50% e la riduzione delle morti per cause cardiache è stata
del 40% nel gruppo trattato con vaccino anti influenzale, rispetto al gruppo
non trattato. Questo ha fatto dire che "il vaccino per l'influenza è in
realtà un vaccino per il cuore" (Jacob Udell, promotore dello studio).
Caro Pasuco: forse già questo ti
basta,
Ma se preferisci saperne di più, allora
eccomi qua: di fatto, un discreto numero di studi medici aveva già indicato che
esiste un rapporto tra problemi infettivi respiratori ed attacco cardiaco. Nel
2010 una ricerca americana su 78.000 pazienti sopra i 40 anni aveva dimostrato
che i vaccinati avevano il 20% in meno di rischio per primo attacco cardiaco,
anche in presenza dei tipici fattori predisponesti (Fumo di sigaretta,
colesterolo alto, ipertensione, diabete, sesso maschile). Sono circa 91.000 all’anno in America
i morti per attacchi cardiaci ed
ictus provocati a partire dall’influenza. Le associazioni mediche nordamericane
hanno tracciato linee guida molto severe in seguito a ciò: obbligo di
vaccinazione per chiunque al di sopra di sei mesi d’età! (Con eccezioni
motivate da allergie o altro). Ma la realtà resta orribilmente insoddisfacente:
solo la metà dei pazienti a rischio, con malattie cardioascolari, si vaccina
contro l’influenza negli USA. Per cui restano esposti alle complicazioni
dell’influenza ed eventualmente alle complicanze cardiache. In seguito a ciò,
l’osservatorio epidemiologico nordamericano usa la frequenza degli episodi
d’infarto proprio come un rilevatore dell’insorgenza dell’influenza: dove esiste un picco
d’infarti, di solito, lì sta per aversi un’epidemia d’influenza.
Sembra che la prima accensione del
processo abbia inizio nella placca arteriosclerotica di colesterolo, che si
rompe in modo esplosivo attraverso la parete vascolare arteriosa.
I meccanismi automatici di
riparazione danno allora inizio alla formazione di un coagulo. Da qui possono
eventualmente aversi due complicazioni: la prima è l’ostruzione di un vaso
arterioso coronario (che produce l’infarto cardiaco), la seconda è l’arrivo di
un coagulo ai vasi del cervello (che produce l’ictus cerebrale ischemico).
A quanto pare, l’infiammazione è
determinante nel destabilizzare la placca arteriosclerotica e questo spiega
perché soggetti con grandi depositi arteriosclerotici possono non avere infarti
mentre altri, con depositi relativamente scarsi, vanno invece incontro ad infarto
ed ictus. È importante non andare incontro ad episodi infiammatori: ecco perché
è importante vaccinarsi.
Altri eventi negativi scongiurati
dalla vaccinazione sono l’embolia polmonare (un coagulo nel polmone) e la
trombosi venosa profonda (un coagulo nelle vene degli arti inferiori). Uno
studio del 2008 riporta una riduzione del 26% totale in soggetti che erano
stati vaccinati l’anno precedente, con una riduzione addirittura del 48% in
pazienti più giovani di 52 anni.
Esistono altri vaccini che offrono
vantaggi, in età più avanzate: la vaccinazione per l’Erpes Zoster (contro il
‘Fuoco di Sant’Antonio’), che è quella che protegge contro la riattivazione di
virus della varicella ai quali si è stati esposti in età infantile: esistono
studi che dimostrano un’esposizione fino a quattro volte maggiore all’ictus di
coloro che hanno il ‘Fuoco di Sant’Antonio’. La raccomandazione è di iniziare a
vaccinarsi a 65 anni; per chi ha malattie cardiovascolari più precocemente a 50
anni; per chi fuma, oppure ha l’asma, anche a 19 anni.
La vaccinazione contro la polmonite
pneumococcica è molto importante al di sopra dei 65 anni, oppure in più giovane
età, 50, se con fattori di rischio (scompenso cardiaco, malattie polmonari
croniche, o diabete).
Anche qui, gli studi sono stati
condotti su numeri convincenti di pazienti (84.000).
Pensaci, Pasuco.
E buon Natale.