sabato 6 dicembre 2014

Mafia Sacrofano




Sacrofano è un paesino a 25 km a nord di Roma: si chiamava "Scrofano" (una scrofa è nello stemma comunale), ma Benito Mussolini decise che il nome non evocava nulla di buono aggiunse d'autorità quella vocale che ne ha cambiato radicalmente i destini... 

Articolo di Claudia Fusani, dall'Huffington Post:

Mafia Capitale, ecco il manifesto programmatico dell'organizzazione. La villa di Sacrofano era il quartier generale








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MAFIA CAPITAL

A gennaio scorso, con il cambio di giunta in Campidoglio, gli affari di Mafia Capitale stentavano a conservare “le autostrade” – i rapporti con amministratori e politici – che già da un anno e mezzo garantivano affari milionari alle cooperative del ras Buzzi. Così, il patron della holding Eriches-29 giugno metteva le mani avanti: “Se m’arrestano, saremo sulla difensiva e se l’inculamo tutti… ma tutti voglio inculà, è chiaro il concetto. Perché Coratti (Mirko, presidente dell’assemblea capitolina, ndr) sicuramente me chiede di dividere già l’anticipo per cui io glielo do un lotto, il milione”.
Cinque giorni dopo la retata che ha smantellato vertici, soldati e sodali di Mafia Capitale, qualcuno risponde alle domande dei pm (la segretaria di Buzzi, Nadia Cerrito, ha ammesso di gestire la contabilità parallela delle tangenti e delle false fatture), la maggior parte prende tempo. Gli avvocati tentano le prime mosse difensive. Cominciano da quella più prevedibile: chiedono la scarcerazione per insussistenza del vincolo mafioso. Ma la lettura delle carte, 1.200 pagine di ordinanza, 14 faldoni, le 200 pagine dei verbali di sequestro di 204 milioni in quanto “frutto dell’attività delittuosa”, non solo raccontano nascita e attività del sodalizio criminale. Sono già di per sé la sceneggiatura di un nuovo romanzo criminale. Fotogrammi e scene già definite e complete con luoghi, situazioni, ruoli e protagonisti che non sembrano lasciare dubbi all’impianto accusatorio nato da due anni di indagini del Ros dei Carabinieri, coordinato dalla procura di Roma, dal procuratore Pignatone, dall’aggiunto Prestipino e dai pm Ielo, Cascini e Tescaroli e confermato dal gip Flavia Costantini e dal giudice Guglielmo Muntoni che ha messo i sigilli a beni per 204 milioni di euro.
L’ATTO DI NASCITA – Mafia Capitale ha un atto di nascita. Il gip Flavia Costantini lo chiama “manifesto programmatico”. E’ il 13 dicembre 2012, siamo nel dehors del bar Vigna Stelluti, nella omonima strada di Roma, uno dei due ritrovi in città (l’altro era il benzinaio di Corso Francia) dove Carminati era solito convocare i soci più stretti per pianificare strategie e affari. “Tra gli obiettivi primari di Mafia Capitale- scrive il gip – c’è l’acquisizione di attività economiche realizzata avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo. Di tale modalità operativa offre una rappresentazione molto nitida e dettagliata lo stesso Massimo Carminati in una conversazione ambientale del 13 dicembre 2012, conversazione che giustamente la polizia giudiziaria ha definito come il manifesto programmatico dell’associazione e che ha trovato plurimi riscontri nelle indagini svolte”.
Torniamo dunque al dehors del bar Vigna Stelluti. Il 13 dicembre 2012 Carminati siede a un tavolino con Riccardo Brugia, sua vecchia conoscenza dai tempi della militanza nei Nar, e altre due persone al momento non identificate. Si sa però che Carminati, Brugia e gli imprenditori Agostino Gaglianone e Cristiano Guarnera sono chiamati “i quattro uomini d’oro” del gruppo. Nella prima parte della conversazione Carminati parla al telefono con Carlo Pucci (ex direttore commerciale di Eur spa, prende 5 mila al mese da Buzzi e una una tantum da 15 mila) usando utenze dedicate per evitare intercettazioni (“è un telefono storto che c’ho io e Carlo, dura un mese poi la butto e ne ho un’altra”). Carminati spiega che Pucci “garantisce all’organizzazione l’aggiudicazione di lavori buoni”. E che per ottenere l’obiettivo è necessario mostrare all’imprenditore la forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo. “Perché tanto, nella strada – spiega Carminati - glielo devi dire, comandiamo sempre noi, non comanderà mai uno come te nella strada, nella strada tu c’avrai sempre bisogno di noi”. Sono i vantaggi dell’affiliazione all’associazione e i rischi derivanti dall’assenza di una protezione.
L’obiettivo non è solo quello di fornire protezione in cambio di denaro (“a me mi puoi anche dire che mi dai un milione di euro per guardarmi tutte ste merde”), ma è quello di entrare in affari con gli imprenditori (“è normale che dall'amicizia deve nascere un discorso che facciamo affari insieme…”), attraverso un “rapporto paritario”, che avrebbe portato vantaggi reciproci (“io gli faccio guadagnà i soldi a lui”), anche attraverso l’imposizione di imprese che gravitano nel sodalizio (“guarda che noi c’abbiamo delle aziende pure di costruzioni. A chi t'appoggi? Ce l'avemo noi, capito?”). In realtà le cose funzionano già così e da un pezzo. Almeno con le cooperative di Buzzi. Ma Mafia Capitale vuol fare il salto di qualità, puntare in alto, uscire dal sottobosco del recupero crediti e delle estorsioni. Vuole ripulirsi. Carminati parla già a quel tempo, a fine 2012, con Paolo Pozzessere, ex direttore commerciale di Finmeccanica oggi imputato di corruzione internazionale. “E’ un discorso che io ho fatto a tutti questi” spiega Carminati nel bar di Vigna Stelluti. “Devono essere nostri esecutori, devono lavorare per noi”.
Qualche mese dopo, il 13 giugno 2013, Buzzi parla con la compagna Alessandra Garrone e dice: “Ma lo sai perché Max (Carminati, ndr) è intoccabile? Perché era lui che portava i soldi per Finmeccanica, bustoni con tanti soldi per tutto il Parlamento”.
SACROFANO, IL QUARTIER GENERALE DI MAFIA CAPITALE – Come in tutte le storie, anche quelle vere, ci sono luoghi che significano più degli altri. Luoghi-simbolo, luoghi-chiave, luoghi-immagine. Probabilmente gli abitanti delle deliziosa cittadina a due passi dal lago di Bracciano non saranno contenti di sapere che lo stato maggiore di Mafia Capitale l’ha eletta a quartier generale di pranzi, cene e riunioni operative. A cui ha partecipato, del resto, con buona assiduità il sindaco Tommaso Luzzi (già noto per l’inchiesta sulle mazzette alle pompe funebri) che ha trovato nel gruppo buoni e convinti sostenitori per la sua elezione.
A Sacrofano vive Carminati che il 13 maggio scorso è diventato proprietario di una bella villa (valore mezzo miliardo) in via Monte Cappelletto. E’ la villa dove vive da mesi anche Marco Iannilli in cerca di protezione per via di un grosso debito con Gennaro Mokbel. A Sacrofano vive e lavora un noto imprenditore, Agostino Gaglianone detto Maurizio, titolare della Imeg e della Cesas, società del settore edile e specializzate nel movimento terra. Gaglianone è in carcere e nell’organigramma di Mafia Capitale è il responsabile del settore edilizia. Per questo si aggiudica gli appalti per la realizzazione del campo nomadi di Castel Romano (2012-2013), di 90 appartamenti a Monteverde (affare che poi sfuma) e anche il parco giochi per bambini nel terreno della famiglia Sensi (ex Roma calcio). La Imeg è una cassaforte sicura per i contanti di Carminati (150 mila euro per l’acquisto della villa sono stati conservati qui). E anche una centrale per la false fatturazioni per operazioni inesistenti: tra il 2012 e il 2013 ne escono per un totale di 250 mila euro. Tutte destinate alla Eriches per farla rientrare di mazzette e stecche.
La villa di Carminati, a Sacrofano, è il ritrovo domenicale del “mondo di mezzo” di Mafia Capitale. Ci si ritrovano i pezzi grossi, gli uomini “cerniera” – così il gip – con la politica e l’amministrazione. Il 22 dicembre 2013 si ritrovano a pranzo Salvatore Buzzi (l’uomo delle cooperative), Fabrizio Franco Testa, Tommaso Luzzi, Luca Gramazio (capogruppo di Forza Italia in Regione), Giuseppe Ietto (responsabile per la ristorazione nel sodalizio). “Nel corso della riunione – si legge negli atti – venivano esposte e condivise le linee d’azione del sodalizio”. “Stiamo a mettè su una bella squadra” esulta Carminati durante il pranzo. Mentre Gramazio (ma la testimonianza non è diretta) annuncia che “in Regione stanno arrivando i soldi”. In Regione stanno lavorando in queste ore gli investigatori del Ros.
E’ per tutto questo che, dopo quello delle cooperative di Buzzi, a Sacrofano è scattato il sequestro di beni più consistente: decine e decine di immobili e terreni.
DAL BOJO A ROMMEL, I TIPI DI MAFIA CAPITALE – Oltre i politici e gli amministratori, l’inchiesta offre una galleria di personaggi che sembrano già pronti per il sequel di Romanzo criminale. C’è Roberto Locapo, detto Bobo: è il benzinaio di Corso Francia, titolare del luogo di ritrovo della banda. “Gestisce la base logistica del sodalizio” scrive il gip e quando avanza tempo si occupa di recupero credito ed estorsioni , la prima ragione sociale della banda, quella da cui Carminati vuole affrancarsi per puntare in alto. C’è Reginaldo di Mario, detto il Senatore, che viene costretto con certe maniere (“je spacco la testa, vengo e te stacco il collo ”) a restituire un debito. Nell’ordinanza sono decine le vittime di minacce fisiche e anche mortali.
Un ritratto a parte lo meriterebbe Matteo Calvio, detto Bojo, 47 anni, un tipo grosso e robusto, “un soldato a disposizione” che per un po’ ha fatto il bodyguard dell’imprenditore Guarnera. Carminati si fida poco di lui: “Questo è un altro di quelli che farà beve tutti”. Nel sottobosco che vive e si nutre delle strategie di Carminati c’è Fabio Gaudenzi detto Rommel, un certificato penale lungo quattro pagine. Delinque dal 1994, un vero camerata, gravita nei Nar, in una rapina sanguinaria nel 1994 a Roma in via Newton perde il suo compagno Elio di Scala detto Kapplerino. Finiti i Nar, sceglie il tifo, “Opposta Fazione” e “Movimento politico occidentale” di Boccacci.
L’addetto alle armi, custodia e reperimento, è Riccardo Brugia, detto il “braccio destro” o “il compare”, anche lui un camerata dei Nar.

Procurò un appartamento a Cristiano Fioravanti (Valerio) in fuga, procurò documenti falsi ad Alessandro Alibrandi. Il suo motto è: “Tra camerati non ci si tradisce”. Carminati si fida molto di lui e lo porta spesso con sé. Nel sottobosco è certamente il più fidato.
Poi ci sono gli imprenditori. Di Gaglianone, Buzzi, Guarnera abbiamo già detto.Giuseppe Ietto, detto l’ingegnere, è in realtà il titolare di società addette alla ristorazione e si aggiudica tuti gli appalti dei centri immigrati e anche di Rebibbia. Carminati lo vuole perché teorizza “la diversificazione del rischio”, meglio cioè servirsi di più e diversi imprenditori. Ne fa anche una questione di “qualità”. Il verbale di sequestro di Riccardo Mancini, ad di Eur spa e di Marco Polo spa, plenipotenziario della giunta Alemanno, è lungo 22 pagine e sei se ne vanno per elencare i suoi beni. Basti dire che gli è stato sequestrato un patrimonio di tre milioni e mezzo.
SEDICI PRESTANOME – Li ha Giovanni De Carlo, 39 anni (il più giovane del sodalizio), il finanziere del gruppo. Anche se forse il sodalizio in questo caso è diverso da quello di Carminati. Ricco, bella vita, belle donne, dice di lui in un’intercettazione Ernesto Diotallevi, ex boss della banda della Magliana, al figlio Leonardo: “Un tempo c’era il compare, cioè Pippo Calò e al suo fianco Diotallevi. Oggi c’è De Carlo e al posto di Calò un bravo ragazzo. Ma quello non lo conosce nessuno”. Sono gli uomini cerniera tra Cosa Nostra e la banda della Magliana.