La cultura di Ötzieri
Una nuova luce riscrive la storia della Sardegna, all’estremo confine dei limiti italiani, dove l’Italia è già Austria, e l’Austria italiana; ce la dona l’uomo dagli occhi marrone, eroico nei ghiacci a lui inconsueti eppure dominati, fiero nonostante il corpo pieno di zecche. Risplende la luce di un montanaro sardo il cui nome nasconde, alla semplicità dei simboli che si fanno lingua uno dei più antichi regni sherdanu, il Monte Acuto.
E’ nell’area sardo-corsa che si trovano le tracce del suo DNA, legate ad un antenato comune, con segni genetici affini, del Vicino Oriente. Così la scienza.
La storia dei dominatori sta già scrivendo, con la sottile violenza del metodo scientifico, che le tracce orientali rimaste nelle isole gemelle e presenti in Ötzi siano quanto ci rimane di un fenomeno storico più vasto, di una migrazione di semi, tecniche agricole e uomini orientali dai tempi lontani (ora a noi vicini) del neolitico. Non ci faremo togliere anche Ötzi. Neppure l’Oriente, le ziqqurat da noi fondate in Mesopotamia partendo da Monte d’Akkoddi.
Le tracce antropologiche, la cronologia, la linguistica sono concordi, in una schiacciante prova indiziaria.
I tremila anni prima di Cristo corrispondono al nostro Neolitico recente, in quella fase finale che già conosceva e usava il rame. E Ötzi portava un pugnale di rame. Il nostro Neolitico recente è chiamato Cultura di O(t)zieri. Neanche lo storico più attento può negare questo calco!
Similaun è con evidenza un riadattamento linguistico locale: vi si annida un nome sardo composito, che ci porta sino al magico triplice flauto di canna: simi-lau.
I nomi delle persone, come Cotzia e Motzo, gli esseri del mondo marino, le Ortziadas. Di Ötzieri abbiamo già detto. E non vi è bisogno di insistere su questa folgorante corrispondenza linguistica, dove il confronto si fa scienza e la scienza diventa emozione. Assieme, orgoglio popolare e sogno che nessuno ci potrà più togliere.
Ötzi morì in una montagna lontana, ma conosceva questo elemento, come prova il nome del piccolo regno di cui è capitale Ötzieri, il Monte Acuto.
La sua vita è per noi un insegnamento storico, anche nelle intolleranze alimentari e nelle orrende infezioni: che non resistesse al lattosio ci fa cogliere le sue origini profonde, che risalgono agli antichi sardi cacciatori e raccoglitori, della cui avita vicenda, fatta di selce e cervi e grandi foreste, portava il testimone. Che non sopravvisse al morso delle zecche ci svela, nel sacrifico personale, il mito. Il corpo eroico lottò oltre l’inverosimile, ma nessuno, in quella terra lontana, conosceva la terapia della ballerina variopinta.
Perciò la sua sofferenza diventò la nostra liberazione, il ricordo diventò mito e rito, e nessuno dovette più temere l’attacco dell’arza, memoria di quella dolorosa tragedia.
Ora posso dirlo. Avevo ingiustamente ironizzato, nell’Appendice di una mia nota, su quanto scritto in diversi articoli del portale della liberazione nuragica: sulle affermazioni coraggiose che i Sherdanu fossero attestati già dal Neolitico, che alla fine di questo periodo nascesse la prima organizzazione statale della Sardegna (della quale forse proprio Ötzi fu l’eroico condottiero). Sul legame fra Sherdanu e Neolitico, fra Neolitico e nuraghi. Ora capisco la relazione fra l’eroe eponimo della cultura di Ötzieri e le meravigliose torri, perché definire il nuraghe Santu Antine “la più importante costruzione megalitica del neolitico Mediterraneo”.
Non ci ruberete la storia.
Ötzi il logudorese, eroe eponimo del Neolitico recente della Sardegna, finì in quelle montagne sfidando la tragica alluvione atlantidea; lasciando la sua nave, costruita secondo gli ordini di chi sappiamo, nei ghiacci eterni delle Dolomiti. Fu l’arca sarda nella montagna, come quella di Noè sul Monte Ararat (che riprende la storia di Ötzi e del divino tsunami: un giorno la scienza si accorgerà di quanto la storia dell’uomo alla sua origine sia sarda) .
Quelle antiche parole divine si troveranno nelle iscrizioni neglette dalla scienza, nel segreto yawhista dei nuraghi.
La scienza cerca di nasconderci tutto questo, ma non ci riuscirà.
La storia è con noi. Dovremo ancora soffrire, ma terremo accesa la fiammella con le nostre interrogazioni parlamentari. Con una rogatoria internazionale chiederemo a Hollande di far smettere i fratelli corsi.
Un giorno nazionalizzeremo il museo di Bolzano, dove riposta l’eroe che non muore. E vi si arriverà percorrendo un viale di nuraghi, come nella 131.