giovedì 14 agosto 2014

RIFLESSIONI DI UN GIORNO DI MEZZA ESTATE

RIFLESSIONI DI UN GIORNO 

DI MEZZA ESTATE

                                                              ARTICOLO DI MARIA ANTONIETTA MONGIU

deamadrebis
Quanti cagliaritani hanno visitato il Museo Archeologico di Cagliari? Quanti sassaresi il Museo Sanna? Quanti sardi entrambi o uno dei due? Il 40% degli studenti italiani non ha mai visitato un Museo. E quelli sardi? Chissà? Certo è che dopo un guizzo positivo negli anni scorsi, i quindicenni sardi sono ritornati agli ultimi posti nelle valutazioni OCSE Pisa. Oggi gli studenti sardi sono tra i più bocciati d’Italia.
Meglio partire dalla cruda realtà che dalle retoriche stagionali sulla bassa quantità dei visitatori di musei e siti archeologici sardi, specie d’estate quando più alto è il numero delle presenze turistiche e lo spazio nei giornali. Non si può prescindere dal tasso di fruizione dei residenti e dalla consapevolezza che ciascuno ha del luogo dove gli è capitato di nascere. Su questo è impostato il Piano triennale dei Beni culturali, redatto nel 2008. Si è perso nella Commissione Cultura del Consiglio regionale, nell’indifferenza di maggioranze e opposizioni.
Nel Piano triennale come nella Relazione del Piano Paesaggistico Regionale del 2006 l’elemento innovativo non è tanto il corpus di norme e regole quanto l’idea che il paesaggio storico, la sua percezione da parte delle popolazioni, e la cultura siano il fondamento dell’identità regionale e del suo sviluppo economico. La Relazione del PPR recepiva la Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta dai paesi membri a Firenze (ottobre del 2000), e il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.lgs 22.1.2004 n. 42) che attuava l’art. 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”
Quella Relazione è referente di una pedagogia che ha come pilastri la densità storica dei luoghi, l’inderdipendenza tra natura e cultura del paesaggio sardo, la centralità di contenitori storici (musei, biblioteche, archivi) e attività culturali (eventi, festival, rassegne, spettacoli etc.) su cui la Regione investe da decenni risorse impensabili in altre regioni italiane. Ma se quella visione di se e del paesaggio culturale come luogo privilegiato dello sviluppo non fu colta dalla comunità regionale e dai suoi attori (compresi imprenditori e decisori ai diversi livelli) la responsabilità non è certo degli studenti o del misconosciuto paesaggio o dei contenitori (poco più che espositori casuali di eventi o di oggetti) ma delle élites e dei cosiddetti corpi sociali intermedi (compresi i partiti).
La responsabilità di chi pensò che la Sardegna fosse adulta per abitare consapevolmente quella visione – agita tuttora da tantissimi sardi – è certamente aver frainteso che le élites non fossero più da tempo quella borghesia compradora che aveva già dilapidato la stagione della Rinascita, della industrializzazione, della chimica di base, e della prima scolarizzazione di massa e che si autoriproduce costituendo un piccolo ceto chiuso che gestisce lo sviluppo del sottosviluppo. Non avremo altrimenti i peggiori dati di sempre sull’istruzione e sulla disoccupazione e l’abissale forbice reddituale tra chi vive di politica ed il resto della popolazione qualsiasi professione svolga.
Bisogna inoltre definitivamente ammettere che quella che viene definita dai tecnici la comunità educante è debolissima. Eppure ne fanno parte non soltanto le istituzioni preposte all’educazione ma anche quel vasto tessuto di soggetti vari alimentati dai fondi regionali, statali, comunali. Un sistema chiuso “costringe” ad ambire a farne parte anche i meglio intenzionati o i più scatenati critici. Ne sono controprova la fuga degli universitari verso altri lidi e centinaia di laureati del master & back che non ritornano. Chi può e soprattutto chi ha i mezzi se ne va. Dai nostri paesi e dalle nostre città.
Bisogna allora trovare il coraggio di dire che il fallimento del Betile e la voglia di togliersi di mezzo il PPR del 2006 sono una metafora. Non sono solo il boicottaggio di un museo a tutta prima stravagante o la voglia di abusare del territorio ma la diffusa insofferenza a relazioni governate da regole certe tra istituzioni, eventi, luoghi, persone in favore di una bulimia autoreferenziale che porta ciascuno a disconoscere l’altro. Solo con il disconoscimento reciproco aumenta la personale fetta non solo di benefici ma di potere. Chi se ne importa se a fronte di centinaia di “eventi culturali” in ogni dove ed ogni ora aumenta il numero di bocciati, la rarefazione di turisti. L’ipertrofia di conferenze e comunicati stampa celebrativi e di “veline” autopromozionali non occulta lo stato delle cose.
Betile e le Fabbriche della creatività avrebbero inerito nel sistema bloccato di musei locali e nelle logiche asfittiche dei musei nazionali di Cagliari e di Sassari e dei siti archeologici (una visita ai poveri Giganti a Cabras ed a Cagliari mortificati rispetto allo splendido allestimento di Li Punti vale più di mille ragionamenti). Negli ultimi trenta anni in Sardegna si è assistito alla nascita “ a pioggia” di decine di musei e, contestualmente, per alimentarli alla proliferazione di scavi archeologici e a valorizzazioni variamente titolate. Assenza di programmazione e retorica campanilistica hanno disseminato l’isola di piccoli e brutti contenitori e di innumerevoli “centri servizi”che, come si evince dai dati, sono deserti.
Il Museo dei Musei e un Museo/Territorio li avrebbe emancipati al rango di rete, grazie anche al Sistema delle Unità Introduttive che si stanno inserendo nei luoghi della cultura in ritardo e in forma pasticciata, casuale, talvolta impropria. Doveva essere una piattaforma pedagogica per accrescere conoscenza e competenza nelle nostre comunità, nel sistema dell’istruzione, nel rapporto tra presenze turistiche e scarsa frequentazione di siti e musei.
Quelli maggiormente visitati si concentrano al centro nord nei luoghi di maggiori presenze turistiche: Caprera- La Maddalena, Castelsardo, Alghero, Dorgali, Nuoro, Cabras. Nel centro/sud: Pula e Barumini, l’unico incluso tra i siti Unesco. I numeri a livello provinciale sono nel complesso omogenei ancorché nell’area di Cagliari abiti un quarto della popolazione sarda e la città abbia particolarità ambientali e storiche, un Museo Nazionale Archeologico, una Pinacoteca Nazionale, musei tematici di indubbio interesse. Cagliari allo stato non riesce ad essere un vettore di fruizione della Sardegna. E’ orfana di Betile.
Agli attuali presidente e vice presidente della Regione, un tempo responsabili di Crenos, si devono dati e numeri alla base di tutti i ragionamenti sulla prospettiva del mai nato Museo dei Musei e del suo traino per siti e piccoli musei locali, irrilevanti, per la rarefazione dei visitatori, dal punto di vista statistico agli occhi di economisti oggi pro tempore decisori a pieno titolo del loro e del nostro destino.