giovedì 24 settembre 2015

Gavino Mereu & Oriele Piras, insieme, fino alla fine.




Nuoro, 6 giugno 1946.

Scrivo questo mio testamento olografo in uno di quei meravigliosi momenti di profonda serenità quali solo la compagnia di mia moglie Oriele ed il comune apprezzamento nostro delle splendide bellezze semplici di questo luogo meraviglioso sanno donarmi.
Farò anche una copia al dittafono di queste mie disposizioni definitive, per ciò che concerne l’attribuzione ultima dei nostri pochissimi ma sudatissimi beni materiali, non appena sarò tornato a Treviso e riavrò dunque a disposizione macchina, tastiera e segretaria. Ma sono compiutamente informato dal mio Notaio Sig. Aristeo Agapanto in Treviso, circa il fatto che – per quanto sia più difficile a leggersi – ciò che “fa testo” e che possiede valore legale è solamente quello che è scritto e firmato interamente di mio pugno, anche se redatto in privato e non in presenza di un Notaio.
Divagherò ora, brevemente. Anche perché chi legge possa così farsi subito una precisa idea circa lo stato di mia piena sanità fisica e presenza mentale e del mio concomitante buon equilibrio generale attuale…
Di comune accordo con mia moglie Oriele, ho sempre pensato che – pur essendo noi due in regime di più completa “comunità di beni” – la casa ed il terreno di Perdingiano (Piano delle Mimose, ex Pranu Putzu) fosse di pertinenza della famiglia Mereu e che la metà della casetta rimessa a posto di via Flumendosa 19, Orotelli, dovesse riguardare solo la famiglia Piras. 
Nelle nostre intenzioni, la comunità di beni si dovrebbe applicare solamente alle nostre realizzazioni (che potrei definire "di coppia" e non ereditate dalle rispettive famiglie Piras e Mereu) e pertanto: l’appartamento di via Incanto Grande a Treviso, al relativo garage ed inoltre alla minuscola casetta colonica - quasi unu pinnettu - nella quale mi trovo ora a scrivere queste righe (una casetta di poco meno di 70 mq, in poco meno di un ettaro di terra con un uliveto di 65 olivi e qualche pianta ornamentale), in un luogo sito a 6,5 km a nord di Nuoro, immerso in una brezza profumata di mirto, di cisto e di ginepro...
L’elenco dei beni è un elenco breve, quindi.
Ma esistono alcune mie importanti volontà, che sono condivise da Oriele e che desidero qui esprimere chiaramente ed argomentare in modo conclusivo ed incontrovertibile.
Premetto che mia moglie ha molto, molto sofferto (e come lei altri suoi familiari, immagino) per una malaugurata diaspora familiare – originata dalla sventurata e precoce perdita della splendida madre e poi certamente aggravata da alcuni errori, non solo del padre – diaspora che è riuscita prima a dividere i Piras della sua generazione e a spargerli infelicemente in giro per l’Italia per numerosi anni; in seguito a creare alcuni spinosi e duraturi dissapori, di difficilissima soluzione anche perché rimuginati a lungo e mai ricomposti, in assenza forse di una valida comunicazione e di necessarie spiegazioni a cuore aperto fra i diretti interessati. Un fato malvagio assolutamente imprevedibile per una famiglia che prima era semplice e felice e totalmente ignara di tutto quanto sarebbe seguito.
Non desidero certo entrare qui nel merito delle modalità di sviluppo a partire dai motivi iniziali, né discutere le singole vicende personali, in quanto – come ho potuto constatare – ognuno degli attori possiede al riguardo la propria visione personale (differente da quella degli altri) e resta tenacemente convinto di essere nel giusto.
Quando – dopo lunga e paziente sua (e mia) attività diplomatica – si presentò finalmente l’occasione favorevole per riavvicinare un poco le parti e per riunire simbolicamente la famiglia in una sola sede almeno per le feste maggiori, Oriele abbracciò con tutto il suo entusiasmo l’iniziativa, riuscendo inizialmente ad interessare tutti e a trainare persino l’immobilismo recalcitrante (e per me ottuso) della sorella maggiore, donna di nessun raziocinio e nessun affettività, maggiore nei suoi confronti solo all'Anagrafe.
Si trattava di questo: la metà restante della casa dei genitori – quella residua dall’acquisizione iniziale di Alberto Piras, che a suo tempo ne acquistò per sé la metà, per potersi finalmente sposare, essendo doveroso presso la nostra gente essere proprietari – era oramai ridotta a poco più di un tugurio traballante. Ed esso spettava ancora legalmente (ma non certo moralmente) a tutti e quattro i fratelli e la casa sarebbe stata dunque destinata ad essere divisa ulteriormente in quattro minuscole porzioni, che sarebbero state certamente del tutto inutilizzabili, creando - se ancora ve ne fosse stato bisogno - ancora altri malumori. 
I due fratelli (molto grazie alla maggiore saggezza portata dal tempo ed un po’ anche ai buoni consigli e convincimenti di noi due) rifiutarono la loro quota, contestualmente donandola alle due sorelle, che quindi ne divennero in modo improvviso ed insperato comproprietarie al 50%. 
(Un analogo tentativo era stato in verità già tentato tentato molti anni prima, purtroppo con modi molto più maldestri ed in tempi certamente non ancora maturi. Per tali motivi esso era miseramente fallito ed aveva anzi molto peggiorato la situazione. Al già presente dissapore di tutti i fratelli Piras inverso Alberto si aggiunse una grave frattura tra la sorella ed il fratello più anziani, per cause che tutti i familiari concordemente riconducono sempre unanimemente a lei, con l’unica l’eccezione dell’interessata stessa, naturalmente).
Iniziò dunque l’ardua impresa, che ha richiesto (nella totale latitanza brigantesca e studiata della sorella maggiore) a me ed a mia moglie molto e lungo impegno, in termini di vera e propria attività lavorativa: fatica, formulazione di programmazione e di idee, spedizione di numerosissime missive, di raccomandate, effettuazione d’infinite telefonate, acquisizioni di informazioni, consigli e procedure (in modo interpersonale dagli esperti, dalle pandette, sui libri e dagli articoli reperibili), effettuazioni di scelte ponderate dei materiali. È stato necessario inoltre contattare prima un progettista, che per mia ventura avevo incontrato anni prima ed erami diventato amicissimo e sincero, che ci ha fatto gratuitamente anche da direttore dei lavori edilizi – per amicizia nei confronti miei e di Oriele – ed il cui progetto è stato pagato dalla sorella con ben due anni di ritardo e solo dietro nostra forte insistenza (perché il soggetto ne aveva davvero bisogno in seguito ad un grave incidente in seguito al quale aveva perso il lavoro e quasi la vita: e la cosa era stata inizialmente da lei dimessa con una scrollata di spalle e la frase invero raggelante: “Sono problemi suoi”). 
A questo proposito, inoltre, la sorella invero non ha mai avuto neppure un semplice cenno di ringraziamento per la direzione gratuita dei lavori, (come fosse un omaggio normalmente dovutole, piuttosto che una fortuna che le era caduta immeritata dal cielo, elargitale attraverso di noi). 
Tutto fu quindi procacciato ed organizzato da noi due: oltre al progetto, le idee, e poi una squadra d’operai con capocantiere, i contatti con impiegati comunali per le autorizzazioni d’ogni genere, con artigiani, operai, fornitori, Enti Comunali e Regionali, collaboratori, amici, parenti.
La sorella maggiore è intervenuta esclusivamente per forzare alcune scelte (delle quali ella stessa per prima si è poi dichiarata scontenta, pur avendole caparbiamente imposte su altre ed essendosi nel frattempo dimenticata che si trattava di scelte sue!), per criticare scelte alle quali ostinatamente si era rifiutata di partecipare (malgrado i reiterati ed accorati inviti a farlo, infatti, non ha mai voluto neppure parlare con il mio caro amico progettista, salvo poi accusarlo di essersi odiosamente messo in combutta con noi due per frodarla!), per lamentarsi della spesa eccessiva e per diffidarci dal mettere in conto comune le spese per la parte di casa destinata a noi (lei, che nascondeva dietro il corpo persino un tubetto di pasta dentifricia pagato in comune per portarselo di soppiatto nel suo bagno personale! Lei, che si rifiuta di pagare posate, stoviglie, tovaglie, arnesi vari della cucina e tutto ciò che Oriele le ha messo a disposizione per non vivere come maiali nella casetta restaurata. Lei, che ha macchiato un cuscino in cotone grezzo – non pagato da lei – lasciandovi sopra un’evidentissima macchia scolorita, che l’accusa più ancora della macchia stessa di essere insincera fino in fondo, forse fino al letto di morte). È giunta al punto di scegliere piastrelle orribili e di qualità inferiore  (di cui lei stessa è ora scontenta!), all’encomiabile scopo di risparmiare 4 soldi di spesa!  Quando si trattò di firmare il progetto per l'approvazione formale di legge, provò a dimettere il problema invitando Oriele a firmare per lei, intonando un allegro e falsissimo: “Tanto siamo sorelle”...
Oriele – fortunatamente, donna saggia ed avvedutissima come la madre – la obbligò a leggerne, discuterne con lei (per un intero pomeriggio!) e firmarne ogni singola pagina di suo pugno, in modo che l'approvazione sua fosse cosciente, completa e valida per legge. 
E per fortuna! In seguito, la sorella ha avuto infatti il coraggio odiosissimo di affermare che: “il progetto non le andava bene” e che lei a suo tempo "non l'aveva compreso per intiero". È quindi facile immaginare che cosa sarebbe mai accaduto, se Oriele  si fosse fidata di quel solo apparentemente amabile: “Firma tu per me, tanto siamo sorelle”…
Si è trattato insomma d’anni di un vero e proprio scontro insensato, sordo e continuo, quando non aspro e concitato, con la continua resistenza ad oltranza – troppo spesso senza motivo – opposta sempre e per principio dalla miserabile sorella. Quando è sembrato che quest’opposizione fosse dettata da motivi di ristrettezza economica, le è stata fatta da Oriele la proposta di acquisire per intero l’immobile, lasciandogliene egualmente la piena libertà d’uso: ma anche questa offerta (per me troppo generosa a fronte di tanta grettezza) è stata rifiutata, senza che l’interessata sapesse offrire controproposte alternative o almeno fornire i motivi stessi del proprio rifiuto. Allo stesso modo di come un mulo non conosce davvero il motivo per cui s'arresta senza più muovere uno zoccolo sull'impietrato, oppure un caprone non sa dare ragione del proprio dar di cozzo.  
(Malgrado ciò, ha continuato a dimostrarci – con un’espressione arrogante a metà tra la stipsi dolorosa ed il sorriso –  che dalla bottiglia del latte vuota è ancora possibile ottenere altri 3 cc di latte, inclinandola bene a lungo a testa in giù: il che realizza un risparmio di circa un litro di latte in tre-quattro anni! Ed ha continuato a tesaurizzare ogni sorta di cosa, senza vergogna: una volta s’è subito appropriata il panno imbottito dei miei strumenti, nel quale avevo intenzione di riporli nuovamente, dopo averli usati. Ma gli episodi del suo vivere in miseria voluta sono così tanti che non li ricordo neppure tutti).
Si capisce bene che i risultati di una così miserabile e logorante situazione di attrito siano stati gravi e rilevanti e soprattutto in due aspetti, che ambedue riguardano i rapporti interpersonali:
1)    si è creata una sempre crescente distanza (si direbbe “disamistade” in Sardegna) tra la mia famiglia e quella della sorella di Oriele (“ma sono davvero sorelle?” - chiedeva scherzando Alberto, mentre eravamo tutti insieme una sera a cena da lui);
2)    forse in conseguenza di (1) (ma io non credo affatto sia così!) anche i figli della sorella maggiore si sono allontanati da noi (che a detta loro eravamo inizialmente “i loro zii preferiti”, secondo un'espressione usata da loro e non mai sollecitata da noi), fino ad escluderci completamente dalla loro vita.
Questo comportamento ha dato molto grande fastidio a me, in special modo nel vedere il vero e grande dispiacere causato del tutto inutilmente a Oriele (un’insensata, inopportuna ed immotivata privazione totale di affetto: un atto crudele di insensibilità e di irriconoscenza) e soprattutto in considerazione del fatto che quei due nipoti erano stati trattati nel tempo da noi con quell’atteggiamento che normalmente si riserba ai figli. Infatti, per essi – che per forza di cose erano per noi i più facili da frequentare – abbiamo fatto cose che per nessun altro nipote abbiamo fatto: basti solamente citare il fatto pratico che per il maschio Oriele è riuscita a trovare un valido impiego sicuro (per il quale egli era già stato definitivamente scartato) che gli ha poi permesso di sposarsi e di accendere un mutuo finanziario per la propria abitazione. 
Di fronte a questo unico fatto centrale, definitivo, tutto il resto diviene trascurabile e periferico, pertanto mi esimo dal citarlo, tanto grande me ne viene un fastidio...
Scrivo questo non per rivangare miserie familiari ed aridità d’animo variamente espresse, di cui sarebbe molto meglio vergognarsi in privato (ma bisognerebbe saperle almeno riconoscere: sono certo oramai che essi non ne siano neppure capaci), bensì unicamente per motivare in modo convincente e completo la nostra comune decisione di diseredare meritatamente per intero questi ex-nipoti ed i loro meritati genitori, ben sapendo che in ogni modo la loro perdita economica sarà trascurabile. 
Ben più grande è la perdita morale, di cui essi però sono unici responsabili e parti attive: ma questo è un discorso che – da quanto mi consta – non li toccherà minimamente, mai.

Troviamo invece giusto che, quasi a ricomporre un’antica disputa, il quarto dell’originale casa dei genitori spettante ora per legge a Oriele vada assegnato (visto che noi non abbiamo eredi diretti) alla famiglia dell'altro fratello.  In questo modo, alla fine ognuno avrà il proprio quarto della casa originale da dare in successione ai discendenti (ed Alberto ne avrà due quarti, quasi come se il secondo quarto fosse stato ora per allora donato da Oriele a lui ed alla moglie).
In questo caso – si capisce bene – non mi sto riferendo alla situazione di fatto che rende Alberto per legge e per diritto proprietario di ciò che ha, ma a quella più sottilmente morale, (che fu una vecchia causa di disaccordo e dissapori) che avrebbe molto preferito una più completa e diretta comunicazione ai fratelli, prima di perfezionare l’acquisto di metà dell’immobile dal padre, di nascosto dal resto dei familiari.
(Da parte mia, resto perfettamente convinto che le due sorelle ed il fratello sarebbero stati allora più che lieti di regalare al fratello quel quarto necessario in più, oppure avrebbero almeno fatto ricorso ad un comodato d’uso, o a qualsiasi altro accordo di lunga durata nel tempo: ma lo avrebbero fatto insieme ed in piena armonia, e molti dissapori si sarebbero così potuti evitare…).

Credo che doneremo ad un Ente Benefico (che ancora dobbiamo individuare) tutto il resto delle nostre proprietà, dopo che avrò venduto il mio terzo della casa di Perdingiano ai miei fratelli.
In ogni caso, non desideriamo che la famiglia della sorella di Rita (mi vedo qui costretto, per chiarezza, ma con un certo fastidio, a scriverne i nomi: Michela Piras e Aristide Vargiu ed i loro degni figli Romina e Romano) riceva alcunché da noi, visto che tutti, insieme e singolarmente hanno avuto modo di esprimere in modo più che chiaro, con omissioni, opere e parole, il loro pieno e sentito disprezzo nei nostri confronti e la propria volontà di mai più avere alcunché a che fare con noi. Intendiamo con questo scritto francamente diseredarli di tutto, visto che la legge ce ne dà facoltà e ce lo permette appieno: proprietà materiali, fatti intellettuali ed affetto. 
Crediamo infine di averne così proposta una sufficiente – ancorché non certo completa – motivazione in queste pagine.


Dichiarandoci essere
in pieno possesso delle nostre facoltà mentali ed affettive, 

Oriele Piras e Gavino Mereu.