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Ed io me ne frego e lo presento egualmente.
Riflessioni sul caso dei Fenici
Articolo di Paolo Xella
Résumés
Il presente contributo si propone di riesaminare la questione dell’identità fenicia come si è andata delineando negli studi, in sintetico parallelo con il problema delle « origini » etrusche. Dopo una premessa di carattere metodologico, incentrata sull’approccio che riceve la questione identitaria in campo socio-antropologico, si delinea brevemente la storia degli studi fenici, dalla fondazione a opera di Sabatino Moscati, alla situazione presente. Una rapida valutazione delle evidenze, interne e esterne, suggerisce sicuramente di non abbandonare i termini Fenicio e fenici, ma di limitarne l’uso alla loro funzionalità euristica, considerando che, dal punto di vista storico, l’orizzonte è molto più ampio e articolato di quanto non si tenda generalmente a ritenere. Piuttosto che di « identità fenicia », si deve parlare di « identità cittadine », per i vari centri, che non hanno mai dato manifestazioni di coscienza nazionale unitaria.
Entrées d’index
Keywords :
cultural identity, ethnic identity, interculturality, ancient Mediterranean,cultural contacts, history of the origins, Phoenicians, EtruscansParole chiave :
identità culturale, identità etnica, interculturalità, Mediterranea antica, contatti culturali, storia delle origini, Fenici, EtruschiPlan
Notes de l’auteur
Il presente contributo presuppone e sviluppa alcuni miei precedenti studi (Xella 1995, 2007 e 2008), ai quali si rinvia per taluni spunti e riferimenti bibliografici.
Texte intégral
O fia serva tra l’Alpe ed il mare ;
Una d’arme, di lingua, d’altare,
Di memorie, di sangue e di cor ».(Alessandro Manzoni, Marzo 1821).
Una d’arme, di lingua, d’altare,
Di memorie, di sangue e di cor ».(Alessandro Manzoni, Marzo 1821).
« Les arbres doivent se résigner, ils ont besoin de leurs racines ; les hommes pas. Nous respirons la lumière, nous convoitons le ciel, et quand nous nous enfonçons dans la terre, c’est pour pourrir. La sève du sol natal ne remonte pas par nos pieds vers la tête, nos pieds ne servent qu’à marcher. Pour nous, seules importent les routes. Ce sont elles qui nous convoient – de la pauvreté à la richesse ou à une autre pauvreté, de la servitude à la liberté ou à la mort violente. Elles nous promettent, elles nous portent, nous poussent, puis nous abandonnent. Alors nous crevons, comme nous étions nés, au bord d’une route que nous n’avions pas choisie ».
(Amin Maalouf, Origines, Paris, 2004, p. 9).
(Amin Maalouf, Origines, Paris, 2004, p. 9).
Generalità
1L’argomento che mi è stato proposto di trattare – di cui è evidente l’estrema complessità – è tutt’altro che nuovo, specie nella sua portata epistemologica più generale. Sia per quanto riguarda il mondo antico (naturalmente, Fenici ed Etruschi inclusi) sia, ancor più, per le società tradizionali e moderne, specifico oggetto dello studio socio-antropologico, il problema dell’identità (a vari livelli) è al centro di un’amplissima e sempre viva discussione teorica. Esso è stato e continua a essere affrontato da varie angolazioni e con diversi livelli di approfondimento, a cominciare dalla plausibilità stessa della questione posta in tali termini e, di conseguenza, della validità euristica della categoria concettuale di riferimento1.
2Come ho inteso rendere esplicito nel titolo, nel mio caso si tratta di osservazioni« minimalistiche », senza pretesa di trattare l’argomento in tutti i suoi numerosi aspetti né, tanto meno, di esporre organicamente la complessa problematica. Sono spunti di riflessione del tutto personali, esiti di un percorso che ha contrassegnato, soprattutto in filigrana, le mie decennali ricerche sulla cultura fenicia.
3L’occasione è comunque propizia per richiamare brevemente – in tutta umiltà e con spirito costruttivo – qualche buon consiglio offerto dal versante antropologico, indispensabile quando si toccano temi quali « identità » (etnica) e« origini », peraltro strettamente interrelati. En passant, là dove se ne presenti l’occasione, emergeranno differenze e analogie – l’ordine di menzione non è casuale – che mi sembra caratterizzino la questione fenicia e la questione etrusca.
4Se per l’Etruscologia la questione « origine degli Etruschi » si lega inscindibilmente al nome e all’opera di Massimo Pallottino2, per gli studi fenici è altrettanto di rigore chiamare in causa Sabatino Moscati. Quest’ultimo, vero fondatore di tale settore di studi, ha posto le basi per impostare la questione fenicia, come egli stesso l’ha definita3, in una serie di contributi di notevole coerenza, nei quali – analogamente al suo illustre collega etruscologo testé menzionato – ha mantenuto sostanzialmente immutato il suo pensiero nel corso degli anni, accettando di sfumare qualche valutazione, ma ribadendo a cadenze regolari i punti forti del suo argomentare. Intorno a lui, tuttavia, sono emerse alcune opinioni diverse, anche se non radicalmente, dalla sua4, sicché è opportuno qui anche dare uno sguardo alla storia degli studi, dall’impostazione data da Moscati già negli anni ’60 del secolo scorso, fino a più recenti posizioni espresse da altri studiosi. In questi cenni, evitando argomentazioni troppo tecniche e dettagliate, proporrò una veloce verifica dei parametri che solitamente si considerano fondamentali per la questione identitaria, non trascurando però di gettare uno sguardo comparativo alla questione delle auto-denominazioni e delle etero-denominazioni.
5Entrambi gli studiosi sopra menzionati, Pallottino e Moscati, come ben si sa, hanno giustamente respinto il vetusto (e infondato) approccio della « ricerca delle origini », inteso essenzialmente come provenienza geografica di Etruschi e Fenici, accentrando invece l’attenzione sui processi formativi delle rispettive culture. Fermo restando che, comunque, sussiste il problema di identificare anche convenzionalmente ciascuna di esse, andrà osservato come non sia casuale che, in campo etruscologico, sia emersa e stata dibattuta proprio la questione delle origini, piuttosto che – ed è una differenza molto significativa – quella dell’identità, mentre per i Fenici è accaduto esattamente l’inverso : la questione delle origini è stata liquidata senza fatica e, in quest’ultimo caso, il problema posto è stato senz’altro quello identitario.
6Le ragioni di tale stato di cose mi paiono abbastanza chiare. Degli Etruschi, nessuno dubita che essi siano esistiti, abbiano un’auto-denominazione, una precisa localizzazione geografica almeno a partire da una certa epoca, una propria lingua e, per quanto possa essere ambiguo il concetto, una propria cultura. I Fenici, tralasciando un momento la lingua (vedi infra), sono invece designati da un’etero-denominazione, possiedono un’area d’insediamento e parametri cronologici i cui limiti sono fluidi e tuttora soggetti a discussione, mentre anche una cultura a essi riferibile non è facilmente definibile in modo unitario.
7Anticipando in parte quanto si dirà più avanti sulla lingua, mentre l’etrusco appare un idioma sostanzialmente isolato dal punto di vista genealogico – quindi altamente identificativo – il fenicio non lo è e, anzi, si inserisce senza problemi nell’ambito delle lingue semitiche dette nord-occidentali del I millennio, presentando le maggiori affinità con l’ebraico e le lingue transgiordaniche (ammonitico, edomitico, moabitico)5, il che lo rende quindi assai menoidentificativo. Dal punto di vista storico, le città del I millennio che definiamo « fenicie » possiedono in realtà un background documentario che raggiunge agevolmente il III millennio a.C. (di certo Biblo e Berito, ma non solo), mostrando un solido radicamento sul territorio, laddove per gli Etruschi v’è una fase di visibilità preceduta però da oscuri antecedenti. Per questi ultimi, quindi, la domanda è stata piuttosto « da dove vengono », non « chi sono », mentre per i Fenici è accaduto l’inverso.
8Affrontare il tema « origini » – vere o presunte – è, come si sa, passo costitutivo primario del processo che porta a una (qualsivoglia) definizione identitaria. Qui ricordo solo come non vi sia dubbio che coloro che chiamiamo Fenici fossero ben inseriti e integrati nel contesto culturale siro-libano-palestinese, al punto che le opinioni antiche che sostenevano una loro provenienza extra siro-palestinese sono state valutate ma giustamente dismesse come stravaganti ipotesi, talora basate su trasparenti paraetimologie6 : stando così le cose, un ingenuo tentativo di dare credito a tali informazioni7 fu facilmente azzerato da Moscati8e non se ne riparlò più.
I « consigli dell’antropologo »
9Prima di ricordare in breve i punti essenziali della questione fenicia, mi permetto dunque di richiamare qui alcuni principi metodologici di base elaborati in sede antropologica9.
10Da questa prospettiva, in linea generale e sostanzialmente condivisa, l’identità etnica – giacché di questo si parla anche nel caso delle « origini » – viene concepita come relativa a una comunità di individui, riuniti sotto una stessa denominazione ; essi si pensano come appartenenti a una stessa comunità territoriale, si sentono legati tra loro geneticamente, nonché accomunati da campi di interazione costituiti dalla lingua, dall’organizzazione sociale e da altri valori che definiamo « culturali » quali la religione (da intendersi qui come sistema simbolico e rituale che presuppone l’esistenza di poteri sovrumani variamente concepiti e concepibili) ; in breve, tale comunità di individui si pensa come categoria a sé, distinta da altre dello stesso (o di analogo) tipo.
11L’antropologia ci ammonisce però anche a ricordare che, intesa in questi termini, l’identità etnica non possiede naturalmente una sua consistenza ontologica, ma è anch’essa una categoria concettuale, una costruzione simbolica che scaturisce da specifiche situazioni storiche. Dal punto di vista dello studioso esterno (etic), la questione di fondo è, naturalmente, se tale categoria concettuale possieda o meno valore e utilità euristici ma, anche in caso di risposta positiva, si deve sempre essere coscienti che i parametri identitari sopra menzionati (nome, territorio, lingua, istituzioni, visione del mondo, etc.) possono creare prospettive illusorie ; in altri termini, anch’essi sono suscettibili di farci percepire la realtà umana come discontinua e frammentata, mentre ciò che soprattutto conta è il livello simbolico di tale condizione : si tratta di un processo di costruzione culturale e storico contingente, senza che ciò implichi reificazioni di sorta10.
12L’identità è di fatto una definizione del sé e/o dell’altro : l’idea del NOI vs LORO etnicamente connotati mette a sua volta in azione simboli e immagini che potenziano – talora con azioni di ritorno – il sentimento identitario11. Del resto, se consideriamo in termini analoghi ciò che definiamo « tradizione », constatiamo che il sentimento di appartenervi nasce da una serie di pratiche condivise ma per nulla statiche, considerate fermamente « autentiche », originali e immutabili, ma spesso ben individuabili nelle loro (a volte recenti) genesi storiche e, comunque, sempre sottoposte a continue riformulazioni12. Il problema è insomma capire – per le società antiche come per quelle moderne – in quali specifici termini gli interessati si pensino identici « etnicamente » e cosa questo comporti sul piano delle relazioni con chi non appartiene alla loro « etnia », non già cosa eventualmente li renda davvero omologhi gli uni agli altri (il che resta su un piano ben diverso d’indagine).
13Come è stato da più parti segnalato13, ad esempio, nomi di etnia sono non di rado il risultato di rappresentazioni esterne, imposti da parte di gruppi dominanti, o comunque esito di processi etnocentrici. Spesso tali definizioni esterne sono accolte e, anzi, hanno, per così dire, successo anche all’interno, non solo quando sono cariche di connotazioni positive (si veda il caso di Welsh dawealth), ma anche nei casi di implicazioni etimologicamente squalificanti, comeSlavo (da sclavus)14.
14Dal punto di vista storico, infine, massima attenzione va prestata alle autodefinizioni, in quel processo noto in antropologia come la dinamica in group // out group, che rinvia alla dicotomia emic // etic. Attraverso il riconoscimento e la continua enfatizzazione di aspetti ritenuti congenitamente caratteristici del gruppo ( = nozione falsa di autenticità), ci si attribuisce un’omogeneità interna e, di riflesso, una diversità nei confronti degli altri15 : la produzione dell’identità, del noi etnico, del sentimento identitario, è una continua riformulazione, prodotto di rappresentazioni contingenti certo non privi di nessi con la realtà storica, ma tutt’altro che nel senso di un rispecchiamento diretto16.
15L’antropologia invita dunque a :
- considerare un gruppo etnico come categoria di ascrizione e identificazione da parte degli attori ;
- evitare di ricorrere a tipologie etniche, ma esaminare piuttosto i processi di costruzione identitaria ;
- tralasciare la prospettiva (falsamente storica) della « ricostruzione delle etnie », quali entità omogenee sul piano sociale, culturale, linguistico, ecc., a vantaggio dello studio dei c.d. confini etnici e dei meccanismi (dinamici, dialettici) che ne contrassegnano il perpetuarsi.
- considerare un gruppo etnico come categoria di ascrizione e identificazione da parte degli attori ;
- evitare di ricorrere a tipologie etniche, ma esaminare piuttosto i processi di costruzione identitaria ;
- tralasciare la prospettiva (falsamente storica) della « ricostruzione delle etnie », quali entità omogenee sul piano sociale, culturale, linguistico, ecc., a vantaggio dello studio dei c.d. confini etnici e dei meccanismi (dinamici, dialettici) che ne contrassegnano il perpetuarsi.
La questione fenicia : fondazione di un campo di studi
16Verso la metà degli anni ’60 del secolo scorso Sabatino Moscati concepì un progetto scientifico ambizioso, la « costruzione » dell’identità fenicia : mettere a fuoco i Fenici e la loro cultura, rivalutare il loro apporto alla formazione delle antiche civiltà mediterranee, ricercarne puntigliosamente tracce, insediamenti, itinerari di espansione, rivisitando le fonti indirette e promuovendo ricerche archeologiche ad ampio spettro. Fu un’operazione di tipo sistematico, da cui è scaturita un’incredibile serie di risultati e nuove scoperte, la cui portata è sotto i nostri occhi, sicché nessuno può dubitare dell’enorme guadagno scientifico apportato. Tuttavia, si deve al contempo notare che, nei termini in cui Moscati l’ha formulata, la nozione di identità fenicia ha in qualche misura – forse, inevitabilmente – condizionato anche negativamente gli studi.
17Prima di Moscati, s’è detto, i Fenici erano tutt’al più delle ombre sfumate nella storia culturale delle civiltà mediterranee. Nel 1963 Moscati dava alle stampe un libro divulgativo intitolato Antichi imperi d’Oriente, che conobbe riedizioni e traduzioni in lingue straniere e fu ripubblicato, ampliato, nel 1978. Qui – è sufficiente scorrere l’indice – di Fenici in autonomia non v’è traccia, eppure figurano capitoli dedicati a Cananei e Aramei, Ebrei, Persiani. Pochissimi anni dopo, i Fenici erano già entrati, con sezioni specifiche, in opere editoriali e manuali di ampio respiro, non solo edite da Moscati ; nel 1969 nasceva a Roma un « Centro si studio sulla civiltà fenicia e punica » e nel 1973 veniva fondato un periodico scientifico (la Rivista di studi fenici) esclusivamente dedicato ai Fenici.
18È lecito chiedersi : cosa era accaduto ? Scoperte di documenti inediti, esiti di nuove ricerche ? Ben poco (almeno, ancora) di tutto ciò, ricognizioni e imprese preparatorie, programmazione a vasto raggio. Si trattò di un’operazione intelligentemente concepita a tavolino, lanciata su presupposti esclusivamente teorici, mirante a focalizzare e affermare un oggetto fino ad allora sfuggente (o sfuggito) alla ricerca, cioè appunto quell’identità fenicia, che egli si adoperò a precisare in termini di cronologia, territorio, lingua, cultura.
19Nel corso di vari decenni, e a cadenza quasi regolare, Moscati ha affrontato la questione dell’identità fenicia, non senza rielaborazioni e parziali aggiustamenti, ma riproponendo nella sostanza la stessa valutazione. A suo avviso, i Fenici sarebbero stati da individuare come popolo in base a un nome, una lingua comune, una coscienza nazionale e una stessa regione di riferimento ; essi sarebbero emersi in autonomia solo a partire dall’età del Ferro ; la loro area geografica di pertinenza sarebbe stata da individuarsi sulla costa siro-libano-palestinese, più o meno da Tell Suqas ad Acco, con irradiazioni temporanee nelle zone limitrofe ; il limite cronologico inferiore sarebbe stato fissato (alquanto convenzionalmente, è vero) al 332 a.C., anno della conquista di Tiro da parte di Alessandro Magno. I Fenici avrebbero dunque costituito una sorta di novità del I millennio a.C., nello scacchiere politico-culturale del Levante. Fin qui, in estrema sintesi, l’analisi di Moscati. Veniva in tal modo realizzato il guadagno dell’identità fenicia, scaturito dall’esigenza di fondare una disciplina con ambizioni di autonomia, di sottrarsi all’abbraccio soffocante di formidabili concorrenti (classicisti, orientalisti in generale, biblisti in particolare) adusi a relegare, nella migliore delle ipotesi, tale (per loro) fantomatica cultura in un ruolo marginale.
20L’operazione di Moscati fu innegabilmente il risultato di una precisa politica accademica dalle evidenti conseguenze, che ha comunque permesso di riconsiderare in nuova luce temi e questioni, reinterpretare vecchi dati, produrre un formidabile aumento quantitativo di documentazione archeologica ed epigrafica, che è stata caratteristica costante degli ultimi decenni. Tuttavia, molta acqua è passata sotto i ponti e, a quasi vent’anni dalla scomparsa di Moscati, è lecita una serena riflessione critica, senza dimenticare che proprio l’impostazione data dallo studioso alla questione fenicia – oltre ai benèfici effetti prodotti sul piano delle conoscenze – ha permesso di sottoporre a verifiche e riassestamenti i suoi punti fermi. Inoltre, va notato che gli studi fenici e punici – dopo essersi affermati come settore specifico di ricerca non inglobabile negli studi classici o in quelli orientalistici tradizionali – hanno non di rado registrato una tendenza a dimenticare (o ritenere superflua) una preparazione seria e adeguata in questi altri campi, chiudendosi in una auto-referenzialità che, limitandone le potenzialità comparative, ha prodotto talvolta un certo scadimento di qualità nella ricerca. È superfluo ricordare che il vero fascino dei Fenici sta proprio nella loro funzione di collante culturale delle società mediterranee, nel loro ruolo – perfettamente compreso da Moscati17 – di attivo interfaccia tra sostrati e adstrati, che richiede imprescindibilmente una notevole dimestichezza (storica, archeologica, linguistica) con le culture con cui vennero a contatto.
21In ogni caso, sembra che i Fenici abbiano ormai acquisito piena cittadinanza negli studi, anche se i tempi nuovi non paiono più così promettenti e, piuttosto che sperare in nuovi sviluppi, sembra più saggio mirare alla tenuta delle posizioni. Da tempo è venuta meno la necessità di affermare a tutti i costi un’ottica fenicio-centrica, da contrapporre a una classico-centrica e una biblio-centrica. Adesso sembra tempo di riesaminare sine ira et studio la formulazione dell’identità fenicia nei parametri da Moscati individuati e proposti, e cioè : nome, territorio, lingua, arco cronologico, coscienza nazionale.
I parametri identitari
22Cominciamo dalla denominazione. È stato osservato che « […] le culture cominciano ad essere nominate quando vi è qualcuno in grado di imporre i nomi agli altri. Alcune culture hanno il potere di dare nomi, altre no ; i rapporti di dominio assumono un ruolo decisivo nel tramandare la visione degli altri soprattutto quando i dominatori possono avvalersi di un mezzo scritto per trasmettere la loro memoria »18. Queste considerazioni si applicano assai bene al caso dei Fenici.
23Come Moscati stesso ben sapeva, « Fenici » è una denominazione etnica coniata e attribuita da esterni. Non sto qui a ricordare la questione dell’etimologia diPhoinikes, Phoinike, Phoinix, per cui rinvio all’abbondantissima letteratura precedente e, in particolare, a una recentissima e intelligente messa a punto19. Quel che sembra certo è il senso cromatico di fondo, rosso (scuro) del termine, probabilmente scelto dai Greci in relazione al colore della pelle di questi« stranieri ». Eteronimo, dunque, assurto però a indicatore d’identità etnica ed entrato a vele spiegate negli studi, spesso senza un sufficiente vaglio critico circa la sua utilità euristica e senza un’adeguata consapevolezza delle insidie nascoste nel suo impiego. Infatti, occorre ricordare che non esiste alcun corrispondente nella lingua fenicia né per l’etnonimo né per il toponimo. Fenici e Fenicia sono un’invenzione greca.
24Dato che gli studi esistenti mi esimono dall’esporre la vasta documentazione relativa, mi limito qui a un cenno alle menzioni nei poemi omerici, anzi, a un passo selezionato, per mostrare i termini della questione. Illuminante è in particolare Il. 23, 740 s., in cui è questione di un cratere d’argento dono di Phaidimos re di Sidone20 e posto da Achille come premio nei giochi funebri in onore di Patroclo :
740 Πηλεί̈δης δ' αἶψ' ἄλλα τίθει ταχυτῆτος ἄεθλα
741 ἀργύρεον κρητῆρα τετυγμένον : ἓξ δ' ἄρα μέτρα
742 χάνδανεν, αὐτὰρ κάλλει ἐνίκα πᾶσαν ἐπ' αἶαν
743 πολλόν, ἐπεὶ Σιδόνες πολυδαίδαλοι εὖ ἤσκησαν,
744 Φοίνικες δ' ἄγον ἄνδρες ἐπ' ἠεροειδέα πόντον,
745 στῆσαν δ' ἐν λιμένεσσι […]
740 Subito per la corsa propose altri premi il Pelide ;
741 un cratere d’argento sbalzato, che sei misure
742 teneva e per bellezza vinceva ogni altro su tutta la terra
743 e molto, perché l’avevano fatto con arte gli esperti Sidonii ;
744 uomini fenici l’avevano portato sul mare nebbioso,
745 l’avevano esposto nei porti […]
(traduzione di R. Calzecchi Onesti).
25Qui è molto chiara la distinzione tra i « Sidonii » (Σιδόνες), che producono l’oggetto, e gli « uomini fenici » (Φοίνικες ἄνδρες), che lo trasportano, laddove solo il primo è un etnonimo specifico. Anch’io, come A. Ercolani21, sono convinto che « Sidonii » non indichi i Fenici nel loro complesso, né che Tiro non sarebbe menzionata perché, a quell’epoca, sarebbe stata sottomessa a Sidone, secondo un’ipotesi abbastanza popolare ma indimostrabile. Qui, come in altri passi omerici22, « Sidonii » possiede una sua propria autonomia, mentre« Fenici / fenicio » sono una denominazione generica, denotante genti che solcano i mari e commerciano, che vendono prodotti ma non li producono, che colpiscono per il loro aspetto, senza precise coordinate spaziali o temporali (si veda in italiano l’uso corrente del termine « Marocchini », che non necessariamente si riferisce al Marocco).
26Vediamo ora cosa ci dicono le fonti dirette. Esiste un’auto-denominazione che identifichi i Fenici come un unico popolo ? Ebbene, la risposta è assolutamente negativa. La sola possibilità teorica sarebbe stata rappresentata dal termine « Cananei », e « Canaan » per la regione, ma anche questa è una strada senza uscita, per le seguenti ragioni23 :
- « Cananei » come etnonimo è assente dalle fonti dirette in lingua fenicia (vediinfra per l’unico caso) e quindi, fino a prova contraria, non può essere considerato auto-designazione dei « Fenici ».
- « Canaan » è infatti attestato solo su legende monetali di Beirut in epoca ellenistica (187-133 a. C.) dove si legge : llʾdkʾ ʾš bknʿn, ovvero llʾdkʾ ʾm bknʿn, espressione di interpretazione discussa (« Laodicea che si trova in Canaan » / « Laodicea metropoli di Canaan »), ma che, eventualmente, fa riferimento a un singolo centro (molte città d’Asia Minore e dell’Oriente ellenistico hanno questo nome, p. es. in Frigia o sulla costa siriana presso Ugarit [Lattakia]).
- Nel II millennio « Canaan » è attestato in una lettera di Mari24 e nell’iscrizione di Idrimi re di Alalakh25 e, all’epoca amarniana, possiede una valenza assai precisa : designa tutta la Palestina e la costa settentrionale del Levante fino a Beirut (ma esclude città come Tripoli, Biblo, etc.) e non si limita alla fascia costiera.
- Nell’Antico Testamento, si osserva che i « Cananei » sono le genti che occupano la terra promessa prima degli Ebrei ; questo etnonimo sembrerebbe essere talora impiegato come sinonimo di « Sidonii », ma ha anche la valenza più ampia e generica di « mercanti », richiamando da presso l’uso omerico di « Fenici ».
- « Cananei » come etnonimo è assente dalle fonti dirette in lingua fenicia (vediinfra per l’unico caso) e quindi, fino a prova contraria, non può essere considerato auto-designazione dei « Fenici ».
- « Canaan » è infatti attestato solo su legende monetali di Beirut in epoca ellenistica (187-133 a. C.) dove si legge : llʾdkʾ ʾš bknʿn, ovvero llʾdkʾ ʾm bknʿn, espressione di interpretazione discussa (« Laodicea che si trova in Canaan » / « Laodicea metropoli di Canaan »), ma che, eventualmente, fa riferimento a un singolo centro (molte città d’Asia Minore e dell’Oriente ellenistico hanno questo nome, p. es. in Frigia o sulla costa siriana presso Ugarit [Lattakia]).
- Nel II millennio « Canaan » è attestato in una lettera di Mari24 e nell’iscrizione di Idrimi re di Alalakh25 e, all’epoca amarniana, possiede una valenza assai precisa : designa tutta la Palestina e la costa settentrionale del Levante fino a Beirut (ma esclude città come Tripoli, Biblo, etc.) e non si limita alla fascia costiera.
- Nell’Antico Testamento, si osserva che i « Cananei » sono le genti che occupano la terra promessa prima degli Ebrei ; questo etnonimo sembrerebbe essere talora impiegato come sinonimo di « Sidonii », ma ha anche la valenza più ampia e generica di « mercanti », richiamando da presso l’uso omerico di « Fenici ».
27Si deve pertanto concludere che né « Canaan » né « Cananei » si riferiscono a realtà etniche e nazionali, non individuano né la « Fenicia » né i « Fenici », ma indicano un’entità geografica molto vasta in ambito siro-palestinese che, durante il Tardo Bronzo, costituiva una dei tre distretti del territorio soggetto al controllo egiziano, corrispondente all’incirca alla Palestina (con capitale Gaza)26.
28Dalla documentazione diretta emerge invece un dato difficilmente oppugnabile : troviamo « Tirii », « Sidonii », « Arwaditi », « Gubliti », cioè tutti etnonimi derivati dalle singole città (o regni), ma nessuna denominazione comune, nessun indizio di « coscienza nazionale » o senso di appartenenza a una comune tradizione. Si continua una tendenza imperante già durante l’età del Tardo Bronzo, allorché i sovrani dei regni costieri, da Ugarit fino al Sud della Palestina, che forse avrebbero potuto in certa misura comunicare all’interno del semitico occidentale, si scrivevano tra loro in accadico, optando quindi per la lingua diplomatica del Vicino Oriente e considerandosi reciprocamente come stati stranieri proprio come facevano, ad esempio, con la corte faraonica o con il grande re di Hatti.
29Per i « Fenici » d’Oriente l’immagine che emerge è quella di un accentuato particolarismo politico, che prevale su una nostra prima eventuale impressione di sostanziale omogeneità culturale. Il particolarismo cittadino è testimoniato da contrasti e strategie politiche non coordinate, ma perseguite autonomamente e in vista dei propri specifici interessi. Si pensi ai diversi atteggiamenti tenuti dalle varie città nei confronti delle grandi potenze dell’epoca, o, ancora, al diverso ruolo – certo frutto anche di decisioni strategiche – rivestito da Tiro, Sidone e altre città fenicie nell’espansione mediterranea. Per l’Occidente, poi, è naturalmente ancora più improponibile pensare a una qualche omogeneità, resa comunque a priori improbabile da una diaspora contrassegnata da una chiara dialettica tra continuità e innovazione a livello culturale.
30Forte e chiara è, invece, nel Levante, la manifestazione di « identità » cittadine locali27, che si esprime soprattutto nella diversa articolazione del pantheon dei singoli centri. Questi universi divini appaiono simili per struttura, ma rivelano precise peculiarità nelle forme in cui sono articolati, come mostrano, senza troppe pretese, le note sintetiche che seguono.
31Si riscontra ovunque la preminenza di una coppia divina poliade, ma costituita da differenti figure e panthea diversamente articolati :
- BIBLO : Baalat ( = Signora) di Biblo, epiclesi locale di Astarte con influssi egiziani (Hathor, Iside) + Baal ( = Signore) di Biblo (e varie altre divinità minori) ;
- SIDONE : Eshmun, Baal di Sidone ( ?) + Astarte (e varie altre divinità minori) ;
- TIRO : Melqart, Baal di Tiro + Astarte (e varie altre divinità minori).
- BIBLO : Baalat ( = Signora) di Biblo, epiclesi locale di Astarte con influssi egiziani (Hathor, Iside) + Baal ( = Signore) di Biblo (e varie altre divinità minori) ;
- SIDONE : Eshmun, Baal di Sidone ( ?) + Astarte (e varie altre divinità minori) ;
- TIRO : Melqart, Baal di Tiro + Astarte (e varie altre divinità minori).
32In questo caso la religione – per quel poco che possiamo intravedere : sappiamo pochissimo su mitologia e riti – si segnala ancora una volta come un potente mezzo per veicolare l’individualità culturale.
33Sempre in un’ottica di valutazione storica generale, va anche parzialmente rivista la valutazione dell’emergere dei Fenici nell’età del Ferro, di contro a una loro presunta maggiore « mimetizzazione » nelle epoche anteriori. A tal proposito, si richiama qui il punto della situazione fatto di recente da S. F. Bondì, che vale la pena di citare estesamente :
Si intende generalmente per civiltà fenicia la cultura sorta e sviluppatasi sulle coste orientali del Mediterraneo (approssimativamente nella zona occupata dall’attuale Libano) dalla fine del II millennio a.C. all’epoca ellenistica. Su questa definizione, tuttavia, non mancano dibattiti e controversie, che riguardano sia i limiti iniziali della sua attestazione, sia l’origine del popolo che espresse tale cultura. Oggi è ampiamente condivisa la tesi secondo cui i Fenici emergono in autonomia, dalla sostanziale unità culturale che caratterizzò queste regioni, tra il XVI e il XII sec. a.C., a seguito di una serie di sommovimenti che investirono le regioni del Mediterraneo orientale […] Così ora, nella differenziazione rispetto a entità diverse e non presenti prima nel territorio, appare in piena autonomia quella civiltà dei centri costieri della Siria centro-settentrionale che può a buon diritto chiamarsi fenicia e che, nell’organizzazione politica, nella produzione artistica e nella religione, appare la continuatrice più fedele della cultura urbana del Tardo Bronzo. In essa non mancano naturalmente elementi innovativi […] : la civiltà fenicia non è una sorta di “fossile” sopravvissuto ai grandi rivolgimenti dell’epoca, bensì l’espressione vitale di una cultura, quella dei centri urbani della costa levantina del Mediterraneo, che aveva costituito senz’altro il polo più evoluto dell’area. […]. Oggi l’emergere della civiltà fenicia appare il risultato di un’evoluzione avvenuta suoi luoghi stessi che la videro fiorire, cioè la regione orientale del Mediterraneo che convenzionalmente delimitiamo a nord all’altezza di Tell Sukas (antica Shukshu) e a sud nell’area del Monte Carmelo ed è compresa tra il Mar Mediterraneo a ovest e le montagne del Libano e dell’Antilibano a est28.
34Molto, ma non tutto, è da condividere di quanto sopra citato. Segnatamente, l’« emergere in autonomia » dovrebbe a mio avviso essere modificato in « guadagnare visibilità » ; la « sostanziale unità culturale » che caratterizzerebbe l’età del Bronzo (diciamo, il II millennio) è tale solo ai nostri occhi probabilmente proprio a causa della scarsa documentazione che possediamo ; parlerei di « centri costieri dell’area siro-palestinese », e non di « centri costieri della Siria centro-settentrionale » ; non mi è chiaro infine il senso dell’espressione « polo più evoluto dell’area », che di certo non può avere implicazioni di tipo evoluzionistico e, pertanto, avrebbe bisogno di essere esplicitata.
35In ogni caso, è chiaro che non sono tanto i Fenici a emergere, quanto il contesto circostante a mutare. Il loro imporsi all’attenzione deriva essenzialmente dal parziale tramonto di un « modello politico » (la città-stato su base territoriale, che invece continua a caratterizzarli) affiancato o sostituito da un « modello » diverso, quello dello stato nazionale, che proietta alla ribalta gli stati aramaici (Damasco in primo luogo), palestinesi (Israele e Giuda) e transgiordanici (Ammon, Edom, Moab). Fanno compagnia ai Fenici, invece, come esponenti dell’« antico » modello socio-politico, i Filistei, pur di recente insediamento, e non a caso in competizione con i « nuovi » stati palestinesi. Piuttosto che tratti innovativi – delle « cesure » alle quali accennava a suo tempo Moscati non è il caso di parlare – emergono notevoli fattori di continuità tra cultura fenicia dell’età del Ferro e precedenti manifestazioni nel Tardo Bronzo, fatte salve le trasformazioni dovute alla perenne dinamica storica.
36Per quanto riguarda la lingua, essa assume particolare rilievo per varie ragioni ed è perfettamente valido l’assunto di M. Pallottino per gli Etruschi – ma anche in generale nelle questioni identitarie – circa l’incidenza del fattore linguistico nella ricerca sulle « origini » : come scrive V. Bellelli, è dunque « […] sul terreno linguistico che si giocano le maggiori speranze di avvicinarci alla verità »29.
37Una volta stabilita – se vogliamo, con qualche dose di convenzionalità – l’equazione lingua = cultura (società, etnia), come identificatore o fil rougeidentitario, diventa quasi naturale desumere uno schema di derivazione storica delle etnie (come testimonia la questione etrusca) dallo schema di derivazione storica delle lingue.
38Per quanto riguarda il fenicio – almeno quello veicolato dall’alfabeto lineare che è documentato all’incirca dalla metà dell’XI secolo a.C. con l’iscrizione di Ahiram re di Biblo – la sua area di diffusione (Occidente mediterraneo escluso) va dall’attuale costa siriana a quella meridionale della Palestina, giungendo almeno fino alla regione del Monte Carmelo, anche se ora sono sempre più numerose le testimonianze epigrafiche in fenicio più a sud e anche verso l’entroterra30. Occorre ancora aggiungere Cipro, mentre nell’Anatolia sud-orientale, dal IX al VII secolo a.C., il fenicio fu usato come lingua ufficiale e di prestigio (quella di Karatepe è l’iscrizione fenicia più lunga che si conosca). Nella diaspora mediterranea, la lingua seguì i viaggiatori e sempre di fenicio si tratta, anche per quello che si definisce abitualmente punico (mentre il neopunico, come è noto, è solo riferibile al tipo di scrittura corsiva), pur nelle varianti ed evoluzioni locali. Quanto alla cronologia, si può indicare l’XI secolo a.C. da una parte, e il II secolo d.C. dall’altra (un ostrakon da Kharayeb, in Libano), mentre in Nord Africa arriviamo forse al III secolo d.C.
39Se non si può dunque negare una sostanziale unità linguistica del fenicio, date e area geografica allargano notevolmente i limiti in cui si è pensato di confinare l’identità fenicia. Non va dimenticato che, anche prima della diffusione dell’alfabeto, si parlava già naturalmente un « fenicio » a Tiro, Sidone, Biblo, etc., e dunque l’etnonimo deve eventualmente connotare anche tali città durante l’età del Bronzo. Analoghe considerazioni, en passant, possono prodursi per le altre manifestazioni culturali. Non va dimenticato, ancora, che c’è anche chi – come G. Garbini – parla tout court di dialetti del fenicio, spingendosi forse un po’ troppo avanti nel considerarle lingue autonome, ma segnalando comunque giustamente che differenze grammaticali e sintattiche (oltre che lessicali) dovevano esistere, pur se da noi poco percepibili a causa del tipo e della scarsa entità della documentazione pervenutaci31.
40Per concludere. Anche solo verificando quante volte, nel presente intervento, ho usato i termini « Fenici » e « fenicio », appare chiaro come essi siano praticamente indispensabili (o, almeno, tali sono divenuti) come strumenti euristici consolidati, a condizione (meno rispettata di quanto si pensi abitualmente) che si sia sempre coscienti della loro portata e dei loro limiti.
41Detto questo, mi sembra comunque che gli elementi esaminati non siano sufficienti per attribuire ai Fenici un’identità etnica e la coscienza di appartenervi. In riferimento al Levante (altro è il discorso per l’Occidente mediterraneo), l’area geografica è grosso modo quella indicata a suo tempo da Moscati, ma senza artificiali limitazioni verso nord, sud ed entroterra ; l’arco cronologico deve includere vicende e culture delle città « fenicie » per tutto il tempo in cui esse sono attestate, valutando naturalmente con attenzione continuità e discontinuità, fasi « oscure » e fasi di luce per quantità e omogeneità di fonti ; questo significa pertanto includere almeno il Tardo Bronzo e anche più indietro nel tempo mentre, come si è visto, è necessario abbassarsi cronologicamente ben dopo la data della conquista di Tiro da parte di Alessandro Magno.
42Ben venga, dunque (è un fatto compiuto !), il termine « fenicio » per definire in certa misura convenzionalmente un campo di studi vasto e suggestivo, che non può tuttavia avere barriere geografiche e cronologiche artificiali per meglio « compattare » l’oggetto dell’indagine. Soprattutto, a mio avviso, va sempre ricordato che ogni definizione non è che un mero strumento da noi creato da usare, modificare o dismettere secondo la sua utilità, e non una categoria ontologica che, a rischio di intrappolarci, asserva e condizioni la ricerca limitandone grandemente strategie, obiettivi, insomma, la sua stessa irrinunciabile libertà d’azione.
Bibliographie
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Notes
1 Anche per il mondo antico, il tema è stato recentemente al centro di numerosi interventi e convegni : la bibliografia in proposito è amplissima e un’elencazione dettagliata va al di là del presente contributo, nel quale sono rimasto sostanzialmente fedele al testo letto. Si vedano comunque, tra gli altri, Hall 1989 ; Bettini (ed.) 1992 ; Neusner – Frerichs 1995 ; Hall 1989 ; Hall 1997 ; Jones 1997 ; Blömer – Facella – Winter 2009 ; Cruz Andreotti – Mora Serrano (edd.) 2004 ; Gargiulo – Peri – Regalzi 2004 ; Delgado – Ferrer 2007 ; Álvarez Martí-Aguilar 2009 ; Álvarez Martí-Aguilar – Ferrer Albelda 2009 ; Gruen (ed.) 2011 (vari contributi, tra cui Bonnet 2011 e Quinn 2011) ; Melchiorri, c.d.s. Sul fronte antropologico, per restare nell’ambito nazionale, è di rigore citare almeno Remotti 2008, che prende decisamente posizione contro l’ « ossessione identitaria », il suo uso inflazionato, le prospettive illusorie che crea ; e Fabietti 2013, che invece non ritiene di dismettere il concetto, pur segnalando la delicatezza dell’uso e la vigilanza metodologica che deve presiedervi (in questi due lavori si troveranno adeguate referenze bibliografiche). Altri studi saranno menzionati più avanti.
2 Rinvio qui a Bellelli (ed.) 2012, dove è fornita la bibliografia più rilevante in merito e lo status quaestionis.
3 Moscati 1963, 1984 e 1993 ; vedi anche Moscati 1974 e 1992.
4 Vedi ad esempio Garbini 1980 e 1983 ; Röllig 1983, 1995 ; Xella 1995, 2007 e 2008.
5 Friedrich – Röllig – Amadasi 1999 : « Die Phönizisch-punische Sprache ist eine semitische Sprache und hat ihre nächste Verwandten im Hebräischen und dem […]Ammonitischen, Edomitischen und Moabitischen » (p. I).
6 Erodoto (I 1 ; VII 89) riteneva che i Fenici venissero dal Mare Eritreo / Mar Rosso (sostanzialmente, il Golfo arabico) ; Strabone (XVI 3,4) e Plinio (IV 36) indicavano all’incirca la stessa area geografica (templi e città di tipo fenicio sarebbero sorti nel Golfo Persico) ; secondo Giustino (XVIII 3, 2-4), i Fenici provenivano da una loro patria lontana, un luogo imprecisato da cui sarebbero fuggiti a seguito di un terremoto, insediandosi prima presso il « Lago Siro » (= Mar Morto?), quindi sulle coste mediterranee, loro attuale sede ; solo Filone di Biblo (Eus., Praep. Ev. I 9, 14-19) si pronunciava in favore della loro autoctonia.
7 Couroyer 1973, il quale adduceva a sostegno delle proprie tesi, oltre alle fonti classiche, alcuni dati egiziani e ugaritici del tutto inconsistenti.
8 Moscati 1975.
9 Seguo qui essenzialmente Fabietti 2013.
10 Fabietti 2013, p. 21 s.
11 Vedi tra gli altri Epstein 1978.
12 Lo studio classico in proposito è Hobsbawn – Ranger 1983.
13 Fabietti 2013, p. 16 ss. e bibliografia ivi citata.
14 Benveniste 1969.
15 Numerosissimi studi hanno osservato che, una volta « costruite » attraverso un processo duplice, esterno e interno, le « etnie » sembrano acquistare una consistenza concreta per coloro che vi si riconoscono.
17 Moscati 1974.
18 Fabietti 2013, p. 46.
19 Ercolani c.d.s. (ringrazio l’Autore per avermi fatto leggere il testo prima della pubblicazione). Si vedano, senza pretese di esaustività, Wathelet 1974 e 1989 ; Bunnens 1983 ; Baurain 1986 ; Vandersleyen 1987 e ulteriore bibliografia citata da Ercolani.
21 Vedi Ercolani c.d.s.
22 I passi relativi, riportati in Mazza – Ribichini – Xella 1988 (T.3 – T.9, p. 24-26), sono Il. 23, 740-745 ; Od. 4, 80-85. 611-619 ; 13, 271-286 ; 14, 287-300 ; 15, 111-119. 415-484.
23 Per la documentazione su quanto segue, vedi Xella 1995.
24 Dossin 1973.
25 Tra le varie edizioni del testo : Dietrich – Loretz 1985.
27 Un caso tra gli altri, anche se di età tarda, è quello illustrato da Lichtenberger 2009.
29 Bellelli (ed.) 2013, p. 23.
30 Xella c.d.s.
31 Un limite di questo contributo che qui dichiaro apertamente è la mancanza di valutazione approfondita di quella importantissima parte della documentazione definita usualmente cultura materiale, che merita invece la massima attenzione e deve essere trattata sistematicamente e a parte. Qui si nota solo che dietro una sostanziale (apparente ?) omogeneità, si intuisce una ricchezza di sotto-tradizioni (mi si passi il termine) autonome, che non sempre siamo in grado di caratterizzare. Ma questa è certo un’altra storia.