Solo con fatica (e solo grazie all'aiuto determinante di amici molto più abili di me al computer) riesco finalmente a postare un fondamentale articolo sulla Fantarcheologia in generale e sui Fantarcheosardisti in particolare.
(Non sono riuscito a prendere le immagini, ma giuro che non sono strettamente necessarie alla comprensione del testo).
(Non sono riuscito a prendere le immagini, ma giuro che non sono strettamente necessarie alla comprensione del testo).
Non si tratta di un articolo polemico: è anzi pacato e chiaro, completo e ben argomentato, come ogni intervento in questo campo dovrebbe essere.
Quello che chiedo è che tutti coloro che anche vagamente conoscono (o hanno a cuore) la presente situazione 'culturale' in Sardegna leggano attentamente questo splendido articolo, che aiuta a comprendere molte cose altrimenti confuse e concitate.
LE STATUE DI MONT’E PRAMA
E IL FANTARCHEOSARDISMO
articolo di
Rubens D'Oriano
RIASSUNTO
Da alcuni anni ha largo corso, sui media tradizionali e
sul web, il trend della "fantarcheologia", che propone le più assurde
interprerazioni di pseudo misteri del passato, basate in genere
sull’esistenza di avanzatissime
civiltà perdute (Atlantide e simili).
In Sardegna la fantarcheologia ha trovato terreno fertile
nell’ “archeosardismo”, quella visione distorta della storia che tende a
individuare, in chiave di malinteso nazionalismo sardo, nella sola Civiltà
Nuragica l’unico glorioso e degno passato dell'Isola e dei suoi attuali
abitanti.
È così nato il “fantarcheo sadismo”: una assurda, e spesso
ridicola , ipervalutazione della Civiltà Nuragica, a volte identificata persino
con l’inesistente Atlantide di Platone, fantasiosamente e alrara come madre e
dominatrice di rune le altre antiche civiltà euro-mediterranee.
Il conrributo sottolinea le distorsioni dei dati e del
metodo, e spesso anche del semplice buonsenso, sulle quali si basano queste
tesi, che stanno già coinvolgendo anche il grandioso fenomeno delle statue di
Mont ‘e Prama.
ABSTRACT
In thc last few years, a trend we can call "fantastic archaeology" has filled the pagcs of traditional
media and the web. This trend proposes the most absurd and incredible inrerpratation of the pseudo mysteries of the past based , by and large, on the existence of extremely advanced lost civilisations (Atlantis. etc.).
ln Sardinia, fantastic archaeology has found fertile ground in "archeosardism", a distorted vision of
history which - based on a flawed Sardinian nationalist approach - tends to identify nuragic civilisation as the only
glorious and worthy past of the island and its current inhabitants.
This givcs rise to "fantasric archaeosardism":
an absurd and often ridiculous overestimation of rhe nuragic civilisation, at times identified even with Plato’s non-existent Atlantis, imaginatively glorificd as rhe mother and female ruler of all ancient Euro-Mediterranean civilisations.
This contribution focuses on rhe distorted method, inexact dates, and even on the absence of common sense behind these hypotheses which are already being applied to the spectacular statues of Mont'e Prama.
Tra tutte le discipline scientifìche, l’archeologia e
la storia antica sono fra quelle che più devono far fronte al diffondersi - per
colpa soprattutto del cinismo di media interessati più allo spettacolo che
all’informazione, perché le favole hanno sempre venduto di più della realtà,
dalla Bibbia e Harry Potter - di una miriade di sciocchezze sui più vari
aspetti dell'antichità (da questioni minime alla riscrittura della storia tutta
del genere umano). Sciocchezze propalate da sedicenti “studiosi”, esponenti di
una sotto-cultura ormai dilagante (perché pagante per i media che ad essa fanno
eco), la cui scarsità di conoscenza del mondo antico è pari solo all'assenza di
metodo con la quale si approcciano al poco che sanno di esso. Non fa eccezione
la Sardegna, afflitta ora principalmente dal dilagare di un filone di leggende
che, nato dall'innestarsi della fantarcheologia sull’archeosardismo, potremmo
definire, con un ulteriore neologismo, fantarcheosardismo . Il complesso
scultoreo di Mont’e Prama sta già diventando un nuovo feticcio di questa
pseudoscienza. Prima perciò di tentare di mettere le mani avanti per salvarlo
da tale tristo destino, è necessario spendere qualche parola sulla
pseudo-archeologia in salsa sardista e sul suo percorso di formazione.
ARCHEOSARDISMO
Da lungo tempo uno dei tratti peculiari del dibattito
culturale, sociale e politico in Sardegna verte sulla rivendicazione, spinta a
volte fino a proposte separatiste, della cosiddetta "identità culturale
sarda" che sarebbe minacciata di sparizione dalla
"colonizzazione" culturale ed economica proveniente dall'esterno
dell'Isola. Non sarebbe, questa, materia da archeologi, se non fosse che ormai
da troppo tempo l’archeologia e la storia antica della Sardegna vengono
strumentalmente utilizzate nel dibattito (non è un caso che, ogni volta che la
storia amica è diventata arma di propaganda politico-culturale, lo è stato a
fini di devastanti ideologie: la romanità di cartapesta del Ventennio, la
purezza ariana dei Germani di Goebbels, i Celti di plastica del separatismo
razzista padano, ecc.). Fondamento di questa strumentalizzazione è un colossale
fraintendimento culturale e metodologico sul quale ormai il silenzio è
colpevole: presso larghi strati dell’opinione pubblica isolana è stata diffusa
la visione della Sardegna nuragica "colonizzata" e sfruttata dai
successivi apporti etnico-culturali avvicendatisi nell’Isola, contestualmente
individuando nelle popolazioni nuragiche i soli ascendenti dei Sardi odierni e
di conseguenza bollando chi in seguito giunse qui da altrove come i
"nostri" nemici; insomma un "Noi Sardi di oggi ci riconosciamo
nei gloriosi Nuragici e chi è venuto dopo è "nostro"
invasore-colonizzatore-sfruttatore". Entrambi gli assunti sono destituiti
di fondamento. Il primo errore è connesso al termine "colonizzazione",
usato nell'accezione negativa giustamente acquisita nell'ambito del brutale
fenomeno colonialista
occidentale dei secoli XVI-XX ai danni delle popolazioni
extra europee. Ma nell'antichità mediterranea le dinamiche interculturali dello
stanziamento in Occidente di gruppi di Fenici e Greci, o di Romani nella
Pianura Padana ecc., videro casistiche molto alterne, sia nette che sfumate, di
contrapposizione ma anche di collaborazione, di scontro ma anche di incontro,
assolutamente non assimilabili al truce colonialismo moderno. Chiaro esempio
tra tanti è l'incontro, appunto per lo più vicendevolmente proficuo, proprio
dei Nuragici con i Fenici, come acclarato da numerosi scavi e
studi. Per citare solo pochi casi: i Nuragici che
ospitarono nel villaggio di S. lmbenia-Alghero i Fenici per più di un secolo,
organizzando insieme una produzione di vino che giunse fino allo stretto di
Gibilterra; l'analoga presenza di Fenici nel complesso del nuraghe
SiraiCarbonia; i reperti nuragici delle città fenicie di Sulky, Bithia,
Tharros che ci parlano di aristocratici indigeni lì
trasferitisi e persino di matrimoni misti; le ceramiche
nuragiche in siti fenici di Spagna che
mostrano una partnership
commerciale tra le due etnie fin sulle coste atlantiche. Fenici, e Greci, nel
loro movimento coloniale in Occidente necessitavano, nella stragrande
maggioranza dei casi, di ottimi rapporti con popolazioni indigene vitali e
collaborative, per il prosperare degli scambi e per la crescita demografica
degli insediamenti: altro che brutale colonizzazione!
Il secondo errore: identificare i Nuragici come i soli
ascendenti dei Sardi odierni, disconoscendo gli apporti genetici e culturali
successivi, è illogico prima ancora che antistorico. La critica a questa
mitologia è piuttosto ovvia: i Sardi di oggi, come i Siciliani, i Cretesi, i
Toscani, i Catalani, ccc. non possono che essere l’esito della stratificazione
genetica e culturale di tutti i gruppi umani che si sono avvicendati nel
territorio: per la Sardegna, Nuragici certo, e prima ancora Neolitici, Campaniformi,
ecc., e poi Fenici, Greci, Cartaginesi, Romani, Bizantini, Arabi, Pisani,
Aragonesi, ecc. Per limitarci a due soli esempi : nemmeno i "romani de
Roma" chiamano più la casa domo, il
giorno die, la porta janna (latino domus, dies, janua), ecc.; l'individuazione nel DNA delle genti di una
piccola area dell’Ogliasrra di una percentuale di patrimonio genetico nuragico
maggiore che nel resto della Sardegna, ove esso è assolutamente irrisorio e
coerente con i parametri attesi in base ai successivi apporti umani, ha appunto
dimostrato, da brava eccezione, la veridicità della situazione generale
dell'Isola .
Solo per banali esigenze di economia comunicativa
siamo soliti definire i popoli con certi nomi: Greci, Romani, ecc., ma questi
vocaboli hanno un valore cangiante col contesto geografico e temporale e, in
definitiva, spesso convenzionale. Definire un popolo nel focus del suo percorso
storico e nel cuore del suo territorio è, forse, possibile, ma ai confini
geografici e ai limiti della sua parabola temporale lo è molto meno. È forte
l'impressione che il grande pubblico di fronte a espressioni quali, per
esempio, "i Romani conquistarono la Sardegna" o "la Sardegna
romana" abbia la percezione di un’invasione, di una dislocazione massiva
di cittadini dell'Urbe nell'Isola a sostituzione, magari previo sterminio,
delle genti locali. È evidente invece che si tratta in realtà della Sardegna,
della Spagna, della Grecia ecc. e di tutto il mondo antico durante l'età
romana, quando in ogni regione sopravvivevano tutte le componenti antropiche e
culturali precedenti, sul cui substrato gli elementi della civiltà romana,
anche umani, si innescarono dialetticamente in un graduale, ricco e complesso
processo di sostanziale rispetto e integrazione di lunga durata e di esito molto
variegato, fatti salvi episodi anche truci ma in genere non rilevanti in un
processo diacronico plurisecolare. Anche le più radicate identità (ma esistono
realmente o solo nella costruzione ideologica di gruppo, che ne necessita per
autodefinirsi rispetto agli "altri"?) non sono eterne, ma fluiscono
inevitabilmente e quotidianamente, anche se impercettibilmente, verso sempre
nuove configurazioni. Non ci sono più i Micenei, gli Etruschi, ecc. in quanto
tali; non estinti, ovviamente, ma diventati "Greci", "Romani
" ecc., nell’incessante divenire genetico e culturale della specie. E
quindi in adeguato torno di tempo non ci saranno più i
cosiddetti Italiani, Messicani, Tedeschi, ecc. - se pure esistono come tali e
qualsiasi cosa indichino questi termini (siamo certi che chiedendo a noi Sardi
di elencare le caratteristiche e di "sardità" si otterrebbero
risultati condivisi?) - destinati tutti a trasformarsi in altre e per ora
impredittibili identità. Che così sia è inevitabile e soprattutto sano per la
nostra specie, che prospera solo se rimescola incessantemente le carte della
genetica e
della cultura (alla luce del tragico ritorno addirittura
di scontri di religione, o della nascita di nuove lingue nei suburbi delle
metropoli statunitensi, è tutt’altro che imminente il paventato appiattimento
della specie in un unico profilo culturale globale). E del resto, anche la
nostra identità personale di singoli forse che non è un ininterrotto fluire,
mutare, arricchirsi di esperienze, idee, comportamenti cangianti nel tempo? Il
nostro "io" era i 18, 35, 57, 80 anni è sempre lo stesso?
Tornando a noi, l’errata auto-identificazione di un
popolo contemporaneo in uno antico sorge dall’abbaglio d’identificare la terra
con un popolo: una cosa è òa Sardegna, altra le popolazioni che l’hanno abitata
in ricca sovrapposizione culturale. Una cosa è abitare la terra dei nuraghi,
altra illogicità di sentirsi discendenti solamente, e quindi diretti, dei loro
costruttori. Illogicità in seguito alla quale presso larga parte dell’opinione
pubblica sarda la messa in valore di quanto all’isola è pervenuto d’oltremare
nel corso della storia è vissuto con malcelata e più o meno cosciente
insofferenza, come un vulnus inferto ad una mitizzata autoctonia (tornando
sufficientemente indietro nel tempo, nulla è autoctono, forse nemmeno la vita
sulla Terra) percepita a priori come preferibile ad ogni allo genia,
conseguentemente vissuta come inquinante e quasi offensiva. Questo
atteggiamento, diffondendosi anche presso il ceto politico locale, può condurre
a scelte errate – viziate da parzialità e squilibrio in favore della sola
civiltà nuragica – nel decidere degli investimenti sulla valorizzazione
culturale, destinandola così ad uno sterile autoreferenziale provincialismo.
Uno dei significati più pregnanti della vicenda della Sardegna antica
(neolitica, nuragica, fenicia, punica, ecc.) è invece proprio l’essere una
tappa particolarmente ricca e complessa del fluire storico – e perciò palestra
ottimale per lo studio dell’incontro interculturale – dei vari popoli
dell’Isola, del Mediterraneo, dell’Umanità.
FANTARCHEOLOGIA
In questo sciagurato inizio di terzo millennio new
age, in questo nuovo medioevo (i medievisti mi scusino e capiranno il senso) digitale, di ritorno di
teocrazie e irrazionali narcisismi ossequiati dai media, è ben noto dal
proliferare dei volumi, riviste e trasmissioni televisive ad essa dedicate, che
una delle più perverse derive mediatiche degli ultimi decenni è la diffusione
di convinzioni pseudoscientifiche nei dominii dell’archeologia e della storia
antica, formulate combinando in modo del tutto fantasioso e privo di metodo
dati ed informazioni, quando reali quando inattendibili.
Per limitarci alla situazione italiana e alla sola
programmazione televisiva degli ultimissimi anni, è possibile dilettarsi con
ben tre trasmissioni di prima serata che spaziano in tutto il bestiario del
settore (una delle quali, Voyager, già incredibilmente patrocinata dal
Ministero per i Beni e le Attività Culturali) dalle pietre di Ica del Perù, che
retrodaterebbero il genere umano al Giurassico dei dinosauri, allo
‘spazioporto’ di Nazca, alle più disperate ubicazioni dell’isola di Atlantide
(che, ahiloro, perfidamente si ostina a non farsi trovare), agli altrettanto
inesistenti misteri dei Templari, all’inseminazione della civiltà umana da
parte – manco a dirlo – di visitatori extraterresti etc...
Non è questa la sede per un trattato sulla materia, anche
se in alcuni casi bastano pochissimi dati per fare crollare interi castelli di
sabbia, dati ben noti da tempo ma che, per ignoranza o malafede, non sono posti
sotto i riflettori (lo spettacolo, e quindi l’audience e quindi gli affari,
prima di tutto). Un paio di esempi. Dalle celebri “pile” di Baghdad, che
dimostrerebbero la conoscenza dell’elettricità fin da tempi remoti (retaggio,
ovviamente, della suprema scienza di Atlantide o extraterrestre), non viene mai
precisato che in realtà non provengono da uno scavo archeologico. Dell’infinita telenovela dei misteri di
Rennes-le-chateau e annessi (il Graal che sarebbe la stirpe di Cristo,
perpetuatasi nei re Merovingi e successori sui quali vegliava il Priorato di
Sion… ecc) accuratamente si evita di porre nella giusta evidenza che buona
parte dei documenti sui quali tutto quel circo si regge, i Dossier Secrets della Biblioteque
National de France,
sono dei falsi degli anni ’60, come pubblicamente ammesso da uno dei
falsari. Della bufala della
profezia Maya sulla fine del Mondo al 21.12.2012 sono testimoni i lettori
stessi di queste pagine, sopravvissuti ad essa come il resto del Pianeta; la
vera fine del Mondo è il fatto che una cos’ tanto colossale stupidaggine abbia
così tanto imperversato sui media
ed abbia trovato così tanti creduloni, e che tutti coloro che l’hanno
cavalcata, cinicamente o in sprovveduta buona fede, non abbiano trovato un
briciolo di onestà intellettuale per recitare un dignitoso mea culpa.
Et de hoc satis.
Più utile è soffermarci, pur sempre brevemente, sui
presunti fondamenti metodologici di questo stucchevole stupidario
pseudo-cultural-mediatico.
L’archeolgia e la storia sono discipline rigorose,
come la matematica o la biologia, che seguono i criteri della ricerca
scientifica comuni a tutte le altre, e perciò si dovrebbe dar credito solamente
agli specialisti del settore.
E, senza scomodare le scienze ‘alte’, per un problema
d’accensione dell’auto si va dal commercialista? Per una perdita d’acqua in
cucina si chiama il dentista? Perché mai allora dare credito, in materia di
storia ed archeologia, a chi storico o archeologo non è?
I
dilettanti lamentano che questo è il tipico comportamento dell’Accademia, cioè
del circuito degli addetti ai lavori, che rifiutano a priori le idee
“geniali” o “rivoluzionarie” di
chi non proviene dal loro mondo per invidia, per presunzione, per resistenza a
modificare idee consolidate (i quali dilettanti, c’è da girarci, ben si
guardeebbero dal convocare un avvocato per aggiustare una serranda). A conforto
si cita, spesso a sproposito, la teoria delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn,
secondo la quale (volgarizzando) il cammino della scienza è punteggiato dal
comparire di idee rivoluzionarie che impongono radicali mutamenti del
precedente paradigma, cioè della “visione del mondo” fino allora consolidata,
le quali idee tnato più sono rivoluzionarie tanto più sono rigettate, fino ad
essere poi accettate e divenire esse stesse i nuovi paradigmi, destinati ad
essere a loro volta terremotati da future rivoluzioni.
Tutto
bene, se non fosse che i rivoluzionari ed i geni non sono mai stati dei
dilettanti, bensì studiosi dell’Accademia, alcuni magari eretici o borderline ma di formazione tradizionale
all’interno di essa, nutriti di solide conoscenze e solido metodo: tali erano
Euclide, Pitagora, Archimede, Aristarco, Eratostene, Galileo, Leibnitz, Darwin,
Gauss, Newton, Spallanzani, Harvey, Einstein, Tesla, Mendeleev, Bohr, Gödel,
Turing, Fermi, Marconi, Crick, Jenner, Heisenberg, Fleming, Schrödinger, Monod,
Pasteur ecc.
In
campo archeologico spesso e solamente, perché è l’unico caso, Schliemann, il
quale, da autodidatta della Grecia antica, si intestardì a cercare sulla scorta
del testo omerico la Troia dell’Iliade, contro il parere dei contemporanei
accreditati studiosi dell’antichità classica.
Ebbene,
l’esempio non regge. Anzitutto, i suoi fieri oppositori erano i filologi e non
gli archeologi, che guardavano invece alle sue idee con atteggiamento
possibilista. Inoltre, all’epoca (metà ‘800) l’archeologia balbettava i suoi
primi vagiti priva di metodo scientifico e quindi possiamo considerare
Schliemann sullo stesso piano degli archeologi suoi contemporanei.
Due
parole infine sull’etica pubblica della divulgazione scientifica.
Sia
ben chiaro che non si invoca qui alcuna forma di censura: qualsiasi cittadino
di un libero Stato può dire e scrivere ciò che vuole, finché non viola le leggi
ed è finanziato da privati. Indubbiamente anche qualsiasi editore privato
dovrebbe avere il dovere deontologico di verificare la competenza nella materia
degli autori che pubblica, ma nel meraviglioso mondo del dio Denaro la serietà
professionale è sempre una pia illusione. Inaccettabile è però quando le
panzane vengono divulgate grazie al denaro pubblico e/o col patrocinio di Enti
Pubblici di qualsiasi genere, dal servizio radiotelevisivo agli Enti Locali
ecc… E’ chiaro che non si può pretendere che i politici e pubblici funzionari
sappiano valutare l’attendibilità di chi parla di materie specialistiche, ma è
sufficiente la semplice domanda: “ Ma lei che mestiere fa? Per fare cosa le
danno lo stipendio? Qual’ìè il suo curriculum di studioso? E tutto si
chiarirebbe, scoprendone delle belle. In alternativa, ci si potrebbe avvalere
del consiglio di specialisti operanti nelle Istituzioni preposte alla ricerca
scientifica. Un controllo preventivo sulla competenza di chi propone contributi
scientifici in occasioni culturali di tipo pubblico non può essere considerato
censorio: che dire se con denaro pubblico o con il patrocinio di Enti Pubblici si parlasse di astronomia da
parte di avvocati o di urbanistica da parte di cardiologi, o si promuovessero
miracolose pozioni alla Vanna Marchi? Perché allora ciò è accettabile quando
accade per l’archeologia e la storia? Essere complici del dilagare di leggende
sulla storia umana non è meno grave dell’esserlo della diffusione di terapie
mediche inefficaci o dannose: un’opinione pubblica avvezza al leggendario sarà
più facile preda di pifferai magici della politica, i quali spesso – non per
caso – hanno fatto leva su un passato ad arte scempiato ai loro fini ideologici
(fascismo, nazismo, leghismo).
FANTARCHEOSARDISMO
Come
abbiamo visto, l’archeosardismo si “limita” ad un grave fraintendimento
interpretativo di dati reali. Da tempi relativamente recenti assistito ora alle
glorie del fantarcheosardismo che, innestando il motore turbo delle tecniche a-scientifiche
della fantarcheologia sull’archeosardismo, propone una parossistica esaltazione
della civiltà nuragica mater et magistra delle altre culture mediterranee, con
l’intento di innalzarla nell’Empireo del supremo primato (“Noi” Nuragici über
alles!) ma finendo
in realtà per scaraventarla nel ridicolo.
L’assunto
ideologico che accomuna, al di là di differenziazioni egraduazioni, quassi
tutti gli esponenti del fantarcheolsardismo è tanto semplice quanto risibile:
la civiltà nuragica deve assurgere, in una mitizzata autosufficienza e autoreferenzialità da turris
eburnea, a tali
vette di progresso e potere da essere non solo del tutto indipendente da
apporti esterni ma egemone, conquistatrice e faro dell’intera antichità
contemporanea in ambito mediterraneo, quando non addirittura europeo.
L’impressione è che soggiacciano a questa posizione, più o meno consciamente,
emotività ipersardiste e di rivalsa indipendentista, venate ora di accenti
leghistoidi. Così emancipati dalle pastoie della storia e archeologia proposta
dalle bieche Università e Sopraintendenze per i Beni Archeologici, tacciate di
“scienza di regime” i Nuragici possono finalmente assurgere ad essere, grazie
ai paladini di questa pseudo-storia, i dominatori del Mediterraneo, i
conquistatori della civiltà micenea, i veri Fenici, i colonizzatori d’Europa, i
maestri degli Egizi … e più glorificato come “bravo sardo” chi la spara più
grossa. Per dimostrare l’assunto vengono proposte le più assurde letture di
dati noti, o si vedono dati dove non ce ne sono, e quando neanche questo è
sufficiente non resta che scagliarsi contro il “complotto” delle malvagie
Università e Sopraintendenze dell’Isola, che occulterebbero immaginari
rivoluzionari reperti al fine di tenere i Sardi all’oscuro del, al solito,
“loro” glorioso passato (come se in quelle istituzioni non lavorassero nella
quasi totalità studiosi sardi) e/o per non ammettere che dilettanti ed
autodidatti in pochi anni di “ricerche” hanno visto molto più lontano di quanti
all’archeologia e alla storia hanno dedicato un’intera vita. La prova?
Semplice: i reperti immaginati non saltano fuori, dimostrazione inconfutabile
che vengono occultati (tipico
argomento ben ridicolizzato, nella sua inattaccabilità da illogico circolo
vizioso, da Umberto Eco in “Il pendolo di Foucault”, insegnamento paradigmatico
per chiunque s’imbatta nella fantarcheologia e nella fantastoria). Al lettore che potrebbe sorridere di
ciò, va segnalato che questo clima ha già dato luogo ad episodi tutt’altro che
divertenti, quali interrogazioni parlamentari o la minaccia di lesioni fisiche
subita da chi scrive durante un pubblico dibattito tra fantarcheosardisti.
Due
sono le tipologie dei fantarcheosardisti.
Sul
primo gruppo non è il casi di soffermarsi, perché tale è l’enormità di ciò che
propongono (e non raramente degli errori di sintassi, grammatica ed ortografia
dei loro scritti) che sono sufficienti pochi esempi. Che dire infatti dello schema planimetrico delle tombe
dei giganti che replicherebbero l’apparato riproduttivo femminile interno?
(inutile chiedersi come i Nuragici lo conoscessero: saranno le diaboliche
Soprintendenze che occultano bisturi e radiografie dell’ Età del Bronzo
rinvenuti negli scavi). Che dire degli Shardana (ovviamente identificati senza
troppe discussioni e senza dubbio alcuno nei Nuragici, con tanti saluti ad un
dibattito quasi bisecolare tutt’altro che concluso) che colonizzarono l’intera
Europa? La prova? Semplice: siccome Shar-Dan starebbe per “tribù di Dan”
(chissà in quale film), basta cercare in Europa tutti i luoghi nel cui nome c’è
la sequenza ‘dan’ – ma va bene anche din,
don, den, con tanti
saluti alla glottologia (è roba da mangiare?) e un benvenuto allo scampanìo
della vicina chiesa – e facilmente si scopre che furono i uargici a dare il nome
a Londonderry,
alla Scandinavia,
alla Danimarca,
al fiume Don,
ecc. Che dire della spudoratezza di chi confeziona iscrizioni “etrusche”
copiando porzioni di celeberrime epigrafi come quella del fegato di Piacenza di
II-I sec. a.C. e di un alfabetario più antico di cinque secoli assemblandole
tra loro (e del Sindaco del paese che, pur in buona fede, minaccia querele a
chi avanza dubbi di falsità)? Che dire del pensiero che i Fenici non sono mai
esistiti, con tanti saluti a fonti letterarie come Erodoto, Tucidide, (chi sono
mai costoro?) ecc. a intere città, a centinaia d’iscrizioni, ecc., se
interrogarsi, in tali casi, sull’uso del termine pensiero?
Poiché
questo è il livello del primo gruppo dei fantarcheosardisti, meglio seguire il
consiglio di Virgilio a Dante: “Non ti curar di lor ma guarda e passa”
Il
secondo gruppo necessita di qualche parola in più, perché i suoi componenti
riescono ad ammantare le loro posizioni con argomentazioni che a un non
specialista possono apparire fondate. Per motivi di spazio ci possiamo
occupare, e brevemente, solo di un paio di esempi, e perciò li selezioniamo tra
i più in voga.
Vanno
per la maggiore di recente le presunte “iscrizioni nuragiche”. Origine e
cavallo di battaglia è la “tavola” di Tzricotu (altre del tutto simili sono
calchi in gesso di ignoti originali, se pure esistenti, e pertanto non
considerabili sul piano scientifico). Per appurare che i segni su di essa sono
solo i componenti di banali
decorazioni geometriche e/o fototomorfe in schema simmetrico è sufficiente
vederne un’immagine. La “tavola” infatti è in realtà un oggetto altomedievale
dell’ambito produttivo dei notissimi ornamenti di cintura, come chiunque può
appurare confrontandola con con
uno di quelli arcinoti della coeva necropoli longobarda di Castel Trosino, del
tutto affine per forma e decorazione
(http://gianfrancopintore.blogspot.com/2010_01_01_archive.html). O i Nuragici furono antenati anche dei
Longobardi e dei Bizantini? Altri esempi di “iscrizioni nuragiche” non sono più
felici.
La
civiltà nuragica non scriveva; poco contano pochi, isolati, e a volte dubbi,
segni derivati dall’alfabeto fenicio, o greco, o alfabeti orientali di vario
genere, rilevati su una manciata di manufatti nuragici dell’Età del Ferro,
perché in quanto da essi mutuati ci parlerebbero solo di casi di imprestiti
allogeni molto episodici e circoscritti. I gruppi umani nuragici non scrivevano
perché il declino della loro civiltà iniziò proprio quando erano giunti sulla
soglia di quella dimensione territoriale e complessità socio-economica che
presiedettero – nelle società letterate – all’invenzione/adozione della
scrittura per far fronte a sempre più complesse esigenze amministrative
altrimenti ingestibili. Questo in nulla sminuisce la grandezza della civiltà
nuragica (quella vera, non quella mitizzata), ma la caparbietà e
l’atteggiamento aprioristico con il quale si deve a tutti i costi dimostrare l’alfabetizzazione
diffusa pare scaturire da un inconscio senso d’inferiorità rispetto alla
culture che scrivevano, basato ancora sull’emotività archeosardista, secondo la
quale è inaccettabile che i “nostri” antenati non scrivessero ed altre civiltà
sì.
Il
secondo esempio è quello dell’identificazione della Sardegna nuragica con
Atlantide, derivante dall’idea secondo la quale per i Greci il confine del
mondo conosciuto, quelle “Colonne d’Ercole” oltre le quali il racconto di
Platone pone la mitica isola, fosse fino ad una certa epoca tra Sicilia e
Tunisia. Ci interessa qui la proposta dell’equazione Atlantide=Sardegna nuragica
seppellita in parte dal fango di un enorme tsunami, proposta seppellita, questa
sì, dallo sfavore della quasi totalità dei 238 archeologi, storici e geologi
che si sono espressi su di essa. (http://www.celticworld.it/phorum/read.php?13,87429,88814).
Persino nel sito web allestito dal propugnatore di questa tesi è facile vedere
come anche la quasi totalità dei - pochissimi - antichisti che egli inserisce
nella “Giuria degli Esperti”, quali suoi blasonati supporters circa la questione Colonne
d’Ercole, alla questione Sardegna-Atlantide-tsunami o oppone un assordante
silenzio o si limita a riferire le idee dell’Autore senza prendere posizione,
che è lo stesso (http://colonne.idra.info/lnx/cde_rubrique.php3?id_
rubrique=14). Ma poiché nella
scienza non è valido il principio di auctoritas, elenchiamo solamente alcune
delle critiche possibili, sia di nuova formulazione sia già avanzate da tempo e
che ancora attendono risposta nel merito (invece dei soliti insulti funzionali
solo a non rispondere; il critico può rivelarsi essere il Mostro di Firenze, ma
se avanza un’obiezione nel merito, nel merito la risposta deve essere).
Abbiamo
un idea di quale sconquasso nell’intero Mediterraneo (se non nell’intero
emisfero boreale), ove invece non ce n’è traccia, avrebbe dovuto causare un
evento capace di ricoprire di ‘fango’ il complesso nuragico di Barumini, posto
a 60 km dal mare e a 241 metri di altezza sul suo livello? Dove sono le
migliaia di scheletri che dovremmo trovare nei siti seppelliti da fango
tsunamico? Questo fango (in realtà terriccio, che ricopre i monumenti nuragici
come tutti gli altri del mondo per un fenomeno antropico/ambientale ben noto; è
fango solo per un geologo, contro il parere compatto di tutti gli archeologi e
geologi che si sono espressi), questo fango com’è che ricopre anche per esempio
a Barumini, i livelli di frequentazione romanica e punica dei siti? Parte
dell’Hinterland di Cagliari viene identificato con la pianura retrostante alla
capitale di Atlantide: come mai allora per circa metà comprende le colline
della Marmilla a quote s.l.m. tra i 100 e 200 m, non di fango, ma di solida
roccia? La posizione di vera pianura, del Campidano, di quella piana atlantidea
pre-tsunami, viene interpretata dallo stesso autore, in altro passo della
stessa opera, come il riempimento di una precedente fossa causato dall’apporto
del fango tsunamico: la contraddizione è palese. Sulla base di quale metodo
scientifico le misure date dal testo di Platone per la città sono accettabili
ed invece quelle della piana
vengono divise per 10 (sarà mica perché sennò i conti non tornano con
l’hinterland di Cagliari)? E perché per 10 e non per, poniamo, per 5 o per 20
(sarò mica perché sennò i conti non tornano con l’hinterland di Cagliari)?
Sulla base di quali evidenze l’indicazione dei 9.000 anni prima, ai quali
risalirebbe la vicenda di Atlantide secondo i sacerdoti egizi del racconto,
viene convertita in mesi, contro l’universale uso egizio di datare in anni,
risalendo così al 1175 a.C. (sarà mica perché sennò i conti non tornano con la
civiltà nuragica)? I sacerdoti egizi affermano di riferire fatti già nella
notte dei tempi per loro, prima del diluvio, perciò distintissimi dal 1175,
epoca della quale conoscevano beissimo le vicende immortalate nei testi e nelle
iscrizioni geroglifiche a tutti loro visibili. Come non notare l’improbabilità
della circostanza che la cifra di questi mesi sia tonda al momento in cui i
sacerdoti parlano (sarebbe bastato un mese prima o dopo per non essere tonda);
come non sospettare quindi che si tratta di una cifra basata sul ben noto
potere simbolico del numero 3 e del suo cubo? Come mai un’imponente massa di
dati mostra la civiltà nuargica nel pieno fulgore ben dopo il 1175 anche nelle
regioni che sarebbero state investite dalla catastrofe? Platone scrive che
nell’isola scorrazzavano gli elefanti: ci viene suggerito che il testo del
passo sia corrotto e il filosofo parlasse in realtà di cervi (i due nomi sono
simili in greco antico): peccato che tutti i codici di del testo di Platone a
noi giunti riportino elefanti e mai cervi, e non potrebbe essere altrimenti,
dal momento che Platone stesso precisa di parlare degli animali più grandi che
camminano sulla terra, che fino a prova contraria non sono cervi Siccome
elefanti nella Sardegna nuragica non ce n’erano, devono diventare cervi per
fare tornare ancora una volta i conti? Come mai Aristotele, che forse del
pensiero di Platone qualcosina doveva pur sapere essendone il successore, disse
che Atlantide era scomparsa con colui che l’aveva sognata, cioè con il suo
maestro? Moltissime altre obiezioni sono possibili, ma sono sufficienti queste
per popperianamente falsificare l’assunto.
Il
favore che in sardegna questa bella favola ha riscosso si deve, oltre al
fascino invincibile appunto delle favole, al fatto di avere vellicato la vanità
di un pubblico già (dis)educato dall’archeosardismo ad immedesimarsi nei
Nuragici. Nel fil “L’avvocato del diavolo” la battuta finale è di Satana-Al Pacino: “La
vanità, il peccato che preferisco” (perché è la più potente tentazione). Ma anche ragionando
in termini di vanità: ben 55 posti nel mondo si contendono il ruolo di
pretendenti al trono di Atlantide. Banalizzare la Sardegn al 56° tra essi appaga
la vanità degli abitanti dell’unica isola degli unici nuraghi? Tutto ciò è già
molto negativo dal punto di vista culturale, ma diventa preoccupante quando si
traduce nella proposta legislativa di livello regionale
(http://www.manifestosardo.org/wp-content/uploads/2010/09/URN-Sardinnya-Sa-Natzione-NURAT-1.pdf)
di costituire addirittura un Istituto di “studio, ricerca e
valorizzazione dei rapporti tra Sardgna nuragica e l’Isola di Atlante (art, 4 comma 10)”.
Fortunatamente, la proposta è ormai tramontata, ma non saranno inutili alcune
considerazioni in vista di futuri casi dell’uso del fantarchosardismo per fini
analoghi. Orientare ope legis la ricerca verso una precisa linea preconfezionata, per di
più molto contestata, è principio del tutto contrario alle norme del metodo
scientifico; è sempre molto pericoloso lo sconfinare della politica e delle
leggi nel campo della ricerca scientifica, per definizione libera. Ciò che più preoccupa è che
la divulgazione urbi et orbi di tale ipotesi viene ritenuta fondamentale strumento di
propaganda e marketing per l’offerta turistica dell’isola, dal paesaggio
all’agroalimentare ecc., a prescindere dalla sua fondatezza. Per citare solo
pochi passi: “non c’è dubbio che il solo ingresso dellaSardegna tra
le ‘pretendenti al trono di Atlantide’ sarebbe probabilmente in grado di
attivare un processo mediatico straordinario” (preambolo); “Sfruttando sino in fondo
tutte le affabulazioni legate al fascino misterioso e straordinario dei miti e
delle leggende della civiltà nuragica” (preambolo); “L’affascinante civiltà nuragica,
sopra la quale può essere costruita una narrazione mitologica che – tra lo
storico e il fantastico – può arrivare sino all’Isola di Atlante” (preambolo); “attività
di promozione, di pubblicizzazione e di marketing, finalizzte alla diffusione
delle suggestioni legate alla protostoria sarda e ai suoi legami con l’Isola di
Atlante” (art. 4
comma 11). Sacrificare la scienza e la storia sull’altare della
suggestione, del fantastico, del leggendario, al moloch del marketing è un buon servizio alla
Sardegna?
Ma
anche ponendoci in ottica di marketing, banalizzare l’unica isola degli unici
nuraghi nel novero degli altri 55 siti “pretendenti al trono di Atlantide” è un buon servizio alla
singolarità incontrastata della Sardegna protostorica?
L’ammontare
previsto per l’operazione è di 10 milioni €, grosso modo il costo
dell’indispensabile Museo delle statue nuragiche di Mont’e Prama, ad oggi
ancora in mente dei. Cioè del Museo di reperti che, in termini anche di
marketing dell’Isola all’esterno, potrebbero svolgere un ruolo altrettanto
egregio, data l’enorme rilevanza mediterranea, l’unicità e le conseguenti
potenzialità mediatiche – sul piano di una corretta e alta divulgazione
culturale – del complesso statuario.
E
già serpeggiano proposte di corsi ed istituti sulle iscrizioni nuragiche…
GIÙ LE MANI DA MONT’E PRAMA!
Prima
ancora della presentazione al pubblico della totalità del complesso scultoreo
di Mont’e Prama, quale esplode ai nostri occhi nel mirifico effetto derivante
dal superbo lavoro di ricomposizione, per la cui occasione è edito questo
volume, si è diffusa la leggenda del solito occultamento di questi reperti da
parte delle perfide Soprintendenze. Ampie notizie sono invece state edite, sia
in sede scientifica che divulgativa, già poco dopo il rinvenimento negli anni
’70, come mostra la bibliografia citata in questo volume; alcuni dei frammenti
più significativi facevano bella mostra di sé nel Museo Archeologico Nazionale
di Cagliari da quasi altrettanto tempo e fino all’inizio del lavoro di restauro
pochi anni orsono, e da allora sono stati costantemente valorizzati in ogni
opera divulgativa sulla civiltà nuragica. Il lavoro di ricomposizione, come
questa sua conseguente esposizione al pubblico, è stato promosso dalle perfide
Soprintendenze non appena c’è stata l’occasione di disporre di due
imprescindibili elementi per realizzarlo: i fondi ed i laboratori adeguati.
Perciò, di quale occultamento si parla? Sarebbe più onesto che i dottissimi
dilettanti che lanciano questa accusa. E i media che la cavalcano, confessino
che mai ne hanno saputo l’esistenza o compreso l’importanza.
E
arriviamo finalmente all’intento primario di questo contributo.
Sul
complesso scultoreo molto gli studiosi, quelli veri, dibattono, perché molto
ancora c’è da chiarire, come ben si apprende dai volumi nelle quali queste
pagine sono edite e da altre recenti opere sull’argomento.
Sappiamo
con certezza, in estrema sintesi, che si tratta del prodotto di un’èlite
nuragica che si autorappresentava in modo così monumentale in segno di sfoggio di potere nei
confronti della gente sulla quale lo esercitava e su chiunque osservasse le
sculture.
Discutiamo
però ancora la cronologia esatta tra Bronzo Finale e Orientalizzante, la
presenza o meno di influenze orientali, la realzione con le tombe presenti nel
sito o con un eventuale lontano santuario ad oggi ignoto e quindi la funzione
funeraria o votiva, la relazione stilistico-iconografica con i bronzetti, la
concezione unitaria in funzione della “narrazione” di un messaggio globale o la
realizzazione paratattica per singole sculture distribuite nel tempo, e altro
ancora. Sappiamo però con certezza che la Sardegna nuragica non ha insegnato la
grande statuaria al resto del mondo antico (in Egitto e nel Vicino Oriente essa
è ben più antica), che le statue non rappresentano gli inesistenti atlantidei,
né gli altrettanto inesistenti giganti di Paùli Arbaréi, né gli extraterrestri
del pianeta Nibiru che malignamente si è ostinato a non comparire nei nostri
cieli nonostante sia trascorso il paventato 21.12.2012, non hanno magiche virtù
terapeutiche né esse né il sito di rinvenimento, non recano occulte iscrizioni,
nessuno mai le ha tenute nascoste, non sono state realizzate con ultrasuoni o
altri strumenti di chissà quale perduta tecnologia aliena o atlantoidea, non
sono vecchie di milioni di anni, non sono opera del conte di Saint Germani
l’Immortale, le armi che impugnano non sono spade laser jedi, nessuna
maledizione ha colpito chi le ha rinvenute (anzi, una sì: quella di avere a che
fare con i fantarcheosardisti) … e via sparandole grosse. Esse si pongono in
posizione di primato, sul piano della grande scultura, nel Mediterraneo
Occidentale e sono, per questo e anche per altri motivi, un’ulteriore
testimonianza della vera grandezza (non di quella ridicolizzata dal
fantarcheosardismo) dell’antico popolo (non dei Sardi di ora) che ha fatto
della Sardegna l’unica isola degli unici nuraghi (non una qualsiasi delle mille
banali fantomatiche Atlantidi).
Ogni
opinione sui ponti ancora discussi va argomentata sui dati reali e metodologicamente
fondata, e ciò è “purtroppo” appannaggio dei soli archeologi, quelli veri.
Media ed opinione pubblica sono pregati di accertarsi della competenza di chi
parla, o straparla, di questi reperti (come di tutti gli altri).
Archeosardisti, fantarcheologi e fantarcheosardisti, almeno su queste statue –
finché siamo in tempo – siete pregati di non affliggere l’ignaro pubblico con
le vostre fanfaluche. Per una volta abbiate pietà della sardegna, dei Nuragici,
dei Sardi, della scienza, della decenza, della logica, del banale buon senso e,
se non altro, della vostra stessa dignità.
Per
tutto questo, e per favore, giù le mani da Mont’e Prama!
BIBLIOGRAFIA
Sulla fantarcheologia in generale, tra le molte opere
disponibili, si possono consultare a titolo di esempio: K.L.FEDER, Frodi,
miti e misteri. Scienza e pseudoscienza in Archeologia, Roma, 2004: M.
POLIDORO, Gli enigmi
della storia,
Milano,2005; M. POLIDORO, Grandi misteri della storia, Milano, 2005; M. POLIDORO, Enigmi
e misteri della storia. La verità svelata, Milano, 2013.
Utilissime anche le sezioni “fanta- archeologia” e
“storia” dell’Enciclopedia del sito Comitato Italiano per il Controllo delle
Affermazioni sul Paranormale (CICAP): www.cicap.org
Sull’archeosardismo
e sul fantarcheosardismo una summa aggiornata e approfondita è F. FRONGIA, le
torri di Atlantide.Identità e suggestioni preistoriche in Sardegna, Nuoro 2012,
un volume non ancora edito alla data di stesura di questo contributo (2010) e
nelle cui posizioni l’autore di queste pagine si è incondizionatamente
riconosciuto.
Su
un’assurdità tra le più in voga del fantarcheosardismo, quella delle
“iscrizioni nuragiche”, v. ora anche R. ZUCCA, Storiografia del problema
della ‘scrittura nuaragica’, Bollettino di Studi Sardi, anno V,n.5, dic 2012, pp,5-78.
Argomenti vari di fantarcheologia e
fantarcheosardismo sono trattati nel sito http://pasuco.blogspot.it
Sui
processi mentali più reconditi e tortuosi delle follie pseudo-logiche che sono
alla base delle fantasiose ricostruzioni del passato resta insuperabile la
lezione di U. ECO, Il pendolo di Foucault, Milano 1988.
Sul
metodo scientifico, tra le infinite possibilità segnaliamo solo un nome, per la
sua ampia ed accessibile produzione divulgativa in piena lingua italiana piana
e di agevole approccio: Piergiorgio Odifreddi
(http://www.piergiorrioodifreddi.it/).