Il Genoma Umano contiene, come già detto, 20.000 geni.
In termini di ‘basi’ (assimilabili alle singole lettere di questo nostro
particolare alfabeto), ciò significa la bellezza di 3.2 miliardi di basi. Il che significa che se ci si prendesse la briga
di scriverlo su carta, s’otterrebbe un testo almeno mille volte più lungo di un
ponderoso romanzo russo come “Guerra e Pace”.
Eppure, se si fa passare il genoma di una cipolla attraverso
il raggio laser di un “citometro di flusso” dopo averlo opportunamente colorato,
si ottiene – anche visivamente – un risultato sconcertante: una semplice
cipolla contiene un numero molto maggiore di basi di un essere umano.
Come è possibile questo?
Ci possiamo considerare, in qualche modo, inferiori ad una
semplice cipolla? Oppure: è mai possibile che una comune cipolla svolga più
funzioni – in ambito genetico/ereditario – di quante ne abbiamo noi come esseri
umani?
Che la cipolla riesca spesso a farci piangere – quando ne
affettiamo una, per esempio – è cosa nota: molto di più se per caso ci
affettiamo anche un polpastrello! Ma che vinca anche in un confronto biologico
molecolare è insopportabile.
Non lo crediamo possibile: e infatti non è così.
Eppure anche molte altre creature – visibilmente più
semplici di noi – possiedono genomi molto più grandi del nostro.
I pesci
polmonati africani (dipnoi) hanno 132 miliardi di basi.
Il bellissimo fiore
Paris Japonica (melanthacee) ne contiene addirittura 149 miliardi.
Ora, senza nessuna offesa, queste entità biologiche non sono
in alcun modo più complesse di noi. Si può serenamente rifiutare in blocco ogni
idea che esse – con il proprio esuberante DNA ipertrofico – facciano qualche
cosa di più di quello che facciamo con il nostro. Si può anzi affermare che le
dimensioni del DNA di un essere vivente non possiedono
alcuna correlazione con la sua complessità.
Quindi, sembrerebbe uscirne avvalorata l’idea formulata già
nel lontano 1970 (che come s’è già detto, oggi è parzialmente superata) per cui
la grande maggioranza del DNA non servirebbe a nulla (e ciò sembrò appunto giustificare il termine “DNA
spazzatura” che vorrebbe tradurre
l’inglese “Junk DNA”, che più precisamente significa: “inutile carabattola”).
Non codificherebbe alcunché.
Ma, allora, che cosa ci sta a fare, lì dove si trova, cioè
nella ‘stanza dei bottoni’ di tutti gli organismi della Terra?
Ecco: questo è proprio il punto focale di moltissime “guerre
del DNA”, che si sono lungamente combattute
tra sostenitori di tesi opposte, proprio a partire dagli anni ’70.
A dire la verità, la Genetica è stata fertile terreno di
contese intellettuali fino dai tempi di Darwin, e cioè da circa 200 anni.
Ancora oggi il Mondo si divide (filosoficamente?) tra
Creazionisti ed Evoluzionisti, contro ogni possibile evidenza scientifica. Non
esistendo alcuno spazio razionale frequentabile dai creazionisti, questi ultimi
si rifugiano nella fede e nella religione, nella confusione parascientifica e
nell’irrazionale inventato e senza prove.
James Watson e Francis Crick (1953: pubblicazione di un breve
articolo sulla rivista Natura) descrissero per la prima volta la struttura
della molecola del DNA, guadagnandosi il Nobel e determinando un’incredibile
frenesia produttiva tra i biologi ricercatori.
“Double Helix”, la definirono, cioè “doppia spirale”. Come
mai in Italia sia diventata una ‘doppia elica’ (che in Inglese sarebbe “double
propeller”) forse è meglio non saperlo.
Ormai il danno è fatto: se si va a cercare “Doppia Elica” su
Wikipedia, si trova addirittura portata ad esempio l’illustrazione di una
bellissima scala a chiocciola di Donato Bramante[1]
nei Musei Vaticani, insensatamente definita ‘scala a doppia elica’.
Il Bramante è lì che si rigira ancora nella propria tomba,
come una doppia elica, tutto vestito di Pizzo SanGallo...
[1] Musei Vaticani -
Roma. La scala elicoidale d’uscita dai Musei è attribuita al Bramante (Donato
di Angelo di Pascuccio), ma più probabilmente essa è opera del
discepolo Antonio da Sangallo, autore di quel capolavoro di ingegneria che
si trova nel Pozzo di San Patrizio ad Orvieto: scala elicoidale a doppia rampa
in cui chi scende a prendere l’acqua (probabilmente con un asino, o un mulo e
forse un carro) non incontra chi sale, con il carico utile d’acqua.