venerdì 23 novembre 2012

L'Isola del Paradiso, due aneddoti.

Paradisola, qualcuno ha creato questo neologismo, furbo ed intrigante ...
Da parte mia, io adoro la Sardegna e credo che il neologismo sia anche azzeccato...

Mi ricordo la prima volta che la visitai. Un mio futuro "zio", acquisito per meriti matrimoniali, mi propose di andare a visitare il Nuraghe Losa (mentre attendevamo una cerimonia di matrimonio) perché le donne erano indaffarate a preparare una vasta quantità di cose e non ci volevano intorno. Io - del Nuraghe Losa - non ne avevo mai sentito parlare, e finsi interesse per delicatezza verso chi cercava di essere gentile con me (spero di avere nascosto bene il mio vero pensiero: io credevo, allora, che i nuraghi fossero rozze e modeste costruzioni a forma di secchiello rovesciato, con un tetto di canne). Montammo in auto e via, per la campagna d'uliveti a non finire. Non mi colpivano più di tanto: ero abituato al paesaggio della Sicilia, per cui i muretti a secco, gli agrumeti e gli oliveti non facevano alcuna presa sulla mia fantasia, a parte confermarmi nella mia idea errata che le due isole fossero perfettamente uguali... Lo zio cercò di spiegarmi brevemente che cosa fossero i Nuraghi: cercai di nascondere il mio bieco disinteresse, facendo qualche domanda educata. Le risposte che ne ebbi - fatte più di "non è sicuro" e di "non si sa" - mi confermarono lo scarso interesse generale che l'argomento Nuraghi probabilmente riscuoteva ovunque. Ad un certo punto la mia guida si sentì in dovere d'annunciare: "Eccolo là, già lo si vede", indicando un cumulo rosso brunastro che spuntava tra le chiome degli ulivi. Io ebbi l'idea di concludere ad alta voce: "Allora, siamo arrivati". La guida mi guardò un po' sorpresa e poi disse: "Eh, no, siamo ancora piuttosto lontani". Allora fissai meglio il cumulo rosso brunastro ed iniziai a modificare il mio atteggiamento e soprattutto il mio pensiero verso di esso.
Risparmio i dettagli sulla mia prima visita al Losa.
Dirò solamente che allora lo si poteva visitare davvero e per intero, salendo da una rampa e scendendo dall'altra, per uscire dalla "cambra" posteriore e si poteva liberamente scorrazzare sulla cima, tutte cose oggi proibitissime, ormai da molti anni.
Da allora - nessuno lo sa, ma è così - il Losa è diventato il "mio" Nuraghe. Ed io mi sono appassionato oltremodo all'argomento della Sardegna Antica, della Tirrenia Antica e di tutto ciò che - talvolta anche solo alla lontana - le riguarda.
(Il mio futuro zio mi offrì cortesemente una pubblicazione del Canonico Spano sui Nuraghi. Ma io - che  ero appena entrato in possesso addirittura di un'Enciclopedia Treccani - rifiutai cortesemente. Inutile dire che appena tornato a casa mi ci fiondai subito, per leggere, tra le altre cose: "Una delle teorie più apprezzate sui Nuraghi è quella del Canonico Spano...". A parte questo, oggi quell'opera dello Spano varrebbe un bel po' di euro).

E' un aneddoto modesto, ma di sincera e completa redenzione: ne ho altri meno seri. 

In seguito, andai a visitare posti più 'turistici' (che in genere detesto ed evito per quanto possibile). Un anno ebbi modo di passare una decina di giorni a PortoRotondo. Mi ero oramai trasformato in un sardo in pectore, dai gusti e modi piuttosto aresti e la mia esperienza non fu esattamente felice...

Mi resi subito conto che i frequentatori di posti simili appartengono a tre categorie principali di persone, tutte incompatibili con la categoria particolare alla quale credo d'appartenere.

AVVERTENZA:  Il testo che segue è per adulti consenzienti solamente. Può contenere piccole tracce di arachidi, mandorle e soia. Consumare solo prima della data di scadenza e solo se si ha il permesso scritto di un tutore o di un parente adulto, nel caso di minore età.

1) La prima categoria di 'Portorotondini' è quella delle "facce da barca". Sono persone che esprimono subito chiaro a tutti gli astanti il concetto di essere proprietari di barca, per mezzo dell'abbigliamento esclusivo specializzato e per il modo sempre all'ultimo strillo di indossarlo (scarpe da barca firmate, ridondanti se usate fuori della barca, maglioni idrorepellenti inutilissimi d'estate, costosi orologi a tenuta idraulica, etc. etc.). Si tratta, in fondo, della versione insulare ed abbronzata della tradizionale e meglio nota 'faccia da c***o.' che riesce ad ammorbarci regolarmente tutto l'anno anche a casa nostra, ovunque si abiti. Solo che qui, in vacanza,  la categoria si scatena e fa della propria fetida ostentazione di denaro un vero virtuosismo, posteggiando l'enorme SUV esclusivo sempre in immancabile divieto di sosta ed ostentando il proprio insopportabile dialetto lombardo (più spesso, ma sono presenti in percentuali precise anche gli altri). Riescono persino a farti rivolgere un pensiero grato all'Anonima Sarda Sequestri ormai a riposo (purtroppo, verrebbe quasi da dire). 
2) La seconda categoria è quella, insospettabilmente foltissima, dei "culi da barca": essi sono immancabili ovunque sia presente una "faccia da barca", secondo la legge per cui i volontari aspiranti corrotti sono sempre presenti ove fiorisca un almeno potenziale corruttore. Ti colgono improvvisi dubbi logici esistenziali (del tipo: è nato prima l'uovo, o la gallina? Il corrotto o il corruttore?). Il culo da barca può essere di qualunque sesso, in quanto liberamente imperversa trasversalmente tra maschi, femmine e stati intersessuali. In genere si tratta di soggetti che vestono in modo ben riconoscibile, anche se non esattamente tradizionale: se incontrate un soggetto che è tutto uno sventolio di maniche a sbuffo, abbondanti camicie di stoffe fini e ricercate, pantaloni all'odalisca leggeri e semi trasparenti (perché fa caldo e la cute deve respirare), potreste essere di fronte ad uno di loro. Il minimo comune denominatore è che - per quanto comodo, largo ed abbondante - il loro vestiario è sempre attillatissimo 'in particolari punti' della loro anatomia, rivelandone ogni più intimo dettaglio scabroso. Per intenderci, se son femmine, i vestiti sono abbastanza attillati da permettere di leggere il numero e la marca della spirale che portano.
3) La terza categoria è, infine, quella dei "griffati di professione".
In un certo senso costoro hanno occupato la stessa nicchia ecologica lasciata libera dai primi nudisti di una volta. Vi ricordate? Quelli che se ne  stavano per conto loro, tutti nudi, nei posti più obbligati di passaggio e che assumevano un atteggiamento piuttosto seccato se per caso, passando obbligatoriamente a 40 centimetri da loro, vi permettevate persino (per non calpestarli) di guardarli!
Ecco, proprio loro. L'unica vera differenza è che i griffati - oltre ad essere vestiti e superaccessoriati - assumono sempre una posizione particolare: quella di massima esposizione visiva del marchio, che spesso li fa assomigliare ad antichi bassorilievi egizi, oppure a pazienti affetti da gravissima artrosi all'ultimo stadio (infatti, molti li chiamano 'gli ingrippati egizi').

Infine c'è la categoria alla quale anch'io mi pregio di appartenere: quando vedi qualcuno che se ne va in giro un po' stralunato, non abbronzato, tenendosi prudentemente ben distanti da tutti gli altri, dalle boutiques esclusive (per intenderci, quelle con un solo vestito in una vetrina di 20 mq, rigorosamente senza prezzo: il 'Portorotondino' vero non ha bisogno di chiedere. Compra e basta), con un'espressione che sembra dire proprio: "Macchecc***ocisonovenutaffare qui?".
Ecco, quello sono io e tutti quelli come me, che starebbero molto meglio su una splendida scogliera basaltica a Fuile 'e Mare, sul mare di tutte le sfumature dall'azzurro al turchese, magari anche da soli, ma molto, molto più sorridenti ed appagati.

Ecco, questo, per me è Paradisola.