domenica 25 novembre 2012

Presentazione del libro


Il Comune di Paulilatino concluderà la manifestazione  
'Atòbios de Paule'

Sabato 22 Dicembre, ore 18.00 
Sala Convegni 'Santa Cristina', 
con la
Presentazione del libro

 L’ira degli Dei e I popoli del mare”. 
I Shardana e i popoli del mare nel XII secolo a.C. con la presenza dell’autore Maurizio Feo.
A cura dell'Associazione Guilcier Real.


Grazie di cuore a chi ha ospitato ed organizzato la presentazione del libro e, naturalmente, un ringraziamento particolare a chi lo ha fortemente voluto: Giacobbe Manca, Direttore dell’Associazione Onlus  Sardegna Antica - Culture Mediterranee, senza il quale il libro non avrebbe probabilmente visto la luce.
Anche per questo motivo, gli introiti della vendita andranno alla Olnus, allo scopo di finanziare altre future pubblicazioni.


Esiste oggi, nell’isola, un diffuso e palese smarrimento delle prospettive e delle dimensioni reali dell’argomento, 'Popoli del Mare', a giudicare dal moltiplicarsi d’articoli e libri un po’ troppo fantasiosi e strumentali, al riguardo, privi di aderenza con ogni realtà.  Io mi sono attenuto alla bibliografia internazionale e nazionale più accreditata, e a quanto di più verosimile sia stato costruito saldamente al riguardo. Va detto che l’argomento, poi, non include solo Archeologia e Storia, bensì anche Paleogeologia, Antropologia, Genetica, Linguistica, Paleoclimatologia e Paleobotanica. Si tratta proprio di quella “multi-disciplinarietà” tanto facile da auspicare negli scavi, ma tanto difficile da ottenere nella pratica. Il libro fornisce una Tesi Definitiva più verosimile e competitiva confronto a tutte le altre ipotesi formulate fino ad oggi, l'unica accettata dal Consenso Scientifico.

Assicurazione circa i metodi.
- L’autore assicura puntiglio ed attenzione nel redigere il testo, con richiami puntuali ed abbondanti alla bibliografia accademica italiana e straniera aggiornati al 2010 su tutti gli argomenti coperti.
- Proprio a causa della scarsità delle fonti affidabili, ha adottato il Metodo di ricerca dell’ipotesi di massima verosimiglianza competitiva, che – se non è certamente la Verità definitiva – è quanto di più prossimo ad essa possiamo oggi ottenere.
- Distinzione tra campo dell’ignoto (in cui si formulano e si comparano le ipotesi, che però dovranno essere dimostrate, per potere diventare tesi) e campo del conosciuto (su cui non possono esistere ipotesi, bensì solo conoscenza oppure ignoranza dei fatti). 
[Già Lucio Anneo Seneca, nelle sue Questioni Naturali, afferma il medesimo principio: "La differenza tra noi (i Latini) e loro (gli Etruschi) sta nel fatto che noi crediamo che il fulmine nasca dallo scontro di due nuvole; essi ritengono che quelle due nuvole debbano scontrarsi, perché nasca quel fulmine" E' ovvio che i commentatori abbiano usato questa frase per illustrare la differenza tra il fatalismo etrusco e la praticità romana. E' altrettanto ovvio che né i Latini né gli Etruschi avevano la minima idea di che cosa fossero i fulmini. Ma quel che mporta qui è che Seneca non discute minimamente l'oggettività reale e mortifera degli effetti del fulmine, ben noti anche allora equindi indiscutibili. Egli trova opinabili (perché perché sconosciute) solo le cause del fulmine stesso].
- L’autore confessa di avere utilizzato, oltre ai lavori d’accademici italiani, anche la ricerca di molti autori stranieri, che non hanno tesi preconcette nazionaliste al riguardo dei PdM.
- Sono stati infine inseriti alcuni aneddoti poco conosciuti della storia dell’archeologia ed alcune curiosità linguistiche poco note, che – seppure non necessari – completano il testo e spiegano alcuni comportamenti attuali della cosiddetta “Accademia”. 

Breve descrizione sommaria del contenuto.
Il libro descrive il Mito dei PdM (perché questo sarebbe: solamente un mito, creato nei secoli a più mani, non diversamente da altri miti, anche più famosi) dal suo nascere – circa trecento aa. fa – al suo battesimo, avvenuto nel 1881 ad opera di un archeologo francese d’origine lombarda (Gaston Maspero), che coniò il termine “Popoli del Mare”: quanto di più compendioso e sintetico si potesse formulare con le conoscenze d’allora. Un’espressione felice, tanto che sopravvive tuttora, malgrado sia ormai riconosciuta come errata e fuorviante.
Allora, gli archeologi portavano il piccone in una mano ed i poemi omerici nell’altra (non solo Schliemann!) ed erano fortemente influenzati dalla nostalgia delle armature e degli elmi di “bronzo Ciprio” che si respira in essi, oltre che dall’epopea della Guerra di Troia.
(La totale e fine distruzione costiera che gli scavi mostravano erano troppo estesi per essere attribuiti ad un solo esercito. Si andò consolidando l’idea di una Confederazione di Stati e di un attacco dal Mare, in una specie di Guerra Mondiale ante litteram, che già appare inverosimile solo a descriverla così (Non è credibile che tutto il mondo allora conosciuto potesse essere distrutto o gravemente destabilizzato da una forza almeno altrettanto grande, ma completamente sconosciuta alla scienza). Ma ancora più incredibile è – a pensarci bene – che questi “commandos di marines” conquistassero totalmente le ricche terre che attaccavano, le distruggessero in modo ossessivo, le depredassero di ogni cosa e poi subito facessero ritorno nelle loro sedi d’origine (perché vi era evidenza archeologica di abbandono, ovunque, dopo la distruzione).
Ingenuamente, gli studiosi si posero le cinque domande fondamentali del buon cronista: “Chi, come, dove quando e perché?”. E cominciarono ad ipotizzare – sulla base d’assonanze e somiglianze, da dove mai potessero provenire quelle armate invincibili e quale motivi avessero per agire in modo così moderno, anticipando di qualche millennio la “guerra lampo”.
A questo riguardo vi sarebbero molti argomenti da spiegare in dettaglio.  Senza anticipare il contenuto del testo, basti dire che Niemczy, Alemanes, Germans, Tedeschi, Tysch, sembrano tutti nomi di varie popolazioni differenti, ma sono solamente nomi esoetnici di quella sola popolazione che si dà il nome endoetnico di Deutch e chiama il proprio paese Deutchland. E questa non è un’eccezione, bensì è la regola nella Storia del Mondo: con le assonanze e le presunte somiglianze  dei nomi si può fornire il brivido di una suggestione, un’impressione anche affascinante, ma non si fa mai Scienza… I venti/venticinque nomi che possediamo per i PdM, potrebbero – in alcuni casi – essere “sinonimi” tra loro. Molti degli altri “popoli” potrebbero anche non essersi mai conosciuti tra loro.)
A discolpa dei vecchi archeologi che costruirono il Mito, c’è da dire che allora non esistevano tutte le impronunciabili tecniche d’indagine archeologica, fisico-chimica, geologica e biologica che possono utilizzarsi oggi. Inoltre, non erano ancora state neppure pensate teorie, ora dimostrate, quali ad esempio la “tettonica a zolle” e le talvolta complicate e persistenti implicazioni a distanza delle mutazioni climatiche.
Il libro prosegue la descrizione del Mito dei PdM, fino alla Morte stessa di questo mito, decretata per sentenza inappellabile dell’archeologo inglese Robert Morkot, che ebbe a dire, nel lontano 1996: “I PdM non sono mai esistiti”. Una frase volutamente provocatoria, che incontra il Consenso Accademico e che respinge decisamente la Favola, negando l’epopea fumettistica di sapore salgariano con cui sono stati in passato descritti i PdM.
Nota conclusiva.
Probabilmente, se un rappresentante di queste popolazioni antiche tanto maltrattate fosse qui oggi, egli stesso chiederebbe con forza che siano rappresentate realisticamente e con la dovuta dignità, proprio com’erano: gente come noi, con paure, sogni, aspirazioni e necessità. Pur con tutta la distanza tecnologica che ci divide, essi erano uguali a noi: gente normale.
E questo nostro obbligo – quello di restituire doverosamente la dignità umana a chi ha molto sofferto, sempre lavorato duramente, persino combattuto, e talvolta è morto nel tentativo di dare una vita migliore ed un futuro sereno alle proprie famiglie ed una vita migliore ai propri figli – vale anche per i Protosardi. Forse, proprio nel fare questo parallelismo con una popolazione che sentiamo a noi più vicina, possiamo meglio interpretare la realtà di quelle genti lontane.
Nel Paleolitico, i primi “sardi” furono i più antichi abitanti ad occupare stabilmente un’isola del Mediterraneo: molte isole furono raggiunte prima della Sardegna, ma tutte furono abitate dall’uomo in modo sporadico e stagionale, non potendo ospitare una popolazione in modo continuativo. In seguito, furono i Nuragici a creare la Prima Grande Civiltà del Mediterraneo Occidentale, che non si riduce certamente solo agli edifici che li caratterizzano, bensì include anche Tradizione Conoscenze, Religione – un complesso fardello culturale, insomma – che informò di sé tutte le Culture Italiche che seguirono e che ci sono meglio note perché già storiche, come quella Etrusca e quella Romana. Il genoma dei protosardi è ancora rinvenibile e presente in alcuni sardi attuali viventi tra noi. L’ambiente era avverso, perché con i mezzi di allora era scarsissimo il terreno sardo coltivabile. Eppure essi non solo sopravvissero, ma giunsero fino a noi: la Genetica testimonia il successo biologico che essi ottennero. D’altre popolazioni, indubbiamente più premiate dall’ambiente naturale, non ci sono giunti i geni: ad esempio, gli Etruschi. Quindi, se oggi proprio volessimo scegliere di essere soddisfatti, o anche compostamente orgogliosi, d’essere gli ultimi discendenti dei nostri antenati, sarebbe molto meglio almeno farlo per i giusti motivi.
Credo sinceramente sia molto preferibile sapere di essere discendenti di gente dichiaratamente del tutto normale, ma certamente laboriosa, pratica e tenace e, soprattutto, realmente esistita, piuttosto che credersi  eredi di supereroi da fumetto, del tutto inventati solo per solleticare la nostra vanità fanciullesca. 

 I popoli del mare furono emigranti disperati spinti da numerose precise necessità, oggi provate scientificamente ed esposte per intero nel libro. Essi soffrirono realmente per raggiungere una terra promessa in cui potere sopravvivere: il sogno di molti di essi fu annegato nel sangue, o nel mare – è vero – ma alcuni, lo sappiamo, riuscirono nell’impresa.