Tutto cominciò con l’antica storiella persiana dei tre signori di Serendip (che qualcuno identifica con l’attuale Sri-Lanka).
Erano tre fratelli, figli dell’anziano signore Giaffer di Serendip, il quale si rendeva conto di come i suoi figli avessero tutto, meno l’esperienza pratica del mondo e della vita.
Decise pertanto di mandarli in un viaggio, che li arricchisse d’esperienze umane. I tre si misero in viaggio e presto incontrarono un uomo che aveva subito un furto di un cammello…
Essi gli dissero di sapere di quale cammello si trattasse, perché ne avevano visto ed identificato le tracce. E forse di sapere dove si trovasse.
Era – affermarono – un cammello cieco da un occhio, mancante di un dente e zoppo.
Lo avevano dedotto dal fatto che – lungo il loro percorso – avevano visto l’erba brucata soltanto su di un lato della strada (avevo avvertito che è al limite della stupidità), l’erba non appariva brucata in modo uniforme, proprio come se all’animale mancasse un dente e le tracce lasciate sulla sabbia lasciavano desumere la zoppìa.
Il fatto che sapessero tanti dettagli li rese subito sospetti e li condusse alla prigione per furto di cammello, nell’incredulità totale della gente. In attesa della pena di morte.
In seguito, rinvenuto il cammello da un altro cammelliere, la loro innocenza viene riconosciuta ed i tre vengono acclamati per i tre validi e bravi giovano che sono: la storia finisce bene, illustrando come un pizzico di fortuna, ma anche lo spirito acuto, la capacità d’osservazione e l’arguzia siano la ricetta giusta perché le cose vadano a buon fine, dopo che si sono magari anche molto complicate.
Fu pubblicata in Italia da una stamperia di Venezia, nel 1550, tradotta dal persiano da un certo Christoforo Armeno (non sappiamo se Armeno fosse il nome o la provenienza), Editore un certo Michele Tramezzino e col nome di “Peregrinaggio di tre giouani figlioli del re di Serendippo”.
Horace Walpole, IV conte di Orford (l’autore del primo romanzo gotico “Il Castello di Otranto” – 1764) lesse la favoletta persiana e l’apprezzò a tal punto da coniare nel 1754 il neologismo inglese “serendipiy”, per indicare il fortunoso (e fortunato) raggiungimento dei propri scopi dopo complicate peripezie e fatti inaspettati. In realtà, raccontava in una lettera ad un amico come egli fosse riuscito per caso ad identificare chi fosse il soggetto di un ritratto: usò il termine serendipìa per la prima volta e fu costretto a citare “la sciocca favola persiana”, per spiegarlo.
Più recentemente il medico famoso Aldous Huxley applicò il termine alla medicina, indicando con esso “il raggiungimento fortunato di un grande traguardo della ricerca, mentre si studia per conseguirne un altro”. In realtà, egli descrive anche un percorso di ricerca all’inverso, che cerca di dedurre le cause dei fenomeni osservandone gli effetti e formulando diverse credibili ipotesi per poi confrontarle e discuterle.
Il detto è stato poi umoristicamente popolarizzato come: “trovare la figlia del contadino, mentre si cerca un ago in un pagliaio” (J.H. Comroe).
È vero che la maggior parte della storia dell’uomo è consistita in una serie infinita di tentativi ed errori. E, in tale incessante processo è accaduto spesso di scoprire una cosa non cercata e imprevista, mentre se ne stava in realtà cercando un’altra.
Ecco solo qualche brevissimo esempio di “conoscenza accidentale”:
- Pavlov, scoprì i riflessi condizionati, mentre in realtà stava studiando la salivazione delle ghiandole salivari del cane.
- Colombo scoprì l’America, cercando – in realtà – le Indie Orientali.
Ma moltissime altre cose (il benzene, la penicillina, la dinamite, la colla debole riutilizzabile dei biglietti Post-it) sono frutto di serendipità.
Ecco, quindi, perché questa parola mi piace:
è vecchia e nuova, insieme.
Brutta (qualcuno la detesta con forza) e buffa, ma piena di buone connotazioni, positive ed ottimiste e certamente non volgare.
Semplice, ma piena di complicate implicazioni.
Diretta, ma ineluttabilmente contraddittoria.
Insomma, controversa: poco nota, in fondo, ma persino troppo usata e talvolta anche a sproposito.