martedì 10 marzo 2015

UNICA, STREPITOSA E SARDA.


Articolo 
liberamente tratto 
dal testo di G. Manca: 

DORGALI  
ARCHEOLOGIA E UMANITA’
(non si acclude la ricca documentazione iconografica relativa, presente nel testo).

Nel 1961 il Gruppo Grotte Nuorese scoprì - esplorando le cavità naturali del Lanaitto - una piccola grotta stretta e sinuosa, con pavimento coperto da fine polvere di provenienza eolica, in leggera pendenza in salita, che custodiva una sepoltura umana, risalente al periodo di Bonnanaro.[1]

Il nome che fu dato (erroneamente) al sito fu “Grotta di Sisaia”.
Va subito detto che M. L. Ferrarese Ceruti, esperta in reperti ceramici del Bonnanaro e del Campaniforme e Franco Germanà, esperto paleopatologo non erano sardi e non comprendevano il dialetto. Il loro intento reale era quello di chiamare il sito “Grotta dell’Antenata” ("Bisaia"): la traduzione che gliene fu proposta in sardo nuorese dagli accompagnatori locali fu invece quello ancor oggi usato di “Brutto Scarafaggio”, “Blatta”, e forse fu più il risultato di uno scherzo all’impronta, concordato in un momento alcoolico/goliardico.
Il nome del sito è rimasto, acriticamente accolto da tutti.
Si deve anche ammettere che il reperto è estremamente eccezionale, per molti motivi (vedi seguito); un reperto di rilevantissima importanza: una di quelle particolarità preziose che rendono assolutamente unica la Sardegna (specifichiamolo: in Italia e nel Mondo). 
I resti umani nella povera sepoltura sono accompagnati da uno scarso corredo databile al periodo di Bonnanaro (consistono in una ciotola biansata ed un vaso troncoconico)[2] ed appartengono ad un individuo di sesso femminile.
Il suo corpo giaceva in posizione semi rannicchiata, con i piedi volti verso  l'uscita, su un semplice letto di ramaglie. Il corredo  funerario era composto di un tegame, una ciotola ed una macina. Tra macina e tegame era posto un focolare (identificato da alcuni tronchetti con un’estremità combusta). Nessun monile, né in pietra, né in conchiglie, nessun oggetto in metallo come ulteriore segno di pietà da parte dei vivi.
La grotta fu usata presumibilmente solo per questa unica destinazione funeraria: non vi sono tracce d’utilizzazioni precedenti, né posteriori: forse anche perché l’alta valle del Lanaittu è inadatta a stanziamenti permanenti  (per l’assenza locale di acqua) e forse anche per la scarsa abilità della grotta stessa. Eppure, non lontano da questo sito ne esistono altri, nei quali le deposizioni furono multiple ed il riuso ovvio. 
Bisaia era una donna piccola: un metro e mezzo d’altezza. Aveva una faccia subquadratica (per usare il linguaggio di Germanà) e microprosopa (con un viso piccolo) con guance sporgenti. Aveva una conformazione discretamente robusta. La sua vita fu breve e tormentata da una serie di malattie e d’eventi traumatici, alcuni dei quali riconoscibili all’esame morfologico delle ossa.


- Presenta due fratture dell’arto superiore sinistro, forse anche esiti di un medesimo episodio traumatico: a) una frattura acromiale (articolazione omero-scapolare della spalla), guarita in pseudoartrosi per intervenuta infezione (che fa pensare ad una frattura esposta (cioé accompagnata ad una ferita aperta), con esiti in molto ridotta funzionalità dell'articolazione stessa. b) Una frattura di ulna e radio (le ossa dell'avambraccio) forse in conseguenza di una caduta, ma interpretabili anche come possibili fratture 'da difesa', cioé avvenute nell'atto di parare un colpo violento.

- Una diffusa artrosi diffusa di tutta la colonna vertebrale, certamente sintomatica, con maggiore interessamento dei tratti toracico e lombare e con caratteri che sono stati interpretati simili a quelli dell' "ascesso ossifluente" di tipo tubercolare: aveva una tbc, Bisaia?

- Un osteocondroma solitario del bacino.

- Carie, usure dentarie, altri segni occlusali indici di cattiva alimentazione, scarse condizioni igienico-sanitarie.
Presenza di un dente conoide sovrannumerario, indice di tendenza displasico neoplastica.

- I segni di una trapanazione cranica, in sede parietale, i cui motivi ci sfuggono. In realtà, l’osso della teca non fu perforato da parte a parte (non interessò quindi la cavità endocranica, né le meningi, ma si arrestò alla spugnosa dell’osso) ed il dischetto d’osso asportatone fu riposizionato nella propria sede e riattecchì.  Il che significa che la trapanazione fu effettuata in vivo (e, naturalmente, senza anestesia).[3]

- La morte di Bisaia avvenne all’apparente età di 35/40 anni: più o meno all’età prevista dalla ‘life expectancy’ di allora: non fu causata direttamente da alcuna delle lesioni sopra elencate.

- La deposizione è primaria, in posa naturale, con ossa non rimaneggiate e conservazione dei rapporti ligamentosi interarticolari.

Che cosa si evince dal sito.

La vita non era certamente facile per nessuno, allora: in particolare, la breve vita di Bisaia appare costellata d’eventi traumatici e drammatici, tra cui la mancanza di una maternità. --- Forse, si trattava di una donna che doveva scontare delle censure sociali (la mancata maternità, ad esempio, era forse interpretabile come una colpa) e che dovette forse subire maltrattamenti (mancanza di difesa da parenti, come lo scarno corredo lascerebbe pensare); forse aveva caratteristiche non gradite (voce cavernosa, desumibile dalla forma del torace), oppure era irascibile ed umorale (patologie endocrine?). Certamente non era felice, né fortunata. 
- Era comunque zoppa per un tumore del bacino (osteocondroma). La spondilite anchilosante la rese gobba e l’artrosi della colonna le diede probabilmente molto dolore per tutta la vita. 
- Il capo era troppo grande per quel corpo ed il viso troppo piccolo: non era una tipica bellezza. Forse, la frattura dell’avambraccio in posizione ‘di difesa’ denuncia un episodio di violente percosse con un bastone. Eppure la guarigione avvenne, il che significa che qualcuno l’accudì, quando più ne aveva bisogno: qualche forma di solidarietà – dunque – esisteva, all’interno del clan...
- La trapanazione cranica[4] fu effettuata probabilmente da quello che chiamiamo sciamano, per motivi rituali/religiosi estremi circa i quali possiamo formulare ipotesi, ma senza alcuna base scientifica.
Forse la poveretta soffriva di epilessia, oppure di emicranie. Germanà – certamente sotto la forte impressione e l’entusiasmo del fenomenale ritrovamento – parla di “raffinata tecnica chirurgica”. E forse – relativamente all’epoca in cui avvenne l’intervento – non gli si può dare del tutto torto: la mortalità, per le trapanazioni craniche (probabilmente in seguito ad encefaliti settiche) era quasi del 100%. In questo - almeno - Bisaia ebbe fortuna, se fortuna può chiamarsi il proseguimento d'una vita infelice. 
Ma anche questo è un elemento che rende conto dell’estrema singolarità di Bisaia e del suo caso umano e clinico…

Ma quanto sopra conduce obbligatoriamente ad alcune considerazioni collaterali, che insieme costituiscono una riflessione piuttosto importante.
La storia che si deduce dal ritrovamento di Bisaia lascia pensare ad un individuo di basso e modesto ceto sociale, nell'ambito della propria comunità.
Lascia inoltre comprendere che l’antropizzazione della Valle del Lanaitto non fu solo saltuaria (come riteneva la Ceruti, per mancanza di cibo e di acqua). Probabilmente il sito  fu molto più abitabile di quanto ipotizzabile anche da parte di un esperto archeologo. L’ancora non dimostrata presenza umana nel Lanaitto durante il Paleolitico è almeno ipotizzabile dagli scavi della grotta Corbeddu e dai reperti della grotta Sas Furmicas.
Bisaia forse visse in un villaggio ubicato nella valle e non ancora rinvenuto: forse perché distrutto dall’impianto di una vigna molto estesa.
Anche il Nuragico evoluto è attestato, nella zona, dai resti di una Tomba dei Giganti, discosta dalla grotta Sa Oche. I resti dell’insediamento di Sedda ‘e Sos Carros non sono distanti (ebbe inizio nel Bronzo Medio, almeno, e si concluse nel Ferro).
Anche Tiscali – sebbene molto successivo – gravita sul Lanaitto.
Il luogo è calcareo, permeabile, dall’aspetto arido ed ostile. Ma questo non deve permettere alle categorie mentali degli studiosi di vietarne a priori la possibilità di avere ospitato anticamente una presenza umana: meno tecnologica di quella a noi nota oggi, ma molto più adattabile e duttile nei confronti dei doni e insieme delle asprezze offerte dalla Natura...

Ecco Bisaia: spalanca una finestra di luce lancinante sulla Sardegna di allora, povera, difficile, talvolta disperata, ma ostinata e resistente - questo sì - tanto da andare sempre avanti, comunque, ad ogni costo. 
E', soprattutto, la Sardegna vera... 




[1] Ne esiste una relazione in data 7-12-1963 negli archivi della Sopraintendenza Arcvheologica di Sassari.
[2] Si tratta di ceramica definita di qualità sempre ‘scadente’, ricca d’inclusi e lisciata in modo sommario: fu prodotta in un periodo compreso tra il 2.000 – 1800  a.C. ed il 1600 a.C.
[3] Sono finora 6 i crani rinvenuti con segni di trapanazione in vivo: tutti riconducibili al medesimo periodo (tra Campaniforme e Bunnanaro 2500 e 2000 a.C.) relativi a Crucifissu Mannu (Porto Torres), Taulera (Alghero), Nuraxi Figus (Gonnesa), Seulo, Fromosa (Villanovatulo) e Lanaitto (Dorgali).
[4] Una pratica proveniente – probabilmente – dalle Culture Calcolitiche  della metà/fine del terzo millennio a.C. e d’origine probabilmente centro europea