Articolo
liberamente tratto
dal testo di G. Manca:
“DORGALI
ARCHEOLOGIA E UMANITA’”
(non si acclude la ricca documentazione iconografica relativa, presente nel testo).
Nel 1961 il Gruppo
Grotte Nuorese scoprì - esplorando le cavità naturali del Lanaitto - una
piccola grotta stretta e sinuosa, con pavimento coperto da fine polvere di
provenienza eolica, in leggera pendenza in salita, che custodiva una sepoltura
umana, risalente al periodo di Bonnanaro.[1]
Il nome che fu dato
(erroneamente) al sito fu “Grotta di Sisaia”.
Va subito detto che M.
L. Ferrarese Ceruti, esperta in reperti ceramici del Bonnanaro e del
Campaniforme e Franco Germanà, esperto paleopatologo non erano sardi e non
comprendevano il dialetto. Il loro intento reale era quello di chiamare il sito
“Grotta dell’Antenata” ("Bisaia"): la traduzione che gliene fu proposta in sardo nuorese
dagli accompagnatori locali fu invece quello ancor oggi usato di “Brutto
Scarafaggio”, “Blatta”, e forse fu più il risultato di uno scherzo
all’impronta, concordato in un momento alcoolico/goliardico.
Il nome del sito è
rimasto, acriticamente accolto da tutti.
Si deve anche ammettere
che il reperto è estremamente eccezionale, per molti motivi (vedi seguito); un
reperto di rilevantissima importanza: una di quelle particolarità preziose che
rendono assolutamente unica la Sardegna (specifichiamolo: in Italia e nel
Mondo).
I resti umani nella povera sepoltura sono
accompagnati da uno scarso corredo databile al periodo di Bonnanaro (consistono
in una ciotola biansata ed un vaso troncoconico)[2]
ed appartengono ad un individuo di sesso femminile.
Il suo corpo giaceva in
posizione semi rannicchiata, con i piedi volti verso l'uscita, su un
semplice letto di ramaglie. Il corredo funerario era composto di un
tegame, una ciotola ed una macina. Tra macina e tegame era posto un focolare
(identificato da alcuni tronchetti con un’estremità combusta). Nessun monile,
né in pietra, né in conchiglie, nessun oggetto in metallo come ulteriore segno
di pietà da parte dei vivi.
La grotta fu usata
presumibilmente solo per questa unica destinazione funeraria: non vi sono tracce
d’utilizzazioni precedenti, né posteriori: forse anche perché l’alta valle del
Lanaittu è inadatta a stanziamenti permanenti (per l’assenza locale di
acqua) e forse anche per la scarsa abilità della grotta stessa. Eppure, non
lontano da questo sito ne esistono altri, nei quali le deposizioni furono
multiple ed il riuso ovvio.
Bisaia era una donna piccola: un metro e mezzo
d’altezza. Aveva una faccia subquadratica (per usare il linguaggio di Germanà)
e microprosopa (con un viso piccolo) con guance sporgenti. Aveva una
conformazione discretamente robusta. La sua vita fu breve e tormentata da
una serie di malattie e d’eventi traumatici, alcuni dei quali riconoscibili
all’esame morfologico delle ossa.
- Presenta due fratture
dell’arto superiore sinistro, forse anche esiti di un medesimo episodio
traumatico: a) una frattura acromiale (articolazione omero-scapolare della
spalla), guarita in pseudoartrosi per intervenuta infezione (che fa pensare ad
una frattura esposta (cioé accompagnata ad una ferita aperta), con esiti in
molto ridotta funzionalità dell'articolazione stessa. b) Una frattura di ulna e
radio (le ossa dell'avambraccio) forse in conseguenza di una caduta, ma
interpretabili anche come possibili fratture 'da difesa', cioé avvenute
nell'atto di parare un colpo violento.
- Una diffusa artrosi
diffusa di tutta la colonna vertebrale, certamente sintomatica, con maggiore
interessamento dei tratti toracico e lombare e con caratteri che sono stati
interpretati simili a quelli dell' "ascesso ossifluente" di tipo
tubercolare: aveva una tbc, Bisaia?
- Un osteocondroma
solitario del bacino.
- Carie, usure dentarie,
altri segni occlusali indici di cattiva alimentazione, scarse condizioni
igienico-sanitarie.
Presenza di un dente
conoide sovrannumerario, indice di tendenza displasico neoplastica.
- I segni di una
trapanazione cranica, in sede parietale, i cui motivi ci sfuggono. In realtà,
l’osso della teca non fu perforato da parte a parte (non interessò quindi la
cavità endocranica, né le meningi, ma si arrestò alla spugnosa dell’osso) ed il
dischetto d’osso asportatone fu riposizionato nella propria sede e
riattecchì. Il che significa che
la trapanazione fu effettuata in vivo (e, naturalmente, senza anestesia).[3]
- La morte di Bisaia
avvenne all’apparente età di 35/40 anni: più o meno all’età prevista dalla
‘life expectancy’ di allora: non fu causata direttamente da alcuna delle
lesioni sopra elencate.
- La deposizione è
primaria, in posa naturale, con ossa non rimaneggiate e conservazione dei
rapporti ligamentosi interarticolari.
Che cosa si evince dal
sito.
La vita non era certamente
facile per nessuno, allora: in particolare, la breve vita di Bisaia appare costellata
d’eventi traumatici e drammatici, tra cui la mancanza di una maternità. --- Forse,
si trattava di una donna che doveva scontare delle censure sociali (la mancata
maternità, ad esempio, era forse interpretabile come una colpa) e che dovette forse subire
maltrattamenti (mancanza di difesa da parenti, come lo scarno corredo
lascerebbe pensare); forse aveva caratteristiche non gradite (voce cavernosa,
desumibile dalla forma del torace), oppure era irascibile ed umorale (patologie
endocrine?). Certamente non era felice, né fortunata.
- Era comunque zoppa per un tumore del bacino (osteocondroma). La
spondilite anchilosante la rese gobba e l’artrosi della colonna le diede
probabilmente molto dolore per tutta la vita.
- Il capo era troppo grande per quel
corpo ed il viso troppo piccolo: non era una tipica bellezza. Forse, la frattura dell’avambraccio in
posizione ‘di difesa’ denuncia un
episodio di violente percosse con un bastone. Eppure la guarigione avvenne, il che significa che
qualcuno l’accudì, quando più ne aveva bisogno: qualche forma di solidarietà –
dunque – esisteva, all’interno del clan...
- La trapanazione cranica[4]
fu effettuata probabilmente da quello che chiamiamo sciamano, per motivi
rituali/religiosi estremi circa i quali possiamo formulare ipotesi, ma senza alcuna
base scientifica.
Forse la poveretta
soffriva di epilessia, oppure di emicranie. Germanà – certamente sotto la forte
impressione e l’entusiasmo del fenomenale ritrovamento – parla di “raffinata
tecnica chirurgica”. E forse – relativamente all’epoca in cui avvenne
l’intervento – non gli si può dare del tutto torto: la mortalità, per le
trapanazioni craniche (probabilmente in seguito ad encefaliti settiche) era
quasi del 100%. In questo - almeno - Bisaia ebbe fortuna, se fortuna può chiamarsi il proseguimento d'una vita infelice.
Ma anche questo è un elemento che rende conto dell’estrema
singolarità di Bisaia e del suo caso umano e clinico…
Ma quanto sopra conduce obbligatoriamente ad
alcune considerazioni collaterali, che insieme costituiscono una riflessione
piuttosto importante.
La storia che si deduce
dal ritrovamento di Bisaia lascia pensare ad un individuo di basso e modesto
ceto sociale, nell'ambito della propria comunità.
Lascia inoltre comprendere che
l’antropizzazione della Valle del Lanaitto non fu solo saltuaria (come riteneva
la Ceruti, per mancanza di cibo e di acqua). Probabilmente il sito fu molto più abitabile di quanto
ipotizzabile anche da parte di un esperto archeologo. L’ancora non dimostrata
presenza umana nel Lanaitto durante il Paleolitico è almeno ipotizzabile dagli
scavi della grotta Corbeddu e dai reperti della grotta Sas Furmicas.
Bisaia forse visse in un
villaggio ubicato nella valle e non ancora rinvenuto: forse perché distrutto
dall’impianto di una vigna molto estesa.
Anche il Nuragico evoluto
è attestato, nella zona, dai resti di una Tomba dei Giganti, discosta dalla
grotta Sa Oche. I resti dell’insediamento di Sedda ‘e Sos Carros non sono
distanti (ebbe inizio nel Bronzo Medio, almeno, e si concluse nel Ferro).
Anche Tiscali – sebbene
molto successivo – gravita sul Lanaitto.
Il luogo è calcareo,
permeabile, dall’aspetto arido ed ostile. Ma questo non deve permettere alle
categorie mentali degli studiosi di vietarne a priori la possibilità di avere
ospitato anticamente una presenza umana: meno tecnologica di quella a noi nota
oggi, ma molto più adattabile e duttile nei confronti dei doni e insieme delle
asprezze offerte dalla Natura...
Ecco Bisaia: spalanca una finestra di luce lancinante sulla Sardegna di allora, povera, difficile, talvolta disperata, ma ostinata e resistente - questo sì - tanto da andare sempre avanti, comunque, ad ogni costo.
E', soprattutto, la Sardegna vera...
[1] Ne esiste
una relazione in data 7-12-1963 negli archivi della Sopraintendenza
Arcvheologica di Sassari.
[2] Si tratta di
ceramica definita di qualità sempre ‘scadente’, ricca d’inclusi e lisciata in
modo sommario: fu prodotta in un periodo compreso tra il 2.000 – 1800 a.C. ed il 1600 a.C.
[3] Sono finora
6 i crani rinvenuti con segni di trapanazione in vivo: tutti riconducibili al
medesimo periodo (tra Campaniforme e Bunnanaro 2500 e 2000 a.C.) relativi a
Crucifissu Mannu (Porto Torres), Taulera (Alghero), Nuraxi Figus (Gonnesa),
Seulo, Fromosa (Villanovatulo) e Lanaitto (Dorgali).
[4] Una pratica
proveniente – probabilmente – dalle Culture Calcolitiche della metà/fine del terzo millennio
a.C. e d’origine probabilmente centro europea