venerdì 6 dicembre 2013

“Archeoastronomia”




“Archeoastronomia” (in salsa turritana)


di Paolo Littarru

Alcuni giorni fa un archeologo ha chiesto allo studioso di archeoastronomia Mauro Zedda perché nel suo ultimo libro Astronomia nella Sardegna Preistorica, edito da Agorà Nuragica, non abbia citato lo studio sull’orientamento delle domus de janas eseguito da due astrofili turritani, Cabizza e Forteleoni “La misura del tempo”, risultati preliminari, in Cronache di Archeologia, vol 8, 2011, eseguito con finanziamenti regionali.

Credo che la risposta che ho dato all’archeologo possa interessare tutti coloro che sono interessati all’archeoastronomia, disciplina affascinante ma rigorosa, non facile alle improvvisazioni.

La ragione di fondo consiste nel fatto che in Astronomia nella Sardegna Preistorica si è scelto di non citare le pubblicazioni che non rispondano a criteri di scientificità internazionalmente riconosciuti tra le quali rientri a pieno titolo anche il lavoro di cui sopra.

In tale studio, infatti, sono state analizzate 156 domus de janas distribuite in 19 necropoli della Sardegna Nord-occidentale, l’orientamento di buona parte delle quali rientra tra le 300 (circa)  già esaminate e pubblicate da Mauro Zedda e Juan Antonio Belmonte (“From Domus de Janas to Hawanat: on the orientations of rock carved tombs in the Western Mediterranean” in proceedings of the SEAC 2005 Lights and Shadows in Cultural Astronomy, Isili).

Tra il 2005 e il 2012, Zedda ha continuato misurare l’orientamento delle domus de janas, e in Astronomia nella Sardegna Preistorica vi è l’analisi archeoastornomia dell’oirentamento di 649 domus de janas.

Delle 156 domus de janas esaminate dagli archeofili sassaresi, una quarantina non rientrano tra le 649 sulle quali ha basato le analisi statistiche Mauro Zedda, e pertanto sarebbe estremamente interessante poter utilizzare tali dati.

Se i due estensori dell’articolo del 2011 avessero misurato l’orientamento delle domus de janas attenendosi ai criteri che seguono gli archeoastornomi di tutto il mondo, si sarebbe potuto confrontare le misurazioni di Zedda con le loro e sommare al campione di 649 quella quarantina di domus da loro misurate ed inedite.

Purtroppo la procedura di misurazione seguita da gli archeofili turritani, recentemente scopertisi archeoastronomi, è superficiale almeno quanto l’apparato bibliografico che presentano a corredo del loro articolo.

Dell’orientamento delle 156 domus, presentano infatti solo l’azimut, che non sarebbe il vero azimut geografico, ma un azimut corretto con l’altezza dell’orizzonte visibile (cfr pag. 31 dell’articolo citato).

Perchè i due astrofili Turritani non hanno seguito le procedure comunemente seguite dagli studiosi di archeoastronomia di tutto il mondo?

Perché non presentano i dati relativi all’azimut geografico, all’altezza dell’orizzonte e alla declinazione di ogni singolo orientamento?

Perché hanno dimenticato o omesso di presentare i dati fondamentali dell’orientamento ovvero l’azimut geografico e l’altezza dell’orizzonte?

Un archeoastronomo e non citasse i dati rilevati in termini di azimut geografico e in altezza d’orizzonte e impostasse la sua disquisizione citando solo i dati in termini di declinazione, equivale un po’ ad un architetto che dopo aver rilevato una costruzione, ne indicasse solo il volume, dimenticando di indicare la larghezza e l’altezza del monumento. Anzi, i due archeofili hanno fatto di peggio perché anziché la declinazione hanno adottato un “azimut corretto”; un po’ come se un architetto indicasse il volume di una costruzione con un sistema diverso da quello internazionale.  

Il loro azimut corretto potrebbe rappresentare una sorta di maldestro surrogato della declinazione, ma la mancata presentazione dell’azimut geografico e dell’altezza dell’orizzonte che caratterizzano ogni singolo orientamento fa in modo che i dati della loro analisi non siano cumulabili e confrontabili con quelli derivanti da procedure ortodosse.   

Il loro studio oltre ad essere bizzarro dal punto di vista procedurale, non aggiunge niente all’interpretazione dell’orientamento delle domus de janas proposta da Mauro Zedda e da Juan Antonio Belmonte nel 2005 e riproposta nel libro Astronomia nella Sardegna Preistorica.

Certamente sarebbe stato utile confrontare i risultati delle misurazioni già in letteratura con le loro, ma il loro modo di procedere che contrasta con le procedure comunemente seguite in tutto il mondo lo rende impossibile. Nel loro opuscolo hanno citato Clive Ruggles come esempio da seguire nelle ricerche archeoastronomiche (e su questo tutti sono pienamente d’accordo!) ma probabilmente è solo una dichiarazione d'intenti dato che il loro modo di procedere non tiene minimamente conto di quanto suggerito dal Presidente dell’ISAC (Intenational Society astronomy in Culture) e della Prehistoric Society.

Dopo queste spiegazioni, l’archeologo curioso sulla mancata citazione dello studio dei due astrofili Turritani, consigliò di citarli e criticarli nel libro. Forse ha ragione l’archeologo “curioso”, ma Zedda e Agorà Nuragica hanno preferito non menzionare neppure in un saggio che ha la pretesa di sintetizzare vent’anni di studi, un lavoro che, oltre che inadeguato metodologicamente, niente aggiunge e niente toglie a quanto già ampiamente noto e da tempo pubblicato nella letteratura scientifica internazionale.




Né la presenza di un’archeologa nel team turritano può sopperire alle lacune metodologiche del loro studio.

Ovviamente si spera che gli archeofili, recentemente scopertisi archeoastronomi, presentino i loro futuri eventuali studi in accordo con i dettami e le procedure dell’archeoastronomia internazionale, e magari con un apparato bibliografico all’altezza.  
02 dicembre 2013