Terra dei Mucchi di Pietre, cap IV
4. Lèkere.
La strada dell’altopiano li portò subito fuori dal
villaggio, snodandosi agilmente tra gli ostacoli del terreno ed addentrandosi
presto tra i grandi carpini neri, le roverelle, i lecci e le altre querce secolari
del bosco. Qui, gli unici rumori udibili intorno si ridussero presto al
discontinuo tamburellare ottuso degli zoccoli e a qualche variegato richiamo di
uccello.
Un grosso cervo, con imponenti palchi, scartò e
fuggì via davanti a loro a raggiungere le sue femmine, sicuramente nascoste più
in là, con qualche piccolo.
Dopo poco, un minaccioso cinghiale maschio, tutto
nero, con enormi e minacciose difese li
guardò interdetto da una balza poco lontana, come indeciso sul da farsi: poi
d’improvviso si voltò, per aprirsi con gran rumore una strada nella macchia
più fitta...
Norax, nel suo procedere assente e trasognato, ebbe
quasi l’impressione che nulla potesse distoglierlo dal suo compito, né uomo,
né bestia feroce. Sorrise tra sé di quella piacevole sensazione e qualche tempo
dopo stava ancora sorridendo, seguendo i propri pensieri, quando Lèkere -
senza neanche guardarlo - li interruppe, dicendo: “Ma se dovessimo incontrare
un orso, la penseresti diversamente, visto che quello non cercherebbe solo tuberi
di ciclamino o radici di palma nana”.
Sorpreso e al tempo stesso un po’ umiliato per
quella inaspettata e curiosa intrusione nei suoi pensieri, Norax rispose imbronciato: “Non ci sono orsi qui,
né tanto meno palme nane”. Ma Lèkere, sorridendo e scostando dal viso lunghe
ciocche di capelli neri che andavano a coprirle gli occhi, ribatté: “Ci sono,
invece, anche se gli orsi vengono malvolentieri così vicino allo scoperto, in
una zona del bosco così frequentata, e sono rari i tratti aperti e sabbiosi
che possano accogliere le palme nane. Ma quando un giorno avremo più tempo,
in un’altra occasione, ti mostrerò gli uni e le altre. Perché ricordati, Norax,
qualunque cosa avvenga, noi due
avremo altri giorni insieme”.
Era inutile discutere con Lèkere: la ragione era sempre
sua. Non per protervia o per ingiustizia, però: Norax sapeva che, in qualsiasi
ragionamento, in qualsiasi dubbio da sciogliere, le risposte, le soluzioni e le
opinioni di Lèkere erano sempre quelle più giuste, più adatte e più sicure.
Per una magia che era già insita nel suo nome
stesso, Lèkere sapeva che cosa era
giusto; sapeva dove trovare l’acqua
nella terra e quanto a lungo sarebbe piovuto; sapeva leggere nella mente e nel cuore di uomini ed animali
e poteva confonderli o dar loro il coraggio. Ella riusciva a leggere,
nell’acqua del pozzo sacro, i segni del cielo per ogni cosa: la data per le
semine e per l’inizio delle altre stagioni, così come i periodi fausti per i
matrimoni e per le altre feste. Le sue conoscenze erano ancor più vaste di quel
che si potesse attribuirle e sicuramente ciò che ella non sapeva leggere, o non
conosceva già, riusciva comunque ad indovinare, non sempre facilmente,
attraverso procedimenti segreti. Se poi esistesse realmente qualche cosa al di
là della portata dei suoi poteri, nessuno era in grado di dirlo: ella lo
nascondeva bene dietro i suoi occhi grandi e profondi e con un ineffabile
sorriso malizioso...
Lèkere era, da anni, la Bithia di Tal-Ur.
Se pure altre ve n’erano state prima, come
certamente altre ve ne sarebbero state dopo, era lei che - a giudizio unanime - aveva pieno diritto a
questo nome e a questo ruolo. Per lei pellegrini ed intere famiglie venivano da
lontano, durante tutto l’anno, fino a Tal-Ur, cercando aiuto e conforto e di
fatto trovandolo. Sicuramente, anche le sue arti avevano contribuito ad
aumentare la fama del Grande Sacerdote: in quale misura, non era dato sapere
ai mortali...
Ma la notizia dei prodigi operati nel Grande
Circolo di Tal-Ur si spingeva molto al di fuori dell’altopiano: da una parte
fino a tutta la Costa vicina, e dall’altra ben oltre il lago lungo, fino alle
genti della montagna e forse oltre ancora. Sicuramente, il successo commerciale
di Mago-Twrshna - il mercato sul grande fiume navigabile - era dovuto proprio
alla vicinanza di Tal-Ur e a lui, il Grande Sacerdote dai molti nomi oscuri,
che portava la luce nel buio...
Certo, Lekere di Tal-Ur non era famosa nel Mondo
intero così come lo era la Pizia di Delfi. Ma tutto ciò che
Lekere riusciva a fare, lo faceva per quelle stupefacenti doti, che gli dei le
avevano generosamente elargito alla nascita e che probabilmente si sarebbero ripresi
per sempre, alla sua morte.
Invece, la Pizia di Delfi aveva sempre bisogno di
ricevere in sé il fiato del Dio Apollo per ogni oracolo che le venisse richiesto.
Infatti, questa era soltanto un debole essere umano, che restava terribilmente
esausto dopo la prova suprema della comunione col dio...
La Pizia sedeva sull’epithema concavo posto in
cima all’alto tripode oracolare. Nuda, a gambe divaricate, ella riceveva i
vapori che salivano verso di lei dal di sotto, attraverso una profonda spaccatura
della terra. E non provava vergogna alcuna, perché questo le era richiesto dal
Dio. Né i sacerdoti, né gli uomini, né altri la guardavano con desiderio,
perché ciò sarebbe stato un sacrilegio.
E questo prodigio proseguiva, fino a quando la
Pizia, ormai totalmente rapita e riempita dal Dio Sole, rendeva finalmente
manifeste le sue rivelazioni, sollecitata dalle domande ansiose dei fedeli.
Preda della violenta forza divina, ella si doveva
spesso aggrappare al sacro arbusto d’alloro, che tremava e stormiva tutto,
allora, insieme con lei. Ella ne masticava le foglie amare e talvolta un rivolo
di bava verde le sfuggiva da un angolo della bocca. Intanto parlava, con un
eloquio lento, con una voce spaventosa, pronunciando frasi ermetiche ed
incomplete, difficilissime a capirsi, interrotte da urla di gioia, gemiti
spaventati e parole monche o completamente oscure.
Spesso, la Pizia restava profondamente segnata da
quell’esperienza estrema. La comunione con il Dio Pizio la consumava
rapidamente. A volte, ne moriva. E allora si rendeva necessario trovare
un’altra eletta, che fosse gradita agli dei e potesse sostituirla degnamente in
quel compito prezioso...
Lèkere, lei no, non faceva ricorso a nulla di
simile. Almeno, nessuno aveva mai raccontato di spettacoli così impressionanti,
che la riguardassero. Sembrava piuttosto che la dimestichezza con i poteri
divini conferisse a Lèkere una profonda sicurezza, una serenità che ella sapeva
infondere anche agli altri. La fama di Tal-Ur si accresceva per i prodigi ed i misteriosi
poteri che le si attribuivano...
E alla fama di Tal-Ur, almeno in parte, in fondo era
dovuta anche la dipartita di Norax dalle città marinare con la richiesta di
adozione presso la Vera Gente.
Ciò era accaduto solo dopo quell’infelice giorno di
lutto, in cui egli aveva subito la perdita dei genitori nel naufragio presso lo
scoglio del Mal Vento,
da cui soltanto lui si era salvato, tremante e bagnato come un pulcino, orfano
e solo.
Le parole di Lèkere interruppero nuovamente il corso
dei suoi pensieri, come se lei potesse veramente leggerli: “Ma non volevo certo
rattristarti così Norax, né indurti a lugubri pensieri: pensa invece al viaggio
avventuroso che ti attende dopo avere compiuto questo, e che ti permetterà di
vedere altre genti, altri costumi, altri paesaggi sulla costa dove sorge il
sole!”.
Gli occhi di Lèkere brillarono di entusiasmo e gli
parlarono di coraggio e di avventura, riflettendo il sole che ormai era basso
nel cielo e che li illuminava meglio, tra il primo diradarsi degli alberi.
Lèkere indossava una veste lunga di lino grezzo ed
un mantello viola scuro. Non si copriva mai il capo e il volto con veli o
panni, come invece spesso facevano le altre donne: oggi non portava neanche
l’alto cappello appuntito, distintivo della casta sacerdotale, che le sarebbe
stato di impiccio. Il sole illuminava di luce rossastra il disegno che lei
portava ricamato sul petto: una colomba bianca posata tra le corna di un toro,
sulla cui fronte campeggiava una familiare doppia ascia. Era un motivo caro a
Ennin, la Grande Madre a cui ella doveva i suoi misteriosi poteri e per conto
della quale li dispensava con amore sulla sua gente...
Ormai percorrevano un tratto più brullo di
altopiano, quasi privo di piante alte, e capricciosi refoli di aneto e
rosmarino presero a titillare le loro narici mentre trotterellando lasciavano
alla loro sinistra la strada per Mago-Twrshna ed alla loro destra quella per la
cava delle pietre sacre. Qua e là si aprivano, ora più spesso, delle valli
profonde in cui la vegetazione era fitta e alta e nel cui fondo si indovinavano
- o si udivano scorrere - dei rigagnoli. Alcune valli erano ampie e
accoglienti, altre strette e inaccessibili, ma tutte erano selvaggiamente
belle, in qualche modo inquietanti e sempre struggentemente profumate...
Norax sapeva che perfino i cacciatori vi si
avventuravano prudentemente in gruppi o in catene, tenendosi continuamente l’un
l’altro a portata di voce o di flauto - essi stessi evitando le valli più
pericolose.
Perdersi poteva significare non tornare mai più a
casa.
Nessun cervo poteva avere tanto valore. Se esso
riusciva ad imboccare incolume certe ripide strade, pericolose ed impervie,
sarebbe stato graziato. Sfuggendo con furbizia alle laboriose reti di robusto
lino, alle sibilanti fionde di cuoio ed agli imponenti archi - intrecciati di
legno, tendini e d’osso - avrebbe meritato il dignitoso rispetto del cacciatore
ed il risparmio della vita.
“Ecco” - disse a un certo punto Lèkere, indicando
una valle più ampia, nella quale un sentiero adesso appena riconoscibile
sceglieva di inoltrarsi, scendendovi capriccioso - “Ecco la tua strada, Norax:
al guado passa sulle pietre, io ti dico, anche se ti bagnerai fino alla vita;
diffida dell’erba troppo verde intorno.
Dopo il guado, la strada sarà più grande e più in piano. Forse incontrerai
qualche pastore che sposta le greggi. Se sarai fortunato, qualcuno su di un
carro ti renderà più spedito e più comodo il viaggio. E poi, il
bagaglio si assesta nell’andare: sei
partito aglio, non tornare cipolla... Nulla ti accadrà ad impedire che ci si
incontri ancora, se sarai saggio e attento come puoi esserlo, Norax: così io ti
dico adesso e così sarà”. E con queste ultime parole di avvertimento e di
augurio la Bithia Lèkere dai grandi occhi magici e profondi lo baciò appena
sulle labbra e subito dopo lo lasciò solo.
Norax restò, confuso ed euforico, a guardare la
sagoma tozza dei muli e quella snella della maga, mentre andavano via, gradatamente
scomparendo nell’ovattato silenzio e nella lontananza dell’immenso altopiano,
dirigendosi verso il lato scuro del tramonto, verso compiti diversi dai suoi,
per uno stesso fine.