Terra dei Mucchi di Pietre, cap II
2. La prima Missione.
La figura - snella in controluce - volse il capo,
quindi scomparve alla vista, per qualche attimo.
Ricomparì quasi subito alla base della fornace,
correndo: “Sì, Maestro” - già lo si sentiva gridare mentre irriverentemente
saltava il basso muro del recinto sacro. “Abbiamo quasi terminato il riempimento”
- soggiunse subito, appena fu
arrivato al fianco del Grande Sacerdote e prima che questi potesse parlare.
Ma già lo guardava con occhi grandi, interrogativi e
rispettosi ad un tempo.
Trascorsa una pausa, lunga quanto bastava al
silenzio per ricomporsi, il Sacerdote incominciò a dire, guardando lontano:
“Figliolo, puoi lasciare a me quel compito, adesso”. Quindi riprese, questa
volta fermando lo sguardo fisso negli occhi del suo allievo (il che, sapeva, lo
metteva sempre in grande soggezione): “Tu da parte tua devi assumerne un altro,
che credo ti farà piacere per la parte più facile e che invece mi dispiace doverti
affidare per la parte più difficile”.
Norax sapeva bene che un’introduzione così lunga
non presagiva nulla di buono, tanto più che non solo era incomprensibile, ma
in essa traspariva una preoccupazione, un’ansia, che facevano apparire il
Grande Sacerdote suo Maestro più stanco e più vecchio. Anzi, si scoprì - chissà
perché - a considerare che in realtà, poi, egli non sapeva affatto quanti
inverni avesse il suo Maestro.
L’attenzione e la curiosità ciononostante si resero
più evidenti negli occhi del ragazzo, neri e vivaci come quelli di un gatto,
vieppiù fissi sul volto del Sacerdote. Norax era tutto teso ad intuire - prima ancora che egli parlasse - e poi a sentire tutto quanto vi fosse dentro e dietro alle sue
parole - quando finalmente egli le avesse pronunciate e Norax le avesse potute
udire. Eh, sì: Norax era un apprendista un po’ tormentato, ma molto volenteroso.
Norax sapeva bene, dalla propria personale
esperienza, che il Gran Sacerdote spesso parlava con parole oscure, a volte ambigue.
Per spiegarle eventualmente in seguito, a suo piacere e solo quando lo avesse
ritenuto opportuno, sempre dando prova di grandissime preveggenza e saggezza.
Ma questa volta no: stava dando ordini chiari, modificando con parole semplici e dirette
le consuetudini ed i metodi che lui stesso aveva stabilito con altrettanta
chiarezza in precedenza con tutta la popolazione che gravitava intorno a
Tal-Ur.
Disse il Sacerdote: “Devi fare un nuovo viaggio a
Sirdan,
il tuo villaggio” - A queste parole che
non ammettevano replica, il ragazzo sorrise di piacevole sorpresa, senza però
interrompere - “Potrai naturalmente approfittarne per salutare la tua famiglia
adottiva ed i tuoi scapestrati amici di laggiù”. L’espressione muta del ragazzo
mostrò qui una sfumatura un po’ troppo carica di virginea e compunta
innocenza. “Ma ascoltami bene: avrai soltanto tre giorni e dovrai assolutamente trovare ed invitare qui una
persona a parlare con me...”.
Il Sacerdote esitò un momento, in una delle sue
calcolate pause, quasi lasciando spazio per una prevedibile domanda che invece
il ragazzo non osò neppure formulare.
“Vedi, Norax” - riprese quindi il Sacerdote,
rivelando parzialmente i suoi piani ed i suoi timori - “E’ giunto il momento di
attraversare la nostra terra, perché sento di dovere ormai controllare, di persona,
alcuni strani avvenimenti e di dover raccogliere alcune prove inquietanti
che ancora si possono osservare sulla costa dove sorge il sole”.
Il ragazzo emise un lungo e lieve sospiro
perplesso - perché sapeva che doveva esservi dell’altro, che forse non gli
sarebbe stato detto - mentre con passo consuetudinario e uniforme la coppia si
dirigeva alla capanna del Grande Sacerdote.
Questi nel frattempo proseguì: “Io non so più come
si chiama la persona che per me tu devi convincere a venire qui. Ma tu forse te
ne ricorderai, oppure addirittura lo conosci, o comunque ti sarà agevole
scoprirne il nome e trovarlo, perché non deve proprio essere un uomo sconosciuto tra i pescatori dei grandi stagni di Sirdan...”.
Il Gran sacerdote si tolse il cappello a punta
accingendosi ad entrare nella sua capanna e facendo cenno al suo pupillo di precederlo.
Poi continuò: “Ti ricordi, all’ultima festa di primavera, quel capo guerriero e
pescatore - mai visto prima dalle nostre parti - che veniva trattato con
insolita deferenza dagli abituali venditori di pesce salato?... In particolare
- ricordi? - era quello che si mostrò così piacevolmente curioso e interessato
a tutti gli usi e costumi antichi della Vera Gente, e che volle essere accompagnato
fino alla sorgente delle acque presso il Grande Fiume Twrshna?”.
La frase non era formulata come una domanda ma il
tono del Sacerdote era interrogativo e incalzante.
Gli occhi del ragazzo si socchiusero nello sforzo
inutile di ricordare, poiché alla festa di primavera innumerevoli compiti - e
altrettanti suoi tentativi di evitarli - lo avevano completamente assorbito.
“Ricordi? - aggiunse imperterrito il Gran Sacerdote
- che egli nel congedarsi, ringraziò solennemente per l’ospitalità e la cortesia
e proclamò di volere un giorno ritornare a Mittsa - come lui chiamava nella sua lingua le benefiche acque calde
di Mago-Twrshna?”.
Ma gli occhi del ragazzo conservarono la loro
espressione smarrita, per cui il Sacerdote incalzò, attivamente frugando fra i
propri apparentemente inesauribili ricordi: “Spesso, nei discorsi intorno a lui
ricorreva un nome che non era, ahimè, il
suo, ma che lo riguardava molto da vicino... vediamo... il suo suono era
simile a ... ‘Ixos’...”
Il Gran Sacerdote aveva tenuto prudentemente per
ultima quella parole chiave, perché giustamente confidava nella possibilità -
con essa - di aprire lo scrigno dei ricordi nella mente del ragazzo, fino a
quel momento rimasto inespugnabilmente - se pur involontariamente - chiuso.
Ed infatti il ragazzo, improvvisamente folgorato da
quel suono noto e dalla reminiscenza, sgranò gli occhi e proruppe in un
esclamazione: “Hyksos! Ma certo, Maestro!”.