Un inizio.
La scena è un locale
notturno fumoso, un po’ sordido, come ormai – purtroppo o per fortuna, dipende dai punti di vista, piccoli cari – ve ne sono molti altri.
L’ora è un’ora
tardissima e non più piccola della notte, oppure molto precoce del mattino:
anche qui i punti di vista sono utilissimi per descriverne l’osservatore, più
che la scena osservata. Il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto appartiene
all’ottimista quanto al pessimista, pur essendo l’oggetto sempre lo stesso: è
la descrizione che se ne fa, che definisce il descrittore… Un ingegnere
vedrebbe solo un recipiente in buona parte sprecato per la funzione attualmente
richiesta. Uno psicologo ne trarrebbe un ottimo strumento di studio delle attitudini. Un fisico direbbe che il nostro bicchiere ‘mezzo
pieno’ è invece pienissimo: per metà di un liquido e per metà d’aria…
È il segreto della Vita: essa possiede molte sfaccettature,
proprio come una pietra preziosa. Guardandola, si possono apprezzare insieme
molte prospettive delle cose. Appaiono chiare o deformate, riflesse o deflesse,
vere o ingannevoli, più o meno luminose, non tutte esattamente buone. Quale sarà, in fondo, la realtà, porcellini? E una pietra
preziosa si può meritare in molti modi; si può acquistare, o desiderare soltanto, o persino
rubare… Si può regalare, spinti da amore sincero, o per infame calcolo subdolo e corruttore. Ci si può lasciar corrompere, o si può scegliere di resistere. Se
insisti e resisti, consegui e conquisti! Non
è sempre vero, porcellini: e voi lo sapete bene…
In tutta la nostra Vita, conoscenza e punto di vista sono
fondamentali, per giudicare le azioni delle altre persone. E per giustificare le nostre.
Detto questo, che costituisce un po’ la chiave di lettura di
questo scritto, entriamo pure nell’acqua gelida e corrosiva della storia bruta,
piccoli amici miei frementi ed
ansiosi…
Tre colombe bianchissime si posarono d’improvviso come
fossero una sul davanzale, con grazia e precisione. Una visione paradisiaca di candore e purezza.
Contemporaneamente ci fu un “Fsssss-t!”,
quasi come una perdita da una gomma d’automobile, oppure come quando si stappa
una bibita gassata… Un penetrante profumo di gelsomino e d’incenso sembrò
subito aleggiare nell’aria, in una strana mescolanza del tutto inusitata,
intensa, persuasiva.
Ed eccolo
lì.
Il volume della musica si era
ridotto ad un livello di piacevole discrezione e le melodie si erano fatte più
dolci… Stava in piedi, fermo, tutto vestito di un tenue azzurro chiaro –
camicia bianca, con qualche voile, senza cravatta, un colletto ampio nei limiti
del discreto – l’aria un po’ confusa e gli occhi indecifrabili e persi, sotto
una frangia di lucidi riccioli biondi. Si guardava intorno, come per decidere
che fare, volgendo il capo con un movimento lento, quasi regale, armonico. Non
era indecisione, la sua, bensì prudente determinazione: sprizzava salute ed
energia positiva da tutti i pori, si sarebbe detto…In sottofondo, “l’aria
sulla quarta corda” iniziava a salire come
d’incanto con le sue note lente, disposte come gradini verso il cielo azzurro,
alto e terso.
Una delle entreineuses
troppo truccate e troppo succinte lo guardò fisso, sinceramente stupita,
riaggiustandosi un poco il corpetto nel quale un ostinato capezzolo si
rifiutava di rientrare: “Edda 'ndove sbuca ‘sto qua? Me sembri 'n
cherubbino!”.
Il tono era disincantato e cinico, la voce screpolata dalle
troppe sigarette, ma l’ammirazione era sincera.
Lui non si scompose, le sorrise il più bel sorriso che lei
avesse mai visto in vita e le rivelò gentilmente: “Questo è perché io sono, per
l’appunto, un cherubino, gentile signora. Ma è una notizia riservata, per cui
la prego di tenerla per sé. Il mio nome è Zophiel. E questo è noto a quasi
nessuno, sulla Terra del Pianto Quotidiano”.
La donna lo avrebbe volentieri mandato subito a quel paese,
come faceva d’abitudine con chi s’azzardava a prenderla in giro, ma la
gentilezza ed il garbo di quello strano giovine l’avevano confusa ed ammaliata,
senza aggiungere che l’aveva
persino chiamata signora, ma per
davvero, con quella voce, quella voce che aveva in sé un che di indefinibile…
Le tre colombe volarono insieme docili sul palmo della mano del
nuovo venuto, che sorrise il suo timido splendido sorriso e fece loro un
garbato cenno di ringraziamento, sussurrando loro, con benevola
complicità: “Andate, adesso, sù! Sempre con gioia”. Le tre colombe si allontanarono insieme leggere, frullando
ubbidienti, non senza essersi prima scambiate un’occhiata che – a ripensarci –
sembrava proprio essere d’intesa, come quello che fanno i ginnasti prima di
cominciare un esercizio insieme.
Ma non ci fu tempo per altre considerazioni al riguardo…
Ci fu subito un altro “Fssss—spat”, quasi il verso di un gatto orecchie abbassate che
soffia la propria minaccia cattiva. E subito si sparse una spiacevole puzza
sulfurea, nauseabonda, d’uova andate a male già da tempo… Entrò in scena –
chissà da dove, anche lui – un tipo alto, allampanato, dinoccolato, molto
stempiato, tutto vestito di nero, con scarpe di vernice nera fuori moda ed una
camicia rosso Borgogna. Pallido come la morte, passò quasi per caso a fianco
del giovane in bianco e gli sussurrò all’orecchio, con una voce roca intrisa
d’astio: “Mi fai sempre andare in bestia quando appari così! E comunque,
ricordati, questo è mio territorio: papponi, prostitute, bari, ladri e i loro
clienti, o le loro vittime. Tutta roba mia: quindi lasciami lavorare,
ragazzino…”. Gli porse di malagrazia un libro consunto, di Maksim Gor’kij,
aperto alla pagina in cui il vecchio Stefan Ili´c dichiara: “Il
Diavolo non esiste. È un’invenzione della nostra ragione maligna. Lo hanno
inventato gli uomini per giustificare la loro turpitudine [...]. Credetemi,
poiché siamo degli imbroglioni, avevamo bisogno di inventarci qualcosa di
peggiore di noi, il Diavolo appunto”. Gli
indicò il brano, sottolineato in rosso, con l’indice nodoso di una sgradevole mano
ossuta, guardandolo torvo con occhi iniettati, di sbieco, con un sorriso
malevolo e laido insieme.
Tutto come da copione, bambini cicciottelli…
Sette mosconi grossi e di colore verde nerastro presero a
svolazzare ronzando con insistenza per la stanza, infastidendo ben bene quasi
tutti i disgraziati avventori. Alla fine si posarono in un angolo, sulle
briciole di un biscotto stantio, sopravvissuto a chissà quante pulizie sommarie
e svogliate del locale. Cominciarono a sgranocchiarne rumorosamente e di gusto
i resti ammuffiti…
L’entraineuse valutò con interesse professionale i glutei
del nuovo arrivato, ben modellati dai suoi pantaloni stretti, scuri e lucidi.
Un sorriso laido si disegnò lentamente sulle sue labbra, mentre gli occhi
torbidi si facevano due fessure sottili, nell’apprezzamento sommario, nella
formulazione immorale delle ipotesi, nell’intensità più lurida delle fantasie…
Gli lanciò alle spalle la domanda: “Come te chiami?” –
sperando che lo sconosciuto s’interessasse a lei, prima e di più che alle altre
galline del pollaio, le quali si sarebbero sicuramente fatte avanti molto
presto.
Ebbe fortuna, o almeno così le sembrò: è sempre questione di punti di
vista, porcellini…
Egli si voltò felino, con un gran sorriso cannibale, fatto di
denti bellissimi: “Iblis Shaytan Bellar Mitricoleon, per servirti, bellezza!
Sono Principe di questo Mondo, Colui che porta la luce ed il Signore delle
mosche, padrone del potere dell’aria: riesco a farmi piccolo fino ad essere
invisibile ai padri più protettivi e così grande da incutere QuantoBasta di preventivo terrore
alle vergini di buona famiglia…”.
E così dicendo – con gli occhi ipnotici, brillanti e neri
fissi su lei, che si credeva predatrice
– estrasse dal taschino più piccolo dell'attillato panciotto una lunga bacchetta
magica, che si aprì in un multicolore mazzo di fiori di carta fosforescente, da
cui volarono via mille piccoli moscerini colorati e ronzanti, mentre un fischio
assordante riempiva la sala ed il puzzo di zolfo, se possibile, diventava
ancora più intenso ed intrusivo, ferendo la mente e le narici insieme con il
suo fetore…
[Perché i mosconi, mi chiedete, pecorelle?
C’è una vecchia storia, al riguardo: “Ahaziah
d’Israele cadde attraverso una grata nel palazzo di Samaria e temette che il
trauma potesse essere mortale (2 I Re, 1). Piuttosto che interrogare Yahweh
(pertanto accettando la vittoria di Yahweh a Carmel come dimostrazione della
sua supremazia, 1 Re 18:20-40),
egli spedì messaggeri alla divinità Filistea Baal-Zebub (cf. 1 Re
14:1-20)”. Il nome “Baal-Zebub” sarebbe indubbiamente uno strano
nome per una divinità, in quanto significa “Signore delle mosche”.
Invece
“Baal-Zebul” (Significa Baal il Principe, cioè il Signore dei Signori) sarebbe
un nome accettabile per una divinità Levantina antica (ed è effettivamente
attestato ad Ugarit). In aggiunta,
il Nuovo Testamento conserva questo termine, di solito sotto la forma
“Beelzebul” (Matt 10:25; 12:24; Marco 3:22; Luca 11:15).
È anche sicuro
che a volte, i nomi di personaggi considerati malvagi erano rivisti e corretti, in modo da crearne un nome
peggiorativo. Forse ciò fu fatto dal copista della Bibbia, o dal redattore, o
forse fu voluto da altri, chissà. Ma il Signore Oscuro e Malvagio è
diventato da allora il Signore delle mosche, invece che il Principe dei
Principi, a dimostrazione dell’infimo livello al quale opera.
E così si
rappresenta egli stesso, ormai, al fine di compiacere i propri adepti.
Un poco di Cultura, culetti, vi sarà grandemente gradita, prima dell'Incontro grandinante con Me...].