L’archeologo Madau: “Il traffico dei reperti è la morte della cultura”
La guerra al commercio illegale di reperti archeologici si è combattuta negli ultimi giorni anche sul piano politico: da una parte il deputato Mauro Pili ha accusato il Governo di non fare abbastanza contro i traffici di beni culturali, dall’altra Francesca Barracciu, sottosegretario alla Cultura, ha invece lodato l’operato delle forze dell’ordine che sono riuscite a sventare la vendita della Dea Madre nell’asta di Christie’s.
Dietro questa storia c’è però qualcuno che senza troppo clamore ha concretamente mosso i passi iniziali per proteggere la statuina: Marcello Madau, sassarese, 64 anni, è stato il primo a segnalare formalmente la notizia, da lui è partito l’allarme che ha dato vita all’operazione del Comando Carabinieri Nucleo Tutela del Patrimonio.
Madau, specialista in archeologia fenicio-punica e romana e oggi docente di Museologia e Beni culturali e ambientali all’Accademia di Belle Arti di Sassari, ha lavorato per tanti anni sul campo come archeologo e consulente. Pochi giorni fa ha notato sul sito “Archeologia in Sardegna” una notizia sospetta: “Il 22 novembre scorso – ci ha raccontato l’archeologo – un frequentatore del forum, che si firma con il nick name di Edgar Allan Pau, ha postato la notizia di una statuetta tardo-neolitica della Sardegna messa all’asta da Christie’s. Dalla foto si vedeva che la statua era simile alla celebre ‘dea madre’ di Turriga-Senorbì, ma quello che mi ha insospettito più di tutto era la quotazione a base d’asta attorno al milione di euro. Certo, giudicare un manufatto da una immagine è assai rischioso e limitativo e l’autenticità può arrivare solo da una perizia diretta, con foto, rilievi grafici e tutte le analisi necessarie. Ad ogni modo ho coinvolto un amico, Fabio Isman, giornalista e riconosciuto esperto del fenomeno (suo il fondamentale ‘I Predatori dell’arte perduta’) che mi ha confermato la notizia. Si è creata subito una rete veloce di informazioni e contatti internazionali. Incrociando i dati, grazie all’apporto dell’archeologo scozzese Christos Tsirogiannis, assistente ricercatore nel Trafficking Culture Project, nello Scottish Centre for Crime and Justice Research dell’Università di Glasgow, siamo risaliti a una foto Polaroid della raccolta del celebre trafficante di reperti archeologici Giacomo Medici. In questa foto si confermano i miei dubbi sull’autenticità, almeno integrale, del manufatto: la statuetta è in diversi frammenti, manca della parte superiore del capo. Il giorno dopo, mentre la protesta cresce e si legano altri blog e pagine web, e naturalmente maturo dubbi e convinzioni, invio una lettera al MiBACT per segnalare la questione”.
Il 23 novembre, dopo verifiche e controlli incrociati, Madau invia la lettera tramite posta certificata alla Direzione Regionale del Ministero per i Beni Culturali, che ha sede a Cagliari. Il resto della storia si conosce: il Ministero avvisa il Comando Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale che tramite una rete di supporto internazionale riesce a bloccare la vendita della statuina.
Madau, qual è la situazione italiana sulla tutela dei beni culturali? E’ vero che il Governo non fa abbastanza per proteggere manufatti artistici e archeologici?
La nostra legislazione è ritenuta all’avanguardia fra quelle ‘vincoliste’. Ma non dobbiamo dimenticare che la stessa legge di tutela del patrimonio archeologico, che pure è stata modificata significativamente dal 1985 in poi, è ancora radicata alle gloriose leggi 1089 e 1497 del 1939, con un’ideologia legata all’antiquaria, indicata dai concetti di rarità e pregio come caratteristiche necessarie alla protezione giuridica determinata dal vincolo. Queste caratteristiche, pur derubricate dai beni archeologici storico artistici, sono ancora presenti nel Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004 oggi in vigore. La legislazione di uno stato singolo, di fronte a questi potenti fenomeni di traffico internazionale, non può essere sufficiente. Esistono norme internazionali ma secondo me è urgente una nuova battaglia europea: in Europa però mi pare che la politica sia impegnata su altri fronti, e nelle crisi economiche globali si è arrivati a pensare di pignorare il Partenone, o giù di lì. Anche in Sardegna si dovrebbe pensare alla tutela allargata e a una partecipazione diretta del territorio alla stessa gestione, uno sviluppo dei ‘beni comuni’ insomma, perché il MiBACT non è in grado, per la sua crisi a mio parere terminale, di garantire una tutela adeguata a tutto il patrimonio di beni culturali e paesaggistici. Dal mio punto di vista in Sardegna potremo essere all’avanguardia su questo fronte.
Cosa pensa delle battaglie politiche e ideologiche che si sono animate attorno a questa vicenda?
Mi ha molto colpito il solito uso strumentale del fatto da parte di una forma politica un sistema ahimè davvero vecchio. Va bene che la politica se ne occupi, ma ci si butta, con qualche imprudenza ed errore, a cavalcare la protesta; oppure si enfatizza con molto clamore da parte di un sottosegretario al MIBACT il fatto di aver seguito la questione. L’intervento in questi casi, sempre lodevole, non è di per sé un merito straordinario ma un dovere amministrativo normale, come lo sarebbe, almeno io immagino, che le grandi aste siano almeno monitorate ‘in continuum’ da parte dello stesso Ministero. Che però mi risulta negli ultimi anni assai indebolito come struttura, anche con scelte gravi, rispetto alla ‘squadra’ operativa e giuridica di valore a lungo avuta a disposizione. Infine, per tornare sulla statuetta, sarebbe bene comunque, prima di imbarcarsi in azioni incisive di recupero magari oneroso del manufatto, verificando l’esistenza delle già visibili zone d’ombra nei diversi passaggi di mano, sottoporre lo stesso ad una perizia ufficiale, pubblica, da parte di chi è scientificamente titolato e in grado di effettuarla, per evitare di impegnarsi in un recupero di un’opera contraffatta, come in parte certamente essa è.
A destra la foto originale della Dea madre all’asta da Christie’s.
In base alla sua esperienza quanto è diffuso il traffico illegale di reperti?
Questi commerci sono fatti strutturali, legati al nostro sistema economico, a potenti centrali che sono in grado di commissionare scavi clandestini. Rappresenta un pericolo mortale per la cultura pubblica e dei beni comuni, per la nostra identità. Un oggetto strappato al suo contesto è muto, al massimo balbetta. È senza identità. I committenti si dividono fra decine di celebri musei (ad esempio il Paul Getty Museum), ricchissimi signori, grandi trafficanti, collezionisti privati a loro volta fornitori dei musei suddetti o del potente di turno. Le vittime: il patrimonio culturale comune e l’identità dei territori. Sono state svuotate e devastate migliaia di tombe, case e santuari etruschi, romani, italici; nuraghi, sepolture fenicie, pozzi sacri. Cospicua la produzione di falsi.
Storicamente, come illustra bene Fabio Isman nel lavoro citato all’inizio ci sono cupole, capi-mandamento e via dicendo, sino alla mano d’opera in situ. E, aggiungerei, non solo manovalanza su ‘special commission’ ma anche lavoratori autonomi che a loro volta si propongono. Credo che ci siano coperture territoriali, ammiccamenti e complicità, da rompere definitivamente. Ora che la professione di archeologo è riconosciuta grazie alla L. 110/2014, con l’inserimento ufficiale degli archeologi nel ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio’, ci sono nuovi strumenti a disposizione del territorio, in Sardegna abbiamo centinaia di archeologi professionisti che possono aiutare i luoghi e le comunità a migliorare il controllo, potenziando il lavoro di tutela e di ricerca. L’unione nei luoghi e la consapevolezza di questi beni comuni da parte delle comunità sono più forti e decisivi delle pur indispensabili norme di tutela. Questo è snodo storico per la Sardegna, e per me ‘luogo’ centrale della mia professione, della mia cittadinanza e della mia didattica sui Beni culturali e ambientali, tre punti per quanto mi riguarda non separabili”.
Storicamente, come illustra bene Fabio Isman nel lavoro citato all’inizio ci sono cupole, capi-mandamento e via dicendo, sino alla mano d’opera in situ. E, aggiungerei, non solo manovalanza su ‘special commission’ ma anche lavoratori autonomi che a loro volta si propongono. Credo che ci siano coperture territoriali, ammiccamenti e complicità, da rompere definitivamente. Ora che la professione di archeologo è riconosciuta grazie alla L. 110/2014, con l’inserimento ufficiale degli archeologi nel ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio’, ci sono nuovi strumenti a disposizione del territorio, in Sardegna abbiamo centinaia di archeologi professionisti che possono aiutare i luoghi e le comunità a migliorare il controllo, potenziando il lavoro di tutela e di ricerca. L’unione nei luoghi e la consapevolezza di questi beni comuni da parte delle comunità sono più forti e decisivi delle pur indispensabili norme di tutela. Questo è snodo storico per la Sardegna, e per me ‘luogo’ centrale della mia professione, della mia cittadinanza e della mia didattica sui Beni culturali e ambientali, tre punti per quanto mi riguarda non separabili”.
Francesca Mulas