“Nuragici”.
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Il Nuraghe Santu Antine, uno dei pochissimi 'giganti' presenti in Sardegna |
Noi li chiamiamo così : un nome inventato, come quello dei 'Villanoviani', come quello degli Ittiti e molti altri nomi moderni per popoli antichi. Spesso, poi, ci fidiamo troppo dei nomi che la Storia ci ha tramandato, sbagliando: infatti, i nomi 'esoetnici' sono errati e fuorvianti, anche se in qualche modo coevi dei popoli che descrivono. La regola generale, infatti, è che i nomi endoetnici (che una data popolazione usa per se stessa) sono sempre immancabilmente differenti da quelli esoetnici, attribuitele dai confinanti: si pensi a Niemcy, Germans, Alemanes, Tedeschi, e Tysch ed alla rispettiva differenza con Deutch.
Loro
sicuramente chiamavano se stessi in modo diverso, con un nome a noi ignoto[1].
Forse, come diversissimi gruppi umani hanno fatto in passato (mostrando una
ripetitiva e comune propensione all’autocelebrazione), usavano un’espressione
come “uomini liberi”, oppure “uomini eletti”. Comunque, un nome a noi ignoto.
In uno studio genetico ormai non
più recentissimo (1998), L. L. Cavalli Sforza descrive un albero
filogenetico in cui la Sardegna si separa
dalle altre popolazioni già alla seconda divisione[2].
Questo implica già le grandi differenze che descriveremo meglio. La data di
separazione sembra essere 16.000 anni fa[3]
(e non è in disaccordo sostanziale con
quella archeologica al radiocarbonio, riportata più sotto: 9.500 anni fa). Si
tratta di un’isola, la Sardegna, di circa 23.800 km2 (Quindi non "la più grande di tutte le isole", come sosteneva Erodoto [I,170,1], bensì la seconda, dopo la Sicilia. Comunque un'area ragguardevole: insieme alla Corsica, la superficie diviene quasi grande come quella della prima Mesopotamia, carica di molti destini),
che dista
circa 200 km sia dalle coste italiane che da quelle africane. È molto vicina
alla Corsica, ma le due popolazioni isolane sono diverse dal punto di vista
etnico e dal punto di vista delle vicende storiche in cui si sono formate.
Ma proprio la posizione
geografica della Corsica può avere avuto un ruolo importante nel corso del primo
popolamento della Sardegna, in quanto, grazie alla posizione dell’arcipelago
toscano, dalla penisola si può anche tuttora “navigare a vista”.
Chi furono i primi abitanti della
Sardegna? Non furono quelli che chiamiamo “Nuragici”.
Probabilmente i primi abitanti
furono uomini pre-neolitici. Questo già
costituisce un’eccezione, nel Mediterraneo, nel quale l’occupazione permanente
di isole – seppure possibile, per quanto attiene alle capacità marinare[4]
– non fu diffusamente praticata per via delle scarse attrattività e possibilità
di sussistenza offerte, salvo che per Sardegna, Corsica, Cipro e, forse,
Maiorca[5].
Parliamo di un periodo nel quale si valuta il numero globale degli abitanti di
tutta l’Europa (allo stato di cacciatori raccoglitori) essere compreso tra i
valori di 200.000 e 700.000 unità, prevalentemente raccolti nelle zone
meridionali, essendo le settentrionali ancora piuttosto fredde.
Si calcola che
la transizione Neolitica attraverso l’Europa sia durata circa 4000 anni (con
termine presunto attorno al 4.500 a.C.). La diffusione degli agricoltori fu
molto lenta, eppure non uniforme; certamente favorì un incremento della
popolazione, anche se non precisamente quantizzabile. Pur trattandosi di studi
che vanno presi con beneficio d’inventario (in fin dei conti sono ipotesi
ricostruttive), le cifre globali fornite sono sorprendentemente basse, per la
popolazione Europea: poco più di 2 milioni d’individui nel 3.000 a.C.; circa 5
milioni nel 2.000 a.C.; circa10 milioni nel 1.000, con un incremento che parla
di attività agricola sempre crescente[6].
Si deve ammettere che le stime
sulle comunità di cacciatori sono più difficili da effettuare, per via dell’estrema
scarsità di resti archeologici: il cacciatore è nomade, si sposta spesso e non
costruisce ripari cospicui né duraturi. Talvolta, anzi, costruisce abitazioni
temporanee multiple per le diverse
stagioni dell’anno. Questo fatto è fuorviante e può condurre a soprastime, se i
siti non sono stati studiati a sufficienza e correttamente interpretati.
Malgrado ciò, rifacendosi agli avanzi di cacciagione rinvenuti, si è risaliti
ad una densità di popolazione globale Inglese di circa 0,02 – 0,07 abitanti per
kmq nel Paleolitico superiore[7].
Pensate a che cosa accadrebbe anche oggi, se si cercasse di risalire al numero degli abitanti della Sardegna, partendo dall'edilizia! Tra seconde case dei sardi stessi, case di turisti, alberghi, residence, pensioni ed uffici, forse si concluderebbe che la popolazione consista in 14 milioni, invece che un milione e seicentomila ... E' evidente che il computo "all'indietro" è viziato dall'inizio: è molto strano che sia quello più usato.
Nella zona centro-settentrionale
dell’isola sarda i più antichi insediamenti umani risalgono a circa 10.000 anni
fa (precisamente: 9.120 ± 380)[8].
Non è certamente opportuno qui
discutere in dettaglio i monumenti più caratteristici e numerosi dell’isola: i
Nuraghi, che mostrano alcuni richiami architettonici con strutture analoghe
rinvenute in altre isole del mediterraneo o zone costiere di esso[10].
Ma non si può non citarli.
Si ritiene oggi che i nuraghi
siano stati edificati non prima del 1500 - 1600 a.C.[11]
e poi per un periodo che alcuni portano fino all’Età del Ferro, mentre altri lo
vorrebbero fare proseguire più oltre. Anche sul numero totale dei nuraghi
esiste qualche divergenza: si suppone che essi fossero 6.000 – 7.000,
distribuiti inegualmente su tutta la vasta superficie isolana, seppure con
densità variabili[12].
Se si sovrappongono le cartine mostranti la bontà del suolo e la densità
attuale dei nuraghi, si può facilmente osservare come esista una significativa
corrispondenza tra la massima concentrazione e la migliore qualità del suolo:
la Sardegna vi appare grossolanamente distinta in due zone: una occidentale
globalmente più ricca e l’altra orientale, generalmente più povera. Come regola
generale, tale osservazione – se da una parte non esclude affatto
l’edificazione di nuraghi in terreni poco fertili – spinge a credere che non
sia giusto ipotizzare un’alta concentrazione di nuraghi in quelle zone che,
probabilmente, non la ebbero mai. Questa è obiezione sufficiente a certi numeri
in eccesso.
Sembra credibile che da ciascun
nuraghe se ne potesse vedere ad occhio nudo almeno un altro, per cui non è
affatto improbabile che una delle
diverse funzioni del nuraghe fosse la comunicazione rapida attraverso il territorio[13].
La questione della funzione del
nuraghe resta aperta comunque, come anche molte altre: sicuramente non
furono inizialmente costruiti per la
comunicazione..
Circa il numero totale della
popolazione “Nuragica” molti saggi sono stati tentati e diverse sono le
opinioni.
I villaggi.
Sappiamo che esistono alcuni
villaggi realmente Nuragici ed altri che – pur trovandosi intorno o presso i
nuraghi – sono, senz’altro, posteriori ai nuraghi stessi e non devono quindi
essere inclusi nel computo. Il numero d’abitanti ipotizzato per ciascun
villaggio varia da 50 a 300 persone. Se dovessimo ipotizzare che tutti i
Nuraghi conosciuti facessero capo ad un villaggio e che tutti i nuraghi ed i
villaggi fossero stati contemporanei, otterremo un’ipotetica popolazione totale
variabile da 300.000 a 1.200.000 unità, il che è sicuramente irrealistico ed
eccessivo per l’epoca e per la sede, anche a confronto con quanto detto per le
restanti zone dell’Europa studiate…
Ora, noi sappiamo con certezza
che alcuni nuraghi non avevano un proprio villaggio satellite, essendo essi stessi edificati forse per assolvere
alcune particolari funzioni specifiche di controllo del territorio e di
comunicazione con la sede più importante e “centrale”. Quest’ultima – invece sì
– facente capo ad un villaggio.
Una situazione del genere si
riscontra (ad esempio) nel territorio di Orosei ed è relativa al grande nuraghe
“centrale” più importante (Nuraghe Sa Linnarta - Osana), sito su un altopiano
lavico declinante verso il mare con ampia vista sulla costa e non lontano dal
passo (Iann ‘e Pruna) che conduce verso la valle del rio Berchida e poi Capo
Comino e Siniscola. La zona è costiutita da altopiani argillosi (detti “Golleis”),
poco permeabili e – seppure non certo infertili – più adatti al pascolo che
alle colture; essi tendono a trasformarsi in acquitrini in seguito a pioggia
abbondante.
Dal sito del Linnarta si
possono facilmente vedere ad occhio nudo gli altri nuraghi minori della zona,
in particolare il Rampinu (sul bordo dell’altopiano, poco più a sud), il
Panatta (sulle pendici impervie di pietra bianca del Monte Tuttavista, ma già
al di là del fiume Cedrino[14])
e almeno la zona in cui si
trovano il nuraghe Gulunie (detto anche Osala, perché sito sulla scogliera a
picco sull’omonima spiaggia. Dal Linnarta si gode ottima visibilità che si
estende anche sulla costa settentrionale, Marina Grande, Foce del Cedrino,
Santa Maria, Fuile ‘e Mare, ed il territorio interno retrostante) ed il nuraghe
‘e Portu (anch’esso prospiciente il mare). In questo caso quindi, avremmo
(anche ammettendo che detti cinque nuraghi – molto differenti tra loro per
tipologie e per dimensioni – siano stati coevi ed usati contemporaneamente) un
solo villaggio (di circa 200, forse anche 300 persone), a fronte di cinque
nuraghi.
(Ritorneremo a questo corsivo
in seguito).
Pertanto, già sappiamo di dovere
ridurre di molto le nostre precedenti stime ipotetiche.
Se poi consideriamo che tutti i
nuraghi in genere, oltre a non essere coevi, non sono stati tutti in funzione
contemporaneamente (e molto probabilmente possedevano scopi e funzioni
differenti, come morfologia, dimensioni e localizzazioni lasciano facilmente
ipotizzare, seppure non in modo conclusivo), possiamo legittimamente abbattere
ulteriormente le cifre, fino ad un più realistico totale di 50.000 – 200.000
persone, includenti uomini, donne, vecchi e bambini…
Ma esistono i già citati studi
che si basano sulla presunta densità di popolazione di popolazioni di
cacciatori-raccoglitori e dell’incremento dovuto all’inizio dell’allevamento e
della coltivazione[15],
che parlano di una densità stimata variabile da 1 a 5 abitanti per kmq. Per quanto concerne la Germania, ad
esempio, la media riscontrata è di solo 2 abitanti per km2, in zone
definite come molto adatte all’agricoltura.
(Aldenhoven Platte, periodo della Cultura della ceramica lineare,
Bandkeramik). Applicando questa
media eccezionalmente alta a tutta l’estensione dell’Europa si ottengono numeri
che sono evidentemente errati e smentiti dagli scavi, perché il resto
dell’Europa non presentava affatto condizioni altrettanto favorevoli
all’agricoltura ed all’allevamento.
Anche la Sardegna, per le sue
scarse precipitazioni, per il forte stress termico-idrico estivo e per le sue
caratteristiche orografiche, va esclusa dalle zone considerate favorevoli ad un
raggiungimento di densità così elevate in quell’epoca.
Alcune obiezioni possono essere
legittimamente mosse a quest’ultima affermazione: sembra accertato che in
passato le precipitazioni sull’isola fossero più abbondanti e meglio distribuite nel tempo di
quanto non siano oggi, realizzandosi così un clima più umido. Questo può senz’altro essere vero,
anche grazie alla presenza di foreste molto più estese. Si sa che le grosse
concentrazioni di piante arboree contribuiscono molto al clima ed alle
precipitazioni, producendo da sé nuvole sopra se stesse, di cui si servono per
la propria esistenza e sopravvivenza. Ma va da sé che – una volta ridotte le grandi
distese di piante arboree – la questione sicuramente è destinata a cambiare. Il
ritrovamento di grandi asce di pietra in siti Corsi e Sardi del Neolitico Medio
(Bonu Ighinu) suggeriscono il progressivo abbattimento di foreste e strumenti
per la macina indicano l’agricoltura cerealicola come l’obiettivo finale
dell’opera[16].
Resta comunque il fatto che le
caratteristiche di bontà del suolo e l’orografia generale non facilitano la
coltivazione e non permettono colture come quelle della Mitteleuropa. Malgrado
ciò, i ritrovamenti di resti di maiale, di pecora e capra, oltre che prolagus,
testimoniano la presenza crescente di pastori ed allevatori, tra i cacciatori[17].
Il Bronzo.
Nel periodo del Bronzo iniziale, la popolazione umana non
era molto numerosa in Europa.
In Inghilterra si ipotizzano 0,5 abitanti/Kmq, equivalenti a
20,000 -100.000 (Brothwell 1972, 79); in Polonia e Germania, circa 0,86 ab/Kmq,
il che per la Pomerania equivarrebbe a 30.000 (Ostoja-Zagòrski, 1982), e per la zona del Lausitz (79.443 Km2)
a 97.000-195.000 (Buck, 1997).
La zona nord
Italiana delle Terramare conterebbe da 18.000 (Bronzo Medio 2) a 29.000 (BM 3),
fino a 31.000 nel Bronzo Tardo.
In genere si concede che la densità sia andata aumentando
rapidamente tra il Bronzo Antico ed il Bronzo finale. In certe regioni
(Slovacchia), nella parte iniziale del Bronzo Finale si sarebbe passati da una densità di 0,43 a 1,16
/Kmq[18].
Anche utilizzando medie di 2 ab/Kmq (sicuramente errate per eccesso, se applicate alla Sardegna, secondo quanto detto
sopra) si otterrebbe, per la Sardegna “nuragica” una cifra totale di soli 48.000 abitanti, che – pur essendo
solamente indicativo – appare comunque molto più realistico di
altri numeri proposti in precedenza altrove.
Questo numero, per quanto ridotto,
rappresenterebbe egualmente un notevole incremento rispetto alla popolazione
sarda precedente: infatti, si calcola in 700 - 1800 individui il numero
complessivo d’esseri umani precedentemente presenti in Sardegna, nel periodo
del tardo Paleolitico[19]. Anzi, alcuni pensano che alcuni gruppi di visitatori del paleolitico fossero così poco numerosi da essersi estinti senza lasciare alcun esito di sé nel genoma attuale sardo. L’incremento sarebbe dovuto al successo economico, sociale, alimentare,
sanitario ed in ultima analisi demografico globale dei “Nuragici” (Sardi del
Bronzo Medio). Il rilevante miglioramento da essi ottenuto nelle loro
condizioni di vita ha definitivamente scongiurato l’estinzione della
popolazione.
Già nel Tardo Neolitico (S.
Michele di Ozieri) le tracce archeobotaniche seppure scarse, vedono densità e
localizzazione degli insediamenti deporre a favore della soluzione agricola:
molti villaggi, con capanne di rami intrecciati, argilla, peli d’animale,
sterco e fango (“wattle and daub”, una
tecnica ancora in uso ai tempi di Sheakspeare); pestelli, mortai e macinelli,
vasi e vari recipienti per conservare derrate, e falci confermano la tesi[20].
È questo il periodo in cui si ritiene inizi a formarsi una gerarchia sociale,
differenziandosi così la popolazione da quella non stratificata ed ugualitaria
del Neolitico Antico e Medio[21].
Controllo.
Si tratta, però, come si vede, di
numeri oggettivamente esigui, per un territorio così vasto. Ecco, allora, che controllo
visivo del territorio non può in alcun modo
significare, in queste condizioni, anche controllo militare in senso stretto. Stiamo senz’altro parlando –
ricordiamolo – d’epoche in cui i grandi numeri non erano mai grandi nel senso attuale del termine[22].
Alcuni esempi di “grandi
numeri” errati.
Contrariamente a quanto
riferito da Erodoto nel II libro delle Storie e dalla Bibbia le grandi piramidi
di Giza non furono costruite da schiavi ma da uomini liberi. La sorprendente scoperta
è dovuta all’individuazione di un’altra necropoli nelle immediate vicinanze
delle tombe dei faraoni destinata ad ospitare coloro che avevano lavorato
all'edificazione delle piramidi. Il fatto che “queste tombe siano costruite
accanto alle piramidi dei re (tra quella di Cheope e quella di Chefren) indica
che queste persone non potevano essere in alcun modo degli schiavi”, ha
spiegato Zahi Hawass, il sovrintendente capo delle Antichità egiziane. Le prime
sepolture d’operai vennero scoperte negli anni ‘90. Nel sito portato alla luce
ora sono state ritrovate delle iscrizioni in cui gli operai si definiscono
“amici di Cheope”, un ulteriore elemento per Hawass per avvalorare l'ipotesi
che non si trattasse di schiavi. L’altra grande novità è che gli operai erano
10.000, un decimo di quelli indicati da Erodoto. Alla stima si è giunti grazie
al ritrovamento del resoconto della fornitura giornaliera di cibo per i
lavoratori: i contadini del delta del Nilo, in cambio dell'esenzione dalle
tasse, inviavano ogni giorno 21 bufali e 23 pecore al campo.
Si deve considerare che nel 2300 a.C. l’esercito del
temutissimo Sargon d’Akkad rappresentava per dimensioni il massimo sforzo
possibile ad una nazione, tanto da potere essere utilizzato solo per brevi
periodi all’anno[23]. Contava
solo 5.400 uomini! E rimase comunque un’eccezione mostruosa, in un mondo in cui
la regola era e restò fatta di eserciti molto, molto più piccoli, ancora per
lunghi secoli… Fino all’età del Ferro ed alle armate di 100.000 uomini dei
Faraoni.
C’erano davvero 1184 navi greche dinnanzi a Troia,
come sostiene Omero? Oppure 102.000 uomini a bordo, come asserisce Tucidide
circa 400 anni dopo?
E’ improbabile.
Gli Ittiti avevano 47.500 uomini alla battaglia di Qadesh nel 1274 a.C. (si
tratta di uno dei più grandi eserciti menzionati nell’Età del Bronzo dai testi
storici). Per le forze navali, si dice che Ugarit avesse molte più di 150 navi
nel 1187[24].
Conseguentemente, la flotta greca in Aulide poteva anche contare alcune
centinaia di navi, ma non 100.000 uomini. Una stima più realistica valuta tale
numero attorno a 15.000[25].
Un numero per cui circa 300 navi sono sufficienti.
Comparativamente, quindi, i riferiti numeri ridotti
qui proposti per la popolazione globale sull’isola sarda, non devono stupire
più di tanto: pur costituendo un’ipotesi, essi sono giustificati da assunti
ragionevoli. E – cosa importante – non escludono affatto quello che da più
parti si desidera affermare: la navigazione, i commerci, le capacità belliche
ed altro ancora: riportano solamente i numeri a valori più credibili per
l’epoca.
Questo potrebbe anche spiegare
perché – anche a fronte di prove archeologiche (indirette, ma credibili)[26]
dell’esistenza di una navigazione definita “Nuragica” (ma in realtà risalente
al Bronzo Tardo! I costruttori di nuraghi erano invece del Bronzo Medio, almeno, se non precedenti) – i
Fenici siano egualmente riusciti, nell’800 – 900 a.C. circa a colonizzare le
coste della Sardegna, stabilendo fondaci per la propria più efficiente
navigazione commerciale, probabilmente un’iniziativa internazionale, aperta al
reclutamento multietnico degli equipaggi. Ciò non è naturalmente in alcuna
contraddizione con la grande vetustà della navigazione nel Mediterraneo
Occidentale ed anche in Sardegna, che risale ancora a prima del commercio
dell’ossidiana sarda[27].
Naturalmente, la cosa sembra del tutto impossibile a chi ipotizzi numeri molto
più grandi di guerrieri nuragici armati fino ai denti e detentori di una flotta
estremamente aggressiva e padrona del Mediterraneo[28].
Il numero di 48.000 abitanti –
qui ipotizzato per un breve periodo del
Nuragico e certo destinato a cambiare crescendo nel tempo – può essere
sicuramente discusso e analizzato più a fondo. Considerando che – nelle società
del Bronzo – il numero di maschi in età da guerra (18-49) è circa il 20% del
totale, questo numero ipotetico permetterebbe fino a 9.600 “guerrieri sardi”,
che non sono affatto pochi, per l’epoca.
Vedere – per sola ipotesi – un
bel mattino 9.600 marinai armati e organizzati sbarcare di sorpresa da numerose
navi (circa 190, in questo caso) sulle coste del proprio paese, non avrebbe
costituito una bella esperienza proprio per nessuno. Nella realtà, gli storici
ipotizzano, come massimo possibile, ondate di 5000 uomini in 100 navi[29].
Sembrerebbe che proprio questo abbiano
fatto, solo per un breve periodo della Storia, i cosiddetti “Popoli
del Mare”, ai quali qualcuno vorrebbe –
impropriamente – imparentare i nuragici. E comunque, i cosiddetti Popoli del Mare (come spiegato altrove) non erano 'popoli' e non erano 'del mare': sicuramente non erano né pirati, né marinai guerrieri.
Ma si tratterebbe comunque di
attività che non sono durate affatto alcune decine di secoli, bensì tra dieci e
cinquanta anni e che non garantivano – ad un singolo popolo – un pieno possesso
di un mare esteso come il Mediterraneo, anche se potevano renderne certamente
impercorribili alcune rotte. L’attività piratesca è stata attribuita anche ai Sardi, ma in un periodo di
molto successivo a questo: cioè 1500 anni dopo[30].
Ricostruzione di un guerriero 'Sherden' |
Quindi, se da una parte non si
vuole certo negare l’esistenza del “guerriero nuragico”, dall’altro si ritiene
necessario dare le giuste dimensioni a sopravalutazioni circa la
“talassocrazia” nuragica e si può ritenere in ogni modo escluso che i
“Nuragici” (Sardi del Bronzo Medio) vivessero esclusivamente di pirateria, pur
in un mondo in cui tutti la praticavano, saltuariamente. Infine, l’equazione
Nuragici = Shardana è errata e antistorica[31]…
Un’altra obiezione che si
potrebbe muovere a quanto sopra, consiste nel dichiarare impossibile che una
popolazione così piccola abbia costruito
così tanti nuraghi. Alcune
considerazioni demoliscono tale critica, che – pur sembrando lecita – è frutto
d’errore metodologico[32]…
Breve riassunto storico.
Le successive vicende dell’isola
sono un po’ meno importanti, ai fini di una definizione di ciò che descriviamo
come “nuragico”, ma vale la pena di riassumere brevemente i fatti essenziali.
La colonizzazione fenicia ebbe
modo di proseguire, dopo qualche alterna fortuna di cui possediamo memoria, ad
opera di una colonia fenicia in Tunisia: Cartagine (che non si estese a tutta
l’isola, arrestandosi al Tirso). In seguito all’instaurarsi del predominio
romano nel Mediterraneo, caduta Cartagine, la Sardegna fu romanizzata in modo
completo (anche se la presenza romana nell’interno sarà stata certamente più
“morbida” che non nei siti che oggi chiameremmo strategici), cosa attestata dal
fatto che le varie versioni della Lingua Sarda sono in realtà tutte romanze. Se una parte della Sardegna potesse vantarsi a
ragione di non essere mai stata conquistata e di avere conservato il proprio
precedente idioma, avremmo oggi almeno un dialetto sardo non romanzo[35].
Già dal 1941 la Sardegna è stata oggetto di studi su differenziazione
linguistica e differenziazione dei cognomi. I dialetti dell’isola sono
risultati essere tutti romanzi, ma contenenti termini che provengono da un
substrato pre-indoeuropeo, d’origine sconosciuta[36].
Al momento sembrerebbe legittimo pensare che la prima lingua indoeuropea mai
parlata in Sardegna sia stata quella Latina: ma vi sono autorevoli opinioni
contrarie[37]. Si
dovrebbe supporre pertanto che gli immigrati Neolitici parlassero anch’essi una
lingua non indoeuropea, come i Paleolitici, oppure (ma meno probabilmente) che
fossero così poco numerosi da non potere imporre la propria lingua indoeuropea.
Vandali, Bizantini e Saraceni
seguirono alla caduta dell’Impero Romano. Una qualche forma di “dominazione”
araba (più che altro scorrerie costiere) continuò fino al X secolo.
Quindi l’isola si trovò soggetta
al controllo di Pisa, seguito da quello di Catalogna ed Aragona ed infine fu
sotto il Regno di Savoia. Queste ultime dominazioni hanno lasciato proprie
colonie in zone limitate dell’isola, in cui sono anche oggi presenti le loro
tracce linguistiche. Un’area di lingua Catalana nel nord-ovest ha centro in
Alghero; una di lingua ligure-piemontese nel sud-ovest è identificabile in S.
Pietro e S. Antioco; nel nord-est esiste una colonia toscana.
Un po’ di genetica.
Le tracce genetiche che tutti
questi invasori hanno lasciato, sono però limitate, contrariamente a ciò che si
potrebbe pensare. Si realizza cioè un quadro composito – sì – di popolazione,
ma non così evidente come quello che ci si attenderebbe da un flusso genico
imponente, caratteristico di un apporto
abbondante di geni da parte di colonizzatori che si mescolano o addirittura si
sostituiscono alla popolazione originale:
anzi, tutto il contrario[38]…
La causa più importante, a
giustificazione della considerevole differenza tra i Sardi e le altre
popolazioni (europee o africane) è la “deriva genetica”, perché numerosi geni presentano
frequenze molto differenti dalle medie di diverse regioni europee o africane[39].
Un tipo particolare di deriva
genetica è dato dal fenomeno detto “collo di bottiglia”, che si ha quando il numero d’individui facenti
parte di una popolazione viene ridotto drasticamente da forze
atipiche nella selezione naturale (caccia,
persecuzioni, guerre). Solitamente comporta una critica riduzione della
variabilità genetica, e tende ad eliminare alcuni alleli[40]
totalmente, ma soprattutto a far sì che altri, rari, vengano rappresentati
stranamente in eccesso rispetto al normale nel pool genetico.
Alcuni esempi possono essere
utili[41].
In Sardegna si riscontra:
1) la più bassa frequenza del
gene RH negativo (il 20%), rispetto alle
altre regioni del Mediterraneo. 2) Si ha anche la più elevata frequenza
mondiale del gene MNS*M (78%).
3) Il gene HLA*18 presenta la frequenza più elevata nel mondo.
4) In Sardegna esiste inoltre
un’alta frequenza di una particolare variante molecolare della Beta
Talassemia (ß39), che ovunque
altrove è rara.
Esistono molti altri esempi, che
dimostrano come la popolazione Sarda (di ieri, ma anche d’oggi) sia una
popolazione diversa geneticamente.
Forse anche il tipico “occhio sardo” ne è
una prova a livello fenotipico (esteriore): in breve potrebbe essere il
risultato di quella che Cavalli-Sforza definì “selezione sessuale” di un tratto fisico che è
particolarmente gradito in un gruppo umano.
A chi assomigliano di più –
dunque – i Sardi d’oggi?
Studi genetici, che risalgono già
al 1975[42]
e che sono stati man mano aggiornati nel tempo, dimostrano che i nordafricani non hanno contribuito in modo rilevante al pool genetico
sardo. Italia e Grecia sono probabilmente state le sedi d’origine dei primi
occupanti, che risalgono al Neolitico o pre-neolitico. E’ vero che gli uomini neolitici
provenivano in ultima analisi dal Medio Oriente e dall’attuale Turchia, ma è
altrettanto probabile che il loro genotipo si sia diluito con quello delle
popolazioni mesolitiche locali, nell’attraversamento lento della Grecia e
dell’Italia meridionale.
Affinità sono state reperite con i Baschi, come è noto. Ma le interpretazioni che alcuni linguisti hanno desunto da questo sono state esagerate e vanno considerate strumentali.
I moderni Libanesi sono i più
diretti discendenti dei Fenici, di cui troviamo oggi il piccolo apporto – oltre
che in molti punti del Mediterraneo – prevalentemente nel sud dell’Isola Sarda[43].
È interessante notare che non
sono ancora state studiate le somiglianze genetiche che qualche autore ha
rilevato tra Sardegna ed alcune zone del Caucaso (zona ancora poco studiata dal
punto di vista genetico)[44].
Riassumendo quanto sopra, i
protosardi del tardo paleolitico con idioma non indoeuropeo furono così poco
numerosi che su di essi ha agito in modo considerevole la deriva genetica (insisto sul fatto che la Deriva vada ben conosciuta e studiata dai non addetti alla Genetica, prima che essi s'azzardino a parlarne o ad esprimere proprie valutazioni in merito: essa risponde a leggi precise ed obbligate, ineludibili come sono la Gravità nella Fisica, la Nascita e la Morte nella Biologia); gli
immigrati del Neolitico (anche loro non indoeuropeo parlanti) apportarono
senz’altro nuovi geni, ma erano con ogni probabilità poco numerosi anch’essi,
per cui anche su di loro ha agito la deriva. Su ambedue (più certamente sui
secondi) dobbiamo tenere presente anche il cosiddetto “effetto dei fondatori”[45].
Solo più tardi, proprio con il
piccolo miracolo economico e demografico dei “nuragici”, cui non fu estraneo,
forse, il fenomeno genetico del “lussureggiamento degli ibridi” si giunge a quella densità di popolazione
sufficiente a fermare la deriva genetica e mantenere le frequenze geniche
pressappoco ai livelli attuali.
La durata della vita.
Per la Sardegna abbiamo troppo pochi dati. La
Paleopatologia ci ha mostrato la presenza di numerose malattie, anche gravi[46].
L’iperostosi porotica[47]
è stata messa in realzione alla Malaria. Parallelamente, ci ha mostrato
l’efficacia di una nascente medicina naturale.
La vita media
doveva essere molto breve, nel periodo Nuragico, con ogni probabilità alquanto
inferiore ai 40 anni. Le cause di morte erano molto differenti da quelle
d’oggi, ma anche molto più numerose (Elevatissima doveva essere la mortalità
infantile). Per comprendere quanto il quadro eziopatologico si sia modificato
da allora, basti pensare soltanto alla catena del freddo ed agli antibiotici, (ma anche ai traumatismi della strada e alle malattie degenerative).
Disponiamo di circa 113 iscrizioni etrusche di epoca
tarda (200 - 50 a.C.) in cui le date di durata della vita sono espresse in
cifre (sarebbero 130, ma si debbono escludere quelle nelle quali le cifre non
sono certe in quanto danneggiate). Provengono quasi tutte da Tarquinia e da Volterra,
le due uniche città in cui si sia per qualche motivo affermata l'usanza di
indicare l'età del defunto sull'epitaffio. Quelle in cui l'età è indicata in
lettere non sono abbastanza sicure - date le incertezze d'interpretazione delle
stesse. Se ne deduce che - per gli Etruschi di quell'epoca - la durata media
della vita era di 40, 88 anni (41,09 per i maschi e 40,37 per le femmine).
Il confronto con altri paesi è confortante: Africa
settentrionale: 45,37; Spagna: 36,2; La città Gallo Romana di Bordeaux: 35,7; (questi
valori non tengono conto della mortalità infantile, che probabilmente
imporrebbe una riduzione ad un sesto).
Questi valori ci sorprendono comunque ed esprimono la grande vitalità del
popolo Etrusco anche se ormai giunto nei pressi del declino, specialmente se li
paragoniamo alla “spettanza” di vita verso il 1800 in Europa che era 30 anni
(oggi è circa 65).
In Italia, nel 1900 era di 44,2 e di 44,8 per le
donne. Nel 1950 rispettivamente di 53,7 e di 56 anni. Adesso, come si vede, la
spettanza di vita è più lunga nel sesso femminile, rispetto al maschile.
Certamente questi dati si riferiscono ad epoche
molto differenti da quelle che noi prendiamo a cuore ed in esame, ma ci fanno
almeno capire quanto inaspettatamente possano modificarsi le situazioni
biologiche rispetto alla linearità della nostra logica...
Al momento, la popolazione sarda
attuale – pur portando ancora in sé ben riconoscibili quei geni che la
imparentano in modo indissolubile con i suoi antenati dell’età del Bronzo (e quelli del Paleolitico) – è
tuttavia esposta ad un fenomeno di amalgama globale, che tende a cancellare
tutto ciò che è retaggio dei tempi antichi: tradizioni, lingua, ricordi e
genoma. E’ un fenomeno planetario: se ne può prendere coscienza, ma è di fatto
inarrestabile. Un buon esempio di ciò è la scomparsa dei linguaggi.
Oggi sopravvivono circa 6.000
lingue delle circa 15.000 che si parlavano ancora solo 500 anni fa. Anche se le
prime a sparire saranno i circa mille dialetti aborigeni, che il governo
australiano ha recentemente deciso di difendere introducendone lo studio nelle
scuole, il futuro di molte altre lingue appare nero: se ne prevede la scomparsa
entro la fine del secolo.
Torniamo al nostro corsivo
precedente: il gruppo di parlate
che si estende nella media valle del Cedrino, fino al versante
settentrionale del Gennargentu, comprende il “gruppo di Fonni” del Wagner ed il
“gruppo B” di W. Bellodi. Include i dialetti di Oliena, Orgosolo, Mamoiada,
Fonni, Ovodda, Lodine, Gavoi, Ollolai, Olzai. Anche se la zona linguistica è
oggi un po’ frammentata, essa è contraddistinta da quel tratto fonetico
descritto come “colpo di glottide”. L’area geografica comprende zone al livello
del mare o quasi (Oliena) ed altre a circa 1000 metri al di sopra di esso
(Fonni, Ollolai). Comprende, insomma zone basse in cui fare svernare le greggi
e zone alte adatte ai pascoli estivi: un territorio che nell’antichità avrebbe
potuto permettere la vita di una Tribù, una Federazione di Clan, una “Civitas
Barbarie”, che avrebbe potuto effettuare la transumanza all’interno del proprio
territorio, senza creare problemi all’amministrazione imperiale romana. Non
c’interessa qui seguire i destini di questa entità fino alla sua frammentazione
negli anni bizantini: Zabarda ed Ospitone e le lettere di Gregorio Magno. C’interessa
invece sottolineare che se ne ipotizza da parte di alcuni l’unità
etnico-linguistica antichissima, fino dai tempi del Paleolitico Superiore[48].
La varietà Centro-Orientale del Sardo (Baronia: Siniscola, Orosei, Galtellì,
Irgoli, Loculi, Onifai, Dorgali; Circondario di Bitti: Urzulei, Lodè, Lula,
Onanì, Bitti, Orune; Nuorese: Nuoro, Oliena, Orgosolo, Lollove, orotelli,
Oniferi, Orani, Sarule, Ottana; Barbagia di Ollolai: Mamoiada, Gavoi Ollolai,
Olzai, Ovodda, Lodine Fonni) costituirebbe oggi ciò che resta di una lingua
parlata probabilmente dagli Illesi fin dalla loro più antica formazione. Che
poi fossero definiti in seguito “Luquidonenses” dall’esistenza di un “Portus
Luquidonis”, tanto da meritarsi oggi il termine di variante “Logudorese” del
Sardo, poco importa.
La Sardegna – secondo
un’ipotesi espressa con garbo persuasivo da W. Bellodi – si sarebbe formata da
tre antichi gruppi etnici distinti, i quali, anche grazie ad isolamento e ad
atteggiamento isolano conservativo e resistenziale, avrebbero dato origine agli
attuali Gallurese, Logudorese e Campidanese. Le differenze esistenti tra paesi
estremamente vicini (Siniscola-Torpé-Posada) e le similitudini tra paesi più
lontani (Orosei-Siniscola-paesi dell’altopiano di Bitti) sarebbero spiegabili
proprio con i movimenti di
transumanza all’interno del territorio di una popolazione indigena che
possedeva una particolare abitudine fonatoria/articolatoria, tanto radicata da
mantenersi nel tempo. Dalla Baronia di Orosei, percorrendo la strada di Lula
attraverso la valle del Rio Sòlogo, si giunge all’altopiano di Bitti; Da
Siniscola, attraverso il valico di S. Anna, si raggiunge il medesimo altopiano
dalla parte di Lodé.
La presenza d’alcune sontuose
regge nuragiche – per quanto orrendamente offese dagli scavi clandestini e dal
tempo – quali il sopraccitato Nuraghe Osana ed i suoi satelliti, lasciano
immaginare ancora oggi quale potesse essere l’estensione del territorio di
un’antica comunità sarda.
Queste considerazioni
riassuntive, potranno essere in definitiva più o meno comprensibili e forse
poco condivisibili da parte di alcuni, ma è quanto di più verosimile si può
dire allo stato attuale sull’entità della popolazione protosarda. Una
popolazione che non ha certo bisogno d’invenzioni o di pura fantasia per entrare
di diritto nella Storia dell’Uomo e del Mediterraneo in particolare, con
l’avere fondato la Prima Grande Civiltà del Mediterraneo Occidentale, alla
quale molto devono tutte le successive[49]...
E’ una popolazione di cui
obiettivamente sappiamo ancora pochissimo.
Con un nome di nostra invenzione
li definiamo “Nuragici”, ispirandoci al
nome che noi oggi diamo ai resti delle loro Torri monumentali per le quali –
con ogni probabilità – essi avevano un loro nome comune diverso, di cui forse
non conosceremo mai il suono, che esso sia indoeuropeo, oppure no.
Erano certamente pastori ed
allevatori, pacifici e laboriosi. Certamente sapevano combattere e difendersi e
la storia ce ne restituisce prove indubbie.
Furono - soprattutto - una popolazione fatta di persone, come te e me, con le stesse paure, le medesime necessità e debolezze, le stesse aspirazioni: ma furono tosti e capaci, tanto che il loro DNA esiste ancora: e questo non puoi dirlo per gli Etruschi, che furono più recenti, più fortunati per la terra fertile che ebbero in dono dal caso, più famosi perché già in periodo storico.
Essi ebbero un sicuro successo biologico e antropologico, il che depone per il grande successo della loro Cultura, che è stata definita la prima grande Civiltà del Mediterraneo Occidentale, non a torto.
Il loro bagaglio culturale non si esaurisce nel fatto edilizio, Nuraghe e Tomba dei Giganti: esso è anzi un bagaglio complesso, multiforme, che comprende tutte le svariate cognizioni di cui si giovò la Tirrenia Antica successiva: g
li Etruschi ed i Romani specialmente.
[1] Esistono
numerose ipotesi, tutte indimostrate. Le più diffuse si basano sull’omofonia
tra il termine “Sardegna” e Sardw, Sandon e Sandaliotin. Qui, il termine è riferito ai
veri costruttori dei nuraghi e quindi ad alcune generazioni di sardi del Bronzo
Medio solamente.
[2] Dopo avere
eliminato molte popolazioni poco studiate, l’analisi dell’albero filogenetico è
stata condotta su 26 popolazioni, con un 26,4 % di dati mancanti ed un numero
medio di geni pari ad 88.
[3] Non è
possibile riportare qui i metodi analitici genetici ed i calcoli che portano a
questa data: un’ottima esposizione si trova in: “Storia e Geografia dei Geni
Umani”, pp 45 – 180 - L.C. Sforza, Ed. Adelphi – 1997.
[4] La
Navigazione Antica sarà argomento di un prossimo articolo.
[5] 4Cherry,
J.: “The first colonization of
the mediterranean islands: a review of recent research”. Journal of Mediterranean Archaeology, 3
(2):145-221 - 1990. 4Vedi anche più oltre.
[6] Mc Evedy, C.
e Jones, R. “Atlas of World Population History” – 1978 – Penguin Books, New York.
[7] Clark,
J.G.D. “Starr Carr: A case study in Bioarchaeology”- 1972 – Menlo Park, Calif., Vol X, pp. 1-42.
[8] Spoor, C.F.
e Sondaar, P.Y. (1986) Human fossils from the endemic island fauna of
Sardinia, in “Journal of Human Evolution”,
15, pp 399-408.
[9] Si trascurano
volutamente qui i ritrovamenti precedenti ancora controversi, oppure non
riguardanti con certezza la presenza di H. Sapiens Sapiens (Sondaar 1995 e
1998; Arca 1982; Bonifay 1994; Martini 1992; Hofmeijer e Sondaar 1992 e 1993).
[10] Ed anche
fuori di esso: i Broch scozzesi (Torri
dell’Età del Ferro) ad esempio, per i quali esiste la stessa diatriba circa la
funzione d’uso, la tecnica di costruzione, etc. La più antica torre mai
costruita appartenne probabilmente alle mura di Gerico (8.000 a.C.). La somiglianza
tra le varie torri è un semplice fenomeno di convergenza (per esempio: due orecchie ed un naso determinano sempre
occhiali con due lenti, che si appoggiano su naso ed orecchie, anche tra
popolazioni che non si sono culturalmente influenzate).
[11] Ma la
questione è ancora aperta: è stato recentemente proposto di spostare tale data
al 1.800 a.C. secondo i ritrovamenti di Santadi (G. Tanda). Manca propone date
anche più antiche.
[12]
Naturalmente, esistono ipotesi con cifre due, tre, persino dieci volte multiple
di queste.
[13] Con fumo,
fuoco (utile di notte), oppure segnali con panni (colorati e no) o riflessione
dei raggi solari su superfici lisce riflettenti, ad esempio di bronzo.
[14] Anche un
occhio inesperto non può fare a meno di notare l’estrema feracità
dell’altopiano lavico da una parte, contrapposto alla scarsa e più lenta
accoglienza che il Monte Tuttavista offre alla colonizzazione vegetale.
Sicuramente osservazioni del genere erano molto più facili per coloro la cui
vita dipendeva da esse.
[15] Ammerman,
A.J. e Cavalli Sforza, L.L. “La Transizione Neolitica e la Genetica di
Popolazioni in Europa” – 1986 –
Boringhieri, Torino.
[16]
Lanfranchi,F. 1990 – “L’alimentatio des hommes prehistoriques.Preparation et
consommation de quelques especes vegetales”.
Archeologia Corsa 12-13 (1987-88):46-53.
[17] 4Levine,
M 1983. La fauna di Filiestru (Trincea D). In Trump, D.H., La grotta di
Filiestru a Bonu Ighinu, Mara (SS): 109-31.
Quaderni 13. Dessì Sassari.4Vigne, J.D. 1988. Les
Mammiferes Post-Glaciares de Corse, Etude
Archeozoologique. Gallia Prehistoire
Supplement 26. C.N.R.S., Paris.
[18] A.F.
Harding “Europeans Societies in the Bronze Age” – 2000 – Cambridge Univ. Press.
[19] Numeri che
rispondono alla definizione di “collo di bottiglia” e per i quali l’estinzione è una possibilità reale.
[20] Lewthwaite,
J. 1983 Neolithic societies and their Landscape 6000-2000 b.C. 146-83 Edimburgh Univ Press. – 1984a Animals
and Archaeology 3: Early Herders and their flocks: 25-37. BAR Internat Series 202. Brit. Archaeol Reports, Oxford. –
1984b Progress in Mediterranean Studies Univ of Bradford.
[21] Lewthwaite,
J. 1984 c Pastore Padrone: the social dimensions of pastoralism in prenuragic
Sardegna., The Deya Conference of Prehistory. Early settlements in the
Western Mediterranean Islands and their peripheral Areas: 251-63 BAR International Series 229 Brit. Archaeol. Reports, Oxford.
[22] Una certa
retorica isolana d’oggi, invece, ricorda le esagerazioni Erodotee delle
“Storie”: per esempio, il prosciugamento dei fiumi quando i cavalli dell’esercito
persiano s’abbeveravano. Le statue di Monte Prama non sono “giganti”: sono in
dimensione quasi naturale, così come il “monte” è una collina….
[23]
Disattendere i confini nazionali rappresentava un rischio molto minore e certo
di quanto non fossero invece l’abbandono del lavoro dei campi, l’allevamento e
l’interruzione degli altri mestieri artigianali.
[24] Texts
from Ugarit pertaining to seafaring, in:
Seagoing ships and seamanship in the bronze age levant, S. Wachsman , Texas A&M University Press, 1998.
[25] Barry
Strauss, La guerra di Troia, Ed Laterza,
2009, Bari.
[26] Si tratta
della presenza accertata, su coste spagnole ad esempio, di ceramica “nuragica”
d’uso quotidiano e senza valore (quindi non oggetto di scambio commerciale), ma
realizzata con impasto di terre locali. Un altro motivo logico per credere ad
una navigazione “nuragica” risiede nel fatto che la distribuzione geografica
stessa del Megalitismo ne dimostra la chiara vocazione marinara.
[27] Di ciò si
parlerà più dettagliatamente in un prossimo articolo, tutto dedicato alla
navigazione.
[28] Costoro
ricorrono agli espedienti più vari: c’è chi scotomizza del tutto il problema,
negando l’esistenza dei Fenici, e chi li sostituisce con gli indomiti e
numerosissimi Shardana, talvolta identificati con i Nuragici, talaltra no;
talvolta provenienti da Est, talvolta “nati” in Sardegna e poi destinati a
viaggiare avanti ed indietro per il Mediterraneo.
[30]
Secondo Strabone, Pirati Sardi ed Etruschi corsero per il Tirreno: “Esistono
quattro popolazioni sulle montagne sarde: Paratoi, Sossinatoi, Akonites e
Balaroi. Vivono in grotte. Pur disponendo di alcuni terreni che producono
grano, essi non lo raccolgono con cura. Preferiscono razziare le terre degli
agricoltori. E non solo quelli dell’isola, ma anche quelli di Pisa”. (Strabone 225/5.2.7) Si tratta di una
testimonianza molto posteriore all’epoca nuragica: I secolo a.C.
[31] Come si
dirà in dettaglio in un prossimo articolo sui Popoli del Mare.
[32] Si
tralascia la trattazione dell’errore di metodo: ma basta – ad esempio –
chiedersi quanti risulterebbero gli abitanti della Sardegna oggi, a partire dal
numero di abitazioni esistenti sull’isola.
[33] Si segnala
che è anche stata – forse provocatoriamente – proposta una datazione d’inizio
del Nuragico nel 2.700 a.C.: G. Manca, Convegno del 12 Gennaio 2008 “Il
Paesaggio Nuragico”, Santa Cristina Paulilatino (OR).
[35] Concetto
convincentemente sostenuto da M. Pittau in varie sue opere.
[36] Wagner,
M.L. (1941), Historische lautlehre des Sardischen, Max Niemeyer, Halle (Saale). Johannes Hubschnid, Sardische
Studien (Bern 1953), Mediterrane
Substrate (Bern 1960), Paläosardische
Ortsnamen («Atti VII Congresso Int. di
Scienze Onomastiche», II, 2ª, pgg. 145-180, Firenze 1963), Thesaurus
Praeromanicus, I-II (Bern 1963, 1965).
[37] M. Pittau: “La Lingua Sardiana o dei Protosardi” (Cagliari 2001, E. Gasperini Editore) e “I
toponimi della Sardegna – Significato e origine”, II (EDES, Editrice Democratica Sarda, Sassari).
[38] Uno dei più
credibili motivi (di riduzione del flusso genico) è la presenza ormai nota agli
stessi invasori, perché di vecchia data, della Malaria. Anche altre malattie,
quali la peste in più riprese, hanno contribuito: gli invasori arrivavano
sull’isola perché costrettivi, come i condannati ad metalla (di fatto una condanna a morte) o all’esilio, oppure
erano militari; se sopravvivevano ripartivano quanto prima possibile, oppure
morivano, prima di potersi riprodurre e lasciare il proprio patrimonio genetico
sull’isola.
Dobbiamo prendere in considerazione anche l'interazione che si ha
sempre, tra individui con sistemi immunitari simili, quando questi vengono a
contatto dopo essere vissuti in ambienti differenti e separati per un tempo
sufficiente a sviluppare resistenze differenti.
L'infezione - o l'esposizione a germi che per un gruppo
sono innocui e di cui numerosi componenti sono portatori sani - riesce ad
uccidere moltissimi individui del gruppo che non ha mai avuto l'opportunità di
sviluppare difese. E senza alcuna necessità di scontri armati.
Tra l'altro, questo fenomeno potrebbe essere uno dei più
credibili motivi per cui il Prolago si è estinto (per esposizione a germi
portati dalle popolazioni di lepri e conigli introdotti in età storica dai
Romani).
[39] La Deriva
Genetica è l’effetto del caso (esempio
del lancio della moneta) sul pool genetico di una popolazione ed è tanto più
evidente quanto più piccola è la popolazione. In media, le monete danno
testa o croce con eguale probabilità. Però pochi lanci consecutivi con poca
probabilità daranno un numero eguale di teste e croci. I numeri non saranno
probabilmente uguali neanche per un numero di lanci consecutivi molto alto, ma
la discrepanza nel numero sarà molto piccola (in termini percentuali). Per
esempio: dieci lanci danno almeno 70% teste circa una volte ogni sei tentativi,
ma la probabilità di cento lanci consecutivi che danno almeno il 70% di testa è
solo una su 25.000 circa.
[40] L’allele
(per occhi azzurri, neri, castani, marroni) è ogni variante di sequenza di un
gene. Il genotipo di un individuo, relativamente ad un gene, è il corredo
d’alleli che egli si trova a possedere.
[41] Per la
terminologia di base ed una trattazione più ampia e completa, vedi “Sardegna
Antica”, n° 18.
[42] Piazza, A.
Sgaramella-Zonta, L. Gluckman, P. Cavalli-Sforza, L.L. (1975) Fifth
histocompatibility workshop gene-frequency data phylogenetic analysis, in “Tissue Antigens”, 5, pp. 445-63.
[43] P. Zalloua
e R. Hosri: “Phoenician Footprints in the Mediterranean Basin”- 2009 – Studio genetico in collaborazione con il
Genographic Project della National Geographic Society ed IBM.
[44] Piazza, A.
Cappello, N. Olivetti, E. e Rendine, S. (1988), The Basques in Europe: a
genetic analysis, in “Munibe
(Antropologia-Arqueologia)” 6, pp. 168-76.
[45] È l'effetto
dovuto all'instaurazione di una nuova popolazione da parte di un piccolo numero
di individui, che portano con sé solo una piccola parte della variabilità
genetica della popolazione originale. La nuova popolazione può quindi
differenziarsi dalla popolazione originale
sia geneticamente, sia fenotipicamente e in particolare può avvenire la
fissazione di alleli rari, portati da uno o più individui, con l’effetto di far
permanere determinati alleli nella popolazione. In casi estremi si pensa che
l'effetto fondatore possa portare alla speciazione e alla successiva evoluzione
di nuove specie. La nuova popolazione è spesso molto piccola, e quindi mostra
1) una maggiore sensibilità alla deriva genetica, 2) un aumento degli
accoppiamenti fra consanguinei, e 3) una scarsa variabilità genetica. È stato
descritto per la prima volta da Ernst Mayr in “L’evoluzione delle
specie animali” nel 1963.
[46] Da Germanà:
Ena e muros: 18 soggetti con iperostosi
porotica (ispessimento della teca cranica da malattia anemizzante, forse
malaria). Tafoni galluresi:
osteodistrofie (rachitismo); osteopatie (artrosi); sepsi (periodontopatie) e
carie. S’Iscia e sas Piras: 9
uomini, tre donne e due bambini, scarnificati prima della loro deposizione in
domu. Livelli staturali maggiori
(compatibilmente con la data più tarda), migliori condizioni igienico
sanitarie; malattie più rare (artrosi senile).
[47] Un
ispessimento delle ossa, molto visibile anche a livello del cranio, dovuta ad
una reazione del midollo emopoietico in seguito ad uno stato di anemia.
[48] M. Contini:
“Etude de Geographie Phonetique et de Phonetique Instrumentale du Sarde” Torino, 1987; e W. Bellodi: “Problemi di
Linguistica Sarda” – IRIS ed 2009 – Oliena
(NU).
[49] Probabilmente, in termini si organizzazione sociale, di cognizioni
tecniche edilizie, agricole e marinare, di valori morali e religiosi; possibilmente anche in altri campi in via di studio.