giovedì 8 agosto 2013

LIBRI LETTI - 2

Biddùstos. 
(Vetusti)


di 
Andrea Deplano







Foto di copertina, di Roberto Salgo

Tanti anni fa, dopo avere preso una 'bidonata' con un libro - che sembrava essere qualcosa, mentre invece era tutt'altro - lo buttai via (è l'unico libro che ho buttato via nella mia vita) e decisi che non ci sarei più ricascato.

Ho acquistato questo, caldamente raccomandatomi dal libraio, che 'lo stava leggendo e lo trovava interessante', mi ha assicurato... Non butterò via questo libro, ma cambierò libraio.

Costa 20 Euro ed include un CD con 18 canzoni sarde, alcune inedite e tutte - a mio vedere - piuttosto mal registrate (infatti sono spesso incomprensibili per gli stessi sardoparlanti).
L'autore, Andrea Deplano, dorgalese, si presenta nella IV di copertina come: "traduttore ed interprete, docente di lingua francese, autore di altri 10 libri e dal 2008 docente nei corsi Master di Lingua e Cultura Sarda presso l'Università di Cagliari.

Ne sconsiglio l'acquisto per una breve serie di motivi precisi, tutti importanti, di ordine pratico, metodologico e filosofico.

- Innanzitutto: il libro è in assoluto troppo costoso, per sole 19 pagine di testo (escludendo le pagine vuote e quelle della cosiddetta 'bibliografia', di cui riparlerò: il libro intero risulta essere, altrimenti, di ben 45 pagine): praticamente viene a costare più di un euro a pagina; (naturalmente, quindi, tutto dipende dal contenuto di queste poche pagine...).

- E' ispirato al deleterio movimento filosofico del 'Sardocentrismo', che negli ultimi anni avvelena spesso vari aspetti dell'ambiente sardo (che non si può pertanto definire 'culturale', in questo caso: gli intellettuali e la Cultura in Sardegna certamente ci sono, ma - appunto - sono tutt'altra cosa), con il proliferare di alcuni 'pensatori deboli', spesso autodidatti, che vedono il sole della Storia intera dell'Umanità nascere e tramontare, gravitando unicamente intorno alla loro troppo amata Sardegna, soltanto. (A questo proposito cito solamente una frase, indicativa. Nel tentativo di meglio illustrare il conservatorismo isolano - che ha permesso alla Sardegna di salvaguardare per i posteri numerosi e preziosi dettagli culturali quasi ovunque altrove del tutto scomparsi - l'autore  ricorre alla frase: "la costante resistenziale oroseina si afferma con forza". Non occorre essere fini esegeti per comprendere che la prima frase in grassetto (mia) rappresenta la realtà oggettiva, mentre la seconda (dell'autore) ne è l'espressione ideologicamente inficiata).

- La 'bibliografia' occupa le cinque pagine piene: 39, 40, 41, 42 e 43 ed è composta di ben 167 fonti. Essa riporta alcuni nomi di rispetto assoluto, altri un po' più discutibili, ed infine alcuni assolutamente impresentabili (non li cito per non inasprire ulteriormente questa già troppo spigolosa lettura). Vi compaiono inoltre i titoli di alcune riviste (senza la citazione del numero, né del mese o almeno dell'annata), che con vario merito o demerito si rifanno al motivo della cultura sarda e numerosi dizionari di vario tipo, oltre - naturalmente - alla Bibbia. Incidentalmente, l'autoreferenzialità dell'autore lo porta a citarsi ben otto volte. (laddove, ad esempio, Semerano figura solo 4 volte, Wagner e Pittau compaiono 5 volte).
A questo punto, è necessario introdurre una gravea nota critica circa il metodo con cui il testo è stato scritto e che ha motivato l'inserimento di tanto sproporzionata bibliografia.

1) Nel metodo scientifico (che l'autore dovrebbe conoscere, dato che insegna all'università) è considerata doverosa la citazione puntuale e precisa del paragrafo altrui dal quale è tratto (o almeno ispirato) il concetto espresso dall'autore nel suo presente lavoro. Si ricorre abitualmente a note a piè di pagina. Non in questo caso, in cui la lunga lista di 'lavori' altrui davvero appare - più di qualche volta - francamente immotivata e non correlata alla sua opera. Forse l'autore pretende che i suoi lettori vadano a rileggersi per intero tutte e 167 le opere citate? Mi sembra invece più probabile il caso che voglia farsi bello delle penne altrui.

2) Non si riesce poi davvero a comprendere per quale fastidioso e strano impedimento scrittorio l'autore sia stato così succinto e cioé: come è mai possibile che, con una bibliografia così vasta e varia ed imponente, egli sia riuscito a scrivere solamente un così breve testo. Specialmente se esso nasce come frutto ultimo di "oltre venti anni di studi ed indagini", come egli stesso riferisce (a pagina 13, ultimo capoverso, in una frase sgrammaticata composta di 84 parole, nella quale l'unico fatto memorabile è il tempo di apnea necessaria per riuscire a leggerla ad alta voce con successo).

Conservo per ultima la critica che considero più grave.
Andrea Deplano riferisce come praticamente tutte le espressioni che caratterizzano  il 'Canto a tenore' sardo siano di derivazione sumero-accadica, anche in quei casi nei quali i vocaboli si presentino come evidentissimi derivati dalla lingua latina o greca (alligrittu, andira, boche 'e notte, crapòla, cuncordu, gùtturu, seria, tenore, tertzu, tumbare, turturinu, Vardeina etc...). Senza eccezioni, trova significati completamente diversi (e per quanto mi riguarda, del tutto inventati) da quelli comunemente noti ed abitualmente riconosciuti, per tutti i vocaboli che esamina, meglio di come farebbe un valido studioso delle lingue antiche, cosa che lui - in realtà - non è affatto.

Ora, un ricercatore serio può - in casi fortunati - sempre riuscire a dimostrare qualche propria ipotesi di lavoro. Dopo molti anni di ricerche (e questo, a detta dell'autore, potrebbe anche essere il caso) il ricercatore può anche produrre numerosi risultati positivi.
Ma nessuno mai - proprio nessuno, per quanto bravo egli sia - riesce ad ottenere solamente ed unicamente successi completi, nella propria ricerca a partire dalle proprie ipotesi di lavoro. 
La ricerca vera è condotta infatti per tentativo ed errore: più o meno spesso essa percorre strade che - alla fine - si dimostrano essere sbagliate. 
L'utilità (grandissima!) dell'errore sperimentale scientifico sta proprio nell'indicare - in modo scientificamente documentato, per essere totalmente convincenti - agli altri ricercatori di non infilarsi anch'essi lungo quella strada infruttuosa, per non perdere tempo.
In questo caso, il 'ricercatore' non ha mai esitazioni, né dubbi - e dimostra con facilità tutto ciò che vuole dimostrare.
Questo è il metodo dell'Armata Brancaleone Sardocentrista, i cui esponenti sono ormai ben noti.

Non bisogna assolutamente mai credere a chi - come in questo caso - riesce a dimostrare con successo pieno la totalità delle proprie ipotesi di partenza. Questo libro non è da comperare, a meno che non si voglia aggiungere un altro tassello (musicale?) al proprio studio sulle bufale epigrafiche, archeologiche, antropologiche ed etnologiche..