mercoledì 9 ottobre 2013

Sardegna/Atlantide

MERCOLEDÌ 9 OTTOBRE 2013


Convegno sulla Sardegna nuragica: «Nessuna Atlantide e nessuno tsunami»


Può mai la Sardegna identificarsi con la mitica Atlantide?
E la fine della civiltà nuragica può addebitarsi a un catastrofico maremoto che avrebbe invaso le pianure del 
Campidano e della Marmilla?








Entrambi i quesiti sono respinti con un "no" reciso e secco, accompagnato da argomentazioni e risultati di ricerche scientifiche da un consesso multidisciplinare: si tratta di archeologi, geologi e antropologi (ai quali possono aggiungersi paleoclimatologi, dendrocronologi, storici, paleobotanici: tutti possiedono elementi sicuri che offrono evidenze al "no"). 
E quanto emerge dal convegno “Atlantide e i Nuraghi” svoltosi nella sala convegni al Parco di Monte Claro, organizzato dalla Biblioteca Provinciale di Cagliari e curato da Pierluigi Montalbano.

Un tema che suscita dibattiti e ricerche e divide gli esperti. Alcuni favorevoli, altri, come quelli riuniti a Cagliari, assolutamente contrari.
















Il geologo Antonio Ulzega esordisce: "La Marmilla è composta di sedimenti marini a strati risalenti a centinaia di migliaia di anni fa, per questo si trovano ancora resti di conchiglie e altri fossili. E la gigantesca onda marina che provocò morte e distruzione sino ad arrivare alla barriera dell'altipiano della Giara di Gesturi ponendo fine alla civiltà nuragica? In Sardegna non ci sono segni che giustificano un maremoto di quelle proporzioni. I nuraghi ricoperti e semidistrutti sono dovuti a modificazioni legate al lunghissimo periodo di tempo intercorso, al vento, pioggia, clima, germogliare di piante tra le pietre in cui s'è infiltrata la terra portata dal vento e altri numerosissimi eventi. Nessun cataclisma marino stravolse il Campidano e l'Oristanese, ma intervenne un fenomeno ciclico, continuo, di eventi, un depositarsi ininterrotto di strati, che ha compiuto il proprio lunghissimo corso".


"Atlantide in Sardegna? No grazie", sottolinea l'archeologo Alfonso Stiglitz. "Le colonne d'Ercole citate da Platone sono i segni che indicano il passaggio tra l'aldilà e l'aldiqua. Sono la parte del sole che scende in occidente e rinasce in oriente. Colonne che possono essere collocate a Malta, in Sicilia, Spagna e così via".

L'archeologo Paolo Bernardini dichiara, con ferma convinzione: «Atlantide è una nobile menzogna, è un'invenzione, e non appartiene alla storia degli eventi, ma solo all'immaginazione di Platone che l'ha sognata e tramandata alle successive civiltà. La paternità del mito di Atlantide risalente al 480 a.C. appartiene tutta al filosofo greco Platone, che fa uso di racconti fantastici, facendoli risultare utili e nobili per il suo popolo».

L'antropologo Giulio Angioni aggiunge: "I miti sono racconti necessari per spiegare chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Sono creati ad arte ma non riescono a dare risposte convincenti. I racconti contengono sempre riferimenti a luoghi, personaggi e storie, ma nel caso dell'antica isola sarda non è serio inventare bugie per aumentarne artificiosamente il prestigio così da vendere ai turisti un'idea di Sardegna mitica".

L'archeologo Alessandro Usai afferma : "Oggi abbiamo diversi riscontri scientifici per dimostrare il contrario della fantasia di qualche giornalista o sedicente studioso che sostengono Atlantide nella terra sarda e la fine della civiltà nuragica dovuta a un maremoto. Quando mancano risposte scientifiche, si ricorre a ipotesi come un meteorite caduto nel Mediterraneo che avrebbe provocato il maremoto. E allora come mai lo stesso tsunami che distrusse parte della Sardegna non lasciò affatto tracce in altre zone costiere dello stesso mare?". Lo studioso illustra una relazione che prende in esame le stratigrafie di scavo di vari nuraghi dimostrando che i sedimenti sono depositati gradualmente, senza improvvisi sconvolgimenti che sarebbero indizi di violenti fenomeni naturali.





Il pensiero di Mauro Perra, direttore del Museo archeologico di Villanovaforru:
"Sono anni oramai che spopola, in alcuni ambienti, l’idea che la Sardegna dell’età del bronzo, quella dei nuraghi per intenderci, sia da identificare con la mitica Atlantide di Platone, distrutta da Poseidone con una poderosa onda d’ingressione marina che ne cancellò la civiltà. Da qui la proposta che il collasso strutturale dei nuraghi e della loro società sia da imputare ad un catastrofico maremoto.
L’analisi che porta dal mito alla storia, cioè quella della ricerca di un fondamento storico nei racconti leggendari, analisi complessa e non priva di trappole, vista la “plasticità” del mito, così facilmente soggetto a manipolazioni, è un’operazione che spesso viene proposta da storici ed archeologi e verificata o falsificata grazie ai dati che la ricerca scientifica mette a disposizione degli studiosi. L’Archeologia è una scienza interpretativa, cioè densa di significati, che si fonda su un metodo sperimentale che gli proviene dalla Geologia: il metodo stratigrafico. Tale metodo si basa sulla semplice constatazione che gli avvenimenti naturali e le azioni umane si materializzano in strati sovrapposti l’uno sopra l’altro, dei quali quelli superiori sono i più recenti, cioè più vicini a noi nel tempo, mentre quelli più profondi sono anche i più antichi. L’interpretazione è discutibile, è opinabile; il metodo no. Questo vuol dire che per essere significante l’interpretazione non può comunque prescindere dalla rigida applicazione del metodo stratigrafico. Sulla base di questi assunti possiamo ora sottoporre ad analisi la teoria del maremoto e verificarne o smentirne i presupposti. 

E qui entriamo nel vivo del 'problema'. Secondo il giornalista Sergio Frau, l’autore della proposta atlantidea, le prove dell’avvenuta catastrofe naturale sarebbero nascoste nelle stratigrafie di tutta una serie di nuraghi interessati dall’effetto dell'onda anomala, specie nella piana del Campidano e nel Sinis, e sarebbero già state evidenziate dagli scavi del nuraghe Su Nuraxi di Barumini nonché, e questa è una recente proposta, nel nuraghe Genna Maria di Villanovaforru. Giovanni Lilliu scavò il nuraghe di Barumini alla fine degli anni ’40 del Novecento applicando rigorosamente il metodo stratigrafico, ne descrisse e ne interpretò i dati nel poderoso volume “Il nuraghe di Barumini e la stratigrafia nuragica” del 1955, che è stato di recente ristampato (2007) per i tipi della Carlo Delfino Editore. Già dal 1955 dunque abbiamo la disponibilità dei dati che ci consentono di verificare o smentire la proposta di Sergio Frau, il quale sostiene che il nuraghe di Barumini venne ricoperto da uno strato di fango alluvionale per una altezza di trenta metri. Prima osservazione: la torre centrale entro il bastione quadrilobato è alta 14,10 metri sull’attuale piano di calpestio e, come si evince dalle vecchie foto in bianco e nero scattate prima dello scavo, le pietre sommitali erano esposte e non coperte dal fango. Ma Lilliu fa di più; egli ci descrive minuziosamente la composizione del deposito da lui scavato in alcuni casi corredando l’analisi con una serie di grafici che illustrano le stratigrafie. Da tutto ciò risulta che scavò una stratificazione complessa, nella quale rinvenne il sovrapporsi di strati di frequentazione umana alternati a fasi di abbandono, in un susseguirsi di vicende storiche che dagli strati più alti (moderni e medievali), attraversano la fase alto medievale, romano imperiale, romano repubblicana, punica e tardo nuragica della fine del X- inizi del IX secolo a.C.
Non uno strato di fango di origine naturale quindi, ma il complesso succedersi delle vicende umane che hanno interessato il sito di Barumini dall’età del Ferro fino al momento dello scavo. Gli strati inferiori, sottostanti il villaggio nuragico del X-IX secolo a.C., quelli potenzialmente interessati dall’onda anomala, furono sondati solo episodicamente dal Lilliu, cioè non sottoposti a scavo in estensione, e di essi malauguratamente fino a pochi anni fa non ne conoscevamo la composizione e lo spessore. Sapevamo solamente, perché verificabile visivamente in alcuni settori del villaggio, che diverse capanne erano state costruite nell’Età del Ferro sovrapponendo i muri su degli strati che contenevano i blocchi squadrati delle parti terminali del nuraghe (che quindi era già scapitozzato al momento della costruzione dell’insediamento). In anni recenti il villaggio è stato sottoposto ad intensi lavori di consolidamento da me coordinati per conto della Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano. In tale occasione sono stati effettuati, dopo cinquanta anni dagli scavi del Lilliu, dei sondaggi in profondità al disotto delle capanne del X-IX secolo a.C., che hanno esplorato lo strato del crollo, quello del fango secondo i sostenitori dello tsunami, in taluni casi fino alla roccia naturale sulla quale è costruito il nuraghe. Ciò che abbiamo trovato è uno strato di crollo dello spessore massimo di metri 1,50, contenente conci lavorati caduti dalle parti sommitali del nuraghe, frammisti all’argilla che componeva, insieme a ciottoli e pietre non levigate, il riempimento interno delle possenti mura del monumento. Nessuna traccia di alluvioni e di 'tsunamiti' dunque, e men che mai della potenza di trenta metri. Quanto al nuraghe di Genna Maria di Villanovaforru ed al villaggio di capanne che lo circondano, del quale conosco la stratificazione per averci lavorato per quasi una decina d’anni, anche in questo caso l’insediamento del X-IX secolo a.C., coevo a quello di Barumini, si sovrappone a strati di crollo della sommità del nuraghe, confermando quanto già osservato nel caso precedente. I livelli sottostanti sono stati sottoposti a limitati sondaggi di scavo che attestano in taluni settori la presenza di strati di livellamento e preparazione per la costruzione delle capanne in muratura. Non è stata osservata la presenza di strati alluvionali, come è lecito attendersi da un sito costruito a ben 409 metri sul livello del mare! Com’è possibile che un’onda catastrofica di circa 500 metri di altezza abbia interessato la sola Sardegna, senza lasciare tracce visibili anche nel resto del Mediterraneo occidentale? E come è possibile che archeologi e geologi seri non si siano accorti in quasi due secoli di ricerche di un evento così distruttivo?
Ma torniamo alle nostre premesse. A coloro i quali escludono che in Sardegna si sia mai verificato un maremoto in età nuragica, e sono numerosi, i fans di Frau obiettano che si tratta di un’interpretazione altrettanto legittima quanto quelle proposte dagli archeologi, che si pone sullo stesso piano e con pari dignità nell’ambito delle teorie che trattano dello sviluppo e della fine della civiltà nuragica. Non è così. Non è così perché in questa ricostruzione che non è una interpretazione, è totalmente assente il ricorso al rigoroso metodo stratigrafico, che nel caso di Barumini e Genna Maria ne smentisce clamorosamente i presupposti. La mancata applicazione del metodo e la costruzione di una teoria priva di solide fondamenta ci consente di sostenere che si tratti di una ricostruzione semplicistica di fenomeni complessi, il crollo delle civiltà, che richiedono ben differenti livelli di analisi multifattoriali nei quali i fattori umani sono sempre preponderanti rispetto a quelli naturali. A queste conclusioni è arrivato perfino un biologo vincitore del Pulitzer come lo statunitense Jared Diamond, che nel suo recente saggio “Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere” (Einaudi 2005) tratta abbastanza a fondo, e con dovizia di esempi, l’argomento. L’archeologia non ha bisogno del sensazionalismo e della spettacolarizzazione mediante discutibili ricostruzioni che forse scaldano i cuori ma sono prive di cervello, che “tutto sommato sono una buona pubblicità per la Sardegna” pur trattandosi di pubblicità ingannevole. La civiltà nuragica è un tema affascinante di studio per esperti della materia e semplici curiosi che non ha certo bisogno di mistificazioni.  
tratto - con alcune modifiche - dal "Quotidiano di Storia ed Archeologia" di Pierluigi Montalbano.
Note: Prevedendo le obiezioni, riporto quanto scritto da un fanatico 'tsunamista':

Evidenze di paleo-tsunami in Italia:
Sebbene in Italia diversi tsunami di elevata intensità siano stati riportati in documenti storici (Tinti et al., 2001), pochi sono gli studi condotti per trovare i depositi lasciati da questi tsunami storici. De Martini et al. (2003) riconoscono depositi di tsunami nell’area del Gargano (Figura 5). Grossi massi sparsi di calcareniti pleistoceniche, il cui peso può raggiungere anche le 80 tonnellate, sono stati osservati da Mastronuzzi & Sansò (2000; 2004) e Mastronuzzi et al. (2007) lungo la costa ionica pugliese, probabilmente trasportati da 3 distinti tsunami avvenuti tra il XV e XVIII sec. Nella zona della penisola di Capo Peloro (Sicilia NO), dove solo di recente sono stati effettuati scavi archeologici nei pressi di una vecchia torre di avvistamento (Torre degli Inglesi), sono stati riconosciuti due livelli sabbiosi di origine marina, dentro una sequenza fatta da un colluvio; tali livelli sembrebbero essere stati lasciati da onde di tsunami (Pantosti et al. 2008). Sempre in Sicilia, nell’area della Baia di AugustaSmedile et al. (2007) hanno trovato evidenze di diverse inondazioni (Figura 8). Anche Scicchitano et al. (2007) osservano una disposizione anomala di massi calcarei nei pressi di ampi terrazzi alla quota di 2,5 m sul livello del mare tra le città di Augusta e Siracusa ed interpretano tale disposizione come il risultato della dislocazione di massi ad opera di alcuni tsunami storici. 

Si noti come tutte queste presunte "evidenze" riconoscano come sede d'origine tutt'altra zona che non il Tirreno, bensì - più propriamente - il Mare Mediterraneo Orientale. Quest'ultimo è stato sede e vittima di maremoti dato che, nella sua porzione più orientale specialmente, si trova effettivamente in una zona sismica di grande ed intensa attività anche in epoca attuale.