- Credo di potere affermare che ci troviamo di fronte ad un caso di cattiva comunicazione di un buon lavoro scientifico, interessante ed in parte ancora in corso, che fornirà pertanto ulteriori risultati degni di nota.
In termini medici, "Immune" può essere solamente un soggetto che è già stato esposto all'agente patogeno di una determinata patologia: il suo organismo ha di conseguenza espresso le proprie difese biologiche, sia in senso immunologico, sia con tutti gli altri sistemi biologici ad esso eventualmente possibili (mutazioni di sistemi biochimici, ad esempio: si veda la deficienza di G6PDH, ad esempio).
Poco male: se nella comunicazione che segue si sostituisce al vocabolo 'immune' (di scelta infelice) il più corretto vocabolo 'esente', tutto l'articolo avrà più senso.
Per quanto riguarda la Verità delle cose, si dovrà attendere l'annunciato maggiore sviluppo dello studio.
- Personalmente tendo a credere che, anche in Sardegna, l'anofelismo sia stato facilitato dall'intervento scriteriato dell'uomo sull'ambiente. Il disboscamento sempre più intensivo (che era già iniziato molto prima, e si era accentuato poi nel Neolitico, come dimostra l'Archeologia) ha determinato un sempre più rapido ritmo di erosione del suolo. L'abbondate quantità di terreno portata verso le coste (e in mare) ha favorito il rallentamento del decorso delle acque fluviali, torrentizie e piovane ed il conseguente formarsi di paludi e di stagni in molte zone, interrando anche alcuni dei precedenti approdi.
Una volta che l'ambiente fosse pronto ad ospitare la riproduzione e tutti gli stadi successivi dello sviluppo dell'Anofele, qualunque marinaio sarebbe potuto diventare il 'fatale untore'.
- Piuttosto, vedo - in questo articolo - se mai essa fosse necessaria, un'ulteriore prova del fatto che i Neolitici sardi ed i Nuragici non erano affatto adusi al mare.
Si potrà obiettare che si tratta di una prova indiretta: non ho alcuna difficoltà ad ammetterlo. Faccio solamente rilevare che anche le 'prove' di una eventuale navigazione Nuragica sono anch'esse rare ed indirette.
uniss - UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI SASSARI
In età
nuragica la Sardegna era immune* dalla malaria
Sorprendenti
risultati di uno studio storico-paleommunologico dell'Università di Sassari
Pubblicato in data: 18 ottobre
2013
SASSARI. Sorprendenti risultati di uno studio
storico-paleoimmunologico condotto dal Dipartimento di Scienze Biomediche
dell'Università di Sassari, dal Dipartimento di Scienze della Salute Pubblica e
Pediatriche dell'Università di Torino e della Divisione di Paleopatologia
dell'Università di Pisa: in età nuragica la Sardegna era immune dalla malaria.
La presenza di quell'antico flagello è invece accertata per l'età cartaginese.
Inoltre, è stata verificata la presenza di un'altra malattia: la leishmaniosi
umana (un'antropo-zoonosi), nella forma viscerale, da mettere verosimilmente in
relazione con il ravvicinato contatto degli allevatori-cacciatori raccoglitori
con i cani, reservoirs dell'infezione.
Lo studio "Approccio
paleobiologico alla storia della malaria e della leishmaniosi in Sardegna
dall'età Prenuragica al Medioevo" è stato condotto da un gruppo di ricerca
su materiali osteoarcheologici forniti dalle Soprintendenze alle antichità di
Cagliari e di Sassari, con fondi della Fondazione del Banco di Sardegna. Sulla
base di una cartografia della malaria (collegata ai dati paleoclimatici)
predisposta dalla professoressa Eugenia Tognotti, storica della Medicina
(Università di Sassari), il team scientifico - composto da paleopatologi (Gino
Fornaciari e Valentina Giuffra, Università di Pisa), paleoimmunologi (Raffaella
Bianucci, Università di Torino), paleoantropologi (Lino Bandiera, Università di
Sassari) - ha impostato il lavoro che si è avvalso della possibilità di
effettuare screening di ampia portata sulle collezioni osteoarcheologiche,
capaci di fornire, in questa prima fase della ricerca, una risposta di tipo
qualitativo (ovvero presenza/assenza del patogeno). Nel caso della malaria,
l'utilizzo di questi test, la cui sensibilità e specificità su materiale antico
è già stata confermata in studi precedenti, permette di identificare le
proteine delle diverse specie del genere Plasmodium (falciparum,vivax, ovale,
malariae).
Le indagini paleo immunologiche sono state effettuate su campioni di siti di varie aree geografiche, corrispondenti a diverse epoche storiche e datati con il metodo del radiocarbonio: età nuragica; età fenicia ; età romana; prima età moderna.
Le indagini paleo immunologiche sono state effettuate su campioni di siti di varie aree geografiche, corrispondenti a diverse epoche storiche e datati con il metodo del radiocarbonio: età nuragica; età fenicia ; età romana; prima età moderna.
Non sono stati identificati casi di
malaria, né di leishmaniosi umana nei reperti osteologici provenienti dai siti
di età nuragica. Sono invece risultati positivi alla malaria due campioni
esumati da siti come quello di Sa Figu (600 - 560 a.C., periodo Cartaginese).
Qui è stato rilevato anche un possibile caso di co-infezione
malaria-leishmaniosi. "Anche se occorrerà rafforzare questi risultati
preliminari attraverso analisi metagenomica, che abbiamo già impostato - hanno
detto gli autori dello studio - quello che è già emerso permetterà di scrivere
una pagina nuova non solo nella storia di quell'antico flagello, ma in quella
della Sardegna stessa".
"Quello che è emerso in questo
studio - aggiunge Eugenia Tognotti - sembra dare ragione a ciò che hanno
sostenuto nel secolo scorso alcuni studiosi sardi: le popolazioni che
innalzarono le grandiose costruzioni tronco-coniche, chiamate nuraghi, erano in
buona salute, non indebolite dalle febbri. La malaria (gli anofeli erano già
presenti, forse trasportati dalle navi fenicie) si diffuse in Sardegna nel V
sec. a.C come in altri paesi rivieraschi del Mediterraneo: un effetto della
'globalizzazione' indotta dai fenicio-punici nei paesi che si affacciavano sul
Mediterraneo".