Ma i balentes Shardana non abitavano qui.
Alfonso Stiglitz (Archeologo)
Uno dei miti più profondamente radicati nel nostro immaginario quotidiano è quello degli “Shardana dal cuore ribelle”, balentes ante litteram, portatori di un ribellismo permanente, al quale gli ideologi colonialisti (consapevoli o meno) condannano la Sardegna e le altre terre: nobili, ribelli e sconfitti.
Agenzie di viaggio, marchi commerciali, modelli di scarpe, libri di successo, società per lo studio della genetica, sono tutti portatori di quel nome e propagatori di una lettura ideologica della storia. Ma è una storia vera? Chi erano veramente gli Shardana?
Mentre da noi si continuano a ripetere gli stereotipi di un secolo fa, basati su una lettura credulona dei testi propagandistici dei faraoni, in Vicino Oriente gli archeologi scavano i luoghi delle gesta degli Shardana e degli altri “popoli del mare”, fornendoci dati oggettivi sulla loro vita quotidiana, mostrandoci sempre più come niente avessero a che fare con la Sardegna.
I popoli del mare. I testi dei faraoni ci hanno fatto credere a un’invasione che, tra il XIII e il XII sec. a.C., avrebbe causato un vero crollo di civiltà nel Vicino Oriente: palazzi micenei, città (Ugarit), regni (Ittiti) tutti spazzati via dal maglio di questi barbari devastatori. Oggi a quella invasione dei “popoli del mare” nessuno, salvo i distratti e qualche nostalgico, crede più; d’altra parte nessuno crede più al vecchio racconto ottocentesco di una storia fatta di invasioni e migrazioni, è stata cancellata quella degli Hyksos, non è mai esistita quella degli Amorrei e forti dubbi abbiamo su quella dei Dori. Lo stesso nome “popoli del mare” è frutto di un’errata lettura, come ha mostrato Sergio Donadoni negli anni ’60, sarebbe meglio tradurre “i barbari della pirateria” che, all’epoca, era un’attività commerciale aggressiva e antistatale, ma lontana dalle invasioni.
Shardana nel Vicino Oriente. Se abbandoniamo la propaganda faraonica (e le nostre esaltazioni pseudosardiste) e ci rivolgiamo ai dati concreti, vediamo che gli Shardana sono presenti nel Vicino Oriente, a Biblo e a Ugarit, secoli prima della presunta invasione. A Ugarit una decina di documenti giuridici li mostrano pienamente integrati nella compagine sociale della città tanto da condividerne la lingua, la cultura e, finanche, i culti; uno di loro si chiama Mutbaal, tipico nome semitico che significa “dono di Baal”, e ci fa sapere che il padre era un devoto della principale divinità cananea.
Shardana in Egitto. Nello stesso Egitto i papiri amministrativi ci restituiscono un’immagine degli Shardana pienamente integrati e stanziati nel centro e nel sud del paese, ma non nella costa. Pagano le tasse, possiedono terreni da coltivare, hanno servitori, contadini e pastori alle proprie dipendenze; di loro conosciamo il nome, almeno una settantina tra uomini e donne. Di uno, Pagezef, vediamo il volto mentre offre un voto a Harashef, il dio di Eracleopoli, nel Medio Egitto. Non a caso qualche studioso si chiede se il termine Shardana indichi un etnico o una funzione (militare o mercenario)
La ceramica micenea. Si parla tanto della ceramica “micenea III C”, che è considerata la ceramica dei “popoli del mare”, ebbene, gli studi condotti negli ultimi anni hanno permesso di precisare che essa è connessa con i Filistei e non con gli Shardana o gli Shekelesh; ciò significa che i frammenti di quella ceramica trovati in Sardegna attestano relazioni commerciali con mercanti levantini tra i quali dovevano esserci Filistei. Questo dato è rafforzato anche dal rinvenimento di un frammento di sarcofago filisteo, databile tra XI e X sec. a.C., a Neapolis nel golfo di Oristano e da altre attestazioni.
La Sardegna è il crocevia di movimenti commerciali marittimi di cui essa è protagonista, soprattutto negli ultimi secoli del II millennio (per intenderci quelli dei pozzi sacri, dei santuari e dei grandi villaggi del Bronzo Finale) e i primi del I millennio; tra i mercanti che passano qui a commerciare ci sono Micenei, Ciprioti, Filistei, Aramei, Siriani, Fenici, ma non Shardana; finora non è stato trovato niente di loro. E i commercianti nuragici che navigano nel Mediterraneo hanno lasciato oggetti a Creta, in Sicilia e poi in Spagna e in Italia, ma non nei luoghi Shardana (Ugarit, Biblo, Acco e dintorni, Egitto).
Nuragici in Israele. Si è detto che è stata trovata una fortezza nuragica in Israele, nel sito di el-Ahwat, ma i raffronti portati dallo scavatore, A. Zemer, sono molto generici e anacronistici; si è proposto, infatti, di confrontare i corridoi della fortezza con quelli dei “nuraghi a corridoio”. In altre parole un gruppo di nuragici della fine del XIII sec. avrebbero importato in Israele non le tecniche costruttive loro, ma quelle dei loro lontani antenati; mi sembra, francamente, inverosimile. D’altra parte non è stato trovato alcun elemento culturale nuragico, neanche un coccio: l’unico frammento ceramico portato come esempio, in realtà, non ha nulla di nuragico. Allo stesso modo gli scavi nel centro di Acco (Israele) e nel suo territorio e nella fortezza di Tell es-Saidiyeh (Giordania), connessi con gli Shardana,
hanno restituito una cultura materiale molto diversa da quella della Sardegna.
Egiziani in Sardegna. Si è detto che la Sardegna è ricca di oggetti egiziani derivanti, appunto, dagli Shardana. È una favola ottocentesca nata al momento della scoperta delle grandi tombe puniche e romane di Cagliari e Tharros, dalle quali, è vero, provengono numerosi amuleti, scarabei e gioielli egiziani o egittizzanti. Ma si tratta dei normali oggetti di corredo dell’età fenicio-punica e romana, che si rinvengono in tutte le loro necropoli, ovunque nel Mediterraneo.
Bronzetti e navicelle. I bronzetti e le navicelle votive databili tra il X e il VII sec. a.C. sono stati confrontati con i bassorilievi egiziani di XIII sec. a.C. Si è notata la rassomiglianza degli elmi cornuti, degli scudi rotondi e delle spade lunghe. Peccato che gli stessi elementi siano presenti nel Vicino Oriente in epoca contemporanea e anche più antica e che l’appicagnolo sugli elmi, presente in quelle terre, sia assente nei bronzetti nuragici. Non solo, gli Shardana si presentano perfettamente rasati, anche i capelli, oppure con barba, baffi, folta chioma e orecchino; i bronzetti (e le statue) nuragici sfoggiano eleganti capigliature a trecce. Le navicelle, poi, sono completamente diverse, lo si vede ad esempio dalle prue e dalle poppe delle navi dei rilievi egiziani che, invece, sono molto simili a quelle raffigurate nei vasi tipo Miceneo IIIC, probabilmente filistee.
I porti Shardana. Si favoleggia di città sommerse in Sardegna. È una leggenda metropolitana che deriva da un’errata lettura fatta molti anni fa di alcune foto aeree di Nora e Tharros. Decenni di ricerche archeologiche e geologiche nei due centri hanno dimostrato che non esistono città sommerse; quei pochi resti sotto costa derivano dall’erosione costiera e dall’innalzamento del livello del mare, di circa 50 cm, avvenuto dopo l’età romana Non esistono città Shardana in Sardegna, può dispiacere ma i dati concreti sono più chiari dei sogni: Cagliari, Nora, Sulci, Tharros e le altre sono città fenicie, sorte da originari scali fenici in aree occupate da villaggi nuragici.
Il nome Sardegna. L’accostamento dei due nomi, Shardana e Sardegna, si basa sulla loro assonanza e questo, da solo, dovrebbe mettere in guardia dai facili entusiasmi. In realtà la radice Serd/Sard è diffusa in tutto il Mediterraneo e non è così distintiva (a meno che non si voglia pensare, come qualche appassionato fantasioso fa, a una sorta di razza dominante l’intero Mediterraneo e oltre, di cui non sarebbe però rimasta alcuna traccia materiale: fantasmi, cioè). Va ricordato, peraltro, che il nome Sardegna è utilizzato per la prima volta dai Fenici e che, come faceva notare il buon Pausania, non ha niente a che vedere con i nuragici.
Si potrebbe continuare a lungo, ma mi pare già chiaro che quella degli Shardana e della Sardegna è una leggenda metropolitana, alimentata in buona parte da una male indirizzata volontà di nobilitare la nostra storia, quasi ci si vergognasse di essa e fosse necessario nasconderla dietro il paravento di “nobili miti” fondanti. Ma la nostra identità non ha bisogno di miti “patacca”, essa nasce da una lunga storia di incontri (pacifici o meno) che ha prodotto quello che siamo, dei meticci portatori di tante belle culture.
Alla domanda “e gli Shardana ?” mi sto abituando a rispondere “no, grazie, siamo sardi”.
da un articolo di Alfonso Stigliz, comparso su Unione Sarda 02.01.2006